Ronse e Gand: i ricordi di Fondriest diventano biciclette

16.07.2024
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Il marchio Fondriest si amplia e accoglie due nuovi modelli dedicati al mondo della strada: Ronse e Gand. Due nomi che nella carriera di Maurizio Fondriest, il quale ha messo la sua firma anche in questi due nuovi gioielli, hanno significato molto. A Ronse in Belgio, Renaix, nel 1988 Fondriest si è laureato campione del mondo. Mentre Gand, altra cittadina belga, è legata ad un ricordo diverso: alla sconfitta nella Gand-Wevelgem del 1995.

«Il modello Ronse – spiega lo stesso Maurizio Fondriest – è legato ad un ricordo molto piacevole della mia carriera. Con la città ho sempre avuto un rapporto speciale, tanto da aver lasciato al Comune una bici che è stata appesa nel palazzetto. Al contrario Gand è associata ad una sconfitta, quella della Gand-Wevelgem, persa in volata per un centimetro. Ho voluto comunque chiamare così questo modello per testimoniare la voglia di non mollare mai».

Due modelli di bici tanto belli quanto diversi, la Ronse ha una geometria All Road, mentre la Gand è pensata per ciclisti che cercano il massimo dell’aerodinamica e della velocità.

Con i suoi 840 grammi di telaio il modello Ronse è il più leggero dei due proposti
Con i suoi 840 grammi di telaio il modello Ronse è il più leggero dei due proposti

Ronse

Una bici, come appena anticipato, dedicata alla ricerca della performance su ogni terreno che sia una strada bianca o una salita impegnativa. Un telaio superleggero, realizzato in fibra di carbonio premium T700 + T800 e M40J, costituisce l’anima di questo modello. Il peso è di solamente 840 grammi nella taglia 54. La larghezza della forcella e del carro posteriore sono pensate per ospitare copertoni fino a 32 millimetri, a testimonianza dell’animo All Road di questa bici. Il passaggio cavi è totalmente integrato e i gruppi utilizzabili sono quella della serie Di2 di Shimano e AXS di SRAM. Le ruote, realizzate anch’esse in carbonio, sono tubeless ready. 

«Le fibre utilizzate per questa bici – spiega Fondriest – sono le più leggere disponibili e maggiormente avanzate a livello tecnologico. La Ronse rappresenta l’ultima generazione di bici, pensata per tutti i terreni. Anche la verniciatura è stata posizionata in maniera diversa, infatti nella parte posteriore è stato lasciato il carbonio a vista, per apprezzare maggiormente la costruzione.

La Gand è dedicata a chi ricerca una maggiore aerodinamicità e velocità
La Gand è dedicata a chi ricerca una maggiore aerodinamicità e velocità

Gand

Il secondo modello presentato da Fondriest ha un design aerodinamico ben marcato e moderno, con geometrie dedicate a ciclisti veloci. Anche in questo caso il telaio è realizzato interamente in carbonio, del tipo T600 con finitura in UD e passaggio cavi integrato. La massima dimensione dei copertoni che si può montare è sempre 32 millimetri. La Gand ha sempre la possibilità di montare gruppi della serie Di2 e AXS. 

«In questo caso – spiega ancora Fondriest – il carbonio risulta più spesso, vista anche la differenza di prezzo. Le qualità rimangono uguali ma sono stati applicati più strati rispetto alla Gand. Le geometrie si sposano bene con esigenze diverse risultando aerodinamiche ma allo stesso tempo comode. La Gand è l’unico modello che permette di montare anche un gruppo meccanico, il 105 di Shimano».

«La componentistica – conclude – risulta comunque di ottima qualità visto che utilizziamo prodotti FSA Vision, mentre le ruote sono Fulcrum. Anche i dettagli sono importanti quando si vuole fornire un prodotto da grandi prestazioni».

Fondriest

Fiandre, quale clima in casa Visma? «Siamo tristi ma lotteremo»

29.03.2024
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GENT (Belgio) – Tra pochi minuti andrà in scena la partita della “serie A” belga fra il KAA Gent e gli ospiti dello Standard Liegi, in una sorta di Fiandre contro Vallonia. Noi ciclisti diremmo Fiandre contro Ardenne. Ed è proprio qui, nella Ghelamco Arena, lo stadio che ospita questo match, che la Visma-Lease a Bike ha tenuto la conferenza stampa in vista del Giro delle Fiandre.

Marianne Vos sembra l’unico raggio di sole in questo momento per la Visma – Lease a Bike. Qui la sua vittoria alla Dwars door Vlaanderen
Vos sembra l’unico raggio di sole in questo momento per la Visma – Lease a Bike. Qui la sua vittoria a Waregem

Prima le donne

Tutto è molto maestoso. Ci si attendeva un clima ben più festoso, ma le fratture di Wout Van Aert hanno dannatamente appesantito tutto.

Non è però così per le donne, almeno sembra. Per fortuna Marianne Vos porta leggerezza e sorrisi. La campionessa olandese è tornata a ruggire come non si vedeva da un po’. Lei stessa ha parlato di un bel momento. E’ tornata sul discorso dell’operazione alle gambe che quasi poteva fermare la sua carriera e ha guardato avanti.

«Ho deciso – ha detto Marianne – da un momento dall’altro di riprendere, di buttarmi. Mi sento bene, non vedo l’ora che arrivi domenica. Il Fiandre è un obiettivo per molte. E’ chiaro però che rispetto alla Dwars door Vlaanderen è un’altra corsa».

Domenica Marianne potrebbe tornare a vincere la Ronde dopo 11 anni. Sarebbe un record. Al suo fianco c’era anche Fem Van Empel. Loro due sono l’osso duro della Visma in rosa.

Zeeman e Niermann durante la conferenza stampa presso lo stadio del KAA Gent
Zeeman e Niermann durante la conferenza stampa presso lo stadio del KAA Gent

Van Aert al centro

Qualche minuto dopo ecco entrare il capo dei tecnici dei gialloneri, Meerijn Zeeman. Si presenta in compagnia di un altro diesse, Grischa Niermann.

La domanda sostanzialmente è una: come cambierà la corsa della Visma – Lease a Bike senza Van Aert? Rispondere non è facile. Alla fine, gira che ti rigira si parla sempre di Van Aert, nonostante Matteo Jorgenson si sia portato a casa la Dwars door Vlaanderen, l’ultima corsa che precede la Ronde. Addirittura a Zeeman si chiede del Giro d’Italia: se Wout ci sarà o meno.

«Siamo tristi – ha detto Zeeman – ma già abbiamo vissuto momenti così. Ricordiamo quando Primoz Roglic cadde al Tour de France. In quel momento pensavamo fosse tutto finito e invece riuscimmo a portare a casa il secondo posto con Jonas Vingegaard. Io vedo sette ragazzi molto motivati per domenica.

