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Crono e lavori specifici: non solo Roglic li fa sui rulli

06.12.2023
7 min
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«Se fossi ancora corridore – riflette Marco Pinotti alla fine della chiacchierata – forse anche io farei sui rulli i lavori specifici per la crono. Sempre che la pista su cui li ho sempre fatti fosse chiusa. Altrimenti non avrei dubbi e tornerei a Dalmine…».

Un passaggio dell’incontro con Giampaolo Mondini, parlando dell’arrivo di Roglic alla Bora-Hansgrohe e di conseguenza su bici Specialized, continuava a risuonarci nelle orecchie. Per mandare via il ronzio, serviva un esperto di crono e preparazione, per cui ci siamo rivolti a Marco Pinotti.

«Una cosa molto interessante che mi ha detto Primoz – aveva raccontato Mondini – è che lui usa la bici da crono anche tre volte a settimana, però sui rulli, come fanno i triatleti (in apertura, lo sloveno sui rulli in un’immagine da Instagram, ndr). Magari prima fa l’uscita su strada, poi se deve fare un’ora di variazioni di ritmo, le fa sui rulli. Mi ha spiegato che è soprattutto un fatto di sicurezza, perché i lavori con la bici da crono si fanno ad alta velocità e le strade di Monaco non sono le più adatte».

La pista di Dalmine è stata a lungo il teatro degli allenamenti specifici di Pinotti (foto L’Eco di Bergamo)
La pista di Dalmine è stata a lungo il teatro degli allenamenti specifici di Pinotti (foto L’Eco di Bergamo)

Un’abitudine diffusa

In realtà, quella che poteva sembrare un’originalità dello sloveno ha preso la forma di un’abitudine ormai radicata: «Anche qua (riferendosi alla Jayco-AlUla di cui Marco è preparatore, ndr) tanti australiani fanno lavori sui rulli – è stata la prima risposta di Pinotti su whatsapp – per una questione di sicurezza delle strade e per mantenere la posizione. Io li facevo in pista».

E allora andiamo a capire quali siano i lavori che vengono meglio sui rulli e se ci siano delle criticità, legate ad esempio alla dimestichezza con la bici, ai valori fisiologici espressi e alle temperature che si raggiungono sui rulli. Pinotti prende il filo del discorso e si incammina.

«Il primo con cui ho avuto questo tipo di esperienza – dice – è stato Patrick Bevin, il neozelandese che avevo quando eravamo al CCC Team. L’ho seguito per un anno e mi diceva che i lavori specifici li faceva sui rulli. Io ne prendevo atto, anche se viveva a Girona, che non dà l’idea di un posto così trafficato. Non è che fossi troppo favorevole, perché va bene lavorare in posizione, però dopo quando vanno in bici sanno fare le curve? Fra gli australiani è una cosa abbastanza comune. Magari fanno sui rulli il lavoro più impegnativo, poi escono con la bici strada e allungano».

Luke Durbridge, in una foto di tre anni fa, lavorando sui rulli con la bici da crono (foto Instagram)
Luke Durbridge, in una foto di tre anni fa, lavorando sui rulli con la bici da crono (foto Instagram)

Sicurezza e valori certi

Quali siano i lavori che vengono meglio sui rulli è facile da intuire. Si tratta di quelli che richiedono strada libera perché si svolgono ad alta velocità, con la visibilità limitata dal fatto che con la bici da crono si tende spesso a guardare verso il basso.

«Magari si tratta di lavori di alta intensità – dice Pinotti – e non continui. I classici over-under, cioè un minuto in soglia e due minuti sotto. Oppure 40 secondi sotto e 20 secondi sopra. Lavori un po’ strutturati che su strada sono difficili da programmare. Difficilmente si ha la strada libera e senza traffico o rotonde. Per cui c’è sicuramente la componente della sicurezza e un po’ l’esigenza di fare bene il lavoro. Fare per quattro volte 10 minuti consecutivi su strada non è semplice. Magari puoi aggiustarti un po’ andando a cercare qualche pendenza. Ma se qualcuno è un po’ più fissato sui valori, quindi preferisce avere dati privi di variazioni, allora sul rullo li ha proprio esatti. Potrei obiettare che le curve e l’esigenza di frenare le hai anche in gara, ma se è una necessità legata alla sicurezza, allora alzo le mani.

«Sono lavori che si fanno in pianura, mentre con la bicicletta da strada si fanno per la maggior parte in salita, quindi la velocità è più bassa e c’è meno traffico. Se anche vuoi trovare la strada secondaria in pianura, l’imprevisto può sempre saltar fuori. Perché con la bici da crono vai a 50 all’ora e ti trovi quello allo stop che sottovaluta la velocità del ciclista e si immette lo stesso. Basta un attimo e ci scappa l’incidente…».

E’ rischioso circolare a testa bassa su strada, a 50 all’ora, simulando le condizioni di gara
E’ rischioso circolare a testa bassa su strada, a 50 all’ora, simulando le condizioni di gara

Meglio in pista

Servono rulli di nuova generazione, chiaramente. Fare certi lavori con quelli di una volta, che frenavano la gomma posteriore e davano una pedalata a scatti, sarebbe impensabile e poco produttivo.

«I nuovi rulli hanno la pedalata molto simile a quella su strada – spiega Pinotti – ma certo non ti danno l’abitudine a guidare la bici fra gli imprevisti della strada. Non perché uno improvvisamente diventi incapace di fare le curve, ma perché comunque stare in posizione e assorbire le folate di vento, che è l’ostacolo principale, è soprattutto un fatto di esperienza. E poi ci sono l’asfalto irregolare, le buche, gli ostacoli improvvisi. Per questo io preferivo andare a fare i miei lavori in salita oppure nella pista di Dalmine

«E’ una pista abbastanza lunga – fa notare Pinotti – alla fine il vento c’è e c’è anche la sicurezza. E poi comunque piuttosto che stare fermo come sul rullo, ti muovi e hai ventilazione naturale. Poi possono esserci tante variabili. Magari Roglic sta sui rulli anche per stimolare l’adattamento al caldo: ci sono tanti studi in questo senso. Ma se lo scopo è solo fare lavori specifici, allora è bene che ci siano ventilazione e temperatura sufficientemente bassa».

Le brevi progressioni che si fanno nel riscaldamento prima di una crono somigliano ai lavori che si fanno anche a casa
Le brevi progressioni che si fanno nel riscaldamento prima di una crono somigliano ai lavori che si fanno anche a casa

Watt e sudore

L’adagio è ben noto: un’ora sui rulli, vale come un’ora e mezza su strada. E se questo è vero per il semplice girare le gambe, quando si passa sul fronte dei lavori specifici, che sono brevi e di durata controllata, le cose cambiano?

«A livello generale – sorride Pinotti – una differenza c’è. Se io faccio un’ora e mezza di rulli, in termini di consumo in kilojoule è come farne due su strada. In pratica pedalo sempre e la potenza media che ne deriva viene più alta. Invece su strada c’è il momento in cui non pedalo, per cui la potenza media si abbassa. Invece se parliamo di lavoro specifico, non c’è grossa differenza. Parliamo di piccoli intervalli, quindi se sei a casa e pedali in un ambiente adeguatamente ventilato, dovresti riuscire a non sentire tanta differenza».

Il tema della sicurezza per gli alleamenti su strada si amplifica in caso di cronosquadre
Il tema della sicurezza per gli alleamenti su strada si amplifica in caso di cronosquadre

Ottimizzare il tempo

Però ci piace tornare alla frase da cui questo articolo ha avuto inizio, al fatto che se fosse ancora corridore e fosse impossibilitato a usare la pista, anche Pinotti sceglierebbe di fare i suoi lavori sui rulli.

«Ovviamente – sorride – continuerei a preferire la pista. Però la stagione fredda crea delle situazioni che vanno calcolate. Qui dove abito, d’inverno le strade sono ancora meno percorribili, perché nelle vallate fa troppo freddo. Quindi se l’alternativa fosse vestirmi come un palombaro e fare l’impossibile per trovare una strada su cui fare dei lavori, magari finirei col farli sui rulli. Sarebbe il modo migliore per ottimizzare il tempo e risolvere il problema sicurezza.

