Parlando con i vari ragazzi italiani che, settimana dopo settimana, si mettono in evidenza fra juniores e under 23, abbiamo notato un comune denominatore che li unisce praticamente tutti. Ognuno di loro, chiamato a definirsi dal punto di vista tecnico, afferma di essere un corridore completo. Va bene su salite fino a 5-6 chilometri, si difende bene sul passo senza essere un cronoman, è abbastanza veloce per un arrivo ristretto, non per una volata di gruppo. Insomma, un corridore adatto a ogni tipo di situazione, ma senza un elemento nel quale eccelle.
La cosa non poteva passare inosservata: possibile che siamo di fronte a una generazione di corridori che non si distinguono in ambiti specifici, che non si specializzano?
Il tema è delicato, forse è una delle basi del difficile momento che il ciclismo maschile nostrano sta vivendo. Anche perché, fossero solo gli junior a dirlo potrebbe anche essere plausibile, ma colpisce il fatto che lo stesso avvenga fra gli under 23, atleti ormai prossimi all’approdo fra i pro’.
Togliamo il limitatore
Per Pino Toni, preparatore atletico tra i più conosciuti, una risposta del genere non è casuale.
«Per gli juniores è normale – dice Toni – visto che siamo rimasti uno dei pochi Paese ad aver mantenuto l’assurda regola del limitatore di rapporti (limitazione che decadrà a partire dal 2023, ndr). Questa impedisce ai ragazzi di prendere confidenza con i rapporti più duri. Se hai solo il 14, sarà difficile vedere differenze. Se puoi scegliere ci sarà chi butta giù il rapporto e riesce a spingere, chi non ce la fa, chi fatica all’inizio ma poi riesce a migliorare. Bisogna poter lavorare durante l’anno con rapporti più duri per “poterli sentire”».
E’ un problema solo di rapporti?
No, anche di gare, di percorsi. La stragrande maggioranza delle gare sono circuiti. Ora io capisco le esigenze dell’organizzatore che deve fare i conti con permessi e budget limitati, ma tecnicamente quelle italiane sono spesso gare che non ti danno nulla. Corse a tappe e gare realmente in linea, con una località di partenza e una di arrivo, con un’altimetria ben fatta, ne trovi davvero pochine e così non si cresce. Soprattutto mentalmente perché secondo me il problema è anche d’impostazione mentale dei nostri ragazzi.
Tutto ciò riguarda però prevalentemente gli juniores, perché fra gli under 23 le risposte sono pressoché identiche?
Perché il problema è di vecchia data e quei ragazzi sono cresciuti così. Poi ci si differenzia, ma per farlo serve tempo, anche per conoscere se ci sono caratteristiche che prendono il sopravvento su altre elevandoti da quella situazione di “faccio tutto benino ma non spicco in nulla”. Per farlo, ad esempio, servirebbero più corse a tappe, anche semplici: una frazione piatta, una di collina, una di montagna, una a cronometro. Ecco che hai tutte le modalità per confrontarti, con te stesso e contro gli altri.
Non è un caso quindi se la maggior parte dei corridori, alla richiesta di quale gara vorrebbe correre e magari vincere, cita la Liegi-Bastogne-Liegi…
No, anche se poi parlano molto per quello che vedono in tv. Quando vai a farla e ti accorgi che ha 5.000 metri di dislivello, il discorso cambia…
E’ un problema irreversibile?
Non credo, il gap che abbiamo con gli altri Paesi c’è, è reale ma si recupererebbe in breve tempo. E’ chiaro però che qualcosa vada cambiato. Intanto con la regola dei rapporti, ma attenzione: non è che liberalizzando hai risolto tutto. Serve ad esempio che le società si attrezzino meglio, che pensino alla crescita dei corridori con programmi di allenamento appositi, tenendo conto che l’età performante si è abbassata tantissimo. Serve soprattutto che la Federazione guardi più alla tecnica e allo sviluppo sportivo e non tanto alla politica, ai piccoli accordi per accontentare questa o quella società. La riforma del calendario dovrebbe partire da questo.
La coperta corta
Il tema è scottante e Toni ha posto l’accento anche con il suo sanguigno carattere toscano. Il pensiero però è comune e viene testimoniato anche da Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco con un passato ultradecennale da corridore pro’.
«Il ciclismo attuale – spiega Balducci – porta a livellare tutto, ma così è come tirare la coperta. Il ragazzo veloce viene allenato per farlo migliorare in salita e così perderà un po’ di quello spunto, viceversa chi va forte in salita deve migliorare in velocità così perderà dall’altra parte. L’obiettivo del corridore completo ha l’unico risultato di produrre corridori-fotocopia. Il problema però secondo me è un altro».
Quale?
Si pensa che l’approdo al professionismo sia il punto di arrivo, invece è quello di partenza. I nostri ragazzi vogliono assolutamente ottenere quel contratto con una squadra, ma non si chiedono per fare cosa. Così non faremo altro che produrre buoni corridori che saranno presi come gregari, ma nessuno spiccherà. Serve ambizione, serve voglia di differenziarsi, serve tempo. Questa situazione di un ciclismo nel quale non ti danno il tempo per lavorare mi fa paura, perché non diamo la possibilità ai ragazzi di crescere e maturare.
Questo sistema va contro la specializzazione, ma le squadre preferiscono il corridore completo o lo specialista?
Quest’ultimo senza alcun dubbio, lo cercano come il pane, lo scalatore puro come anche il velocista o il passista. E’ quello che fa la differenza, ma la colpa è anche di noi dirigenti, che dovremmo guardare meno alla ricerca della vittoria a ogni costo per pensare di più allo sviluppo dei talenti che abbiamo in mano.
Sei quindi contrario alla scelta secondo cui i corridori devono migliorare un po’ in tutto…
Assolutamente. Guardiamo che cosa gli ha dato madre natura e puntiamo innanzitutto a elevare allo zenit quelle caratteristiche, a lavorare su quelle. Alla lunga i corridori ne saranno premiati e le squadre anche. Io ad esempio non credo che la cancellazione del limitatore di rapporti cambierà molto la situazione, dobbiamo essere noi diesse a capire come far lavorare meglio i ragazzi pensando al loro futuro.