«Abbiamo un mix di sentimenti. C’è il nostro capitano in ospedale ed altri ragazzi qui pronti a lottare. Cosa possiamo fare se non cercare di fare un buon piano per domenica e anche per la Roubaix. Ma come ho detto non è la prima volta che subiamo incidenti duri».

Zeeman non si sbilancia sul Giro. Ammette che onestamente è difficile, ma neanche si può tracciare un cammino in questo momento per poter stabilire il “piano B”, cioè il Tour.

«L’importante – prosegue – è che ora Wout si riprenda bene, che possa tornare a casa dalla famiglia. E’ stato operato e so che aveva molto dolore. Non sappiamo neanche quando tornerà in bici».

Dwars door Vlaanderen: la caduta che ha messo fuori gioco Van Aert (immagini Eurosport)
Dwars door Vlaanderen: la caduta che ha messo fuori gioco Van Aert (immagini Eurosport)

Nonostante Wout

Lo spettacolo deve andare avanti, come si dice in questi casi e il Giro delle Fiandre incombe. Con o senza Van Aert, c’è una corsa fantastica da godersi. Certo, la Visma-Lease a Bike, Jorgenson a parte, non se la passa bene. Malanni di stagione, nasi rotti, Van Aert in quel modo, cadute… Non ci saranno neanche Tratnik e Laporte.

«Noi cercheremo di fare il nostro meglio. Non era questa la squadra che immaginavamo di schierare a ottobre e novembre quando stiliamo i nostri piani, ma non abbiamo alternative. Combatteremo», ha aggiunto Niermann.

Qualche botta anche per Benoot dopo le ultime gare, ma il belga sembra tenere bene

Il Belgio sulle spalle

E combatteremo è anche il grido di battaglia di Tiesj Benoot. Il corridore all’improvviso si ritrova come la miglior speranza del Belgio. Senza Van Aert, ma anche senza Stuyven (per non contare Remco) e Philipsen che ha dato forfait, un giornalista belga ha definito la situazione come un dramma nazionale.

Lo stesso Benoot si tocca le botte quando, entrando nella sala della conferenza, parlotta con uno del suo staff.

«Non siamo i favoriti, ma lotteremo – dice il re della Strade Bianche 2018 – ho sentito Wout l’altro giorno ed era sotto morfina. E anche io ho diverse botte sul corpo. Almeno non toccherà a noi controllare la corsa, posto che con Jorgenson e gli altri ragazzi abbiamo giocato bene le nostre carte nelle ultime gare».

Girava voce, e Benoot stesso non nega, che fosse stato lui a innescare veramente la caduta del compagno Wout. Tiesj si sentiva molto in colpa. Poi in realtà la dinamica è stata diversa e lo stesso Benoot si dice ora più sereno. Almeno questo è un punto a suo favore.

«Wout farà il tifo per noi», ha concluso Benoot.

Matteo Jorgenson (classe 1999) è pronto a giocare un ruolo di jolly per questo Fiandre
Matteo Jorgenson (classe 1999) è pronto a giocare un ruolo di jolly per questo Fiandre

Jorgenson in agguato

Matteo Jorgenson appare più rilassato. Entra, si siede, attende che Benoot finisca la sua conferenza  e intanto si fa portare dell’acqua.

«Domenica – dice l’americano – preferisco una corsa dura. Credo sia più adatta a me. Sto bene. Ma più che l’io conta la squadra. Conta che uno di noi riesca a vincere. Certo, fa un certo effetto ritrovarsi all’improvviso tra i favorti per il Fiandre».

«La soluzione per battere Van der Poel? Una bella domanda! E’ impressionante. Super. Quando parte e va all’attacco, non è facile seguirlo. Serve una squadra e un buon piano. Il nostro staff ci lavora tutto il giorno. Però posso dire che con Tiesj mi trovo molto bene. In queste ultime settimane ci siamo avvicinati molto e anche l’altro giorno in gara mi ha dato un sacco di consigli. Mi diceva la corsa pezzetto per pezzetto. Mi aspetto una corsa che esploda presto».

Prima di congedarsi, un giornalista francese gli fa notare che mai nessun americano ha vinto il Fiandre. Jorgenson un po’ spaesato, ma non senza una celata ambizione, replica: «Non lo sapevo», sorride e va per la sua strada. Intanto i tifosi iniziano ad arrivare allo stadio. Domenica saranno sulle strade a tifare, magari proprio per Benoot.

Scartezzini: 2023 tra alti e bassi. E ora sguardo su Parigi

04.12.2023
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Dicembre è, come spesso accade, tempo di bilanci. E il bilancio lo traccia anche Michele Scartezzini, uno dei pistard più puri nella rosa di Marco Villa. A Gand lo abbiamo visto all’opera da vicino. Gli altri big in gara lo cercavano. Si confrontavano con lui tra una prova e l’altra. Segno di grande rispetto nei suoi confronti. Per il veneto, 31 anni e una grande esperienza, anche nel tracciare i bilanci e parlare dei progetti.

A Gand quanti campioni andavano a parlare con Michele…
A Gand quanti campioni andavano a parlare con Michele…

Bilancio positivo

Il 2023 di Scartezzini è stato disputato ad un livello alto, come sempre del resto, ma anche da un paio di colpi non brillantissimi: l’errore nella finale mondiale della madison e la frattura della clavicola.

«Mi sono rotto la clavicola ai primi di ottobre – ha detto Michele – poi è stata una grande corsa per il recupero. Avevo in vista la Sei Giorni di Gand. Mi ha operato il dottor Porcellini, lo stesso che ha avuto a che fare con molti piloti della MotoGp. Per esempio aveva operato Bezzecchi tre giorni dopo di me e qualche giorno dopo era in pista nel motomondiale. 

«Non ho perso molto in termini di condizione generale, ma certo nei cambi a Gand non ero al massimo dal punto di vista della forza sulla spalla».

Il bilancio della sua stagione non è negativo, anzi… Scartezzini promuove se stesso, pur ammettendo alcuni inciampi.

«Alla fine i miei obiettivi sono i campionati italiani, la Coppa del mondo, gli europei e i mondiali. Di titoli italiani quest’anno con le Fiamme Azzurre ne ho vinti tre. In Coppa sono salito sul podio. Agli europei sono arrivato secondo. In vista di questa prova mi ero ammalato in Argentina, dove stavamo correndo con la nazionale. E Villa giustamente mi ha messo in discussione per l’americana. A quel punto Viviani era in vantaggio su di me, per correre con Consonni. Poi è successo che anche Elia si è ammalato e sono subentrato io e appunto siamo saliti sul podio».