«In effetti, se non vuoi fare i lavori in salita, perché non sei comodissimo e stando basso non respiri bene, per avvicinarti al modello della gara dovresti fare i lavori in pianura, dato che la maggior parte delle crono ormai sono in pianura. E non è tanto raccomandabile farli su strade con il limite a 50 e doverlo superare con la bici. Ed è peggio quando dobbiamo preparare la cronosquadre. A volte si affittano gli autodromi, ma non sempre si può. Quest’anno ne avevamo una alla Parigi-Nizza. Ho guardato di trovare una strada adatta intorno Parigi, ma invano. Alla fine abbiamo scelto di non far niente e siamo stati bravi lo stesso (la Jayco-AlUla concluse al 3° posto, a 4″ dalla Jumbo-Visma, ndr).

Una Specialized per Roglic: come nasce la nuova bici

26.11.2023
8 min
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Prima non si poteva sapere, almeno fino a che la firma con la Bora-Hansgrohe non è stata ufficializzata. A quel punto è scattato il divieto di mostrare immagini, che si interromperà il primo gennaio. Tuttavia, dopo aver vinto il Giro dell’Emilia e aver fatto terzo al Lombardia, Roglic ha avuto i primi contatti con gli uomini della nuova squadra e ha cominciato a ragionare con loro dei materiali. E da lì è iniziato lo sviluppo della Specialized con cui correrà nel 2024 (in apertura, una foto di Paul Matthis).

Il 17 ottobre, dieci giorni dopo il Lombardia e durante il primo ritiro a Soelden, è stato fatto il posizionamento sulla bici da strada con il sistema Retul. Roglic ha ascoltato e poi ha espresso le sue preferenze. Nella stessa occasione sono state riportate sulla bici da crono le misure della Cervélo. L’indomani, lo sloveno è uscito per provare la nuova bici. Finché il 23 ottobre, assieme a Hindley e pochi altri fra cui Sobrero, è volato in California per i primi test nella galleria del vento di Morgan Hill. I risultati ottenuti in casa Specialized saranno verificati nelle prossime settimane nel velodromo di Palma de Mallorca, in occasione del ritiro di dicembre.

Per guidarci in questa immersione di Roglic nel mondo Specialized abbiamo chiesto il supporto di Giampaolo Mondini, uomo di raccordo fra l’azienda e i team, che lo ha seguito sinora e lo seguirà ancora nei prossimi passi. Il discorso parte dal vincitore del Giro, ma è un bello spaccato di come si lavori oggi nelle squadre WorldTour: se non altro quelle equipaggiate Specialized.

Tutti gli anni i corridori dei team Specialized vanno a Morgan Hill: qui Asgreen, Cattaneo ed Evenepoel nel 2022
Tutti gli anni i corridori dei team Specialized vanno a Morgan Hill: qui Asgreen, Cattaneo ed Evenepoel nel 2022
Arriva uno come Roglic, qual è il vostro approccio? Si parte dalla bici precedente o si prende un foglio bianco?

Dipende molto dalla predisposizione del corridore e questo indipendentemente che sia un grande campione o chiunque altro. L’approccio di Retul con i professionisti è sempre molto personale. Hai dei corridori che sono nella stessa posizione da anni e vogliono replicarla, senza cambiarla una virgola. Per cui quando viene fatta la posizione, se c’è qualcosa che non va, se ne parla col corridore e con il fisioterapista del team.

Cosa si può fare?

Si valuta se la posizione può essere corretta con piccoli aggiustamenti, se il corridore se la sente, oppure se è meglio evitare. Questo il discorso generale, poi ci sono corridori che magari hanno avuto cadute oppure operazioni chirurgiche e allora il caso si complica.

In quali termini?

La posizione va rivalutata. Perché magari ne è stata individuata una per il periodo del recupero dall’infortunio e dopo qualche mese bisogna controllarla, per vedere se non debba essere aggiornata (viene in mente il caso Froome, da poco raccontato, ndr). Le cadute sono una fase delicata. Magari il bacino si è un po’ inclinato, quindi può essere utile andare a rivedere che tutto quanto sia a posto. Ad alto livello, questi corridori un paio di cadute all’anno le fanno. Magari non sono gravi, magari sul momento non sembra niente, però magari è successo qualcosa a livello scheletrico…

Roglic, qui al Giro di Slovenia, si è mostrato curioso del lavoro Specialized e ha voluto approfondirlo
Roglic, qui al Giro di Slovenia, si è mostrato curioso del lavoro Specialized e ha voluto approfondirlo
Roglic nel 2023 è rientrato da un infortunio: lo hai visto attento a questi discorsi?

Ho trovato un corridore molto motivato e aperto, davvero entusiasta. Mi è parso curioso di capire il nostro metodo di lavoro e questo ci ha aiutato sicuramente nell’approccio. In fin dei conti non abbiamo cambiato molto, però bisogna dire che in questa prima fase – cambiando il tipo di bicicletta, cambiando i pedali, cambiando le scarpe e cambiando la sella – cerchiamo sempre di non toccare il resto. Invece, quando andremo a Palma de Mallorca ai primi di dicembre, anche in base ai feedback che ci darà Primoz, vedremo se ritoccare qualcosa o se il corridore stesso nel frattempo è andato a cambiare qualcosa.

Sono cose che succedono?

A dicembre sì, anche se rispetto a una volta è tutto molto diverso. Vent’anni fa c’erano corridori che giravano con la brugola e intervenivano su qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Adesso gli è stato vietato, da gennaio il corridore non dovrebbe avere la libertà di cambiare la posizione sulla bici. Questo anche per aiutarlo a evitare problemi e infortuni. A volte si interviene perché fai più fatica e pensi che dipenda dalla posizione e magari fai un danno doppio. Soprattutto perché a volte si seguono i consigli di chissà chi e si peggiorano le cose. Questa abitudine per fortuna negli anni è cambiata e dopo gennaio la bici rimane quella. Anche per la crono, mentre una volta capitava di vedere alcuni che modificavano l’altezza delle protesi prima della partenza.

Saremmo curiosi di sapere come avresti impedito a Pantani di usare la sua brugola. Ti avrebbe tagliato la gola!

Il “Panta” (Mondini ride, di Marco è stato compagno di squadra nel 2001, ndr) alla Valenciana si fermò per mettere a posto i tacchetti durante una tappa. Si sedette su un paracarro e si mise ad armeggiare. E noi intanto guardavamo il gruppo che in quel momento si stava aprendo a ventaglio e ci mettemmo le mani nei capelli. Per fortuna eravamo tutti abbastanza forti e riuscimmo pure a rimediare, ma certo una volta (ride ancora, ndr) succedevano certe situazioni… 

Roglic ha chiesto qualche modifica alla geometria della bici da crono rispetto a quella 2023
Roglic ha chiesto qualche modifica alla geometria della bici da crono rispetto a quella 2023
Roglic vi ha dato la scheda 2023 e voi l’avete replicata?

Ha comunque fatto la posizione con Retul, in cui abbiamo cercato di replicare il più possibile, magari dando le nostre annotazioni rispetto a qualche angolo. A tanti corridori diamo la bici a metà ottobre subito dopo aver fatto il posizionamento, sapendo che ci saliranno dopo due o tre settimane, finite le vacanze. Roglic invece ha fatto il Retul e la mattina dopo era già fuori. Si è fatto dare un po’ di materiale ed è andato a provare la bici.

Che misura di telaio gli avete dato?

Una Tarmac Sl8 taglia M, una 54. Niente di speciale. Primoz è leggermente brevilineo, quindi con le gambe più corte del tronco. Ha il manubrio integrato largo 40 con l’attacco da 12 e le pedivelle da 170. Ci è parso molto contento dell’assetto della bici, i primi feedback sono stati subito molto positivi. E’ rimasto impressionato anche dalla leggerezza, idem per quanto riguarda quella da cronometro.

