Una bici al cielo, la piazza esplode per Bettiol tricolore

23.06.2024
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SESTO FIORENTINO – Quante volte hai pensato ad Alfredo Martini durante la corsa? Bettiol si volta quasi di scatto e tira su col naso. Passa la mano destra nei capelli più di una volta, per qualche prurito dopo tutto il giorno col casco sulla testa e poi guarda fisso.

«Ci ho pensato veramente tanto – dice – prima quando ho fatto la ricognizione, perché praticamente lui abitava qua, dietro la piazza, e conosco molto bene le figlie e i nipoti. Poi quando sono partito sulla salita ed ero solo a cinque dall’arrivo, mi è venuto anche un po’ da piangere. Ho pensato ad Alfredo, ho pensato a Mauro Battaglini e pensavo a quanto sarebbe stato bello che anche loro fossero qua con me oggi, con noi. Insomma, ecco… un pensiero va anche a loro due».

Una settimana difficile

Alberto Bettiol ha appena vinto il campionato italiano, con un’azione da duro sul circuito che aveva provato con la Mastromarco appena era stato ufficializzato. Ha trovato collaborazione in Rota e Zambanini e in tre si sono sobbarcati la fatica della fuga, quando Zoccarato ha deposto le armi. Era il favorito, tutti lo indicavano come tale e nessuno – noi compresi – si era fermato invece a riflettere sulla caduta al Giro di Svizzera che lo aveva costretto al ritiro.

Racconta Gabriele Balducci – suo direttore sportivo da U23, amico e padre ciclistico assieme a Carlo Franceschi – che quando è tornato a casa dal Giro Next Gen, seguito con Shimano, ha trovato un Bettiol da mani nei capelli.

«Ho cercato di non buttare benzina sul fuoco – racconta commosso e senza voce – ma la situazione era veramente brutta. Grazie alla nostra famiglia siamo riusciti a riprendere la situazione. Parlo di famiglia, perché è un gruppo allargato. Ci sono delle persone che ci stanno vicine e ci hanno dato una grossa mano».

Non sappiamo se Bettiol percepisca sino in fondo l’amore di cui è circondato in questa parte di mondo, ma a giudicare dagli sguardi delle persone che lo hanno accolto sul traguardo e spinto idealmente in ogni metro della fuga, si tratta di un fuoco davvero potente. Quando ha attaccato ed è rimasto da solo, un boato ha scosso la piazza del mercato.

Sotto il palco l’abbraccio tra Carlo Franceschi e Gabriele Balducci: il cuore di Mastromarco batte sempre forte
Sotto il palco l’abbraccio tra Carlo Franceschi e Gabriele Balducci: il cuore di Mastromarco batte sempre forte
Eri messo davvero male?

E’ stata dura ragazzi, perché faccio una cosa bene e 10 male. Ho vinto la Milano-Torino, poi sono caduto ad Harelbeke. Stavo andando bene allo Svizzera, poi sono caduto. Però questa settimana è stato bello. La mia squadra, la EF-Easy Post, mi ha supportato dandomi tutto il materiale. Ma è stata soprattutto una settimana vissuta come quando ero dilettante. Con Carlo Franceschi, con Boldrini, con Balducci, con Luca Brucini, il mio massaggiatore toscano. E’ stato bello. Ci siamo uniti e abbiamo cercato di rimediare tutti insieme a questo danno. La mia famiglia mi ha supportato. La mia ragazza mi ha lasciato tranquillo, sapeva benissimo quanto ci tenessi a questa settimana. Forse è questo il mio segreto…

Quale?

La famiglia, la squadra di Mastromarco che non mi abbandona mai. C’era Giuba, c’era anche Tiziano il meccanico a darmi l’acqua sulla salita. C’era Luca giù in pianura e Balducci era sull’ammiraglia della Work Service, che tra l’altro ringrazio perché siamo stati loro ospiti. Ringrazio Bardelli e i quattro ragazzi di oggi. Sono fortunato e questa vittoria la dedico veramente a loro.

La gente di Bettiol? Eccone una bella fetta. E stasera si fa giustamente baldoria
La gente di Bettiol? Eccone una bella fetta. E stasera si fa giustamente baldoria
Che cosa succede adesso?

Sarà un’annata lunga. Devo onorare questa maglia e ce la metterò tutta. Ma ho anche bisogno di festeggiare, perché le vittorie vanno festeggiate. E poi mi voglio concentrare, perché tra una settimana c’è il Tour de France e spero di essere un degno campione italiano.

Eri il favorito, hai avuto sempre l’espressione molto concentrata…

Oggi è stata dura. Sapevo che era una delle corse più difficili da vincere, perché ero solo e avevo davanti squadre da 17 corridori. Non potevo fare altro che rendere la corsa dura. Fortunatamente ci hanno pensato la Lidl-Trek e l’Astana, ma sapevo che a un certo punto dovevo andare. Non avendo nessuno che potesse darmi una mano, dovevo muovermi. Ho rischiato anche un po’ a farlo tanto in anticipo, però oggi sapevo che bisognava rischiare. In generale mi piace rischiare, oggi bisognava farlo un po’ di più.

Dopo aver animato la fuga, Bettiol ha rotto gli indugi sull’ultimo passaggio in salita
Dopo aver animato la fuga, Bettiol ha rotto gli indugi sull’ultimo passaggio in salita
Sembri un altro Alberto: più preciso, concentrato, anche determinato.

Si invecchia, si matura, si impara dagli errori. Più che errori, direi semplicemente che il ciclismo adesso è diventato molto difficile, molto competitivo. Quest’anno, l’ho sempre detto, è una annata particolare. I Giochi Olimpici, i mondiali, i campionati italiani a Firenze, il Tour che parte da Firenze. Ero stato a vedere il percorso un paio di mesi fa, perché sapevo che sarebbe stato molto difficile tornarci, dato che partivo per Sierra Nevada, poi per la Francia e il Giro di Svizzera.

