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Pinazzi e Galli, due “studenti” alla Sei Giorni di Gand

01.12.2022
5 min
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Al recente raduno per la pista a Noto ci sono stati due ritardatari, peraltro pienamente giustificati. Niccolò Galli e Mattia Pinazzi si sono ricongiunti alla comitiva direttamente da Gand, dove avevano preso parte alla Sei Giorni, una delle più importanti del calendario. Un evento reso speciale dai festeggiamenti per l’addio di Iljo Keisse, il funambolico belga che alla soglia dei 40 anni ha deciso di mettere uno stop alla propria carriera.

Pinazzi era già stato nella città belga per la kermesse su pista, per Galli invece era una prima assoluta. Per entrambi è stata un susseguirsi di emozioni e di esperienze, che saranno utili nel prosieguo della loro carriera nei velodromi. Il primo a immergersi nel racconto è Pinazzi: «Lo scorso anno, quando l’avevo disputata con Boscaro avevo faticato di più, questa volta mi sono preparato e la differenza è stata evidente. E’ un’esperienza assolutamente da fare, la pista sembra un tempio, appena ci sali ti prende un magone…».

Pinazzi e Galli nel parterre, in mezzo il loro accompagnatore Giovanni Carini
Pinazzi e Galli nel parterre, in mezzo il loro accompagnatore Giovanni Carini

Quasi come un mondiale

«Io ho meno esperienza, con Mattia abbiamo condiviso la conquista del titolo europeo del quartetto ad Amadia fra gli under 23 – interviene Galli – Gand è stata la prima Sei Giorni importante e prima della partenza ero emozionatissimo. Temevo soprattutto che il livello sarebbe stato altissimo, come un mondiale e in effetti è così, ma anche se eravamo chiaramente indietro nella preparazione ci siamo difesi bene».

I due ragazzi azzurri erano impegnati nella prova per under 23, che ogni sera precedeva quella riservata agli Elite. Erano per così dire chiamati a “scaldare” il pubblico: «Ma non pensate che il programma fosse tanto diverso – chiarisce Pinazzi – anche noi ogni giorno avevamo prove sul giro lanciato o da fermo, gara a punti, americana… Insomma tutto il programma che poi affrontano anche i grandi».

La caduta nella madison della terza sera, costata la classifica ai due azzurri
La caduta nella madison della terza sera, costata la classifica ai due azzurri

Un’esperienza da rifare

A fine esperienza qual è il giudizio, soprattutto da parte di un neofita come Galli? «Assolutamente da rifare – dice – ci mancherebbe… E’ molto impegnativa, si fatica tanto, ma credo che dia molti benefici a lungo andare e sono convinto che ripetendo l’esperienza le cose andrebbero anche meglio».

La coppia azzurra ha chiuso a Gand al 7° posto (vittoria per i locali Milan Van Den Haute e Jasper Bertels), facendo meglio di quanto era avvenuto lo scorso anno: «E senza la caduta nell’americana del terzo giorno sarebbe andata anche meglio – spiega Pinazzi – perché abbiamo dovuto perdere giri in quell’occasione. Alla fine possiamo ritenerci soddisfatti anche perché io arrivavo alla gara già abbastanza rodato al contrario di Niccolò, per questo è stato lui quello che ha maggiormente sorpreso.

«Quando siamo tornati – prosegue il parmense – ho chiesto a Villa di poter verificare se c’era qualche possibilità di fare altre Sei Giorni. Mi piacerebbe tra qualche anno fare quella degli elite, non solo è uno spettacolo assoluto, ma insegna davvero il modo di correre su pista».

Grandi feste per Keisse, finito terzo insieme a De Buyst. Bis per Ghys con De Vilder (foto BeelWout)
Grandi feste per Keisse, finito terzo insieme a De Buyst. Bis per Ghys con De Vilder (foto BeelWout)

Keisse, l’addio di un mattatore

Galli ha vissuto questa esperienza come un paese delle meraviglie: «Non è paragonabile ad alcuna altra manifestazione. Quando corri ti sembra di essere in una bolgia, con gli spettatori anche nel parterre e un tifo incredibile. La pista poi è impressionante, per questo credo che sia un’esperienza che ti dà tanto».

A rendere il tutto ancora più speciale i festeggiamenti per Keisse, un autentico personaggio delle piste, di quelli capaci non solo di vincere, ma anche di fare spettacolo, di caricare il pubblico e per questo particolarmente amato: «C’era un tifo da stadio – ricorda Pinazzi – tutti i corridori a rendergli omaggio insieme al pubblico. Si vedeva che era particolarmente emozionato, sono momenti che non si dimenticano».

Keisse, 39 anni, chiude con 4 titoli europei e 25 Sei Giorni vinte, 6 solo a Gand (foto Cor Vos)
Keisse, 39 anni, chiude con 4 titoli europei e 25 Sei Giorni vinte, 6 solo a Gand (foto Cor Vos)

Un problema di cultura

«Per me – interviene Galli – è stato speciale. Keisse lo vedevo sempre in tv, sono cresciuto con idoli come lui che mi hanno fatto amare la pista. Il fatto di essere lì, condividere quei momenti, potergli stringere la mano è stato speciale. Non ha perso la sua umiltà e credo che il pubblico lo abbia amato e ringraziato anche per questo».

Sarebbe possibile qualcosa del genere anche in Italia? Noi con Milano eravamo quasi la culla delle Sei Giorni nel secolo scorso, poi con il crollo del Palasport non se ne è fatto più nulla, se non in sporadici casi: «Secondo me sarebbe difficile ricreare qualcosa del genere – ammette Pinazzi – perché lì c’è un’altra cultura, il ciclismo è quasi una religione. Per noi che corriamo, avere una gara qui sarebbe una manna dal cielo».

Sagan è in ritardo: «Ma dalla Tirreno sarà un’altra musica»

27.02.2022
4 min
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Si parlava con Daniel Oss, giusto ieri alla partenza della Het Nieuwsblad, quando alle sue spalle è arrivato Sagan, reduce da un’altra raffica di interviste.