Anche lui usa pedivelle da 170, ormai è la regola…

Adesso c’è questa tendenza, sia per la bici da strada sia per le crono. Anzi, quasi tutti quelli che fanno le crono sul serio, stanno cercando le 165. Anche Remco. La pedivella da 165 ti permette di chiudere di più il diaframma e di abbassare di più il tronco, senza colpirti col ginocchio. Invece non serve per abbassare la bici. Puoi far scendere il piantone, ma l’altezza di sella resta identica e i vantaggi aerodinamici non ci sono.

La Bora corre le crono sulle Specialized Shiv Disc. Per Roglic si sta studiando una nuova posizione (foto Anderl Hartmann)
La Bora corre le crono sulle Specialized Shiv Disc. Per Roglic si sta studiando una nuova posizione (foto Anderl Hartmann)
A Morgan Hill invece avete lavorato solo sulla bici da crono?

Esatto. E mentre sulla bici da strada non ha chiesto nulla, in questo caso ha fatto delle richieste specifiche. Ha chiesto di provare qualcosa di specifico in termini di altezza e allungamento, su cui la galleria del vento ha dato delle risposte, che andremo a verificare nel velodromo per capire se siano davvero efficaci.

Anche per la bici da crono si parte dalla precedente?

Dalla scheda vecchia e dalla posizione vecchia, perché sennò rischi di a stravolgere troppo la posizione. Una cosa molto interessante che mi ha detto Primoz è che lui usa la bici da crono anche tre volte a settimana, però sui rulli, come fanno i triatleti. Magari prima fa l’uscita su strada, poi se deve fare un’ora di variazioni di ritmo, le fa sui rulli. Mi ha spiegato che è soprattutto un fatto di sicurezza, perché i lavori con la bici da crono si fanno ad alta velocità e le strade di Monaco non sono le più adatte.

Visto che è molto curioso, vi ha chiesto su corsa interverreste?

E’ super disponibile, molto aperto. Si è affidato al consiglio della squadra. Oltre a questo è stato sorprendente come si sia messo nelle nostre mani. In una giornata, penso che abbia fatto 8 ore immobile in galleria del vento. Non si è mai lamentato, tanto che a un certo punto gli ho chiesto se almeno volesse bere o mangiare qualcosa. E allora ha ammesso che effettivamente aveva sete e anche fame.

Il tempo di ricevere la nuova bici e Roglic è uscito per provarla: dal 2024 vuole ottenere il massimo (foto Paul Matthis)
Il tempo di ricevere la nuova bici e Roglic è uscito per provarla: dal 2024 vuole ottenere il massimo (foto Paul Matthis)
Dato che ha richiesto delle modifiche sulla posizione da crono, avete messo a punto un doppio assetto in modo da poter fare confronti?

Abbiamo fatto 3-4 posizioni. Sicuramente una come la vecchia e poi altre che saranno verificate in pista. E poi insieme abbiamo fatto anche una sessione sui body e il resto del materiale. La squadra è interessata a questo tipo di test e noi ovviamente diamo la massima disponibilità. Sono stati portati vari tipi di materiali e sono stati provati con tutti i corridori, per capire se certe soluzioni sono soggettive oppure vanno bene per tutti.

Se qualcuno dovesse vedere Roglic in giro sulla nuova bici, che materiali gli avete dato?

Per ora si va sul semplice. Ruote basse da allenamento, credo che abbia preso le Alpinist, con copertoni da 28. E’ bene che usi la bici, così a dicembre faremo un altro sviluppo, per arrivare al setting con cui correrà nel 2024. E per gennaio si potranno vedere anche le foto. Per ora abbiamo evitato in tutti i modi che si potesse associare il nome Roglic a quello di Specialized.

Calpe, un occhio indiscreto nel lavoro di Retul

10.01.2023
9 min
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Le cose che si fanno a porte chiuse nel primo ritiro. A dicembre l’hotel della futura Soudal-Quick Step è rimasto chiuso ai giornalisti. Corridori nuovi, materiali nuovi. Troppe cose tutte insieme per rischiare che uscisse qualche foto non autorizzata. Negli stessi giorni, nei saloni al pianterreno del Suitopia Hotel di Calpe, gli uomini di Retul hanno messo mano a svariate solette su misura e controllato la posizione dei nuovi e degli altri che lo hanno chiesto. La squadra correrà anche nel 2023 con la Tarmac SL7 di Specialized. E dato che non si sa ancora quando sarà lanciata la SL8, non ci sono state grandi variazioni biomeccaniche.

Ciò che è successo in quelle stanze ce lo siamo fatto raccontare da Giampaolo Mondini, che è la porta di accesso dei corridori all’assistenza di massimo livello quanto a posizionamento in bici e solette su misura e nelle tre settimane prima di Natale ha girato per questo fra gli hotel delle squadre sponsorizzate.

Mondini è il responsabile Specialized dei rapporti con i team: qui alla presentazione della Soudal-Quick Step
Mondini è il responsabile Specialized dei rapporti con i team: qui alla presentazione della Soudal-Quick Step
Avete lavorato solo con i nuovi corridori o anche con gli altri?

«E’ un servizio che offriamo a tutte le nostre squadre. Con i nuovi si cerca di far capire i vantaggi della posizione migliore. Quando si va in una nuova squadra, cambiano la bici, la sella, il manubrio, i pedali. Cambia tutto, per cui la certezza che gli angoli siano stati rispettati è un vantaggio. Per questo di solito si comincia a ottobre».

Con la stagione ancora in corso?

Esatto. Serve per avere gli atleti ancora in forma e non fermi da tre settimane. Serve che siano presentabili. Sia per la posizione in sella, perché magari dopo tre settimane di stop non hanno la stessa elasticità. Sia per la possibilità di fare l’abbigliamento su misura, quando sono ancora tirati.

Con i vecchi corridori invece cosa si fa?

A volte sono loro che chiedono di essere inquadrati. Magari sono caduti, oppure hanno cambiato la sella, hanno male a un ginocchio o ancora vogliono la soletta personalizzata. A Calpe questa volta non c’è stato tantissimo da fare per la biomeccanica.

Masnada ha raccontato di aver dovuto rivedere la posizione per scongiurare l’infiammazione che lo ha fatto soffrire alla Vuelta.

Masnada ha una conformazione così stretta delle ossa del bacino, che qualsiasi sella avesse usato finora, gli causava delle lacerazioni. Alla Vuelta era così rovinato, che l’ha conclusa per aiutare Remco, però ha finito lì la stagione.

Come l’avete risolta?

La soluzione è stata provare una sella da crono, la Sitero. Abbiamo selle larghe da 130 millimetri fino a oltre i 160. E’ rarissimo che i corridori usino selle così strette, ma Fausto potrebbe aver risolto il problema. La Sitero ha anche il naso più corto e così è riuscito a tenere sotto controllo la situazione. Ma dovremo continuare a seguirlo, per vedere se va bene. A volte si cambiano le selle, quando le selle non c’entrano.

Una volta individuali gli angoli, si passa alle regolazioni per ottenere la posizione indicata (foto Specialized)
Una volta individuali gli angoli, si passa alle regolazioni per ottenere la posizione indicata (foto Specialized)
Cosa vuoi dire?

Tanti oramai si fanno fare il fondello su misura, anche Nibali lo faceva. Non è una cosa tanto banale, negli ultimi anni sono attenzioni sempre più frequenti. E si sta iniziando a notare che i problemi attribuiti alle selle derivano dal fondello, se non addirittura dalla crema che si usa per le parti intime.

Alle creme?

Avevamo un problema con una squadra. Solo quella. E alla fine abbiamo scoperto che usavano una crema che ungeva così tanto la sella, da danneggiarne la copertura. Per il fondello, così come per le scarpe andrebbe concessa libertà, anche se lo dico contro il mio interesse. Noi stessi, se il corridore non si trova con i nostri prodotti, lo lasciamo libero di cercare di meglio. Quello che non mi va giù è che, pur in assenza di sponsorizzazioni, ci siano squadre che vietano ai corridori di usare certe marche.

I sensori LED vengono collocati sulle sporgenze ossee, come ad esempio la caviglia (foto Specialized)
I sensori LED vengono collocati sulle sporgenze ossee, come ad esempio la caviglia (foto Specialized)
Come funziona il sistema Retul?