Come è stato correre senza radio?

Avevo Daniele Bennati (sorride, ndr) che dalla moto mi dava qualche consiglio, perché non avendo la radio e nemmeno la lavagna, non sapevo neanche bene i distacchi. E’ stata veramente una bella giornata. Devo ringraziare anche Lorenzo Rota e Zambanini, che sono stati veramente bravi. E’ stato un degno podio, perché alla fine ci hanno creduto come me. Ci siamo detti di rischiare, io non credevo di staccarli tutti. Credevo comunque di giocarmi qualcosa, scollinata la salita. Ho fatto uno sforzo notevole per balzare davanti, perché ero rimasto dietro. E neanche stavo tanto bene…

Per fortuna…

Avevo i battiti un po’ alti. Era una settimana che non correvo, poi ho fatto tre giorni senza bici e ho avuto un’infezione al braccio. Ho dovuto fare gli antibiotici. Insomma non è stato facile, però avevamo un obiettivo. Dico avevamo perché le persone di cui ho parlato prima si sono sacrificate come me, nella stessa misura. Hanno sacrificato le loro famiglie, i loro impegni, il loro lavoro per dedicarli a me. Luca, il mio massaggiatore, stasera doveva andare in ospedale a lavorare e non ci va perché oggi bisogna festeggiare. Anche questo è importante.

Avevi studiato il fatto di sollevare la bici sul traguardo?

No, dico la verità. Mi sono girato all’arrivo, avevo spazio e volevo fare questa cosa perché devo ringraziare anche Cannondale: sono 10 anni che mi dà le bici e me ne ha fatta una speciale, bellissima. Martedì sera festeggeremo la bici con un grande evento a Castelfiorentino e festeggiarla da campione italiano è una bella cosa.

La partenza è stata data da Piazzale Michelangelo a Firenze: qui fra cinque giorni sbarcherà il Tour
La partenza è stata data da Piazzale Michelangelo a Firenze: qui fra cinque giorni sbarcherà il Tour
Sarai alla partenza del Tour da Firenze e per giunta in maglia tricolore…

E’ una cosa che non avrei immaginato neanche in un sogno. Essere l’unico fiorentino alla partenza era già qualcosa di speciale. Ma sfilare con la maglia tricolore non me lo so neanche immaginare. Ho fatto cinque partenze del Tour e sono state una più bella dell’altra. Però ecco ho fatto la ricognizione del trasferimento, ho fatto dei servizi per ASO e ho capito da dove passiamo. E insomma, con tutto il rispetto per le altre città, Firenze sarà Firenze…

E’ il ritratto della felicità. La sua gente lo aspetta. Il fratello, la ragazza, Balducci, Franceschi. Un sacco di gente che non conosciamo. Una famiglia allargata che da anni lo protegge, lo coccola e a volte lo ha giustificato invitando a volergli bene quando le cose non andavano. Per tutti loro stasera sarà il tempo della commozione, della felicità sfrenata e dei brindisi. Fra meno di una settimana saremo nuovamente a Piazzale Michelangelo. E il viaggio tricolore di Alberto Bettiol prenderà ufficialmente il largo.

Cosa c’è negli sguardi di Bettiol? Balducci racconta…

07.04.2024
8 min
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Gabriele Balducci oggi non seguirà la Roubaix in televisione: nelle stesse ore sarà impegnato con la Mastromarco al Trofeo Piva. E’ chiaro però che una parte del cuore batterà per quello che a buon diritto può essere definito il suo figlioccio: Alberto Bettiol. Il toscano non è stato bene dopo il Fiandre e lo svuotamento subito nella corsa dei muri è stato il principale cruccio della settimana. Certi sforzi vanno recuperati per bene e bisogna che nulla si metta di traverso.

Gabriele Balducci ha 48 anni ed è stato professionista per 12, con qualche vittoria e il gusto un po’ guascone per la vita, accanto a Dario Pieri: l’amico di sempre. Era direttore sportivo da quasi quattro stagioni, quando alla Mastromarco arrivò il giovane Bettiol. Era il 2012, Alberto era al secondo anno da U23 e nella squadra toscana trovò Valerio Conti: rivale di tante battaglie. “Baldo” lo accolse e col tempo, assieme al procuratore Battaglini e a Piepoli (che gli fa da allenatore e psicologo), creò attorno al corridore una struttura a prova dei suoi alti e bassi. Quando Battaglini venne a mancare, il diesse si rimboccò le maniche e non ha mai fatto un passo indietro. Hanno litigato e lo faranno ancora, ma sempre nell’interesse dell’atleta. Si capisce che Balducci lo faccia per affetto e non per ambizione, perché non ha mai voluto un ruolo ufficiale nelle squadre di Bettiol. Altri probabilmente avrebbero cavalcato la situazione.

Carlo Franceschi, Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Franceschi, Bettiol e Balducci: Alberto è il tramite fra Cannondale e la Mastromarco, in cui ha corso da U23
Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Bettiol e Balducci: Alberto è il tramite fra Cannondale e la Mastromarco, in cui ha corso da U23

Un cavallo di razza

Bettiol è un cavallo di razza, con impeti e momenti bui. Ha un motore da primo della classe, ma non sempre la capacità di sfruttarlo nel modo giusto. Ai mondiali di Wollongong sarebbe stato l’unico capace di andare via con Evenepoel, ma aveva previsto una tattica diversa e per restarle fedele, vide fuggire il belga. Quando vinse il Fiandre del 2019, non fu per caso: era il più forte e potrebbe esserlo ancora, in un ciclismo sempre più estremo che concede briciole agli uomini estrosi come lui. Alla Milano-Torino ha deciso di vincere e semplicemente lo ha fatto. A volte è solare, altre si rabbuia. Diciamo la verità: non è sempre semplice decifrarlo. E allora, alla vigilia della sua prima Roubaix, ci siamo rivolti proprio a Balducci per fare il punto della situazione. Chi è oggi Alberto Bettiol e dove può arrivare?