«Poi è vero – ammette Scarte – ho sbagliato un cambio nella madison e siamo finiti noni. Potevamo fare decisamente meglio. Mi mangio le mani. Però ho fatto bene nello scratch e anche nella corsa punti, dove ero subentrato all’ultimo a Consonni».

Campionati europei a Grenchen: Consonni e Scartezzini sono secondi nella madison
Campionati europei a Grenchen: Consonni e Scartezzini sono secondi nella madison

Testa agli allenamenti

Su strada Scartezzini corre nelle fila della Biesse-Arvedi. Per lui l’asfalto è davvero la palestra. Una palestra che rinnova di continuo anche con la nazionale. Dopo Gand “Scarte” aveva in ballo la Sei Giorni di Rotterdam, ma tutto sommato era molto motivato anche ad andare proprio con gli azzurri. E sì che gli ingaggi per le Sei Giorni non sono affatto male.

«La Sei Giorni ti dà ritmo, ma specie nelle mia condizione attuale, porta anche via tanta forza. Ancora di più sulla pista del Kuipke che era corta e ti portava ad utilizzare rapporti molto corti. Quindi mi fa molto piacere andare in ritiro con i ragazzi per mettere su un bel volume di lavoro». Villa porta tutti in Spagna.

A Glasgow gli azzurri (Scartezzini e Viviani) erano in lotta per un piazzamento, poi un errore e il podio è svanito
A Glasgow gli azzurri (Scartezzini e Viviani) erano in lotta per un piazzamento, poi un errore e il podio è svanito

Sognando Parigi

Ma dicembre è anche il momento ideale per guardare avanti. Il 2024 è l’anno delle Olimpiadi.

«Abbiamo già una bozza degli impegni in vista della prossima stagione tra gare e blocchi di lavoro a Montichiari. Chiaro, non sappiamo i giorni precisi, ma i periodi sì. Questo è molto importante per fare i carichi e lavorare sulla forza».

La nazionale è la sua vera famiglia. Ma Michele è forse colui che più paga il peso del numero contingentato di atleti che una Nazione può portare alle Olimpiadi. Il quartetto fagocita molti posti e di fatto ne resta uno solo disponibile per le altre prove.

«E’ difficile per me – ci ha raccontato Scartezzini – ne sono consapevole. Sono il primo a dire che il quartetto non si tocca. Quello che abbiamo visto in gara è quello che dà più certezze. Ma come nella madison io ci sono sempre stato.

«Prima di Tokyo, facemmo due quartetti, un test importantissimo. In uno c’eravamo io, Ganna, Lamon e Bertazzo. Nell’altro c’erano Consonni, Plebani, Milan e Stefano Moro. Noi girammo in 3’44”, in pratica il record del mondo, e loro in 3’48”. Arrivammo in quattro. Questo per dire che c’ero a quei ritmi. E credo che se riesco ad allenarmi bene e senza intoppi ci posso stare ancora. Semmai l’incognita è vedere se riesco a riprodurre quella prestazione per tre turni».

La prova più indicata per Scartezzini potrebbe essere l’americana. E lui lo sa bene. Da diversi anni è uno dei migliori interpreti di questa disciplina. «Da cinque anni sono lì, sempre con i migliori del mondo. Mi piacerebbe davvero correrla a Parigi e magari portare una medaglia all’Italia. Ma certo con questo fatto delle convocazioni è un bel casotto per me».

Nel nome del padre: Christophe Sercu parla di papà Patrick

26.11.2023
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Patrick Sercu è stato un gigante della pista e un grande anche della strada. E alla sua epoca, la seconda metà degli anni ’60 e ’70, non era facile finire sulle prime pagine avendo fra i propri connazionali campioni come Merckx e De Vlaeminck, eppure Sercu ci riusciva. E ci riusciva soprattutto in pista e passando dalle Sei Giorni, di cui è tutt’oggi il Re. Il Re delle Sei Giorni: ne ha vinte ben 88.

Christophe Sercu è suo figlio. Oggi cinquantenne, è cresciuto a pane e ciclismo, e raccoglie l’eredità del papà. E’ infatti l’organizzatore della Sei Giorni di Gand, nonché il team manager del Team Flanders-Baloise, squadra professional che lavora molto con i giovani.

Christophe, partiamo dalla Sei Giorni di Gand, ormai l’unica vera Sei Giorni: qual è il segreto?

Questo ci fa piacere, ma purtroppo è l’ultima vera Sei Giorni perché l’unica altra rimasta è quella di Rotterdam. Posso solo dire: speriamo bene per il futuro. Qual è il segreto di questa? Un insieme di cose: la sua vitalità, la sua tradizione, un buon pubblico, un’organizzazione collaudata e degli ottimi corridori.

La corsa gioca ancora un ruolo centrale qui?

Direi di sì, anche per questo la gente rimane fino a tardi. Qui si incontrano amici, ci si beve una birra e si guardano le gare: abbiamo un buon equilibrio tra tutto questo e penso che sia il segreto del nostro successo.

Il ciclismo è un affare di famiglia per lei. E’ stato naturale prendere l’eredità di suo padre?

Mio papà ha sempre corso qui. Qui ha avuto successo come corridore, prima, e come organizzatore poi. Io, che gli sono sempre stato vicino, di fatto sono dentro questa organizzazione da 40 anni, da quando ero un bambino, quindi ben prima della malattia e poi della morte di mio padre (avvenuta nel 2019, ndr). Abbiamo continuato a lavorare allo stesso modo, ma abbiamo anche modernizzato il tutto. Credo che si debba andare di pari passo col proprio tempo, ma anche rispettare le tradizioni.

Ha citato suo padre, iniziamo a parlare di lui, di Patrick. Qual è il ricordo ciclistico più importante che ha?

Oh, non è facile dirlo! Ne ho moltissimi, ma sono anche lontani. Avevo 12-13 anni quando lui ha smesso di correre, ci dovrei pensare un bel po’. Però c’è una foto a casa che vedo spesso ed è un bellissimo scatto della sua ultima Sei Giorni di Milano ed io ero lì con lui. Questa foto ci ritrae da dietro, mentre lasciavamo la pista. E lui mi mette un braccio sulle spalle. Un bel ricordo. Simbolico.

Le ultime apparizioni di Patrick Sercu su pista risalgono al 1982
Le ultime apparizioni di Patrick Sercu su pista risalgono al 1982
Tra le Sei Giorni d’inverno e la strada nel resto della stagione, non era molto presente a casa suo padre… Cosa ricorda di quel tempo?

In effetti mancava moltissimo, ci sono state stagioni in cui ha fatto anche più di 200 giorni di competizione in un anno. Lo vedevamo poco, ma cercava di essere presente lo stesso.

Sentirsi non era facile come oggi? Come facevate?