Si parte dalla posizione di base, dando per scontato che siano già messi bene sulla bici. I cambiamenti vanno valutati attentamente. Le fibre muscolari si adattano, ma lavorano in una precisa direzione. Nel cambiare, bisogna stare attenti perché ogni variazione può avere conseguenze. Al di là delle lunghezze, il valore importante è quello dell’angolo fra i vari segmenti del corpo. Per cui si parte dalla posizione base, poi l’algoritmo Retul mette in relazione la posizione del corridore con quelle di tutti gli altri testati finora, fornendo indicazioni sugli angoli migliori.

In che modo?

Viene creata una mappa in 3D del corridore che pedala, una volta si faceva il confronto fra le fotografie. I marcatori a LED vengono messi su 8 punti fissi, di solito sporgenze ossee, rilevando un minimo di 17 angoli fino a un massimo di 45, con cui ricavi l’esatta prospettiva della posizione. Se il sistema dice che la posizione è giusta, non facciamo niente. Se invece vediamo che qualche angolo è migliorabile, in accordo con il corridore e il fisioterapista della squadra, si decide se intervenire e in che modo.

Intervenire su cosa?

Il sistema ti dice che un angolo è migliorabile, sta all’esperienza del biomeccanico trovare il modo per correggerlo. Se abbassando la sella, allungando l’attacco manubrio o altro. Si fanno variazioni di pochi millimetri, si arriva a una posizione condivisa e poi si lasciano al corridore circa venti giorni per allenarsi ore e ore, sperimentando la nuova posizione. Se si fa la posizione a dicembre, si fa una verifica a gennaio e poi non si tocca più.

L’algoritmo indica gli angoli su cui intervenire: i biomeccanici osservano e intervengono (foto Specialized)
L’algoritmo indica gli angoli su cui intervenire: i biomeccanici osservano e intervengono (foto Specialized)
Quanto conta il biomeccanico?

Il nostro obiettivo è togliere di mezzo la soggettività del biomeccanico. Serve che sia esperto nell’usare lo strumento. A volte si può raggiungere la stessa posizione finale partendo da punti diversi, l’importante però è che il risultato sia identico. Non è possibile che due biomeccanici diversi portino a due posizioni diverse.

Da dove arrivano i biomeccanici Retul?

Quando Specialized ha rilevato il marchio, c’erano 5 “professor” che ancora oggi fanno scuola e insegnano il metodo Retul. Quelli che seguono le squadre sono gli stessi che sviluppano l’algoritmo e si servono dei feedback dei corridori per migliorarlo. In generale, tutti quelli che usano il sistema Retul nei negozi e nei centri di biomeccanica, vengono formati perché siano in grado. Il responsabile per l’Italia si chiama Silvio Coatto.

Capita che il corridore voglia cambiare senza una reale esigenza?

E’ una cosa che capita. Il nostro obiettivo a livello mentale è isolare dalla nostra valutazione le sensazioni del corridore. A volte durante la preparazione capita che qualcosa non vada come crede e la prima cosa che fa, se non trova una spiegazione, è mettere mano alla bicicletta. Senza rendersi conto che spesso questo genera problemi più seri.

A crono stessa storia?

A crono è diverso. Si danno alla squadra tutti i dati della posizione più affidabile e da lì si comincia a lavorare. In galleria del vento si parte dalla posizione base e poi si porta verso l’estremo, per trovare la più aerodinamica e insieme la più efficiente. A quel punto si prende la bici Retul che si chiama Muve, su cui si può cambiare la posizione senza che il corridore debba scendere.

Il lavoro sulla bici da crono è reso necessario dalle nuove regole UCI sull’inclinazione delle protesi (foto Specialized)
Il lavoro sulla bici da crono è reso necessario dalle nuove regole UCI sull’inclinazione delle protesi (foto Specialized)
Che cosa si fa?

Lo si fa pedalare alla soglia, con una maschera facciale, in modo da fare un test metabolico per il VO2Max. A questo modo si raggiunge un punto limite e a quel punto si può andare a fare i test in pista, cercando la posizione più applicabile alla realtà. Adesso che hanno cambiato le regole e le inclinazioni delle appendici, c’è tanto lavoro da fare.

Che tipo di lavoro avete fatto su Evenepoel?

Remco ha voluto controllare la posizione. E visto che già sulla bici da crono aveva messo le pedivelle da 165, voleva vedere se adottarle anche su strada, ma alla fine ha scelto di restare con le 170, come pure Alaphilippe. Ormai le pedivelle lunghe sono sempre meno diffuse.

La realizzazione d solette su misura è una delle richieste più frequenti (foto Specialized)
La realizzazione d solette su misura è una delle richieste più frequenti (foto Specialized)
Si lavora anche sulle asimmetrie dei corridori?

I difetti macroscopici si vedono a occhio nudo. In ogni caso la pedana Retul ruota e permette di valutare il corridore su entrambi i lati.

Il resto rientra fra le cose che si sanno, ma non si dicono. Si parla dei corridori sponsorizzati da altri che chiedono di avere le solette su misura e allora è meglio non fare nomi. Ci sono quelli infatti che hanno il veto espresso di servirsi di materiali Specialized e quelli che, per aggirarlo, producono addirittura un certificato medico. C’è sempre stata una sorta di complicità fra addetti ai lavori, con il benessere degli atleti sopra di tutto. Va bene lo sponsor e va bene il contratto, ma quando sei per cinque ore al giorno sulla bicicletta, bisogna che tu sia soprattutto comodo.

Pacchetto aerodinamico: vitale per i velocisti e non solo

04.03.2022
7 min
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Posizioni schiacciate, spinte potenti e ricerca della massima velocità… Ma per raggiungerla non bastano le gambe. Serve altro in questo ciclismo. Serve il “pacchetto aero”. Si tratta di tutti quei dettagli e di quei materiali che sono pensati per andare più forte, che sono pensati per essere più efficienti dal punto di vista aerodinamico.

Nelle scorse settimane abbiamo parlato dei manubri. Uno degli elementi fondamentali in quanto ad aerodinamica, visto che si tratta di un componente frontale a diretto impatto con l’aria. Stavolta, dato per assodato il “tema manubri” parliamo anche di body, caschi, bici, ruote e persino calzini. Davvero tutto ciò incide? E quanto?

Pasqualon: ruote ad hoc

«Per me il pacchetto aero conta tantissimo – dice Andrea Pasqualon della Intermarché Wanty Gobert – in questo ciclismo estremizzato. Servono velocità altissime per fare risultato e quindi un certo tipo di casco, di body, di bici…  ti aiutano.

«La bici è la prima cosa in questa ricerca della performance. Deve essere il più fluida possibile, con meno parti possibili esposte all’aria. Non a caso diversi velocisti usano telai più piccoli. Da noi per esempio Kristoff (in apertura battuto da Jakobsen, ndr) che dovrebbe avere una taglia 56 usa una 54».

«Il carbonio poi è più rigido. Tutti pensano che la bici del velocista sia più scattante, ma in realtà sul momento dello scatto è più reattiva quella dello scalatore che essendo più elastica risponde prima. Quella del velocista deve essere rigida, non deve disperdere energia. Deve dare supporto.

«E questa credo sia la differenza più importante rispetto ad una bici di 10 anni fa. Credo che a parità di forza oggi con una bici di quei tempi perderei sempre la volata. Le cosiddette bici aero oggi per certi aspetti derivano da quelle da crono. Quando ti alzi e inizi a spingere forte non “tirano indietro” come una volta, ma appunto vanno avanti, sono fluide come dicevo».

«Altri watt si racimolano poi anche con le gomme. Noi con i tubeless risparmiamo circa 7-8 watt a 50 all’ora. E questo conta non tanto in volata quanto nel corso della gara. Pensiamo ad una tappa di 200 chilometri o a una Sanremo che ne misura 300, il dispendio energetico è molto elevato. Sono energie che ti restano nella gambe.