«Vi dico la verità – sorride il pisano – facciamo delle cose, ma finché non si conclude, anche dirlo sembra brutto. Io dentro di me so quanto può valere, però non lo possiamo dire proprio bene. Un po’ di risultati sono venuti, ma insomma non è che abbiamo fatto vedere tutto quello che potremmo. Quello ce l’ho dentro e solo io posso sapere quanto vale questo ragazzo, perché secondo me abbiamo ancora dei margini. A volte sembra che ci crediamo più noi di lui e va in questo modo da quando facemmo quell’intervista con lui e Valerio Conti (il riferimento è a un incontro fatto proprio nel 2012, quando Bettiol approdò alla Mastromarco, ndr). Erano due ragazzetti, ma già allora Alberto si chiedeva se sarebbe stato all’altezza. Diceva che Conti gli avrebbe “mangiato la pappa in capo”. Ed è una mentalità si è portato avanti in tutti questi anni».

Alla Milano-Torino aveva una condizione super: voleva vincere e ha attaccato
Alla Milano-Torino aveva una condizione super: voleva vincere e ha attaccato
Perché secondo te ha queste insicurezze?

Ce l’ha su tutto, se vi raccontassi quello che triboliamo anche per la vita normale. Ha un carattere che ha bisogno sempre di conferme. Prima della Milano-Torino chiedeva in maniera ossessiva se l’avrebbe fatta, perché stava così bene che voleva la conferma. Poi l’ha fatta e l’ha vinta. Perché accada non so dirlo. Ci sono corridori che hanno qualcosa in più, che sono sopra le righe, ma gli manca qualcosa. Alberto è un ragazzo d’oro, molto intelligente, però a volte ha queste mancanze.

Ha ancora la giusta cattiveria?

No, sentite, a livello di cattiveria è ancora orgoglioso. Vi dico la verità, magari soffre e non lo dice, però è ancora orgoglioso. Gli piace farsi vedere e questa è la cosa che ci fa andare avanti. La cattiveria c’è ancora e secondo me è ancora tanta e ben più di quella che lascia trasparire. Diciamo che non gli scatta in tutte le corse, è uno che si carica nei grandi appuntamenti. Si carica veramente tanto e questa è una dote. Ci sono certe gare in cui dobbiamo portarlo fin lì e siamo a posto. Perché sappiamo che anche se è al 70 per cento, con la motivazione arriva al 90. Questo ce l’ha dimostrato più di una volta. A livello di cattiveria sono contento.

Lo abbiamo sentito dire che in nazionale si trova benissimo perché tutti lo coccolano come alla Liquigas, che si sente in famiglia. Però corre nella squadra con meno italiani che ci sia…

Avete visto bene. La EF Education è la meno italiana del gruppo, una squadra con delle idee un po’ particolari. Mi ricordo quando era in BMC con Fabio Baldato, di cui sono molto amico, che a volte sbottava e diceva che non lo sopportava più. Allora vi dico, forse è la meno italiana, ma anche la più giusta. Con lui ci vuole sempre una coccola, il modo giusto anche negli allenamenti. Condividiamo tanto gli allenamenti, tutte le tabelle. Tante volte per stimolarlo mi invento anche qualcosa: facciamo così, dai, che domani sarà meglio. E così magari capita che possa stare per ore in bicicletta e non se ne accorga nemmeno. Bisogna saperlo prendere, questa è la cosa fondamentale. Non voglio essere il più bravo né niente, però credo di conoscerlo nella maniera giusta. Non solo da direttore sportivo, ma da amico, da confidente, da psicologo e lui in qualche modo mi riconosce per la figura che sono.

La EF Education è la squadra meno italiana del WorldTour, ma secondo Balducci perfetta per Bettiol
La EF Education è la squadra meno italiana del WorldTour, ma secondo Balducci perfetta per Bettiol
Non sarai troppo buono?

Ho cercato anche di essere più cattivo, ci siamo arrabbiati tante volte. Non so quante volte ho chiuso il discorso dicendogli di fare come gli pareva, però non è passato un giorno che non mi abbia ricercato. Quello che sto vivendo è una cosa bellissima, perché preparare insieme un Fiandre o una Sanremo per me è un sogno. Non tanto tempo fa venne fuori la possibilità di entrare in squadra con lui, ma vi dico la verità: io ho sempre guardato la mia squadra, le mie cose. Alberto ci sta vicino, abbiamo le bici Cannondale grazie a lui, ma non voglio che anche questo diventi una pressione. E non mi è mai passato per la testa di fare carriera sfruttando l’amicizia.

Tempo fa si diceva che tra i motivi per cui dovevi controllarlo ci fosse la poca attenzione sull’alimentazione.

Invece finalmente su questo è migliorato molto. Ci è arrivato da solo, a forza di sbagliare e risbagliare, lo vedo quando viene a casa nostra. Sa come deve fare e infatti ha vissuto un buon inizio di stagione. Una volta magari a tavola era necessario dirgli di fermarsi, ma ha capito che oggi il corridore lo fai anche mangiando nel modo giusto. Purtroppo non ci sono tante scappatoie. Se non fai quella vita lì, non porti a casa niente. Il ciclismo è cambiato tantissimo e per me è molto più bello. Magari può non piacere perché è tutto computerizzato, anche a me i numeri non vanno giù del tutto, però si sbaglia poco. La differenza con Alberto è che ti diverti ancora. Partiamo la mattina alle dieci con lo scooter e magari torniamo la sera alle cinque. Ci inventiamo delle cose che poi la sera raccontiamo quando si condividono gli allenamenti e ci piace stupirli. Con Alberto ci divertiamo davvero tanto.

Va detto che negli ultimi anni ha avuto problemi fisici veri, giusto?