Eh sì – sorride Sercu – in effetti era un bel problema. Ricordo che si doveva prendere appuntamento, quando era all’estero. Dovevi farti passare una linea dall’operatore per quel giorno a quell’ora. Si pagava un bel po’ e si aveva a disposizione un certo numero di minuti.

Immaginiamo che in casa vostra ci sia stato un certo via vai di campioni…

Ne ricordo molti, ma non erano solo corridori quelli che venivano a casa. Erano dei buoni amici. Penso ad Eddy (Merckx, ndr), a Roger (De Vlaeminck, ndr), a Martin Van Den Bossche. Però quando sei piccolo non hai la sensazione di avere di fronte dei campioni di quel calibro.

Suo papà ha corso con grandi corridori ce n’è qualcuno con cui era più legato?

Difficile dire questo o quello. Diciamo che in gruppo aveva molti amici.

Cambiava la sua personalità, il suo carattere, quando era in bici e quando invece era a casa?

Un po’ penso di sì, come tutti i corridori del resto. Ma per quel che mi riguarda lui era lo stesso, il suo carattere non cambiava una volta giù dalla bici. Era sempre una persona civile. Dire che in bici era aggressivo non è la parola giusta forse, ma di certo era molto motivato. 

Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu
Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu
E tra strada e pista? C’era più agonismo in lui sul parquet… visto il suo palmares?

No, no… Strada o pista era sempre molto determinato. Un grande corridore è sempre professionale.

Quando eravate a casa parlavate mai di ciclismo?

Sì, certo. Si parlava di gare. Successivamente è diventato cittì della squadra nazionale, poi ancora capo dell’organizzazione di questa Sei Giorni. Ma in generale ho avuto l’opportunità di viaggiare molto con lui dopo la sua carriera e il ciclismo c’è sempre stato in tutti noi.

Rispetto ai tempi di suo padre in cosa sono più cambiate le Sei Giorni?

Credo nell’americana. In passato queste corse erano più lunghe. Chi faceva questa specialità era davvero bravo. Alla fine si facevano 200 chilometri al giorno in pista. Si facevano anche altre gare, come quella a cronometro, ma bisognava fare i conti con le mode, con le richieste. E queste erano americane, americane, americane… Poi man mano le cose sono cambiate. Prima s’iniziava alle sei del pomeriggio e si finiva alle tre, anche le quattro di notte. Ora tutto è più corto, ci sono altre tempistiche e altri interessi.

Su strada, Sercu ha ottenuto la sua prima vittoria in Italia: l’ultima tappa della Tirreno del 1969
Su strada, Sercu ha ottenuto la sua prima vittoria in Italia: l’ultima tappa della Tirreno del 1969

Sercu e l’Italia

Patrick Sercu dunque è stato un grande, un gigante del ciclismo belga. E lì non è facile stare tra i giganti. Su pista ha vinto un’Olimpiade (Tokyo 1964) nel chilometro da fermo, 88 Sei Giorni come detto, ma anche tre titoli iridati e una trentina di campionati nazionali.

E anche su strada ha un palmares importantissimo, tanto più che ha corso spesso in supporto di Eddy Merckx. Patrick Sercu era un velocista chiaramente viste le sue doti in pista. Pensate: 13 tappe al Giro d’Italia, sei al Tour con tanto di maglia verde nel 1974.

Prima di congedarci, giusto ricordando questi numeri lo stesso Christophe, con un grande ed onorato sorriso ha aggiunto: «Quanto tempo ha passato mio papà in Italia. Ci ha corso molto: Faema, Brooklyn e anche se era belga nella Fiat… considerava l’Italia la sua seconda casa. Veramente. Lo diceva spesso».

E Museeuw ci parla di Van Aert: «Il Giro? Un rischio»

24.11.2023
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GAND (Belgio) – Metti una sera un vecchia Colnago con i colori della Mapei. «Bella – pensiamo noi – un classico. Una “botta” di puri anni ’90. Chissà di chi sarà?». Ebbene apparteneva al misterioso ospite di una delle super serate passate al velodromo Kuipke, per la Sei Giorni. Quando poi lo speaker ha dato le tre opzioni su chi fosse questo personaggio, vista quella bici non c’erano più dubbi. Il personaggio misterioso era Johann Museeuw.

Un’improbabile tutina gialla, un casco in testa e tre giri di pista tra due ali di folla già in delirio. Museeuw ha avuto due grandi eredi, Tom Boonen, prima, e Wout Van Aert, adesso. E avendo noi vissuto da vicino Boonen e ancora di più Van Aert è facile capire perché tanto calore anche per Johan.

«Ma quello è Museeuw!», pubblico in delirio e fuori gli smartphone
«Ma quello è Museeuw!», pubblico in delirio e fuori gli smartphone

Emozioni calde

Il campione belga è sempre sul pezzo. Tra l’altro gli facevamo le domande in francese e lui ci rispondeva in italiano. «Amo sempre l’Italia», ci ha detto Museeuw. Segno che tanti anni in Mapei qualcosa hanno lasciato… oltre alle bacheche piene di trofei s’intende!

«Dopo 25 anni ho rimesso piede su una pista. Il che è molto strano! Come è strana questa uniforme… che mi fa sudare tantissimo. La gente viene per la gara (la Sei Giorni di Gand, ndr), per divertirsi e per scoprire il personaggio misterioso. 

«Dopo tanti anni fa piacere questo calore del pubblico. Non è vero che un ex corridore non sente niente in certe situazioni».

Oggi il più applaudito in Belgio è Van Aert. Ormai lo abbiamo appurato nelle tante trasferte fatte in questa terra. 

«Beh – dice Museeuw – Wout è un grande corridore, ma non c’è solo lui in quanto a calore. Anche Remco Evenepoel è un atleta importantissimo e amato. In questo momento in Belgio abbiamo grandi corridori per il futuro. Meno male che voi non li avete e li abbiamo noi! Qui siamo a posto per i prossimi dieci anni».

Il tema di Van Aert al Giro d’Italia tiene banco in Belgio
Il tema di Van Aert al Giro d’Italia tiene banco in Belgio

Van Aert, rischio rosa

Con Museeuw abbiamo parlato proprio del corridore della Jumbo-Visma. In quei giorni Van Aert aveva detto di voler fare, e bene, il Giro d’Italia. Senza contare che aveva anche annunciato la sua assenza ai mondiali di cross seguita qualche giorno dopo anche da quella alla Sanremo. In Belgio non si parlava d’altro, almeno in ambito sportivo.

«L’idea della classifica al Giro – spiega perplesso Museeuw – per me è un po’ difficile per Van Aert. Quando puoi vincere il Fiandre o la Roubaix, puntare alla corsa rosa è molto rischioso. In classiche di quel genere lui ha nove possibilità su dieci di vincere, mentre di vincere il Giro ne ha cinque su dieci. Io non ho mai vinto la Sanremo, per esempio, ci ho provato, ho fatto tre volte secondo. Ma Sanremo e Giro sono due cose differenti. Se ho vinto il Fiandre, punto ancora al Fiandre».