«Altra cosa molto importante che ho notato sono le ruote. Okay, si sa che quelle più alte sono più veloci, ma non è detto che vadano bene per ogni bici. Per esempio, le Fulcrum sono ottime ruote, ma sulla Cube quelle che rendono meglio sono le Newmen, che sono state disegnate appunto per la nostra bici. E non è detto che su un’altra bici siano altrettanto performanti. Anche questi sono dettagli che fanno la differenza. 

«E poi anche il body non va sottovalutato. E’ sempre più diffuso: anche gli scalatori spesso lo usano».

Ruote alte e boby per Kuba

E a proposito di body, questo è l’elemento che forse più di tutti desta l’attenzione di Jakub Mareczko. “Kuba” milita nell’Alpecin-Fenix e in questa squadra si dà grande importanza agli sprinter o comunque ai corridori veloci. Oltre a lui ci sono Van der Poel, Jasper Philipsen, Tim Merlier… tutti motori grossi, grossi in grado di sprigionare potenze incredibili. Fornirgli un pacchetto aero per metterli nelle condizioni migliori al fine di raggiungere velocità più elevate è una priorità più che in altri team.

«Per me – dice Marezcko – in primis c’è la bici (in Alpecin hanno a disposizione la più veloce Canyon Aeroad e la più leggera Ultimate, ndr) e poi c’è il vestiario.

«Possiamo scegliere tra due caschi: uno meno forato e più aero, e uno più leggero ed aerato. Prima del via, a seconda della tappa e del meteo, decidiamo quale indossare. Non credo invece che il guantino faccia grosse differenze. Van der Poel per esempio neanche li usa. Io li metto perché semmai dovessi cadere almeno poi potrei tenere in mano un bicchiere per bere! Tutta esperienza, all’inizio non li mettevo.

«E lo stesso discorso vale per i calzini. Quelli aero che abbiamo sono un po’ più alti e con un materiale sintetico più “liscio” e aderente rispetto a quelli classici, diciamo».

«Poi c’è il body: importantissimo. Quasi tutti ormai lo usano, non solo noi velocisti. E’ decisamente più aderente del set maglia e pantaloncino. Nella zona dell’ombelico quando sei piegato resta più aderente, comprime di più e l’aria scivola via meglio. In più la maglia non sale mai».

Come abbiamo accennato, in Alpecin hanno a disposizione due bici, ma come sempre la parte forse più importante sono le ruote. In tal caso la scelta si allarga a tre modelli, tutti e tre Shimano Dura Ace.

«Abbiamo quelle con profilo da 60 millimetri, quelle da 50 e quelle da 36. Io uso sempre quelle da 60, ogni tanto quelle da 50, anche su percorsi più impegnativi, perché la differenza di peso è poca, mentre si sente la differenza di scorrevolezza».

Parola al tecnico

E dopo aver sentito due velocisti, sentiamo anche l’opinione del tecnico, Giampaolo Mondini, referente tra Specialized, il marchio che rappresenta, e i team che lo stesso brand americano supporta: Quick Step-Alphavinyl, Bora-Hansgrohe e Total Energies.

«In Specialized non forniamo vestiario ai pro’ – spiega Mondini – Però posso dire che tra i team che seguiamo di certo il body con le tasche va per la maggiore. Total Energies e Quick Step utilizzano quello di Castelli. E visto che le gare sono sempre più veloci anche in salita si tende a preferire il body in generale. Un po’ tutti preferiscono il pacchetto aero. Quante volte si viaggia al di sopra dei 50 chilometri orari ormai? Tante direi».

«Qualche anno fa avevamo fatto uno studio sui vantaggi in termini di watt. In galleria del vento avevamo notato che i calzini non hanno nessuna influenza ai fini aerodinamici in quanto con il movimento della pedalata creano una sorta di spostamento d’aria all’interno del “cono aero” e creano delle interferenze, ma è davvero difficile da valutare.

«Discorso diverso se invece parliamo del copriscarpe. Il fatto che sullo scarpino ci siano delle prese d’aria, il copriscarpe chiudendole li rende più veloci. Però bisogna anche valutare l’aerazione del piede, perché se metto il copriscarpe e la temperatura del piede sale troppo o mi disidrato… non è più un vantaggio.

«Quello che invece conta abbastanza è il casco. Noi ne mettiamo a disposizione due modelli: il Prevail, casco “classico”, e l’Evade, casco aero. Possono esserci anche 10 watt di differenza a 50 chilometri orari e per questo motivo è sempre più usato».

Stare nella pancia del gruppo aiuta moltissimo come è noto: in quei frangenti i vantaggi del pacchetto aero sono meno tangibili
Stare nella pancia del gruppo aiuta moltissimo come è noto: in quei frangenti i vantaggi del pacchetto aero sono meno tangibili

Non solo i velocisti…

Nel nostro caso, visto che la bici è unica (la Specialized S-Works Tarmac SL7) si va alla ricerca delle ruote alte, le Rapid con profilo differenziato: 50 millimetri all’anteriore e 55 al posteriore e manubrio sempre della linea Rapid, quindi schiacciato e con piega alare. Chi non usa il Rapid usa il manubrio aero di Pro (brand di Shimano, ndr) con il set integrato. Sono davvero pochi ormai ad optare per quello tradizionale».

Per Mondini il discorso del pacchetto aero non riguarda, e non dovrebbe riguardare, solo i capitani o i velocisti, ma anche e forse quasi di più gli altri corridori, quelli che per la maggior parte del tempo sono in testa al gruppo a tirare e a prendere aria in faccia.

«C’è una grande differenza tra stare davanti e a ruota – conclude Mondini – Per chi sta in mezzo al gruppo il discorso dell’effetto dei watt decade tantissimo. Si risparmia molto, cambiano i vortici di aria. Per assurdo sarebbe più importante che il pacchetto aero ce lo avesse un Tim Declercq, che tira tutto il giorno, che un Alaphilippe che fa la corsa negli ultimi 15 chilometri. Per dire…».

La Specialized S-Works Tarmac SL7 con i tubeless per Asgreen

28.02.2022
5 min
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Dopo aver curiosato la Merida di Sonny Colbrelli, l’attenzione si sposta sulla Specialized di Asgreen, vincitore della Giro delle Fiandre 2021, sempre protagonista nella campagna del Nord e in prima fila nei giorni scorsi fra Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne-Bruxelles-Kuurne, in cui ha tirato per la vittoria di Jakobsen.

Tra conferme tecniche e novità molto interessanti, ci siamo affidati a Giampaolo Mondini, un interlocutore d’eccezione e uomo di collegamento tra il marchio di Morgan Hill e i team pro’.

In azione ieri alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne, Asgreen è già in tabella per il Fiandre
In azione ieri alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne, Asgreen è già in tabella per il Fiandre
Quale bici utilizza e utilizzerà Asgreen per le classiche?

Per Kasper sempre una S-Works SL7, con qualche variazione rispetto alla stagione 2021. Frame e forcella sono in carbonio Fact 12R, quello dedicato ai top di gamma S-Works. Asgreen è uno di quei corridori che non fa apportare modifiche alla propria bici, se mettiamo a confronto il setting del mezzo tra le gare del Belgio e quelle che si svolgono nel corso della stagione.

Ci puoi dire quali sono i cambiamenti rispetto al 2021?

Il cambio più importante riguarda le gomme, i corridori utilizzano i nuovi tubeless S-Works. Questi pneumatici sono stati sviluppati in parallelo e con il contributo proprio degli atleti Quick Step-Alpha Vinyl. E poi c’è la trasmissione Shimano Dura-Ace 12v, l’anno passato avevamo quella a 11.

I tubeless per tutti? Ci puoi dare qualche dettaglio tecnico?

Si, la direzione è quella dei tubeless, non solo per le gare del Nord. Fanno parte della categoria S-Works e hanno un battistrada simile a quello dei copertoncini. Il range di utilizzo, per quanto riguarda le pressioni di esercizio, è compreso tra le 5,2 e 5,6 atmosfere. Le coperture vengono montate con il lattice al loro interno.

Quale sezione utilizzerà Asgreen?