«Bello – stava dicendo il trentino – è la prima volta che entro nel velodromo di Gand. Con Liquigas, BMC e Bora, siamo sempre stati fuori. Nelle prime corse quassù c’è sempre quell’ansietta da prima gara. Per quanto possano essere andate bene le prime, questa è quella in cui tiri la linea. Che vuol dire tutto e anche niente. Se va bene o male, cambia poco. Ma se va bene, parti con più morale. Il materiale è lo stesso dell’anno scorso, ricognizioni non servono granché. Ne abbiamo fatta una in Francia sul pavé del Tour e qualche test per i nuovi tubeless, per le pressioni principalmente».

Poi Daniel s’è voltato e, avendo visto Peter, l’ha apostrofato sul suo avere sempre fretta. Poi ridendo è sparito verso il pullman. Mancava mezz’ora alla partenza, bello poter fare tutto con calma. Sagan intanto si guardava intorno. Col senno di poi possiamo dire che la corsa non sia andata un granché. Ma avendo ripreso il Covid e perso il secondo ritiro, con il solo Tour du Haut Var nelle gambe, sarebbe stato ingeneroso aspettarsi di più. Una cosa è certa: Peter è super esigente con se stesso, le sconfitte non gli vanno proprio giù…

Assieme a Oss all’Haut Var: i due corrono insieme da anni
Assieme a Oss all’Haut Var: i due corrono insieme da anni
Come stai?

Bene

Torni sulle tue strade…

E’ buono essere qui e ricordarsi le strade, perché tutto il Belgio corriamo in questi posti.

Che cosa ti è parso della presentazione con tanto pubblico?

Passi quei due minuti sul palco (sorride, ndr), ma per noi non è importante quello.

Ti stai abituando alla nuova squadra?

E’ un buon gruppo di persone, la squadra funziona bene. E avendo attorno le persone giuste, è comodo, prendi i ritmi subito.

Che cosa significa che funziona bene?

All’Haut Var ho visto che tutto è organizzato professionalmente, allo stesso livello del WorldTour. E’ un bel gruppo, peccato che non ho potuto passare molto tempo con i compagni di squadra.

Dopo la presentazione dei team, il canonico giro delle interviste
Dopo la presentazione dei team, il canonico giro delle interviste
E’ stato pesante il Covid stavolta?

Molto meglio della prima volta. Ho un po’ penato per tre giorni e dopo una decina ero di nuovo in sella. Però ero indietro, così sono andato con mio fratello a Gran Canaria e abbiamo fatto il nostro ritiro.

Le persone giuste attorno a te…

Oss, Bodnar, mio fratello. Il meccanico e il massaggiatore. Il direttore sportivo. L’addetto stampa (dice ammiccando verso Gabriele Uboldi, ndr). Si fa prima ad adattarsi. Servono anni per creare fiducia l’uno con l’altro. Ed è bello avere un gruppo fisso di persone intorno a te, anche quando cambi squadra. Ti aiutano a integrarti in un nuovo gruppo.

E’ vero che la Quick Step non ti ha voluto proprio a causa del gruppo?

Lefevere ha iniziato a parlare del “gruppo di Peter”. Ma non è il mio gruppo, non possiedo le persone, le voglio solo intorno a me. Penso che sia importante avere il proprio massaggiatore e il meccanico. Negli anni, alcuni hanno provato a cambiare la mia posizione in bici e ogni volta è stato uno stress. Adesso sono sette anni che non la tocco e questo è un grande passo avanti. E poi le persone del mio gruppo non lavorano solo con me e per me. Fanno quello che chiede loro la squadra. Come era alla Bora, così è alla TotalEnergies.

Sul Muur, Ssgan era in ritardo, ma già prima aveva avuto qualche problema tecnico
Sul Muur, Ssgan era in ritardo, ma già prima aveva avuto qualche problema tecnico
Però il tuo protetto Martin Svrcek, che ora corre alla Biesse Carrera, andrà alla Quick Step.

Gli ho consigliato io di firmare, per il cacciatore di classiche che può diventare. Sono contento che lo abbiano preso. Quando videro me per la prima volta, da junior, mi dissero che mi avrebbero seguito e invece sparirono. Forse perché mi chiamavo già Peter Sagan, ma non ero ancora Peter Sagan.

Sei sempre molto esigente con te stesso?

Chi te lo ha detto?

Non sembri uno che si accontenta…

Bisogna, dipende dai momenti. Per andare forte si deve fare così…

Com’è la gamba?

Buona, devo crescere. La mia vera stagione comincerà dalla Tirreno. E poi da lì le corse saranno tutte importanti…

Prove di forza nelle Fiandre: Van Aert vince due volte

26.02.2022
6 min
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Van Aert ha fatto quello che tutti noi speravamo facesse. Ha preso la vittoria nella Omloop Het Nieuwsblad, l’ha messa per un attimo da parte con i sorrisi e i brindisi e ha detto la sua sulla guerra in Ucraina.

«Voglio dire una cosa – ha esclamato dietro il podio – le corse in bicicletta adesso sono una questione secondaria a fronte di cose più importanti che stanno succedendo a questo mondo. E’ una follia anche solo pensare che una guerra sia ancora possibile e per giunta così vicina. Per quel che vale, vorrei esprimere il mio sostegno a tutti coloro che sono coinvolti dalla guerra in Ucraina».

Bacio con moglie e figlio per Van Aert, rientrato da poco a casa dopo 2 settimane in altura
Bacio con moglie e figlio per Van Aert, rientrato da poco a casa dopo 2 settimane in altura

Maledetto vento

Che corsa ragazzi! Davanti tutti i pezzi grossi del gruppo, mentre Gaviria correva in ospedale con la clavicola rotta. Il racconto di Van Aert intanto spiega tutto, mentre il pubblico in visibilio se lo mangiava con gli occhi. Grato per quell’azione a 13 chilometri dall’arrivo.

«C’era molto vento contro – ha proseguito il vincitore – e di conseguenza la corsa è rimasta chiusa per molto tempo. In realtà volevo forzare la situazione un po’ prima, ma c’era poco. Però sul Berendries ci siamo mossi. Tiesj Benoot e il resto della squadra hanno fatto un lavoro fantastico. Sono molto contento di questa vittoria».