Il discorso di Museeuw è chiaro: insistere laddove si può vincere. Ci sentiamo di dire che è anche un po’ una mentalità figlia di quegli anni. Anni in cui la specializzazione era massima, ma di certo non è da biasimare da un punto di vista prettamente tecnico.

Tour de France 2022, verso Hautacam, Van Aert resta da solo con Vingegaard e Pogacar. Quel giorno forse scatta qualcosa nella sua mente
Tour 2022, verso Hautacam, Van Aert resta da solo con Vingegaard e Pogacar. Quel giorno forse scatta qualcosa nella sua mente

Hautacam galeotto

L’idea di sacrificare troppo le classiche non convince dunque l’iridato di Lugano 1996.

«Se puoi vincere dalla Sanremo alla Liegi, passando per Fiandre e Roubaix, e forse tutti e cinque i monumenti, per me non devi cambiare le tue caratteristiche. Ma io sono vecchio!».

E’ voce più che comune che il tarlo della classifica sia entrato nella testa di Van Aert durante lo scorso Tour de France. In particolare quando verso Hautacam mise in difficoltà persino Pogacar, per di più dopo aver tirato come un folle per chilometri e giorni interi. Quel giorno Wout giunse terzo sul traguardo pirenaico.

«Che lui abbia fatto un Tour eccezionale è vero – prosegue Museeuw – Van Aert ha contribuito tantissimo al successo di Vingegaard, ma non vuol dire che può vincere il Giro o il Tour. E’ un’altra cosa fare classifica. Però è vero anche che ha un grande motore e vediamo a maggio cosa potrà fare. Per me comunque questa cosa è “pericolosa”».

Johan Museeuw (classe 1965) con la maglia iridata, oggi si gode il ciclismo da casa (foto Instagram)
Johan Museeuw (classe 1965) con la maglia iridata, oggi si gode il ciclismo da casa (foto Instagram)

Ciclismo e cappuccino

Museeuw è stato un campionissimo delle classiche. Specie quelle delle pietre. Tre Fiandre, tre Roubaix, un mondiale. Su 50 partenze nelle classiche monumento solo cinque ritiri. Lui è davvero il classico “fiammingone” e proprio per questo il ciclismo ce l’aveva e ce l’ha ancora dentro. Tanto è vero che segue moltissimo le corse. Ed è anche un accompagnatore cicloturistico: viene spesso in Italia.

«Cosa mi piace di questo ciclismo di oggi? Che vanno forte dall’inizio alla fine. Sono davvero dei fenomeni. E’ tutto un altro modo di correre rispetto a noi. Le gare sono divertenti.

«I corridori di oggi mi piacciono praticamente tutti. Okay i fenomeni, come Pogacar, Alaphilippe, Van der Poel, ma apprezzo anche i giovani corridori. Oggi i ragazzi hanno un bel carattere. E io seguo il ciclismo alla tv, con un cappuccino e un pezzo di torta… così è meno dura che pedalare!».

Masotti porta Galli e Alunni all’università dell’americana

18.11.2023
5 min
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GAND (Belgio) – Prima ancora che il Kuipke si riempia del tutto, la pista comunque non “dorme”. E’ animata dai ragazzi under 23 e tra loro ci sono anche due italiani, Tommaso Alunni (classe 2005) e Niccolò Galli (classe 2002). A differenza degli elite, qui si corre per nazionali e infatti a guidarli c’è coach Fabio Masotti. Cosa ci fanno quassù i nostri? Quali sono i loro obiettivi?

Alunni è ancora uno junior, è fra i più giovani dei 24 in pista: anche qui le coppie sono 12. Il prossimo anno il corridore umbro vestirà i colori della Technipes-Emilia Romagna. Mentre Galli, che corre per la Biesse-Arvedi, è più esperto. E si vede da come si muove in pista e da come digerisce certi ritmi. Ma al netto di esperienza o meno, si è qui per un investimento. Un concetto che Masotti chiarisce subito e che emerge nel corso dell’intervista.

Alunni e Galli (a ruota) si accingono ad entrare in pista
Alunni e Galli (a ruota) si accingono ad entrare in pista
Fabio, siete qui con questi due ragazzi per…

Per fare bene, per correre e per migliorare. Sono tanti anni che veniamo a Gand come nazionale e devo dire che è sempre stata una bella esperienza, perché si trovano coppie di ragazzi molto, molto forti. La gamma dell’età è un po’ vasta, perché trovi qualche junior e qualche under 23, anche di terzo anno.

E c’è una bella differenza…

C’è una bella differenza, ma il nostro obiettivo non è quello di vincere o di venire qui con dei corridori per fare la classifica, ma per fargli fare un’esperienza. In particolare perché imparino tecnicamente quello che è il gesto della madison, l’americana. E qui, credetemi, si impara.

Perché?

Per il livello che è alto e perché è una pista corta, di 166 metri, in cui sei quasi sempre in curva. Chi viene dal parquet ti dirà che è qua il vero ciclismo su pista. Sono le Sei Giorni: questa formula mista di gare individuali e a coppia. Peccato solo che adesso si stia un po’ perdendo a causa di sponsor più difficili da reperire, il Covid… Pertanto, ancora di più, Gand rimane la cattedrale del ciclismo su pista.

Come mai avete scelto di portare proprio questi due ragazzi?

Ci sono vari nomi con cui lavoriamo, ragazzi giovani che stanno proseguendo l’attività su pista nella categoria juniores e a seguire. Diciamo che abbiamo fatto le scelte in base a quelli che durante l’anno potrebbero partecipare a questo tipo di gare, considerando sempre prima di tutto il quartetto e la madison. Ma bisogna dire anche che nello stesso tempo è stata quasi una scelta obbligata, fatta sulla base di chi era disponibile.

Alunni sta gareggiando contro atleti che hanno anche quattro anni più di lui. Tanta fatica che darà i suoi frutti
Alunni sta gareggiando contro atleti che hanno anche quattro anni più di lui. Tanta fatica che darà i suoi frutti
Cioè?

Siamo in un periodo particolare della stagione. Tanti ragazzi hanno staccato e quindi non è facile trovare atleti che siano ancora in una buona forma o in una buona fase di preparazione. Per quanto riguarda Galli, lui è il secondo anno che viene qui e si è reso conto che l’esperienza gli è servita molto. Alunni invece è un “ragazzino”, ad oggi è ancora junior. Non ha grandissime esperienze, però ha passione e voglia di fare. Non stava male – certo non è al top – e l’abbiamo convocato.