I tubeless hanno una sezione da 28 e sono montati sulle ruote Roval Rapide CLX con canale interno da 21 millimetri. Anche in questo caso è l’ultima versione, con predisposizione per i tubeless e copertoncino. Quest’anno i corridori avranno a disposizione questa tipologia di prodotti e ci sarà l’abbandono pressoché definitivo del tubolare.

Tornando invece all’impostazione della bici di Kasper Asgreen, che pedivelle utilizza, quali rapporti e quale cockpit?

Asgreen utilizza delle pedivelle da 175 millimetri e la guarnitura è Shimano Dura-Ace. Ha uno stem in alluminio S-Works da 120 millimetri e una piega in carbonio larga 42 centimetri. Il manubrio è il Rapide in carbonio con design aero e appoggio superiore piatto. I corridori hanno la possibilità di scegliere tra la componentistica Pro e Specialized. Asgreen utilizza Specialized.

Una piega da 42?

Si, i corridori stanno utilizzando manubri stretti se paragonati alla struttura fisica. Asgreen utilizza una larghezza di 42 centimetri che è tutto sommato adeguata alle caratteristiche del suo corpo.

Assetto in bici efficiente ed aerodinamico per Asgreen
Assetto in bici efficiente ed aerodinamico per Asgreen
La sella è con una lunghezza tradizionale?

Si, il corridore utilizza una Romin Mirror con una lunghezza tradizionale. Non è corta ed è costruita grazie alla tecnica della stampa 3D. Una sella del genere, in base ai test effettuati, risulta migliore perché distribuisce meglio le pressioni della seduta.

Per i rapporti invece, considerando la nuova trasmissione?

Utilizza i pignoni posteriori con scala 11-34. lo vedremo con questi rapporti anche alla Strade Bianche, Fiandre e tutte le altre classiche. Il plateau anteriore è 54-40. Ogni tanto lui fa uno di quegli incroci che non dovrebbero essere mai fatti, lasciando la catena sul 54 davanti e portandola sul 34 dietro, per la gioia dei meccanici e della catena. Ma non ha mai avuto problemi. Merito anche del suo meccanico che gli prepara il mezzo con una lunghezza adeguata della catena.

Vengono utilizzate delle contromisure per contrastare lo sporco e preservare l’efficienza del movimento centrale?

Le bici sono montate con i cuscinetti CeramicSpeed. Poi il team utilizza le due calotte esterne per adeguare lo standard Shimano con l’asse passante da 24 millimetri della guarnitura. Per questo è necessario considerare anche la larghezza del movimento centrale del telaio Tarmac, che è di 68 millimetri. Comunque no, non ci sono variazioni particolari, considerando che il comparto è controllato dopo ogni utilizzo.

Con i “vecchi” rapporti ci sarebbero più differenze in salita?

27.11.2021
6 min
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Oggi le differenze fra scalatori e passisti tendono ad assottigliarsi sempre di più, almeno pensando alle classifiche dei grandi Giri. E forse uno dei motivi dipende anche dall’evoluzione tecnica dei mezzi, a cominciare dai rapporti. Basta pensare ai primi passaggi sul Mortirolo o sullo Zoncolan. Chi andava agile aveva un 39×25 (sviluppo di 3,29 metri) a metà degli anni ’90, e 39×29 (sviluppo 2,94 metri) una decina di anni dopo. E per tutti più o meno era così. Invece il 34×32 con i suoi 2,39 metri cambia un bel po’ le cose.

Ma questo implicava una bella differenza tra Pantani e Indurain. O tra Simoni e i suoi rivali. In qualche modo queste soluzioni tecniche esaltavano le caratteristiche dei corridori. In salita lo scalatore poteva fare… lo scalatore. E a crono il passista poteva dare sfogo ai suoi watt con i rapportoni.

La sfida fra Pantani e Tonkov nel 1998. Il russo con rapporti più corti avrebbe tenuto le ruote del Pirata?
La sfida fra Pantani e Tonkov nel 1998. Il russo con rapporti più corti avrebbe tenuto le ruote del Pirata?

Rapporti più corti

Con l’arrivo delle corone compatte e dei rapporti sempre più corti, anche i corridori più pesanti si sono potuti salvare sulle pendenze più arcigne. In qualche modo sono riusciti a “annullare” il gap dovuto dal peso maggiore e sono riusciti ad esprimere la loro forza. Oggi Pantani avrebbe staccato Ullrich e Tonkov se avessero avuto una compatta?

E allora ci si chiede: perché non porre un limite allo sviluppo minimo dei rapporti in gara? Avrebbe un senso? In fin dei conti esiste il limite al peso (i fatidici 6,8 chili), il limite all’aerodinamica (carenature bandite) e persino il limite sul alcune misure (i 5 centimetri di arretramento). Perché quindi non può esserci un limite ai rapporti, tanto più se questi possono agevolare lo spettacolo?

Di questo parliamo con tre esperti: un preparatore, Pino Toni, un corridore, Mattia Cattaneo, e un tecnico, Giampaolo Mondini.

E’ sempre più raro vedere un 39 nelle tappe di montagna
E’ sempre più raro vedere un 39 nelle tappe di montagna

Parola al preparatore

«Una limitazione la vedo un po’ come una forzatura – dice Pino Toni – l’evoluzione tecnica ha permesso di tornare a registrare dei tempi sulle salite che si realizzavano in periodi di grande sospetto. Anni fa c’era un solo grande produttore di rapporti, adesso ce ne sono tre. E questo ha portato ad un regime di concorrenza, di spinta verso la ricerca. Una volta c’era il 23… e con quello dovevi andare su! Però per me le differenze sempre minori dipendono da un discorso più in generale di preparazione. Adesso tutti sono ben allenati, tutti sanno cosa devono fare e come arrivare ai propri limiti».

«Semmai uno dei motivi per cui tra scalatori e passisti c’è meno differenza non è tanto da ricercare in salita quanto in pianura. Adesso sul piano si va fortissimo e lo scalatore arriva sotto la salita più stanco. E infatti quando ci sono le cronoscalate le differenze tornano ad esserci eccome. E lì lo scalatore resta scalatore e il passista resta passista».

«Un Tom Dumoulin col 39×27 sul Mortirolo? Perderebbe ugualmente terreno. E’ fisica. Pesa di più rispetto ai rivali scalatori. Una cadenza più elevata lo avvantaggerebbe? Sì, forse su un muro al 20% ma per il resto delle salite no. E poi ripeto, le preparazioni sono migliorate e anche la biomeccanica si è evoluta. Gli atleti spingono meglio. E’ un discorso molto ampio che non si può legare solo ai rapporti».

Mattia Cattaneo in salita. Il lombardo va molto forte anche a crono
Mattia Cattaneo in salita. Il lombardo va molto forte anche a crono

Parola al corridore

Mattia Cattaneo forse meglio di tutti può entrare nel merito. Primo perché è un corridore forte e in piena carriera, secondo perché è la tipologia di ciclista moderno: forte in salita, fortissimo a crono.

«Con i percorsi attuali – dice il corridore della Deceuninck-Quick Step – è molto difficile attuare questa ipotesi del limite dei rapporti. Si potrebbe forse fare nelle corse di un giorno, ma non nei grandi Giri dove vengono inseriti sempre più spesso passaggi particolari, salite super ripide… E con certi rapporti “vecchio stile” la vedo dura. Per me poi non ci sarebbero grandi differenze».

Poniamo un’ipotesi a Cattaneo. Se sullo Zoncolan lui e Bernal, scalatore puro (o quasi), si trovassero spalla a spalla entrambi col 39×29 avrebbe meno chances di resistergli se invece avesse a disposizione un 34×30?

«Magari con un 34×30 resisto a Bernal un po’ di più – replica Cattaneo – ma le differenze sarebbero minime. Anche perché sapendo che si ha disposizione un limite di rapporto cambierebbe anche la preparazione. Tutti si allenerebbero in base a quello sviluppo metrico minimo e il gap resterebbe tale.

«Io lo vedo: quando facciamo le salite abbiamo sempre tutti lo stesso rapporto più o meno. Può esserci un dente di differenza. Quello che forse potrebbe cambiare un po’ nell’economia della corsa, ma mi riferisco ad un grande Giro, è che un rapporto più lungo può incidere sul recupero e ad un passista-scalatore resterebbe meno nelle gambe».

