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Il corridore completo? Un mito da sfatare…

08.08.2022
5 min
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Parlando con i vari ragazzi italiani che, settimana dopo settimana, si mettono in evidenza fra juniores e under 23, abbiamo notato un comune denominatore che li unisce praticamente tutti. Ognuno di loro, chiamato a definirsi dal punto di vista tecnico, afferma di essere un corridore completo. Va bene su salite fino a 5-6 chilometri, si difende bene sul passo senza essere un cronoman, è abbastanza veloce per un arrivo ristretto, non per una volata di gruppo. Insomma, un corridore adatto a ogni tipo di situazione, ma senza un elemento nel quale eccelle.

La cosa non poteva passare inosservata: possibile che siamo di fronte a una generazione di corridori che non si distinguono in ambiti specifici, che non si specializzano?

Il tema è delicato, forse è una delle basi del difficile momento che il ciclismo maschile nostrano sta vivendo. Anche perché, fossero solo gli junior a dirlo potrebbe anche essere plausibile, ma colpisce il fatto che lo stesso avvenga fra gli under 23, atleti ormai prossimi all’approdo fra i pro’.

Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana
Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana

Togliamo il limitatore

Per Pino Toni, preparatore atletico tra i più conosciuti, una risposta del genere non è casuale.

«Per gli juniores è normale – dice Toni – visto che siamo rimasti uno dei pochi Paese ad aver mantenuto l’assurda regola del limitatore di rapporti (limitazione che decadrà a partire dal 2023, ndr). Questa impedisce ai ragazzi di prendere confidenza con i rapporti più duri. Se hai solo il 14, sarà difficile vedere differenze. Se puoi scegliere ci sarà chi butta giù il rapporto e riesce a spingere, chi non ce la fa, chi fatica all’inizio ma poi riesce a migliorare. Bisogna poter lavorare durante l’anno con rapporti più duri per “poterli sentire”».

E’ un problema solo di rapporti?

No, anche di gare, di percorsi. La stragrande maggioranza delle gare sono circuiti. Ora io capisco le esigenze dell’organizzatore che deve fare i conti con permessi e budget limitati, ma tecnicamente quelle italiane sono spesso gare che non ti danno nulla. Corse a tappe e gare realmente in linea, con una località di partenza e una di arrivo, con un’altimetria ben fatta, ne trovi davvero pochine e così non si cresce. Soprattutto mentalmente perché secondo me il problema è anche d’impostazione mentale dei nostri ragazzi.

Giro U23 2022
Il podio tutto straniero del Giro U23. Puntare su corridori completi ma senza eccellenze non paga (foto Extragiro)
Giro U23 2022
Il podio tutto straniero del Giro U23. Puntare su corridori completi ma senza eccellenze non paga (foto Extragiro)
Tutto ciò riguarda però prevalentemente gli juniores, perché fra gli under 23 le risposte sono pressoché identiche?

Perché il problema è di vecchia data e quei ragazzi sono cresciuti così. Poi ci si differenzia, ma per farlo serve tempo, anche per conoscere se ci sono caratteristiche che prendono il sopravvento su altre elevandoti da quella situazione di “faccio tutto benino ma non spicco in nulla”. Per farlo, ad esempio, servirebbero più corse a tappe, anche semplici: una frazione piatta, una di collina, una di montagna, una a cronometro. Ecco che hai tutte le modalità per confrontarti, con te stesso e contro gli altri.

Non è un caso quindi se la maggior parte dei corridori, alla richiesta di quale gara vorrebbe correre e magari vincere, cita la Liegi-Bastogne-Liegi…

No, anche se poi parlano molto per quello che vedono in tv. Quando vai a farla e ti accorgi che ha 5.000 metri di dislivello, il discorso cambia…

E’ un problema irreversibile?

Non credo, il gap che abbiamo con gli altri Paesi c’è, è reale ma si recupererebbe in breve tempo. E’ chiaro però che qualcosa vada cambiato. Intanto con la regola dei rapporti, ma attenzione: non è che liberalizzando hai risolto tutto. Serve ad esempio che le società si attrezzino meglio, che pensino alla crescita dei corridori con programmi di allenamento appositi, tenendo conto che l’età performante si è abbassata tantissimo. Serve soprattutto che la Federazione guardi più alla tecnica e allo sviluppo sportivo e non tanto alla politica, ai piccoli accordi per accontentare questa o quella società. La riforma del calendario dovrebbe partire da questo.