Fabio, hai parlato dell’americana: questa specialità è molto importante visto che è una delle prove olimpiche. Si lavora dunque anche in questa ottica?

Certo, la madison fa parte del pacchetto delle specialità olimpiche e dobbiamo restare al passo con le altre Nazioni. Nella startlist della categoria elite qui a Gand ci sono comunque tanti corridori che hanno vinto mondiali, Olimpiadi, europei e tutt’ora… vengono qua non solo per vincere o per mettersi in gioco, ma per sfruttare l’evento anche come ripasso. Almeno secondo me è così.

Ti riferisci alla tipologia della pista?

Alle gare in generale e soprattutto all’americana, che su questa pista è molto dura. E’ importante girare qui. 

Gare finite per gli U23: per Galli un po’ di relax nella cabina di Scartezzini (che deve arrivare). Masotti la mattina fa una sgambata coi suoi ragazzi
Gare finite per gli U23: per Galli un po’ di relax. Masotti la mattina fa una sgambata coi suoi ragazzi
Immaginiamo che di consigli ne darai tantissimi, qual è quello principale?

Se parliamo di un’americana, la cosa principale e fondamentale è di restare concentrati sempre e di vedere in ogni istante dov’è il proprio compagno. Guardare… guardare continuamente il compagno e la gara. Specie su una pista del genere, non ti puoi mai distrarre, neanche un secondo. E avere sempre presenti i momenti fondamentali: quanto manca alla volata, quanti giri in tutto…

Insomma il vero lavoro per il futuro. Anche il fatto di venire qui senza avere la vittoria come obiettivo principale è importante: è un investimento da parte della Federazione…

E’ così, l’obiettivo principale è quello di fare esperienza. Vincere qui tra gli under 23 non ti cambia la
vita. Chiaro, ti può far piacere a titolo personale, ma lo scopo è un altro. Per dire, finite le gare, andiamo in tribuna ad osservare gli elite. Almeno un’oretta, poi andiamo in hotel, altrimenti sarebbe troppo tardi!

Che rapporti usano questi ragazzi, abbiamo visto che gli elite viaggiano con dentature corte…

L’organizzazione ha previsto un rapporto obbligato: 49×15 o 52×16, quindi molto agile. Questa scelta è legata soprattutto ad una questione di sicurezza, in questo modo non si raggiungono velocità esagerate.

La giornata tipo del “seigiornista”: 24 ore con Scartezzini

17.11.2023
8 min
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GAND (Belgio) – «Una Sei Giorni è come una corsa a tappe su strada. Si possono fare anche più di 100 chilometri in una serata». Queste parole di Michele Scartezzini hanno subito stuzzicato la nostra curiosità, tra le tante cose che abbiamo visto in questi giorni al velodromo Kuipke.

Una Sei Giorni è davvero qualcosa di particolare. La tattica, a partire dalla gestione degli sforzi, è praticamente in tutto. A volte, si lascia volutamente andare una prova perché magari non dà tanti punti e quella successiva invece è più “corposa” e magari è anche adatta alle proprie caratteristiche. E poi c’è la gestione vera e propria della giornata.

Michele Scartezzini, unico elite italiano in gara alla Sei Giorni di Gand, ci ha fatto scoprire le 24 ore del “seigiornista”.

Michele, gli orari sono sfalsati, quindi da dove partiamo?

Direi dal pomeriggio. Ora (momento dell’intervista, ndr) sono circa le 16,30 e sono in attesa del massaggio che durerà un’oretta. Dopo, verso le 18, andrò a pranzo. Mangerò un piatto di pasta e una fetta di pollo. E alle 20 inizia la “rumba”!

Ti riscaldi?

Non molto, a dire il vero. Anche perché la prima gara è alle 20,30 e prima giriamo 20′ abbondanti per la presentazione delle coppie. Poi bisogna anche vedere il programma. Se c’è subito una gara veloce sì, ma qui iniziamo con la corsa punti, che è lunga, quindi va bene così. Ma c’è qualcuno, magari chi punta alla vittoria, che prima di scendere in pista fa un po’ di rulli.

Quindi inizia la serata. E’ un continuo sali e scendi dall’anello con prove di ogni tipo, alcune in coppia altre individuali, lunghe o veloci, ma sempre per la squadra…

Esatto. Ci sono due turni principali. Nel mezzo c’è una pausa nella quale si mangia qualcosa, io prendo un po’ di riso e banana. Si fa un massaggio molto leggero e breve, giusto per rilassare i muscoli, e si riparte fino alla chiusura che è oltre l’una di notte.

Hai parlato di alimentazione: come ci si regola? Il computerino che hai sotto la sella serve anche per capire quanto spendi?

Io ormai vado molto di esperienza. Il computerino lo uso solo per rivedere i battiti e soprattutto per acquisire i dati, che poi mi serviranno per l’allenamento. Anche perché in pista non si può usare. Lo puoi anche mettere sul manubrio, ma deve essere coperto. E’ vietato dal regolamento: potresti distrarti, basta un attimo, tocchi quello davanti. Qui non ci sono i freni…

E cosa mangi oltre al riso in queste ore tra una prova e l’altra?

Soprattutto liquidi: sali minerali, maltodestrine… E’ importante non scendere mai in pista vuoti, perché qui se non hai gli zuccheri è davvero un bel problema. I giri di ritardo fioccano! Lo imparai a mie spese proprio in una Sei Giorni che feci con Viviani.

Finita la gara cosa succede?

Io torno direttamente in albergo. Altri preferiscono fare la doccia qui, ma…. non sono super docce. Ceno che sono le 2,15-2,30: ancora pasta o riso, pesce o carne, se c’è anche rossa. Due chiacchiere con qualche altro atleta (sono tutti nello stesso hotel, ndr) e poi doccia. Preferisco farla in quel momento perché aiuta a rilassarmi.

Ci spiegavi infatti che il discorso del sonno è un po’ particolare…

Tra che finisci di correre, torni in hotel, la stanchezza e anche l’adrenalina, il sonno non arriva immediatamente. Di solito vado a dormire verso le 3,30-4. Fatta la doccia, do uno sguardo al telefono. A volte si è talmente stanchi che si fa fatica a dormire.

A che ora ti svegli?

Metto la sveglia alle 11, ma alle 10,30 ieri ero sveglio per esempio. La metto sul timer della Moka elettrica che mi sono portato da casa. E poi con molta calma, verso le 12, vado a fare colazione. Ma prima rispondo ai messaggi. Giusto ieri mi ha chiamato Villa, che era con Pippo (Ganna, ndr). Poi Consonni, Lamon… Con Pippo sono stato parecchio. Consonni mi ha chiesto se avessi preso il “fuso orario delle Sei Giorni”, come diciamo in gergo! E voleva sapere anche com’erano i ritmi in pista.

A colazione cosa mangi?