Il discorso appassiona Cattaneo che rilancia: «E poi se dovesse esserci un limite di rapporto minimo, immagino dovrebbe essercene anche uno sui rapporti lunghi per compensare. A crono per esempio non si potrebbe andare oltre al 55 e per me che uso il 58 sarebbe un problema, mentre per Bernal che usa il 55 normalmente non cambierebbe nulla».

Dumoulin e Froome gli ultimi “giganti” a vincere un grande Giro
Dumoulin e Froome gli ultimi “passisti” a vincere un grande Giro

Parola al tecnico

Infine, ecco l’opinione del tecnico. Giampaolo Mondini cura i rapporti tra Specialized e le squadre che il marchio americano supporta. “Mondo” più di altri tasta il polso degli atleti e conosce l’evoluzione tecnica, tanto più se si considera il marchio per cui lavora che spesso traccia la via.

«Non credo si possano creare queste grosse differenze – dice Mondini – io non sono per le limitazioni, che tra l’altro, abbiamo visto, hanno sempre funzionato poco nel ciclismo. E’ invece un’occasione per lo sviluppo tecnico. Penso per esempio al monocorona che potrebbe aiutare a ridurre il gap di peso dovuto ai freni a disco. Poi, si sa, l’UCI può decidere quel che vuole.

«Parliamo di scalatori e grandi Giri, ma chi sono i vincitori dei grandi Giri? Non sono forse scalatori? Piuttosto più che sui rapporti parlerei dei percorsi delle crono. Oggi vedi un prologo piatto magari di 10-12 chilometri in cui un Bernal può perdere 30” e poi delle crono più lunghe ma con 700-800 metri di dislivello che sono più per scalatori, o atleti completi. E spesso queste crono arrivano alla fine delle tre settimane e più che esaltare le qualità dei cronoman contano le energie. Va meglio chi ha maggior recupero. Ricordiamo Pantani: anche se c’erano crono piatte arrivava davanti. Le differenze minime dipendono anche dai percorsi quindi».

«Vero – riprende Mondini – secondo la fisica chi ha una leva più lunga ha bisogno di un rapporto più agile per spostare il peso (in questo caso i pedali, ndr). La pedivella più lunga spinge di più, ma ha anche un punto morto maggiore. E quando cala la velocità (e di conseguenza la cadenza) questo punto morto diventa così ampio che interrompe l’impulso, crea un problema e il passistone ha bisogno di un rapporto più agile. Solo che mi chiedo: oggi chi trae vantaggio da tutto ciò? Gli Ullrich e gli Indurain non ci sono più. Credo che gli ultimi vincitori di un grande Giro al di sopra dei 68 chili siano stati Dumoulin e Froome, ma l’ultimissima generazione ha alzato ancora l’asticella».

Resta quindi un po’ di scetticismo su un’eventuale limitazione dello sviluppo metrico minimo. Un po’ per il concetto di evoluzione e un po’ perché cambierebbero le preparazioni.

Tuttavia su pendenze estreme qualche differenza ulteriore potrebbe esserci. Meno marcata di quel che si può immaginare, ma con qualche pedalata in più il “bestione” sui muri può salvarsi.

Specialized in Francia con la TotalEnergies: due mondi a confronto

04.11.2021
5 min
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TotalEnergies, Specialized e Sagan: una delle nuove avventure 2022 più attese. Innanzi tutto per lo spirito con cui è nato questo progetto. Un progetto nel quale la parola divertimento è emersa a più riprese. 

Ma se del rapporto tra il campione slovacco e il team manager Bernaudeau ne abbiamo già parlato, anche recentemente, ci incuriosisce invece l’approccio di lavoro che potrà esserci tra la squadra e il principale sponsor tecnico, Specialized. Ne parliamo con Giampaolo Mondini, da anni referente per il brand americano con i team.

Una rara foto che si è vista sui social della nuova livrea delle Specialized che userà la TotalEnergies
Una rara foto che si è vista sui social della nuova livrea delle Specialized che userà la TotalEnergies

Assegnate scarpe e bici 

“Mondo” ci risponde dagli Stati Uniti dove con alcuni atleti sta eseguendo dei test in galleria del vento nella sede Specialized di Morgan Hill, in California.

«Con la TotalEnergies abbiamo già avuto un primo meeting – racconta Mondini – in cui abbiamo lavorato sulla meccanica di base con il nostro sistema Retul e contestualmente abbiamo consegnato agli atleti una bici e le scarpe per allenarsi. Le due cose di maggior importanza per prendere confidenza con il materiale.

«E poi abbiamo raccolto molti dati. Abbiamo parlato con i corridori e con i fisioterapisti di problemi fisici, cadute che hanno generato conseguenze, vecchie fratture… E’ un qualcosa che facciamo anche con gli altri nostri due team, Bora-Hansgrohe e Deceuninck-Quick Step. Solo che qui siamo partiti da zero».

Ed è proprio questa la differenza maggiore: essendo una prima collaborazione i corridori con cui hanno a che fare sono tutti nuovi e per assurdo gli atleti con cui hanno lavorato meno in questa fase iniziale sono proprio i tre acquisti per eccellenza della TotalEnrgies: Sagan, Oss e Bodnar, dei quali Specialized sapeva già vita, morte e miracoli.

«Anche se Bodnar, per esempio, ci ha chiesto di intervenire su alcuni dettagli. Per noi è molto importante il primo vero ritiro che il team farà a Calpe (Spagna) a dicembre. Lì verificheremo le posizioni di tutti e con coloro che puntano alle classifiche generali come Pierre Latour o che sono chiamati ad andare forte a crono faremo anche dei test ulteriori in velodromo».

Specialized collaborò con la Festina, squadra francese
Specialized collaborò con la Festina, squadra francese

Si “torna” in Francia

Specialized e TotalEnergies, due entità forti, due filosofie a confronto e due approcci differenti spesso ben “arroccati” sulle proprie posizioni. Specialized cura ogni dettaglio, la squadra di Bernadeau è molto tradizionalista, a partire dalla lingua e dai costumi molto francesi.

«In realtà – riprende Mondini – non è una prima assoluta questa collaborazione fra Specialized e una squadra francese. Ci fu già con la Festina. Ma era un altro ciclismo e un’altra Specialized. La nostra era una piccola azienda in cerca di gloria. Io ricordo un po’ quelle bici anche perché ancora correvo all’epoca. Fino a che non ci pedalai nel 2003, il mio ultimo anno da pro’, alla Domina Vacanze».

«Un po’ eravamo preoccupati per questa collaborazione, soprattutto per il discorso della lingua. Loro parlano (e vogliono parlare, ndr) francese. Io lo parlo e per fortuna uno dei nostri, Leo Menville, è francese e questo ci ha aiutato moltissimo. Poi però è bastato il primo training camp e ci siamo accorti che in squadra in tanti parlano inglese. Si sono dimostrati disponibili.

«No, no… abbiamo trovato un team ben organizzato. La cosa che mi ha colpito di più è che non hanno l’assillo del risultato. Per loro questo sembra essere un’entità astratta. In primis vogliono lavorare bene, senza stress. E devo dire che anche noi siamo contenti di questo approccio».

I raduni di dicembre e gennaio in cui gli atleti usciranno insieme per tante ore saranno importantissimi per Specialized
I raduni di dicembre e gennaio in cui gli atleti usciranno insieme per tante ore saranno importantissimi per Specialized

No stress

Il risultato un’entità astratta: un qualcosa di più unico che raro di questi tempi. Però ci fa porre una domanda. Come si potrà conciliare la grande ambizione di Specialized, sempre all’avanguardia, sempre pronta ad alzare l’asticella, specie con i pro’, con questa filosofia “no stress”?