Balducci Mastromarco
Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco-Sensi, pro’ dal 1997 al 2008 e per anni nello staff azzurro
Balducci Mastromarco
Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco-Sensi, pro’ dal 1997 al 2008 e per anni nello staff azzurro

La coperta corta

Il tema è scottante e Toni ha posto l’accento anche con il suo sanguigno carattere toscano. Il pensiero però è comune e viene testimoniato anche da Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco con un passato ultradecennale da corridore pro’.

«Il ciclismo attuale – spiega Balducci – porta a livellare tutto, ma così è come tirare la coperta. Il ragazzo veloce viene allenato per farlo migliorare in salita e così perderà un po’ di quello spunto, viceversa chi va forte in salita deve migliorare in velocità così perderà dall’altra parte. L’obiettivo del corridore completo ha l’unico risultato di produrre corridori-fotocopia. Il problema però secondo me è un altro».

Quale?

Si pensa che l’approdo al professionismo sia il punto di arrivo, invece è quello di partenza. I nostri ragazzi vogliono assolutamente ottenere quel contratto con una squadra, ma non si chiedono per fare cosa. Così non faremo altro che produrre buoni corridori che saranno presi come gregari, ma nessuno spiccherà. Serve ambizione, serve voglia di differenziarsi, serve tempo. Questa situazione di un ciclismo nel quale non ti danno il tempo per lavorare mi fa paura, perché non diamo la possibilità ai ragazzi di crescere e maturare.

Ayuso Getxo
Ayuso, vincitore al Circuito de Getxo davanti a Piccolo. Le doti di scalatore sono amplificate
Ayuso Getxo
Ayuso, vincitore al Circuito de Getxo davanti a Piccolo. Le doti di scalatore sono amplificate
Questo sistema va contro la specializzazione, ma le squadre preferiscono il corridore completo o lo specialista?

Quest’ultimo senza alcun dubbio, lo cercano come il pane, lo scalatore puro come anche il velocista o il passista. E’ quello che fa la differenza, ma la colpa è anche di noi dirigenti, che dovremmo guardare meno alla ricerca della vittoria a ogni costo per pensare di più allo sviluppo dei talenti che abbiamo in mano.

Sei quindi contrario alla scelta secondo cui i corridori devono migliorare un po’ in tutto…

Assolutamente. Guardiamo che cosa gli ha dato madre natura e puntiamo innanzitutto a elevare allo zenit quelle caratteristiche, a lavorare su quelle. Alla lunga i corridori ne saranno premiati e le squadre anche. Io ad esempio non credo che la cancellazione del limitatore di rapporti cambierà molto la situazione, dobbiamo essere noi diesse a capire come far lavorare meglio i ragazzi pensando al loro futuro.

Alessio Nieri, apprendista alla corte dei Reverberi

21.04.2022
4 min
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E’ come un’automobile che sta completando il proprio rodaggio all’inizio di un lungo viaggio. Il motore è buono, ma ha ancora bisogno di tempo per esprimersi ai regimi più alti. D’altronde Alessio Nieri non solo è al primo anno tra i professionisti, ma corre in bici da pochissimo tempo.

La storia del ventunenne scalatore della Bardiani-Csf-Faizanè è particolare. Una sorta di passaggio di consegne tra i borghi di Santa Maria a Monte, paese suo e di Marcello Massini, storica figura del ciclismo toscano, a sua volta scopritore di Gabriele Balducci, diesse di Nieri tra gli U23.

A Negrar, sul Viale della Rimembranza, dove è posto il traguardo del Palio del Recioto, c’è tanto pubblico che osserva l’andirivieni dei corridori verso il palco per la presentazione delle squadre. Il biondo Nieri – che è nato il 13 aprile 2001, ovvero quattro giorni prima che Yaroslav Popovich vincesse la gara veronese – scambia due parole con Bruno Reverberi, venuto ad osservare i suoi ragazzi, prima di concedersi ad una chiacchierata con noi.

Alessio raccontaci come sei arrivato qui.