Questa cosa ci tengo a dirla. Tante volte il fisico non ha retto al suo motore, che è veramente notevole. Sinceramente ne ho visti pochi con la sua forza, però magari la carrozzeria non è la carrozzeria di Johan Museew. E’ un po’ più delicato, tante volte non è continuo, non ha salute. Se penso che abbiamo tribolato con l’intestino, a fare delle flebo da 4.000 euro l’una, per una cura sperimentale. Abbiamo tribolato davvero, lui perdeva sangue mentre per gli altri corridori il sangue è oro. Poi è normale che ci abbia messo anche del suo, magari trascurando una cosa o mangiandone un’altra. Però i problemi fisici non li possiamo nascondere, semmai questi crampi…

I crampi hanno fermato Bettiol anche in alcune occasioni importanti: qui alle Olimpiadi di Tokyo
I crampi hanno fermato Bettiol anche in alcune occasioni importanti: qui alle Olimpiadi di Tokyo
Ecco, una nota dolente.

Anche l’alimentazione è cambiata, ora si va per microgrammi, si fa il conto dei carboidrati, ma non è detto che tutte le volte si facciano le cose per bene. Prendiamo un tot di carboidrati per ora, però magari mancano i liquidi o i sali minerali. Tante volte si sbaglia. Deve ragionare di più, l’altro giorno mi sono arrabbiato quando ha fatto quello scatto al Fiandre con Teuns, perché poteva anche gestirlo meglio. Però l’istinto del corridore era quello ed è arrivato al traguardo senza più energie addosso. E’ arrivato al lumicino, come la lucina Garmin rossa che si mette dietro la sella…

Perché a volte ha quasi degli scatti di ira? Perché al Tour Down Under l’anno scorso tirò la borraccia all’operatore che lo riprendeva mentre aveva un crampo?

Torno indietro alla cattiveria e al suo orgoglio. Ci lavoriamo tanto, ma a volte non ce la facciamo. I miei complimenti dopo la Milano-Torino sono stati per il fatto che non abbia fatto una scenata. Pensavo che si sarebbe buttato per terra, invece è stato perfetto. Così la prima cosa che gli ho detto è stata: «Grazie che non hai fatto niente dopo l’arrivo». La cattiveria delle volte viene fuori e bisogna saperla gestire.

A sentirti parlare, la tua sembra quasi una missione…

Sì, sarò sempre dalla sua parte, lo sapete bene. Io so quanto vale e quindi è logico che stia con lui, poi è normale che vedo gli errori e glieli farò sempre presenti. Non mi tiro indietro, non mi tirerò indietro nel fargli presenti quelli che fa anche nella vita di tutti i giorni. Però Alberto è ancora quell’Alberto che piace a noi, che magari si ricorda episodi vissuti insieme che io magari ho dimenticato. Voglio bene a tutti i miei corridori, però ricreare un altro legame simile non è facile. Questo è bello, è una bella storia e me la tengo stretta.

Bettiol ha finito il Fiandre davvero al lumicino: l’attacco con Teuns è costato caro
Bettiol ha finito il Fiandre davvero al lumicino: l’attacco con Teuns è costato caro
Che cosa ti aspetti dalla Roubaix?

Innanzitutto, sono sincero, spero che abbia recuperato il Fiandre. Per il resto, è la prima Roubaix, ma lui sa spingere la bicicletta. Se non è una Roubaix bagnata, di quelle che fanno male, lui è nato per spingere. Quindi un po’ mi fa paura, perché non ha esperienza. Ne abbiamo parlato, della Foresta di Arenberg, del Carrefour de l’Arbre. Giovedì ha fatto una ricognizione di quattro ore e poi abbiamo parlato ancora, perciò c’è solo da sperare che abbia recuperato e lo vedremo subito. Io non vedrò la Roubaix, ma tanto mi telefonano e me lo dicono. Se sta coperto e guarda in basso, vuol dire che ha ancora addosso il Fiandre. Ma se vediamo un Alberto che fa dentro e fuori con la testolina nelle prime 20 posizioni, potete stare tranquilli che qualcosa di bello lo farà di certo.

Il corridore completo? Un mito da sfatare…

08.08.2022
5 min
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Parlando con i vari ragazzi italiani che, settimana dopo settimana, si mettono in evidenza fra juniores e under 23, abbiamo notato un comune denominatore che li unisce praticamente tutti. Ognuno di loro, chiamato a definirsi dal punto di vista tecnico, afferma di essere un corridore completo. Va bene su salite fino a 5-6 chilometri, si difende bene sul passo senza essere un cronoman, è abbastanza veloce per un arrivo ristretto, non per una volata di gruppo. Insomma, un corridore adatto a ogni tipo di situazione, ma senza un elemento nel quale eccelle.

La cosa non poteva passare inosservata: possibile che siamo di fronte a una generazione di corridori che non si distinguono in ambiti specifici, che non si specializzano?

Il tema è delicato, forse è una delle basi del difficile momento che il ciclismo maschile nostrano sta vivendo. Anche perché, fossero solo gli junior a dirlo potrebbe anche essere plausibile, ma colpisce il fatto che lo stesso avvenga fra gli under 23, atleti ormai prossimi all’approdo fra i pro’.

Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana
Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana

Togliamo il limitatore

Per Pino Toni, preparatore atletico tra i più conosciuti, una risposta del genere non è casuale.

«Per gli juniores è normale – dice Toni – visto che siamo rimasti uno dei pochi Paese ad aver mantenuto l’assurda regola del limitatore di rapporti (limitazione che decadrà a partire dal 2023, ndr). Questa impedisce ai ragazzi di prendere confidenza con i rapporti più duri. Se hai solo il 14, sarà difficile vedere differenze. Se puoi scegliere ci sarà chi butta giù il rapporto e riesce a spingere, chi non ce la fa, chi fatica all’inizio ma poi riesce a migliorare. Bisogna poter lavorare durante l’anno con rapporti più duri per “poterli sentire”».

E’ un problema solo di rapporti?