«Dobbiamo trovare un punto in comune tra il nostro modo di lavorare e il loro. Sono sfide nuove. E’ successo anche con la Bora nel 2015. Anche loro non erano nel WorldTour e poi tutto andò bene. Non siamo preoccupati. Sei anni fa ci dicevano che lavorare coi tedeschi non sarebbe stato facile perché erano “chiusi”. Poi non fu così. Loro volevano crescere e fu un apprendere nuovi metodi da entrambe le parti. Loro per esempio adesso hanno deciso per una svolta netta verso le classifiche generali, all’epoca non ci pensavano. Anche alla TotalEnergies c’è voglia di lavorare».

«Scuola francese? Io direi più scuola internazionale, soprattutto a certi livelli. Già il fatto che ci sia il meccanico di Peter non è poco. In più c’è Kevin Desmedt con il quale già avevamo lavorato in Quick Step. Due elementi nel reparto tecnico sono un bel supporto per gli altri. E poi per ora abbiamo avuto, come detto, un solo approccio sul campo. Nei due ritiri, quello di dicembre e quello di gennaio, contiamo di fare il grosso del lavoro. Lì i ragazzi faranno tante ore di sella e verificheremo eventuali problemi sui materiali, sulle posizioni e raccoglieremo i loro feedback per farli lavorare senza stress».

Sagan che passerà alla TotalEnergies, si diverte sulla nuova gravel Crux
Sagan che passerà alla TotalEnergies, si diverte sulla nuova gravel Crux

Capitolo gravel

C’è poi la questione gravel, legata al divertimento. Noi stessi scrivemmo di un approccio diverso di Sagan al suo ciclismo prossimo futuro. Non solo gare ma anche altre esperienze. Saranno fornite anche le bici gravel?

«Certo. Noi abbiamo lanciato la Crux – dice Mondini – e proprio qualche giorno fa eravamo nel Kansas per quell’evento gravel con Remco Evenepoel e Mattia Cattaneo. La tendenza è quella di fare sempre più queste gare, visto che anche l’UCI vuol farci i mondiali. E non nascondo che Sagan mediti un ritorno anche ad altre specialità come la Mtb. Lui vuol divertirsi e portare altra gente al ciclismo».

E a proposito di altra gente nel ciclismo. Chiudiamo con una curiosità. Quanto incide sul mercato interno, in questo caso quello francese, la collaborazione con un team?

«Complicato da dire. So che ci sono dei dati, delle previsioni. Posso però riportare quel che avvenne in Germania quando iniziammo la collaborazione con la Bora. In quel caso registrammo un +40%. Tuttavia va detto che dopo anni bui il ciclismo ”era sceso” in quel momento in Germania. Però da lì è tornato a crescere, soprattutto negli ultimi due anni. Un incremento che poi abbiamo registrato un po’ ovunque. Diciamo che se dovessimo arrivare a quel +40% per noi sarebbe un buon dato».

La Deceuninck pensiona i tubolari: Ballerini ringrazia!

28.02.2021
4 min
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«Veramente bene con i clincher – dice Ballerini, dopo aver vinto – ho avuto per tutta la corsa un ottimo feeling soprattutto sul pavé. Moltissima aderenza anche su strada, perfetto anche a velocità elevata. Veramente ottime e confortevoli».

Tubolari addio

Da casa forse non ve ne siete accorti, del resto il bello (e il privilegio) di andare e vivere le corse è la possibilità di ficcare il naso anche dove normalmente non si fa. Seppure in epoca Covid, il naso spesso resti sotto la mascherina. Ma facciamo un passo indietro…

Ieri, partenza da Gand. Un gigante mascherato si avvicina e butta lì una frase che sul momento lascia interdetti.

Sul pavé i corridori della Deceuninck ben soddisfatti
Sul pavé i corridori della Deceuninck ben soddisfatti

«Oggi è il giorno del funerale».

Chi è morto? Il tempo di riconoscere Giampaolo Mondini e il buontempone si mette a ridere.

«Ammetto – concede – di aver omesso l’oggetto. Oggi per la Deceuninck-Quick Step è il giorno del funerale definitivo dei tubolari. Prima gara per tutti con i clincher, i copertoncini. E se avete dubbi, chiedete a Kasper Asgreen. Lui è uno che studia tutto e negli ultimi mesi ci ha sommerso con messaggi e feedback».

Kasper conferma

Ne avevamo già parlato proprio con Mondini, ricordate? Ci aveva raccontato di come Specialized affianchi il team di Ballerini e precisò che era all’inizio una serie di test per capire se fosse possibile rimpiazzare definitivamente i tubolari. E proprio mentre ricordiamo l’intervista di novembre, Kasper Asgren e la sua maglia di campione danese passano accanto e li fermiamo.

Il cotone cede meglio e assorbe le vistrazioni della strada
Il cotone cede meglio e assorbe le vistrazioni della strada
Come ti trovi con le nuove gomme?

Le gomme? Sono super veloci nonostante la sezione da 28 e ovviamente comode. Molto buone sulle pietre.

Tanto diverse dai tubolari?

Parecchio, aderiscono meglio in curva e sui sassi. Assorbono tutto. Le sto testando dalla ripresa, prima di Natale, quindi già da parecchio. Si usano pressioni più basse, la gomma è più grande e serve meno aria.

Clincher: Bora aspetta

Mondini gongola e gongolerà anche di lì a quasi 5 ore quando Ballerini, con quelle gomme che tanto gli sono piaciute, vincerà in volata l’Omloop Het Nieuwsblad. Ma il discorso merita un approfondimento, perché se un colosso come Specialized intraprende questa strada, prima o poi il mercato dovrà chiedersi cosa fare. Per ora la scelta però si limita alla Deceuninck-Quick Step, la Bora ancora non cambia.

Mezz’ora alla partenza, la bici di Ballerini con gli Hell of the North
Mezz’ora alla partenza, Ballerini userà gli Hell of the North
Da quanto tempo, Mondo, si lavora al… funerale?

Il processo di passaggio dal tubolare al clincher è iniziato già l’anno scorso. In qualche gara provammo i copertoncini e alcuni avevano usato anche i tubeless. E’ stata anche la scelta aziendale di fare le nuove Roval solo per copertoncino e tubeless. Così abbiamo messo sotto pressione la squadra, che ha fatto qualche prova in più, soprattutto per le classiche. Un mese fa è stato fatto qualche test in Spagna, poi in Belgio.

Ballerini dice di averle usate soltanto due giorni prima.

Dalla ricognizione di mercoledì, confermo, quando si è deciso di partire solo con i clincher.

In che modo i clincher si adattano al terreno?

Abbiamo più possibilità, stiamo lavorando non su diverse mescole ma su diversi tipi di copertura. Quello classico con la spalla più rigida, il Turbo RapidAir. E quelli che hanno usato ieri con la spalla in cotone, assorbono meglio i colpi derivanti dal pavé. Non a caso si chiamano Cotton Hell. Il test è andato bene, i corridori hanno dato ottimo feedback, possiamo esser contenti.

Davvero dal camion della Deceuninck spariranno le ruote per tubolari?

Sì, perché a questo punto la cosa che cercheremo di fare come azienda è fornire diverse sezioni. Metteremo a disposizione copertoncini da 26-28-30 e saranno poi loro a decidere quali usare. Tre sezioni in entrambe le versioni: con spalla normale che si chiama Turbo Rapid Air e gli Hell of the North con spalla in cotone.

Anche Asgreen al via con la spalla in cotone
Anche Asgreen al via con la spalla in cotone
Quali clincher si useranno alla Strade Bianche?

Bella domanda, dovremo fare delle ricognizioni. L’idea sul gravel, cioè sullo sterrato, è di avere una spalla più resistente, perché il sasso tende a lacerare il fianco del copertone. In quel caso il Turbo Rapid Air dovrebbe essere scelta migliore. Però bisogna veder la sezione, perché dipende da quanto il fondo sarà colloso. Si parla di argilla, per cui se è più colloso si abbassano le sezioni e magari un 26 potrebbe bastare per un corridore di 65-70 chili. Questo è il lavoro che stiamo facendo.

Date anche indicazioni sulla pressione?

Da lì parte il discorso enorme della pressione, che diventa la parte più soggettiva che il corridore dovrà scegliere. E questo probabilmente farà impazzire ancora di più i meccanici.