Per Van Aert vittoria nella gara del debutto, con 22″ su Colbrelli
Per Van Aert vittoria nella gara del debutto, con 22″ su Colbrelli

Obiettivo Roubaix

«Non pensavo di andare tanto bene così presto – ha aggiunto – ma ero ben preparato. Ho una buona condizione ed è difficile adesso dire se potrò mantenerla fino a Roubaix. In termini di intensità, c’è ancora qualcosa da aggiungere. Sono stato bravo, ma il Fiandre e la Roubaix sono ancora più importanti, quindi spero di migliorare un po’. Conto di fare quest’ultimo passo alla Parigi-Nizza aiutando Roglic, che va là per vincerla».

Per Colbrelli grande accoglienza nel velodromo di Gand alla presentazione
Per Colbrelli grande accoglienza nel velodromo di Gand alla presentazione

Testa e gambe

Che Colbrelli non nuotasse nell’oro si era visto. Però stava lì, con quelli davanti. Muoveva le spalle sui muri, ma non mollava e per questo per un po’ abbiamo sperato di raccontarne un’altra. E ci sarebbe anche riuscito Sonny, se ai piedi del Bosberg Van Aert non avesse deciso di averne abbastanza. Il gigante belga ha avuto nello stesso giorno più testa e più gambe. La prima nel dare via libera a Tiesj Benoot, costringendo gli altri (fra loro proprio Colbrelli, Trentin e Pasqualon) a spendere quel po’ che gli era rimasto. Le seconde nell’attacco sull’ultimo muro.

La corsa finalmente riaperta al pubblico, ma poche mascherine e tanta birra
La corsa finalmente riaperta al pubblico, ma poche mascherine e tanta birra

Trentin e il Muur

Quando c’è pubblico, le Fiandre sono un posto fantastico. Terra di giganti che pigiano sui pedali e tifosi nelle cui vene scorre lo stesso sangue schiumoso ricavato dal luppolo. Dopo gli ultimi due anni con poca gente sulle strade (perché ai belgi puoi vietarlo, ma non sarai mai sicuro che casualmente non si trovino al passare sulle strade della corsa), rivedere il Grammont con le giostre, la gente e la birra è stato persino un’immagine commovente. E proprio in quel budello di pietre brune come il cuoio, che in passato ha visto le azioni di Bartoli e Ballan, Boonen e Cancellara, Trentin ha sfidato Van Aert e per un po’ l’ha preoccupato.

Spalla a spalla sul Grammont, Trentin e Van Aert hanno infiammato la corsa
Spalla a spalla sul Grammont, Trentin e Van Aert hanno infiammato la corsa

Vittoria studiata

Wout l’aveva preparata. Ieri è andato a dare un’occhiata a Haaghoek e Leberg e ha incontrato e superato Alexander Kristoff sul Berendries. E’ arrivato fino al Muur di Geraardsbergen.

«E’ stato utile fare questa ricognizione – diceva stamattina alla partenza il diesse Maarten Wynants – per testare di nuovo il materiale e verificare le sensazioni sulle pietre. La maggior parte dei ragazzi è stata sul Teide per tre settimane e ha pedalato su strade perfette…».

Su una moto di Eurosport, Bradley Wiggins ha raccontato il suo punto sulla corsa
Su una moto di Eurosport, Bradley Wiggins ha raccontato il suo punto sulla corsa

Fatica Colbrelli

E di prima corsa si trattava anche per Colbrelli, sceso anche lui domenica scorsa dal Teide, come ci aveva raccontato proprio da lassù. Quelli forti non hanno bisogno di tanto rodaggio, ma è singolare che ai primi due posti della Omloop Het Nieuwsblad si siano piazzati due corridori già brillanti appena scesi dall’altura.

«Brillante, insomma… – sorride il bresciano – ho sofferto, vi dico la verità. Stavo abbastanza però… è andata! Un bel secondo posto in una classica di inizio stagione. Speriamo di far meglio nelle prossime gare. Ci ho sperato fino alla fine, ma non posso dir nulla. Ho visto che Van Aert partiva, ma mi sono detto: “Resto qui, perché già sono un po’ al limite”. Avevo ancora due compagni e mi sono detto: proviamo a chiudere il gap. Sapevo che era molto difficile. Oggi Van Aert aveva un’altra marcia e si è visto».

Per Colbrelli un secondo posto che fa sperare, arrivato nella gara del debutto
Per Colbrelli un secondo posto che fa sperare, arrivato nella gara del debutto

Rimpianto Pasqualon

Chi invece davanti all’attacco di Van Aert non si è voltato dall’altra parte è stato Andrea Pasqualon. Un cerotto sullo stinco destro, la barba impolverata e la tosse che impedisce al respiro di andarsene.

«Quando mi sono accorto che partiva sul Bosberg – dice – ho provato io a seguirlo. Ma quando a quello lì gli dai 10 metri, non lo pigli più. Si sapeva che ha una marcia in più, lo ha dimostrato ed è andato fortissimo. Del resto è un campione! Io… Ho provato sul Bosberg. Ho provato a rientrargli sotto, ma la gamba era quella che era. Purtroppo una settimana fa sono caduto e ho sofferto tanto. Anche nel finale non ero brillante, ero pieno di crampi e si è visto bene anche in volata che non ero proprio io.

Pasqualon è stato il solo a rispondere a Van Aert sul Bosberg
Pasqualon è stato il solo a rispondere a Van Aert sul Bosberg

«Sotto questo cerotto, ho due buchi profondi, che fanno male e non mi fanno recuperare di notte. In queste corse serve ogni minima energia, però sono contento del risultato. In fin dei conti non sono andato male. E domani recupero perché voglio puntare a fare bene a Le Samyn, che mi si addice. Domani niente Kuurne, cercherò di ritrovare le forze».