No, anche di gare, di percorsi. La stragrande maggioranza delle gare sono circuiti. Ora io capisco le esigenze dell’organizzatore che deve fare i conti con permessi e budget limitati, ma tecnicamente quelle italiane sono spesso gare che non ti danno nulla. Corse a tappe e gare realmente in linea, con una località di partenza e una di arrivo, con un’altimetria ben fatta, ne trovi davvero pochine e così non si cresce. Soprattutto mentalmente perché secondo me il problema è anche d’impostazione mentale dei nostri ragazzi.

Giro U23 2022
Il podio tutto straniero del Giro U23. Puntare su corridori completi ma senza eccellenze non paga (foto Extragiro)
Giro U23 2022
Il podio tutto straniero del Giro U23. Puntare su corridori completi ma senza eccellenze non paga (foto Extragiro)
Tutto ciò riguarda però prevalentemente gli juniores, perché fra gli under 23 le risposte sono pressoché identiche?

Perché il problema è di vecchia data e quei ragazzi sono cresciuti così. Poi ci si differenzia, ma per farlo serve tempo, anche per conoscere se ci sono caratteristiche che prendono il sopravvento su altre elevandoti da quella situazione di “faccio tutto benino ma non spicco in nulla”. Per farlo, ad esempio, servirebbero più corse a tappe, anche semplici: una frazione piatta, una di collina, una di montagna, una a cronometro. Ecco che hai tutte le modalità per confrontarti, con te stesso e contro gli altri.

Non è un caso quindi se la maggior parte dei corridori, alla richiesta di quale gara vorrebbe correre e magari vincere, cita la Liegi-Bastogne-Liegi…

No, anche se poi parlano molto per quello che vedono in tv. Quando vai a farla e ti accorgi che ha 5.000 metri di dislivello, il discorso cambia…

E’ un problema irreversibile?

Non credo, il gap che abbiamo con gli altri Paesi c’è, è reale ma si recupererebbe in breve tempo. E’ chiaro però che qualcosa vada cambiato. Intanto con la regola dei rapporti, ma attenzione: non è che liberalizzando hai risolto tutto. Serve ad esempio che le società si attrezzino meglio, che pensino alla crescita dei corridori con programmi di allenamento appositi, tenendo conto che l’età performante si è abbassata tantissimo. Serve soprattutto che la Federazione guardi più alla tecnica e allo sviluppo sportivo e non tanto alla politica, ai piccoli accordi per accontentare questa o quella società. La riforma del calendario dovrebbe partire da questo.

Balducci Mastromarco
Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco-Sensi, pro’ dal 1997 al 2008 e per anni nello staff azzurro
Balducci Mastromarco
Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco-Sensi, pro’ dal 1997 al 2008 e per anni nello staff azzurro

La coperta corta

Il tema è scottante e Toni ha posto l’accento anche con il suo sanguigno carattere toscano. Il pensiero però è comune e viene testimoniato anche da Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco con un passato ultradecennale da corridore pro’.

«Il ciclismo attuale – spiega Balducci – porta a livellare tutto, ma così è come tirare la coperta. Il ragazzo veloce viene allenato per farlo migliorare in salita e così perderà un po’ di quello spunto, viceversa chi va forte in salita deve migliorare in velocità così perderà dall’altra parte. L’obiettivo del corridore completo ha l’unico risultato di produrre corridori-fotocopia. Il problema però secondo me è un altro».

Quale?

Si pensa che l’approdo al professionismo sia il punto di arrivo, invece è quello di partenza. I nostri ragazzi vogliono assolutamente ottenere quel contratto con una squadra, ma non si chiedono per fare cosa. Così non faremo altro che produrre buoni corridori che saranno presi come gregari, ma nessuno spiccherà. Serve ambizione, serve voglia di differenziarsi, serve tempo. Questa situazione di un ciclismo nel quale non ti danno il tempo per lavorare mi fa paura, perché non diamo la possibilità ai ragazzi di crescere e maturare.

Ayuso Getxo
Ayuso, vincitore al Circuito de Getxo davanti a Piccolo. Le doti di scalatore sono amplificate
Ayuso Getxo
Ayuso, vincitore al Circuito de Getxo davanti a Piccolo. Le doti di scalatore sono amplificate
Questo sistema va contro la specializzazione, ma le squadre preferiscono il corridore completo o lo specialista?

Quest’ultimo senza alcun dubbio, lo cercano come il pane, lo scalatore puro come anche il velocista o il passista. E’ quello che fa la differenza, ma la colpa è anche di noi dirigenti, che dovremmo guardare meno alla ricerca della vittoria a ogni costo per pensare di più allo sviluppo dei talenti che abbiamo in mano.

Sei quindi contrario alla scelta secondo cui i corridori devono migliorare un po’ in tutto…

Assolutamente. Guardiamo che cosa gli ha dato madre natura e puntiamo innanzitutto a elevare allo zenit quelle caratteristiche, a lavorare su quelle. Alla lunga i corridori ne saranno premiati e le squadre anche. Io ad esempio non credo che la cancellazione del limitatore di rapporti cambierà molto la situazione, dobbiamo essere noi diesse a capire come far lavorare meglio i ragazzi pensando al loro futuro.

Alessio Nieri, apprendista alla corte dei Reverberi

21.04.2022
4 min
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E’ come un’automobile che sta completando il proprio rodaggio all’inizio di un lungo viaggio. Il motore è buono, ma ha ancora bisogno di tempo per esprimersi ai regimi più alti. D’altronde Alessio Nieri non solo è al primo anno tra i professionisti, ma corre in bici da pochissimo tempo.

La storia del ventunenne scalatore della Bardiani-Csf-Faizanè è particolare. Una sorta di passaggio di consegne tra i borghi di Santa Maria a Monte, paese suo e di Marcello Massini, storica figura del ciclismo toscano, a sua volta scopritore di Gabriele Balducci, diesse di Nieri tra gli U23.