Caffè, pane, uova, biscotti… qui ci sono quelli caramellati che sono una bomba! Comunque è una colazione normalissima e di base, ovunque, mangio quello che c’è.

Finita la colazione?

Si torna in stanza, un po’ di relax e si viene in velodromo. Ieri per esempio sono uscito un po’ prima, verso le 15,30, perché mi ero stufato di stare in hotel e sono venuto a Gand. Sono passato al supermercato a prendere qualcosina da portare in pista e poi sono venuto qui. Adesso sono in attesa del massaggio, che sta facendo il mio compagno Milan Van den Haute, nella cabina grande che sta nell’altro capannone. 

E si è quindi chiuso il cerchio della 24 ore. Invece, Michele, parliamo anche di alcuni aspetti tecnici. Quella del Kuipke è una pista particolare: corta, curve ripide e strette… che accorgimenti adottate sulle bici?

Partirei dai rapporti che devono essere più corti del normale, altrimenti con queste curve ti pianti. Io sto usando un 51×15 per le prove più lunghe, un 51×14 per il giro lanciato e un 51×13 per il derny. Anche le pedivelle sono più corte: 170 anziché 172,5: è fondamentale andare agili.

In queste curve si sente molto la pressione, così ci hanno detto. Si abbassa anche la sella?

Sì: si scende di 2-3 millimetri. Non solo, ma si alza anche il manubrio. A centro curva sei schiacciato sulla bici, di riflesso cerchi di tirarti su con il collo. Alzando il manubrio, anche di un centimetro, si riesce a stare un po’ più comodi. Io ancora non ho toccato nulla, ma se avrò dolori o sarò stanco lo farò.

Quanto materiale hai portato?

Due bici complete, più una coppia di ruote, una ruota lenticolare e tutta una serie di rapporti e di spessori. Alcune gomme… Poi per il resto c’è il meccanico.

Nella pancia e nella storia del Kuipke, il tempio delle Sei Giorni

16.11.2023
7 min
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GAND (Belgio) – Il Kuipke si trova nel centro della città, di preciso all’interno del Parco Cittadella, in questo momento un tappeto di foglie gialle a terra. Apparentemente sembra uno stabile come gli altri. Difficile dire che le sue alte vetrate custodiscano uno dei velodromi più prestigiosi e storici d’Europa.

Oltre 100 anni

Il Kuipke è stato costruito nel 1913, ma non era come adesso e neanche nello stesso punto. Si trattava di una pista ciclabile, un anello di 210 metri, ricavato all’interno del Palazzo Floreale, ma sempre nel Parco Cittadella. Nel 1922 viene realizzato il velodromo, smontabile, come oggi del resto. Quello definitivo risale agli ’60. La sua particolarità è di essere molto corto, 166,66 metri, e per questo è considerato super tecnico.

Sempre al 1922 risale la prima Sei Giorni di Gand, da allora è un vero monumento. Merito soprattutto delle mitiche edizioni in cui potevi vedere girare negli anni Buysse, Van Steenbergen, Ockers, Terruzzi, Merckx, De Vlaeminck, Sercu… fino ad arrivare a Villa, Martinello, Wiggins, Cavendish, Viviani.

Gand resiste

Oggi il Kuipke ospita quella che da molti è ritenuta l’ultima vera Sei Giorni. Non ci aspettavamo di vedere tanta gente e soprattutto tanto coinvolta. Una festa continua. Una gran voglia di partecipare a quello che, in qualche modo, diventa anche un evento mondano per la città.

Battiti alti: parola d’ordine sia per chi è sul parquet, sia per chi vive le emozioni della corsa sugli spalti e intorno.

Dal momento in cui si varcano le porte del Kuipke si entra in un altro mondo. Il mondo del ciclismo. S’inizia dal tardo pomeriggio con gli under 23 e si tira fino all’una di notte. Man mano che si svuotano gli uffici, si riempiono gli spalti e lo spazio al centro della pista. E’ qui che si fa “casino”. Sembra che stare lì senza una birra sia vietato!

Oltre la corsa

Ed è qui che stazionano anche i tifosi più caldi. Martinello ci aveva avvertito che il pubblico locale si sarebbe fatto sentire, specie con i propri beniamini: bè, ne abbiamo avuto la prova! Cori, balli e calici in alto soprattutto per Jules Hesters e Fabio Van den Bossche, entrambi di Gand.

Tutto è in movimento e in fermento. Gli atleti che girano in pista. I massaggiatori che sistemano le cabine all’interno del catino, preparano i sali o fanno il bucato. Sì, avete capito bene. I corridori si cambiano almeno un paio di volte in questa giostra continua e accanto alle cabine ci sono delle piccole lavatrici-asciugatrici.

Il pubblico intanto si muove. Le sedie sono occupate, ma intorno e nei tunnel per accedere al centro del velodromo è un brulicare continuo.

Il bar di Keisse

E la festa è anche fuori. A 200 metri dal Kuipke c’è un bar, che bisogna visitare. E’ il De Karper ed è della famiglia di Keisse. Lo gestisce il papà di Iljo. Lo scorso anno proprio sulla pista di casa il corridore della Deceuninck-Quick Step diede l’addio alla carriera. Fu omaggiato da città, tifosi e corridori. Un altro momento storico per il velodromo. 

Alle pareti e sul soffitto del bar ci sono foto e maglie. E c’è anche un pezzetto di Giro d’Italia. La bottiglia del 2015 quando Keisse vinse una tappa.

In molti passano lì per una birra (la scelta è immensa) prima di entrare al velodromo. Si respira ciclismo. Di solito ci sono gli irish pub, questo è un “belgian pub” e anziché i San Patrizio alle pareti, si venerano le bici!

Spirito invariato

Qualcuno ci ha detto che le Sei Giorni di una volta non ci sono più. Ma una cosa semplice quanto bella ce la dice Fabio Masotti, oggi tecnico della Fci ed ex pistard. «Vedete – ci spiega – oggi è cambiato tutto. Materiali, corse più brevi… ma lo spirito è lo stesso e certe cose come le cabine nella pista (foto di apertura, ndr) sono identiche a quelle di un tempo».

Intanto, mentre scriviamo, il velodromo si è riempito anche stasera. La musica è alta. L’interno della pista è pieno. Si fa festa. Il dj riesce persino a far fare la hola ai corridori mentre sono in corsa. E il Kuipke ti entra dentro.