Villa detta la linea: uomini e donne sempre insieme in pista

16.11.2021
4 min
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Marco Villa è a Gand, seguirà la Sei Giorni che inizia stasera con due under 23, Mattia Pinazzi e Davide Boscaro, perché mandino a memoria i meccanismi e il tipo di sforzo. Nel frattempo però il tecnico azzurro sta tracciando programmi e ordinando le idee, dato che il settore pista a lui affidato è raddoppiato con l’arrivo delle donne. Il fatto di non disporre del velodromo di Montichiari non sarà un grosso problema per la nazionale, data l’assenza di appuntamenti ravvicinati.

A gennaio gli azzurri torneranno alla Vuelta San Juan, come anche nel 2020
A gennaio gli azzurri torneranno alla Vuelta San Juan, come anche nel 2020

«I prossimi impegni saranno dei ritiri su strada – dice – a partire dal 25 novembre alle Canarie, con il gruppetto che poi porterò alla Vuelta San Juan, così faccio correre quelli che fanno meno attività di club. Lamon, Scartezzini, Bertazzo. A Liam stiamo cercando di dare una mano. Da campione del mondo, mi sento in dovere di aiutarlo a trovare una squadra. Ha guadagnato la qualifica olimpica, è importante. A lui nessuno ha mai regalato niente e ha avuto tanta sfortuna, compresa l’ernia del disco nello stesso periodo in cui esplodeva Milan. Bertazzo se lo merita».

Quando si comincerà a parlare di pista?

Ad aprile ci sarà la prima prova di Coppa del mondo, che ora si chiama Coppa delle Nazioni. Dal 21 al 24 a Glasgow. Proseguiranno a maggio e a giugno, anche se ancora in calendario non ci sono le località. Ad agosto ci saranno gli europei a Monaco, con tutte le discipline, per cui dovrò gestirla bene con chi farà strada.

Bertazzo è l’unico degli iridati di Roubaix ancora senza squadra, merita molto di più
Bertazzo è l’unico degli iridati di Roubaix ancora senza squadra, merita molto di più
Quando riapriranno Montichiari?

L’architetto di Sport e Salute con cui ho parlato mi ha detto fine gennaio, altre voci parlano di febbraio-marzo. Io preferisco credere che sia a gennaio.

Come gestirai le ragazze, che non saranno a Gand e tantomeno a San Juan?

Cercherò di fare lo stesso programma. L’idea è di allenarli insieme in pista. Se ci sono da fare i lavori del quartetto, gireranno insieme uomini e donne. Se si lavora sulla madison, si può pensare a coppie miste, anche per alzare il livello tecnico delle ragazze. Credo piuttosto che il lavoro da fare sarà conoscere i loro tecnici…

Nei giorni degli europei di agosto, Balsamo potrebbe correre strada e pista: come farà?
Nei giorni degli europei di agosto, Balsamo potrebbe correre strada e pista: come farà?
Sono tutti sconosciuti?

Non tutti, ma alcuni sì. Ho ereditato un settore in salute, perché Salvoldi ha lavorato bene. Solo che adesso le ragazze stanno tutte diventando professioniste e sono passate in squadre WorldTour, per cui entrano in ballo manager, team manager e preparatori. Dovrò confrontarmi e guadagnarmi la loro fiducia, come ho fatto con gli uomini. Ad esempio non conosco Ina Teutenberg, direttore sportivo alla Trek.

Avrai dei collaboratori per le donne?

Ci sarà Bragato. Amadio mi consiglia di far seguire a lui le ragazze, ma visto che sono io il commissario tecnico, le voglio gestire in una certa maniera. Bragato sarà quello che avrà i riferimenti, ma il responsabile sarò sempre io come coi maschi. Mi toglierà quel lavoro di contatti e di programmazione settimanale. Se devo capire chi viene la settimana prossima in ritiro, non posso mettermi a fare 28 telefonate. Vorrà dire che Masotti chiamerà i 14 uomini e Bragato le 14 donne. Però il modo di allenare resta il mio, perché non voglio dividere i settori.

Continua anche con le donne la collaborazione fra Marco Villa, a sinistra, e Diego Bragato, a destra
E’ stato Marco Villa a coinvolgere Bragato per la prima volta
In che senso?

Non voglio che se vincono le donne è contento Bragato e se vincono gli uomini è contento Masotti. Dobbiamo essere un settore unico. A Montichiari siamo sempre stati insieme. Prima, quando avevamo il velodromo a tempo pieno, avevano 120 giornate all’anno. Se avessimo dovuto dividerle, sarebbero state 60 per Salvoldi e 60 per noi. Stando insieme, sono state 120 per tutti.

Quindi, riepilogando…

Dal 25 novembre al 5 dicembre alle Canarie con il gruppo di San Juan. Poi 7-8 giorni prima di Natale, si va a Formia, oppure in Sicilia, magari anche a Noto se si trovano i prezzi giusti. Invece il 22-23 dicembre un richiamo in pista, probabilmente a Aigle. Poi ancora dal 28 al 30 dicembre ancora in pista, in Svizzera o a Novo Mesto. Poi speriamo davvero che a gennaio ci ridiano Montichiari e siamo tutti contenti.

In viaggio con Velo nell’inferno del Kemmel

02.03.2021
5 min
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La memoria dei ciclisti è come quella degli elefanti o poco ci manca. Ce ne siamo accorti con Paolo Fornaciari parlando della discesa del Kemmel. Certi paesaggi o alcune strade non si dimenticano facilmente. Specialmente se corri una classica in Belgio e cadi sul pavè. A Marco Velo bastano questi ultimi due elementi per iniziare a raccontare un episodio del 2007. E’ lui il corridore nella foto di apertura…

Marco Velo oggi collabora con Davide Cassani e con Rcs Sport: qui con Allocchio
Velo con Allocchio al Giro d’Italia

Kemmelberg

Il punto chiave della Gand-Wevelgem è il Kemmelberg – la “montagna” più alta delle Fiandre Occidentali con i suoi 156 metri sul livello del mare – e la sua discesa iniziale in porfido è un piano inclinato con punte al 22%. Le borracce cadono dalle bici e diventano palline impazzite simili a quelle di un flipper che colpiscono i corridori oppure perdono acqua e le pietre diventano scivolose. L’abilità è cercare di restare in piedi. 