A Negrar, sul Viale della Rimembranza, dove è posto il traguardo del Palio del Recioto, c’è tanto pubblico che osserva l’andirivieni dei corridori verso il palco per la presentazione delle squadre. Il biondo Nieri – che è nato il 13 aprile 2001, ovvero quattro giorni prima che Yaroslav Popovich vincesse la gara veronese – scambia due parole con Bruno Reverberi, venuto ad osservare i suoi ragazzi, prima di concedersi ad una chiacchierata con noi.

Alessio raccontaci come sei arrivato qui.

Arrivo dalla Mtb e corro da pochi anni considerando che in mezzo c’è stato il Covid. Nel 2018 ho corso nella Cicli Taddei quando c’erano anche Francesco Casagrande, Francesco Failli ed Alexei Medvedev. Poi l’anno successivo sono passato su strada tra gli junior con la Big Hunter. Le ultime due stagioni le ho fatte alla Mastromarco-Sensi-Nibali, con una vittoria e alcuni buoni piazzamenti. Quest’anno ho l’onore di essere alla corte dei Reverberi.

Com’è stato questo salto?

Il passaggio non è stato semplice, specialmente il primo anno, nel 2019. Non lo è stato solo per la visione della corsa o per il pedalare in gruppo ma anche per tanto altro. La Mtb ovviamente è molto più individuale rispetto alla strada, però tuttavia mi ha insegnato molto nella guida della bici. Il mio sogno è sempre stato quello di correre su strada. Per ora sta andando bene, nel modo giusto. Spero di raccogliere qualche risultato importante.

Che differenze stai notando in generale?

Sono stato sempre bene ovunque. La Mastromarco è stata una famiglia. Correvamo sempre e solo negli U23. Ora in Bardiani abbiamo l’opportunità di confrontarci in più gare con i migliori al mondo. Questo può farci migliorare e sicuramente possiamo crescere bene.

Ed in gara?

Ho già corso tanto con i pro’ finora. Tour of Antalya, Gran Camino in Spagna, Coppi e Bartali, Giro di Sicilia, Laigueglia, Per Sempre Alfredo e Larciano. Ho fatto più di venti giorni di gara, è un buon apprendistato. Noto il cambio di ritmo ed i diversi modi di correre. Le corse internazionali dei dilettanti è tutto uno scatto continuo, è difficile tenerla controllata come invece capita tra i pro’. Sono due mondi totalmente differenti nei quali si trae sempre qualcosa.

Cos’hai già imparato?

Tra Mirko Rossato, che è spesso con gli U23, Roberto Reverberi e gli altri nostri direttori sportivi siamo ben seguiti. Tutti ci danno buoni consigli, soprattutto nelle gare pro’. Ci stanno facendo maturare nel modo giusto per poter affrontare un domani il mondo dei professionisti al meglio. E poi abbiamo sempre Bruno che viene spesso a vederci e a parlarci (ed intanto lo indica con lo sguardo a pochi metri da lui, ndr).

Hai qualche obiettivo?

Ovviamente mettermi a disposizione della squadra quando mi è richiesto. Poi certo, cercare di riuscire a vincere o comunque poter tirar fuori belle prestazioni in gare internazionali. Quest’anno vorrei fare bene al Giro d’Italia U23 (l’anno scorso fece settimo nella tappa di Andalo, ndr). Infine ci terrei particolarmente a fare bella figura al Giro di Toscana-Memorial Alfredo Martini (in programma il 14 settembre, ndr). Si corre a Pontedera, praticamente a casa mia. Quella data l’ho già cerchiata nel calendario.

Dario Pieri

Nel mondo di Pieri, fra ricordi, pensieri e risate

30.12.2020
6 min
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Quasi scherzando a proposito di Bettiol, giorni fa Leonardo Piepoli disse che a lasciarlo troppo da solo, in certi giorni gli ricordava Dario Pieri, ma che di Pieri ce n’è uno solo poi hanno buttato lo stampo. E qua s’è accesa la lampadina: dov’è finito Dario? E cosa sta facendo? E’ sorprendente come le vite si separino e ragazzi con cui condividevi ore e chilometri di colpo spariscano dai radar. La cosa migliore, più che mandare dei messaggi, è sollevare la cornetta e chiamare. Perciò amici di bici.PRO curiosi di avere sue notizie e amici che non sapete chi sia, riecco a voi il Toro di Scandicci.

A uso di chi non l’ha visto correre, vale la pena ricordare che Pieri, classe 1975, è stato professionista dal 1997 al 2006 e pur avendo vinto appena quattro corse, è ritenuto il più grande talento italiano del pavé dopo Franco Ballerini soprattutto per due secondi posti. Al Fiandre del 2000 e alla Roubaix del 2003. Tutto intorno, la sua figura si tinse di colori leggendari legati all’amore per la tavola e alle abitudini non sempre da atleta. Una reputazione cui oggi si ribella con decisione.

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Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
Zottegem, De Panne 1998: primo colpo al Nord

«Non era tutto vero – dice a un certo punto, si impunta poi si rilassa – ma ho le spalle grandi e me la sono fatto scivolare addosso. E’ vero che mi piaceva mangiare e non ero un fissato come Bartoli e Casagrande. Ma se vengono certi risultati, vuol dire che mi allenavo».

A un certo punto si parlava di te come dell’erede di Franco Ballerini.

Lui me lo diceva sempre. «Se avessi il tuo fisico e la mia testa, non ce ne sarebbe per nessuno». Il paragone per la prima volta lo fece Marcello Perugi, un vecchio direttore sportivo che purtroppo è morto lo scorso settembre. «Te sei come Franco – disse – ma con un po’ più di classe». Perché Franco quando andava a tutta, un po’ stantuffava. Così me lo fece conoscere e uscimmo anche insieme, solo che ai tempi io ero un ragazzino e lui un professionista, sempre in giro. Poi quando passai anche io, divenne una figura da seguire.

Cosa fai oggi?