Villa: «Le Sei Giorni servono, quel che manca è il tempo»

04.11.2023
5 min
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Dopo il ritorno trionfale della Tre Giorni di Grenoble e con la Champions League che distoglie atleti e riflettori, la Sei Giorni di Gand lancia la stagione delle notti in pista. L’antica capitale delle Fiandre ospita l’evento dal 1922 (il velodromo di Kuipke è invece del 1927) e basta scorrerne l’albo d’oro per capire che si tratta di una manifestazione al top degli specialisti. L’ultimo italiano ad averla vinta fu Elia Viviani nel 2018, in coppia con Iljio Keisse che proprio quest’anno saluterà il suo velodromo. Andando più indietro, tuttavia, il 1998 salta agli occhi per la vittoria di Silvio Martinello e Marco Villa.

Proprio con il cittì della pista azzurra allora abbiamo voluto riprendere il discorso, partendo da due affermazioni opposte di Elia Viviani e Benjamin Thomas, entrambi grandi specialisti della pista, lanciati verso le Olimpiadi di Parigi. Viviani ha detto di voler correre di più su pista durante l’inverno, ma che le Sei Giorni non gli danno quello di cui ha bisogno, dovendo lavorare soprattutto sull’omnium. Il francese ha detto di volervi prendere parte. A dire il vero, se non fosse caduto nella penultima tappa in Cina, avrebbe corso anche a Gand. In ogni caso, ci ha detto che, avendo disputato soltanto tre madison durante la stagione, la Sei Giorni è quel che serve per riprendere l’occhio e i meccanismi della specialità.

Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Caro Marco, le Sei Giorni sono ancora utili per un pistard che svolge attività olimpica?

Dipende dai programmi delle Sei Giorni. Ai miei tempi nel calendario ce n’erano 12, i programmi erano diversi, l’intensità in gara era diversa. Però qualcuna fa sempre comodo, non solo a Benjamin Thomas, ma anche a noi. Stiamo facendo poche madison. Scartezzini e Consonni hanno corso abbastanza assieme. Viviani e Consonni hanno corso pochissimo e mi piacerebbe vederli fare un’americana. Un conto è farla per vincere una medaglia o da coppia che vuole vincere la gara, un conto è allenarsi. Più ne fai, meglio è. A volte essere in testa alla classifica di una Sei Giorni aiuta anche a capire come devi correrla per vincere. Un conto è fare una volata ogni tanto, quando stai bene. Un conto è fare una volata o saltarla perché devi difendere la testa della classifica in caso di qualche attacco. Quando attacca uno che è indietro in classifica, chi è davanti deve andare a prenderlo.

Quindi come valuti il ragionamento di Elia e di Thomas?

Bisogna vedere Elia in che contesto l’ha detto, cosa intendesse. Magari teneva conto anche del fatto di dover chiedere l’autorizzazione alla squadra e, volendo fare anche le Coppe del mondo, magari deve moderare le richieste. Se anche Thomas ha fatto solo tre madison, vuol dire che ha avuto gli stessi problemi di Viviani. Il calendario della pista e l’impegno con la squadra sono notevoli per entrambi.

Hai parlato di Sei Giorni che si corrono a intensità diverse.

E’ vero. L’affinità tecnica della coppia resta, ma è cambiato il modo di correre. La prima cosa che vedo è che prima si usava un rapporto più agile che permettesse di arrivare fino alle due di notte. Adesso ci sono meno gare, si finisce prima e le medie sono più alte. Quindi se prima si parlava di gare intense nel periodo di off season, adesso l’impegno è notevole. Non vai lì a girar le gambe. Si corre con rapporti più lunghi, non è più una corsa a tappe, ma una serie di gare singole, se vogliamo fare l’esempio della strada.

Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Ti aspetti che qualche specialista andrà a farle?

Dipende dalle esigenze e dal tempo. Vedo ad esempio che Reinhardt sta facendo la Champions League e potrebbe andare a fare le Sei Giorni. Kluge, che è il suo compagno della madison (i due sono campioni europei in carica, ndr), è meno impegnato su strada e credo che adesso anche lui abbia più tempo per la pista. Credo che in genere quelli che non sono nelle squadre WorldTour potrebbero esserci, mentre altri, come ad esempio lo stesso Benjamin Thomas, faranno le Coppe del mondo cercando di farle coincidere con i momenti senza corse su strada.

L’Italia riparte da Noto o prima da Montichiari?

Ufficialmente da Noto, però Montichiari in teoria è disponibile. Ce l’hanno riconsegnata martedì e qualche giorno fa ho fatto girare Lamon e Galli. Lamon perché è rientrato dalle ferie e voleva girare, Galli perché lo porteremo proprio alla Sei Giorni di Gand con gli under 23, dato che ci è stato anche lo scorso anno. Li accompagnerà Masotti, io penso di andare qualche giorno verso la fine, perché prima sarò a Noto.

I francesi andranno in altura sul Teide intorno al 10 dicembre.

Potrebbero avere in testa gli europei (Apeldoorn, Olanda, 10-14 gennaio, ndr), più che la prima Coppa del mondo in Australia (Adelaide, 2 febbraio, ndr) che mi sembra lontana. Noi dobbiamo giostrare le presenze degli atleti che abbiamo a disposizione, cercando di dividere tra chi farà il Tour Down Under e quindi potrà correre la prima Coppa del mondo e chi invece farà gli europei. Dobbiamo unire i programmi della nazionale e quelli delle squadre. Ad esempio la Ineos dovrebbe portare Viviani e Ganna in Australia e lo stesso la Movistar con Manlio Moro. La partenza per il Down Under è negli stessi giorni dell’europeo, quindi loro non ci saranno. Però si fermeranno qualche giorno di più ad Adelaide e la settimana dopo la corsa ci sarà la Coppa del mondo. Non credo invece che ci andranno Milan, che ha corso fino alla Cina, e neppure Consonni, che voleva partire più tranquillo. Quindi loro due potrebbero fare l’europeo.

Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Con i team è già tutto definito? Ad esempio con la Lidl-Trek visto che Milan e Consonni dal 2024 saranno con loro?

Abbiamo già parlato, Amadio da team manager ha avuto i suoi colloqui con Luca Guercilena, io da tecnico ho già dato il programma a Josu (Josu Larrazabal, responsabile area performance della Lidl-Trek, ndr). Nei giorni scorsi in America stavano sistemando il calendario dei ragazzi, quindi abbiamo anticipato la nostra pianificazione per condividere con loro un programma affidabile, sia per gli uomini, sia per le donne. Lo abbiamo mandato a tutti. Ho messo in evidenza le date in cui ci saranno le convocazioni e dove vorrei tutte le ragazze e i ragazzi. Sono momenti in cui non ci sono impegni su strada, per cui non dovremmo avere problemi.

Manca poco alle Olimpiadi, hai trovato collaborazione?

Molta. Anche le squadre sanno che gli atleti fanno la pista volentieri e le Olimpiadi sono un obiettivo dell’anno più che rispettabile per la loro carriera, senza trascurare gli impegni delle squadre. Si stanno dimostrando tutti collaborativi, ma non avevo dubbi.