Quella edizione – era l’11 aprile di quattordici anni fa, 203 chilometri di gara e si disputava ancora di mercoledì tra Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix – è famosa per una serie di cadute incredibili: 65 ritiri, 13 feriti, di cui 9 ricoverati.

Nel 2004 con la pioggia altre cadute: guardate Balducci
La discesa del Kemmel è sempre stata pericolosa: nel 2004 con l’acqua altre cadute, riconoscete Balducci?

Casper e Velo

Il primo corridore che paga un dazio salato è il francese Jimmy Casper che nella prima discesa dal Kemmel si rompe il setto nasale, gli saltano un po’ di denti riportando una commozione cerebrale. Ma anche a Velo non va molto meglio. Il bresciano della Milram, durante la seconda ed ultima discesa dal totem fiammingo (-36 chilometri dalla fine), rovina a terra a causa di una borraccia. Cade anche il suo compagno Fabio Sacchi (botta al femore) mentre il suo capitano Alessandro Petacchi invece, pur restando in piedi, rompe la bici dovendo abbandonare così la corsa (le ammiraglie in quel tratto non potevano transitare) e con essa le speranze di vittoria che andrà a Burghardt della T-Mobile.

Petacchi resta indietro impaurito dalla caduta di Velo sul Kemmel, rompe la bici e si ritira
Petacchi rompe la bici dopo il Kemmel e si ritira
Marco facciamo un flashback, che istanti sono stati quelli?

Mi andò via la ruota davanti, fu una grande caduta e pensate che quella di Casper del giro prima non l’avevo nemmeno notata nel caos più totale. Lì per lì, malgrado i dolori, pensavo di non essermi fatto nulla, non mi rendevo conto delle botte. Ma nel momento in cui ho provato a piegare il ginocchio destro per rimettermi in piedi, ho sentito un click che mi ha un po’ preoccupato. Ho immaginato qualcosa di serio alla rotula, però c’era anche la clavicola destra fratturata e due costole rotte che mi avevano perforato un polmone. Ho avuto subito pensieri di ogni tipo, tutti negativi. Ho capito che avrei dovuto saltare il Giro d’Italia e buona parte della stagione. Fui portato via in ambulanza all’ospedale di Gand, dove rimasi per tre giorni prima di tornare in Italia, sempre in ambulanza, poiché non potevo volare per il danno al polmone.

Era un periodo importante per la vostra stagione.

Esatto, ma poco fortunato. La settimana prima al Fiandre era caduto Zabel, mentre in quella Gand-Wevelgem ci stavamo organizzando per andare a ricucire sulla fuga (erano fuori in tre da molti chilometri con un vantaggio di 1’30” in diminuzione, ndr) per portare Petacchi a giocarsi lo sprint. Si facevano un po’ di prove generali in vista delle volate della corsa rosa.

Sul Kemmel, Jimmy Casper va giù di faccia. A destra, in fondo, ecco Fornaciari
Jimmy Casper va giù di faccia
Al rientro in Italia hai dovuto affrontare una lunga riabilitazione?

Prima di partire dal Belgio avevo avuto il supporto della squadra e di alcuni ex compagni che mi erano venuti a trovare in ospedale, facendomi forza e tirandomi su di morale. E’ stato importante avere quel genere di aiuto perché mi è servito per metabolizzare meglio la caduta. Il polmone si sistemò a fine aprile, nel frattempo avevo subito l’intervento al ginocchio in cui mi tolsero circa 8 centimetri di cartilagine. Rimasi a letto per quaranta giorni, facendo solo terapia al ginocchio, che mi provocava un dolore immenso. La fisioterapia in quei tre mesi abbondanti è stata fondamentale, non ho mai saltato un giorno. Facevo lavori in piscina e in pratica sono passato dalle stampelle alla bici.

Quando rientrasti in gruppo?

A fine luglio disputai il Brixia Tour e poi a settembre la Vuelta, in cui andai molto forte aiutando Petacchi e Zabel. Non male, considerando che il medico dopo l’operazione mi aveva detto che sarei tornato in bici molto dopo e con problemi futuri al ginocchio.

Sul Kemmel cade anche Wilfried Crestkens: quel giorno sarà un’ecatombe
Cade anche Wilfried Crestkens: quel giorno sarà un’ecatombe
Marco, a distanza di anni, sei anche direttore e regolatore di corsa per Rcs Sport. Con quale punto di vista guardi adesso quella caduta?

Quel giorno io non potevo fare diversamente, ma va detto che dopo le nostre cadute, quel versante in discesa del Kemmel venne tolto. Gli organizzatori optarono per aggirare quei 350 metri terribili di pavé prendendo un’altra strada in asfalto un po’ meno pericolosa. Adesso sono cambiati anche i materiali, all’epoca non c’erano i freni a disco e usavamo copertoni da 23 millimetri, mentre gli attuali da 28 o addirittura 30 ti danno più controllo. Però devo dire, ora che sono dall’altra parte della barricata e con la moto sono nel cuore della corsa, che è sempre difficile domare i corridori.

E quindi?

Quindi, per quanto riguarda le gare Rcs, c’è una attenzione maniacale nel cercare di mettere il ciclista nelle migliori condizioni di sicurezza. Ma io vorrei che i corridori fossero più formati, magari grazie a dei corsi proposti dall’Uci, con la partecipazione di driver, regolatori e organizzatori per cercare di portare al minimo il margine di pericolosità di certe situazioni.

I tormenti di Madiot per liberare i corridori

02.03.2021
4 min
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C’è un vento (ancora troppo leggero) cui bici.PRO vuole dare il suo contributo per evidenziare i comportamenti estremi nel gruppo, che danneggiano i corridori e privano le corse dello spettacolo: questa volta ne parliamo con Marc Madiot. Potete anche non leggere questi articoli, poi però non lamentatevi per corse noiose e pilotate. Guardate la foto di apertura: dopo il terzo scatto sulla salita di Jebel Hafeet al Uae Tour 2021, Adam Yates guarda il computerino. Cosa sta cercando? Vuole capire se ha recuperato. Se ne ha ancora. E quanta forza ancora servirebbe per staccare Pogacar. Come sarebbe finita se non lo avesse avuto?