Ho il mio tiro al piattello, più ho un B&B con il ristorante sotto, “Il boschetto”, che gestisco con la mia compagna Samanta. Quest’anno ho dato anche una mano alla griglia, per non dover pagare una persona in più. Al tiro si è lavorato fino a settembre, poi s’è aperta la caccia e hanno smesso di venire. Vivo a Montemiccioli, un borghetto medievale di tre anime fra Volterra e Colle Val d’Elsa.

Segui ancora il ciclismo?

Poco per via del lavoro. Com’è stato seguirlo dal vivo con tante transenne? In televisione sembra lo stesso, però si capisce che non è uguale. Mi tiene aggiornato Balducci e qualche volta anche Alberto Bettiol. Simpatica questa cosa di Piepoli! E’ vero che a volte deve essere spronato, ma Gabriele fa un buon lavoro. Alberto ha vinto il Fiandre da giovane, se fa un’annata regolare, combina sicuro qualcosa di buono.

In bici ci vai qualche volta?

Zero. Ma sapete che proprio in questi giorni mi sta venendo voglia di allenarmi? Ma prima dovrei rimettermi in forma.

E al periodo delle corse ci pensi qualche volta?

Ci penso sì, normale. E’ stata la mia vita, sono cose che rimangono e che rifarei. Ho visto il mondo, sono maturato. Ho eliminato dai ricordi le situazioni spiacevoli e le discussioni inutili. Ho smesso perché il Pieri a un certo punto non era più una persona, ma solo un gran motore. Mi accorsi che nonostante tanta gente, ero da solo. Quando mi feci male alla Roubaix, mi ci portò Balducci all’ospedale. Due giorni dopo. Avevo un foruncolo che si era gonfiato troppo e rischiava di esplodere all’interno. Mi operarono, mi misero dei punti.

Quella fu l’ultima Roubaix, nel 2004. Poi ci fu il progetto di rifarla con la Lpr nel 2007, con tanto di troupe della Rai che voleva seguirti.

Ma alla fine rinunciai, perché pensavo di aver trovato persone di un certo tipo, che invece alle spalle dicevano altro. Ho sempre avuto accanto la mia famiglia, gli amici veri e Balducci, il solo nel mondo del ciclismo.

Quali corse ricordi?

La prima vittoria a De Panne, quando presi la maglia. Mi dissi: «Allora sei buono per davvero!». Ma il vero rammarico ce l’ho per la volata di Roubaix. Ero in giornata eccezionale, ma trovai Aldag che non tirava e non si staccava. Se fossi riuscito ad andare via da solo, non mi prendevano. Invece arrivammo allo sprint e vinse Van Petegem. A quello sprint ammetto che ci penso spesso. Il secondo al Fiandre fu diverso. Feci un po’ il succhiaruote, sapevo di non avere tante banane e poi venni fuori bene all’ultimo chilometro.

Una vittoria avrebbe cambiato la tua carriera?

Ne sono certo, avrei corso ancora a lungo, perché non ero davvero un corridore spremuto.

Dario Pieri
Un gigante buono che si è sempre fatto in quattro per gli altri, non sempre ricambiato
Dario Pieri
Dario Pieri, un gigante buono
Hai detto che Bartoli e Casagrande erano fissati, come si troverebbe Pieri nel ciclismo di oggi dove quello è lo standard?

Dipende. Sono epoche diverse. Adesso nascono con tutto a portata di mano e se sanno sfruttare le opportunità, sono avvantaggiati. Io passai nel 1997, l’epoca dei grandi cambiamenti, del controllo dell’ematocrito, un periodo differente. Mi dispiace che ho smesso quando si sono ritirati Boonen e Van Petegem, magari trovavo spazio.

Sei felice?

Vivo con Samanta e le sue due figlie di 11 e 20 anni, Irene e Sara. Ho il mio lavoro e vado a caccia, stamattina sono rientrato prima per fare questa chiacchierata. Di cosa posso lamentarmi? Sì, sto bene così.

Alberto Bettiol, Giro delle Fiandre 2020

E Bettiol apre lo scrigno dei ricordi belli

24.12.2020
6 min
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Natale con i tuoi, così quelli di Lugano hanno caricato famiglie e biciclette sulle auto e sono discesi verso le case di origine, Bettiol fra loro.

«Sono in piena ripresa – dice il toscano della Ef Pro Cycling – perché ho avuto un po’ di febbre un paio di settimane fa, quindi mi sono fermato e ora sono ripartito alla grande, perché ho già perso un bel po’ di giorni. Ma non so ancora quando comincerò a correre. Certezze ce ne sono poche. Il primo periodo vero però dovrà essere quello dalle Strade Bianche in poi…».

Alberto Bettiol, mondiali Imola 2020
Alberto Bettiol ai mondiali Imola 2020 chiusi in 18ª posizione
Bettiol ai mondiali di Imola, 18° al traguardo
Però intanto comincerai senza Fabrizio Guidi, passato alla Uae Emirates…

E per me è stato un colpo. Eravamo arrivati insieme in America a fine 2014. E’ toscano, ha fatto il mio stesso percorso da corridore, da Massini a Balducci. Quando era in Toscana, passava a vedermi sul Serra, la sua salita. Ci si scambiava un’idea, mi vedeva dal vivo invece di guardare i file. Facevamo insieme Strade Bianche, Tirreno e Sanremo, preparando le classiche. Mi dava consigli e ne dava a Klier e Wegelius che sono i direttori per il Nord. L’anno che ho vinto il Fiandre lui l’aveva visto subito. Non entro nel merito delle scelte, non le ho volute nemmeno sapere. 

Quando l’hai saputo?

Non tanto tempo fa. Me lo ha voluto anticipare di persona come si fa tra persone serie, perché sapeva che una notizia del genere mi avrebbe un po’ stranito.

Che cosa vuoi dal 2021?

Conferme. Per me ogni anno deve essere un andare avanti, migliorarsi. Ovviamente vincere, in qualunque mese, qualunque tipo di corsa. Continuare a stare bene fisicamente e psicologicamente. Preparare una gara, arrivarci in forma, interpretarla bene tatticamente.