I nostri pezzi sui disordini alimentari ne hanno ispirati altri, in Italia ma soprattutto all’estero, dove L’Equipe ha iniziato un bel lavoro di indagine. E nel segno di questa implicita collaborazione, avendo letto un’intervista a Marc Madiot, abbiamo approfittato del raduno di partenza dell’Het Nieuwsblad per aggiungere qualche domanda al manager della Groupama-Fdj.

Il manager della Groupama ha parlato spesso degli eccessi del ciclismo moderno
Madiot ha parlato spesso di questi eccessi
Buongiorno Marc, riallacciamo i fili. Hai parlato di corridori privi di libertà.

C’è un controllo eccessivo nel gruppo. Se si fa una bella riunione pre gara, non è necessario intervenire ogni 3 secondi via radio. E’ una pressione permanente e aggiuntiva. Sapete qual è il guaio?

Quale?

Non possiamo più correre il rischio di perdere le corse. Arriviamo al punto di consigliare al corridore da quale parte prendere le rotonde. Mandiamo avanti una macchina per riferire del vento. Si capisce che tutta questa organizzazione alla lunga pesi proprio sui corridori. Guardano sempre più spesso il computerino, mi sembra che stiano perdendo la spontaneità del gesto sportivo. Solo pochi riescono a liberarsi da questa morsa.

I corridori provano a ribellarsi?

Con qualche battuta, raramente. Se gli chiedi di fare a meno di certi strumenti, ti dicono di no perché hanno paura del vuoto. Provate a immaginare di guidare senza più il navigatore che vi indica la strada, è la stessa cosa.

Marc Madiot ha vinto due Roubaix: nel 1985 (qui sopra) e nel 1991
Madiot ha vinto due Roubaix: nel 1985 e nel 1991
Abbiamo letto delle frasi abbastanza dure sulle abitudini social degli atleti…

Osservo. Leggo. Ascolto. Vedo i corridori pubblicare su Strava tutto il lavoro che stanno facendo. Magari sarò vecchio, ma io non direi mai agli altri cosa sto facendo in allenamento, proverei semmai a sorprenderli in gara. Per come va oggi, puoi sapere esattamente la condizione del tuo rivale. Vedere se è veloce, se soffre in salita. Puoi addirittura simulare il tuo allenamento per contrastarlo. Quando correvo io, solo mio fratello sapeva come mi allenavo. 

Cosa cambieresti?

Tutto, ma non si può… Potremmo impedire al corridore di leggere i dati in corsa. Saranno registrati perché servono per allenarsi, ma facciamo in modo che non siano disponibili per la lettura in diretta. Il fatto di non leggere sempre quel che c’è sullo schermo, diminuirebbe la pressione.

Hai mai pensato di dare tu l’esempio?

In realtà anche noi facciamo come tutti gli altri e se non fosse così rimarremmo indietro. Stiamo trasformando sempre più corridori in robot. Si alzano al mattino e recitano la parte che hanno imparato a memoria, dall’alimentazione all’allenamento. E se si discostano, li correggiamo in tempo zero. Siamo vicini a una perfezione che tuttavia merita una riflessione.

Evenepoel soccorso al Lombardia, dopo essere… scomparso dallo schermo
Evenepoel soccorso al Lombardia, dopo essere… scomparso dallo schermo
Chi dovrebbe farla?

Chi dovrebbe farla… Forse quelli che ci tengono, forse nessuno. Di certo non l’Uci e nemmeno le squadre più grandi che vogliono mantenere il controllo del gioco. Ma questo non è più un gioco, perché ha perso spontaneità.

All’Equipe hai fatto il paragone di quello che accadde il giorno della caduta di Evenepoel al Lombardia.

Si parlava della geolocalizzazione dei corridori in corsa, che con i transponder è possibile e viene utilizzata. Quando Remco finì nel fossato, un direttore sportivo dichiarò che era sparito dai loro schermi. Ecco, io credo che non sarebbe mai dovuto entrare in uno schermo.

La Deceuninck pensiona i tubolari: Ballerini ringrazia!

28.02.2021
4 min
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«Veramente bene con i clincher – dice Ballerini, dopo aver vinto – ho avuto per tutta la corsa un ottimo feeling soprattutto sul pavé. Moltissima aderenza anche su strada, perfetto anche a velocità elevata. Veramente ottime e confortevoli».

Tubolari addio

Da casa forse non ve ne siete accorti, del resto il bello (e il privilegio) di andare e vivere le corse è la possibilità di ficcare il naso anche dove normalmente non si fa. Seppure in epoca Covid, il naso spesso resti sotto la mascherina. Ma facciamo un passo indietro…

Ieri, partenza da Gand. Un gigante mascherato si avvicina e butta lì una frase che sul momento lascia interdetti.

Sul pavé i corridori della Deceuninck ben soddisfatti
Sul pavé i corridori della Deceuninck ben soddisfatti

«Oggi è il giorno del funerale».

Chi è morto? Il tempo di riconoscere Giampaolo Mondini e il buontempone si mette a ridere.

«Ammetto – concede – di aver omesso l’oggetto. Oggi per la Deceuninck-Quick Step è il giorno del funerale definitivo dei tubolari. Prima gara per tutti con i clincher, i copertoncini. E se avete dubbi, chiedete a Kasper Asgreen. Lui è uno che studia tutto e negli ultimi mesi ci ha sommerso con messaggi e feedback».

Kasper conferma

Ne avevamo già parlato proprio con Mondini, ricordate? Ci aveva raccontato di come Specialized affianchi il team di Ballerini e precisò che era all’inizio una serie di test per capire se fosse possibile rimpiazzare definitivamente i tubolari. E proprio mentre ricordiamo l’intervista di novembre, Kasper Asgren e la sua maglia di campione danese passano accanto e li fermiamo.

Il cotone cede meglio e assorbe le vistrazioni della strada
Il cotone cede meglio e assorbe le vistrazioni della strada
Come ti trovi con le nuove gomme?

Le gomme? Sono super veloci nonostante la sezione da 28 e ovviamente comode. Molto buone sulle pietre.

Tanto diverse dai tubolari?

Parecchio, aderiscono meglio in curva e sui sassi. Assorbono tutto. Le sto testando dalla ripresa, prima di Natale, quindi già da parecchio. Si usano pressioni più basse, la gomma è più grande e serve meno aria.

Clincher: Bora aspetta

Mondini gongola e gongolerà anche di lì a quasi 5 ore quando Ballerini, con quelle gomme che tanto gli sono piaciute, vincerà in volata l’Omloop Het Nieuwsblad. Ma il discorso merita un approfondimento, perché se un colosso come Specialized intraprende questa strada, prima o poi il mercato dovrà chiedersi cosa fare. Per ora la scelta però si limita alla Deceuninck-Quick Step, la Bora ancora non cambia.

Mezz’ora alla partenza, la bici di Ballerini con gli Hell of the North
Mezz’ora alla partenza, Ballerini userà gli Hell of the North
Da quanto tempo, Mondo, si lavora al… funerale?

Il processo di passaggio dal tubolare al clincher è iniziato già l’anno scorso. In qualche gara provammo i copertoncini e alcuni avevano usato anche i tubeless. E’ stata anche la scelta aziendale di fare le nuove Roval solo per copertoncino e tubeless. Così abbiamo messo sotto pressione la squadra, che ha fatto qualche prova in più, soprattutto per le classiche. Un mese fa è stato fatto qualche test in Spagna, poi in Belgio.

Ballerini dice di averle usate soltanto due giorni prima.

Dalla ricognizione di mercoledì, confermo, quando si è deciso di partire solo con i clincher.

In che modo i clincher si adattano al terreno?

Abbiamo più possibilità, stiamo lavorando non su diverse mescole ma su diversi tipi di copertura. Quello classico con la spalla più rigida, il Turbo RapidAir. E quelli che hanno usato ieri con la spalla in cotone, assorbono meglio i colpi derivanti dal pavé. Non a caso si chiamano Cotton Hell. Il test è andato bene, i corridori hanno dato ottimo feedback, possiamo esser contenti.

Davvero dal camion della Deceuninck spariranno le ruote per tubolari?

Sì, perché a questo punto la cosa che cercheremo di fare come azienda è fornire diverse sezioni. Metteremo a disposizione copertoncini da 26-28-30 e saranno poi loro a decidere quali usare. Tre sezioni in entrambe le versioni: con spalla normale che si chiama Turbo Rapid Air e gli Hell of the North con spalla in cotone.

Anche Asgreen al via con la spalla in cotone
Anche Asgreen al via con la spalla in cotone
Quali clincher si useranno alla Strade Bianche?

Bella domanda, dovremo fare delle ricognizioni. L’idea sul gravel, cioè sullo sterrato, è di avere una spalla più resistente, perché il sasso tende a lacerare il fianco del copertone. In quel caso il Turbo Rapid Air dovrebbe essere scelta migliore. Però bisogna veder la sezione, perché dipende da quanto il fondo sarà colloso. Si parla di argilla, per cui se è più colloso si abbassano le sezioni e magari un 26 potrebbe bastare per un corridore di 65-70 chili. Questo è il lavoro che stiamo facendo.

Date anche indicazioni sulla pressione?

Da lì parte il discorso enorme della pressione, che diventa la parte più soggettiva che il corridore dovrà scegliere. E questo probabilmente farà impazzire ancora di più i meccanici.

Het Nieuwsblad nel taschino, il Ballero fa sul serio

27.02.2021
5 min
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Lo stesso urlo di un calciatore che la butta dentro: quando Davide Ballerini passa sulla riga di Ninove e vince l’Omoloop Het Nieuwsblad, prima mostra la maglia e poi sferra un pugno nel vento che la dice lunga sulla sua carica emotiva. Il lavoro della Deceuninck-Quick Step è stato perfetto e nel cuore della cittadina delle Fiandre, all’ombra di una colossale abbazia medievale, è andato in scena il finale che il Ballero sognava dal mattino.

Durante la ricognizione del giovedì prima dell’Het Nieuwsblad, Ballero in testa al team
Durante la ricognizione del giovedì, Ballero in testa

Per questo motivo, la storia si può dividere idealmente in due parti: prima della corsa e dopo la corsa. E in mezzo il primo combattimento su questi muri mesti che reclamano il loro pubblico. Il Grammont senza tifosi è stato come un concerto senza pubblico.

La mattina a Gand

«E’ bellissimo essere qui con questa squadra – diceva alla partenza il corridore lombardo della Deceuninck-Quick Step – e sto davvero bene. Sono in buona condizione, contento di aver vinto, ma quello è già passato, anche se di sicuro mi dà una grandissima soddisfazione. Adesso siamo all’Het Nieuwsblad con tanta convinzione, soprattutto in questo team che per me era un sogno. Per cui continuiamo a viverlo e cerchiamo di raggiungerne altri».

Al matttino Ballerini aveva già chiaro in testa il possibile finale dell’Het Nieuwsblad
Al matttino Ballerini aveva già chiaro in testa il possibile finale

Poi il discorso era finito su Luca Paolini, ultimo vincitore italiano dell’Het Nieuwsblad, e sul consiglio che gli aveva dato proprio dalle nostre pagine: sbaglierebbe se considerasse quella corsa come una classica minore.

«Qui in Belgio – rispondeva sorridendo – non ci sono piccole corse. Sono tutte grandi e difficili da interpretare e da vincere. Non è niente facile. Oggi ci sono almeno 30 corridori che potrebbero farcela. Di sicuro è meno dura del Fiandre, perché se la corsa supera i 200 chilometri, tutto si complica. Devi gestirti bene, basta mangiare un po’ meno e in un chilometro si spegne tutto. Questa è più aperta, sarebbe bello arrivare in volata ma sarà dura. Potendo scegliere, sarebbe meglio la volata in un gruppo un po’ allungato».