La stagione di Bettiol era ripresa con un ottimo 4° posto alla Strade Bianche
Quarto alla Strade Bianche, prima gara post lockdown
E’ difficile trovare la condizione?

In termini di concentrazione, devi lavorare su te stesso e l’approccio alle gare. Per la condizione atletica, ci sono tante cose che si devono incastrare. Se mi venisse a marzo la febbre dei giorni scorsi, sarebbe un problema. Servono fortuna, continuità di allenamento e di prestazione. Io non ci metto tanto a Trovarla. Madre Natura mi ha dato questa dote, non ho bisogno di tanti chilometri e giorni di gara. Non a caso, alle Strade Bianche quest’anno sono andato forte (4°, ndr), venendo da poco o niente. Solo con un bel blocco di allenamento a Livigno. Poi ovviamente bisogna dare continuità. Per trovare la forma, quella bella, ci vogliono le gare.

Hai più avuto la gamba del Fiandre 2019?

Secondo me, sì. Proprio al Fiandre, ad esempio, non ero meno di allora. Anche alla Liegi, nonostante i problemi intestinali. Al mondiale, troppo duro per me, vedendo altri colleghi che hanno mollato prima di me. La Gand lo ha dimostrato (4°, ndr). Al Fiandre non mi hanno staccato in salita ma in un tratto tecnico in discesa, però era anche 30 chilometri meno. Ma quel giorno lì, l’anno scorso al Fiandre, fu più un discorso di testa. Conta la forza, ma conta anche la libertà mentale. Arrivare lì spensierato, buttare il cappello per aria, come si dice noi qua. L’Alberto Bettiol del 2019 non aveva niente da perdere. Ora è cambiata un po’ la musica, fortunatamente.

Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Sul pullman della Ef Pro Cycling, Bettiol con Vaughters e Modolo, dopo il Fiandre 2019
Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Con Vaughters sul pullman dopo il Fiandre 2019
Allenarsi da solo oppure in gruppo?

Per me sono importanti la banda di Lugano e quella toscana. Ieri mi sono allenato con Sbaragli e Sabatini, anche con Visconti. E’ meglio uscire in compagnia, con dei professionisti però. Si parte insieme o ci si incontra, su ogni salita ognuno fa il suo lavoro, ci si aspetta in cima, ci si ferma al bar, fai il medio… Ieri abbiamo preso 3 ore e mezza di acqua. Probabilmente da solo ne avrei fatta una e sarei tornato a casa. Con loro, ridendo e scherzando, siamo arrivati in fondo. Io non ho la forza mentale di partire e fare il lavoro in ogni condizione. Con gli amici, con i compagni di allenamento viene più facile

Avrai sempre qualcuno accanto?

Non diventerò mai autonomo, avrò sempre bisogno di persone a fianco. Adesso ho Gabriele Balducci (suo diesse da U23 alla Mastromarco, ndr) e Leonardo Piepoli. Leonardo puramente per l’aspetto della preparazione e un po’ anche psicologico, perché alla fine siamo sempre noi con i nostri problemi. Gabriele è la persona per quando sono in Toscana, che mi sa vedere, mi conosce in bicicletta come pochissimi altri. Con Leonardo s’è creato questo triangolo che funziona bene. Sono molto fortunato. Prima c’era anche Mauro Battaglini, riduttivo definirlo il mio procuratore, che purtroppo non c’è più (si è spento il 5 settembre 2020, dopo una lunga malattia, ndr).

Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
La Ef Pro Cycling usa ruote Vision: ecco Bettiol con Claudio Marra festeggiando il Fiandre
Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
Nella sede di Vision, Bettiol con Marra, a fine 2019
Perché riduttivo?

Perché mi ha lasciato una quantità di cose, di insegnamenti, di lezioni di vita, di stile… Era una delle persone più vanitose che abbia conosciuto sulla faccia della terra (ride, ndr). Gli ultimi periodi non ha mai voluto che io andassi a fargli visita, a casa o in ospedale, perché probabilmente si vergognava, per il suo pudore. Una persona tutta d’un pezzo, una persona d’altri tempi. Il più bel ricordo è quando è voluto venire l’anno scorso in Canada, alle due gare di Toronto e Montreal, perché non le aveva mai viste e mi aveva detto che prima di andare in pensione voleva fare tutte le gare del WorldTour.

Come andò?

Probabilmente lui si sentiva già dentro qualcosa e senza dirmi niente ha fissato gli stessi voli che avevo io. Mi ricordo proprio il viaggio di ritorno da Montreal, di notte. Io ero stanco, ma non abbiamo mai dormito perché mi ha raccontato tutta la sua vita. Per me, questo è un bel ricordo. Gli ultimi mesi ha sofferto tanto. Poi quella telefonata di sua moglie…

Carlo Franceschi, Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco corre con bici Cannondale. Qui con Franceschi e Balducci
Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco di Balducci corre con Cannondale
L’hai saputo così?

Aveva lasciato cinque numeri di telefono da avvisare. Mauro era un calcolatore, niente lo sorprendeva. Lui calcolava tutto e ha calcolato anche cosa dovevano fare sua moglie e suo figlio nel giorno in cui sarebbe morto. Per me rimarrà per sempre come un babbo. Pinuccia è molto brava. Per il Covid non l’ho potuta rivedere, non sono andato a trovarlo al cimitero, ma farò tutto (la voce si inceppa, ndr). Mauro era uno dei pilastri che sorreggeva la mia casa. E quando si butta giù un pilastro, la casa ovviamente non crolla perché ci sono gli altri due o tre. Però la botta si è sentita.

A gennaio sul Teide?

Con Keukeleire e un massaggiatore. Ormai sono un belga adottato. Si va dal 15 gennaio al 2 febbraio. Poi andrò a correre, non lo so ancora dove…

Buon Natale, ragazzo…

Buon Natale a tutti voi!