Cielo grigio, temperatura mai sopra i 10 gradi: Het Nieuwsblad in perfetto stile Fiandre
Cielo grigio, temperatura mai sopra i 10 gradi: stile Fiandre

Iride d’assalto

Alaphilippe si è mosso per la prima volta dietro Trentin a 43 chilometri dall’arrivo, poi se ne è andato da solo ai meno 32. Da capire se l’abbia fatto perché sentiva una grande condizione oppure sperando che qualcuno lo seguisse. Dietro, Ballerini faceva buona guardia con il resto della squadra. E quando poi il gruppo ha riassorbito tutti ai piedi del Muur, nella testa di Davide si è accesa la luce verde.

«Con Julian – dice – abbiamo parlato prima di quella salita. Gli ho detto che poteva provare, perché si vedeva che stava bene e dietro ci saremmo stati noi. Ma il fatto che si sia trovato da solo è stato un guaio, niente di buono. Ho provato a rompere qualche cambio, ma il problema è stato il ritorno del gruppo. Quando mi è venuto accanto, mi ha chiesto se avessi buone gambe. Ho annuito e lui si è messo subito a tirare. Sono contento di essere in una squadra così…».

Alaphilippe si è ritrovato davanti troppo presto
Alaphilippe si è ritrovato davanti troppo presto

Guardia Wolfpack

E la Deceuninck-Quick Step che era partita per spaccare la corsa, da quel momento ha chiuso su ogni buco, schivando quasi tutte le cadute, tranne quella di Stybar che probabilmente si è toccato proprio con Ballerini, che però era davanti e forse non se ne è neppure accorto.

«Eravamo partiti per fare la differenza – racconta Ballero, felice di una felicità discreta – anche se non è facile. Eravamo sette possibili vincitori, per cui ogni situazione di corsa sarebbe stata buona. Ma quando si è deciso di lavorare per me allo sprint, sapevo che avrebbero fatto un capolavoro. Non sono mai stato un velocista di gruppo, ma credo in me stesso e quando sto bene mi butto. L’ultimo chilometro lo ricordavo bene e siamo entrati con il treno giusto, nella posizione giusta. Questa squadra era davvero un sogno, fatta al 100 per cento per le classiche. C’è il campione del mondo. Adesso torno a casa, domani niente Kuurne, se ne riparla a Laigueglia».

L’abbraccio con Alaphilippe: missione compiuta
L’abbraccio con Alaphilippe: missione compiuta

Gerva al telefono

Mentre Ballerini si avvia all’antidoping, il telefono squilla, c’è Paolini che avevamo cercato poco fa mentre era dal parrucchiere, per riallacciare il filo con l’intervista dei giorni scorsi.

«Se quelli di lassù non l’hanno capito – dice contento – ditegli che quel ragazzo impareranno a conoscerlo presto. E’ di Como, siamo usciti in bici insieme. Lui di solito va con i ticinesi e qualche volta mi aggrego. E soprattutto parlavo di lui con Zazà (Stefano Zanini, tecnico Astana, ndr) che lo ha avuto due anni fa e me ne parlava già benissimo. E soprattutto è un ragazzo umile, con i piedi per terra. Ed è fortissimo».

Sul podio, con Stewart e Vanmarcke
Sul podio, con Stewart e Vanmarcke

Mesto epilogo

La strada fuori è già vuota. Zero birre. Zero bambini. Zero cori fiamminghi. I pullman ronfano nel recinto di transenne, il cielo è grigio, mentre si annuncia già l’arrivo delle ragazze. Fra tutti coloro che saranno molto felici per la fine del Covid, il pubblico del ciclismo occupa sicuramente una posizione d’avanguardia.

Het Nieuwsblad, da sabato si corre nelle Fiandre

25.02.2021
6 min
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La Omloop Het Nieuwsblad in altri tempi era la grande festa di apertura della stagione fiamminga. Sabato prossimo sarà ancora l’apertura, ma difficilmente vedremo la grande festa, al punto che sul sito degli organizzatori non è stato pubblicato il percorso e ai giornalisti accreditati non è stato fornito il roadbook per evitare che, malgrado gli impegni presi, lo pubblichino. Sarà consegnato venerdì in sala stampa. Punto e basta.

Dopo la guerra

La corsa nasce nel 1945, organizzata dal quotidiano Het Volk, che le diede il nome. Era la risposta al Giro delle Fiandre, organizzato a sua volta dal giornale concorrente Het Nieuwsblad e con questa distinzione si è andati avanti fino al 2008, quando Het Volk chiuse e i rivali accorsero in supporto, rilevando la corsa e cambiandole il nome. Da Omloop Het Volk a Omloop Het Nieuwsblad.

Solo campioni

Facile capire che nel Belgio in cui il ciclismo è una vera religione, una corsa così sia presto diventata una grande classica, conquistata da Merckx e De Vlaeminck, Maertens e Planckaert, Van Petegem e Museeuw, Vandenbroucke e Gilbert.

Incredibilmente, solo quattro italiani sono riusciti a vincerla. Furono Ballerini nello stesso 1995 in cui avrebbe vinto la Roubaix, poi Bartoli nel 2001, Pozzato nel 2007 e, come vi abbiamo raccontato ieri, Paolini nel 2013. In realtà anche un certo Fausto Coppi riuscì a vincerla nel 1948, ma fu declassato a 2° posto per un cambio ruote irregolare. Il vincitore uscente è Jesper Stuyven (foto di apertura) che tornerà per difendere il titolo ancora con la maglia della Trek-Segafredo.

Senza diretta

A causa delle cancellazioni delle corse spagnole, per parecchi corridori l’Het Nieuwsblad, che dal 2017 è stato inserito nel WorldTour, costituisce la gara di apertura, con la grande curiosità (in parte già appagata dal Fiandre del 2020) di come sarà correre in totale assenza di pubblico.

Ai nostri lettori, possiamo anticipare che, stante l’assenza di diretta televisiva, saremo lassù per vivere questo evento silenzioso (degli uomini e delle donne) e raccontarlo. La primavera del ciclismo muove i primi passi.