Arrivo dalla Mtb e corro da pochi anni considerando che in mezzo c’è stato il Covid. Nel 2018 ho corso nella Cicli Taddei quando c’erano anche Francesco Casagrande, Francesco Failli ed Alexei Medvedev. Poi l’anno successivo sono passato su strada tra gli junior con la Big Hunter. Le ultime due stagioni le ho fatte alla Mastromarco-Sensi-Nibali, con una vittoria e alcuni buoni piazzamenti. Quest’anno ho l’onore di essere alla corte dei Reverberi.

Com’è stato questo salto?

Il passaggio non è stato semplice, specialmente il primo anno, nel 2019. Non lo è stato solo per la visione della corsa o per il pedalare in gruppo ma anche per tanto altro. La Mtb ovviamente è molto più individuale rispetto alla strada, però tuttavia mi ha insegnato molto nella guida della bici. Il mio sogno è sempre stato quello di correre su strada. Per ora sta andando bene, nel modo giusto. Spero di raccogliere qualche risultato importante.

Che differenze stai notando in generale?

Sono stato sempre bene ovunque. La Mastromarco è stata una famiglia. Correvamo sempre e solo negli U23. Ora in Bardiani abbiamo l’opportunità di confrontarci in più gare con i migliori al mondo. Questo può farci migliorare e sicuramente possiamo crescere bene.

Ed in gara?

Ho già corso tanto con i pro’ finora. Tour of Antalya, Gran Camino in Spagna, Coppi e Bartali, Giro di Sicilia, Laigueglia, Per Sempre Alfredo e Larciano. Ho fatto più di venti giorni di gara, è un buon apprendistato. Noto il cambio di ritmo ed i diversi modi di correre. Le corse internazionali dei dilettanti è tutto uno scatto continuo, è difficile tenerla controllata come invece capita tra i pro’. Sono due mondi totalmente differenti nei quali si trae sempre qualcosa.

Cos’hai già imparato?

Tra Mirko Rossato, che è spesso con gli U23, Roberto Reverberi e gli altri nostri direttori sportivi siamo ben seguiti. Tutti ci danno buoni consigli, soprattutto nelle gare pro’. Ci stanno facendo maturare nel modo giusto per poter affrontare un domani il mondo dei professionisti al meglio. E poi abbiamo sempre Bruno che viene spesso a vederci e a parlarci (ed intanto lo indica con lo sguardo a pochi metri da lui, ndr).

Hai qualche obiettivo?

Ovviamente mettermi a disposizione della squadra quando mi è richiesto. Poi certo, cercare di riuscire a vincere o comunque poter tirar fuori belle prestazioni in gare internazionali. Quest’anno vorrei fare bene al Giro d’Italia U23 (l’anno scorso fece settimo nella tappa di Andalo, ndr). Infine ci terrei particolarmente a fare bella figura al Giro di Toscana-Memorial Alfredo Martini (in programma il 14 settembre, ndr). Si corre a Pontedera, praticamente a casa mia. Quella data l’ho già cerchiata nel calendario.

Dario Pieri

Nel mondo di Pieri, fra ricordi, pensieri e risate

30.12.2020
6 min
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Quasi scherzando a proposito di Bettiol, giorni fa Leonardo Piepoli disse che a lasciarlo troppo da solo, in certi giorni gli ricordava Dario Pieri, ma che di Pieri ce n’è uno solo poi hanno buttato lo stampo. E qua s’è accesa la lampadina: dov’è finito Dario? E cosa sta facendo? E’ sorprendente come le vite si separino e ragazzi con cui condividevi ore e chilometri di colpo spariscano dai radar. La cosa migliore, più che mandare dei messaggi, è sollevare la cornetta e chiamare. Perciò amici di bici.PRO curiosi di avere sue notizie e amici che non sapete chi sia, riecco a voi il Toro di Scandicci.

A uso di chi non l’ha visto correre, vale la pena ricordare che Pieri, classe 1975, è stato professionista dal 1997 al 2006 e pur avendo vinto appena quattro corse, è ritenuto il più grande talento italiano del pavé dopo Franco Ballerini soprattutto per due secondi posti. Al Fiandre del 2000 e alla Roubaix del 2003. Tutto intorno, la sua figura si tinse di colori leggendari legati all’amore per la tavola e alle abitudini non sempre da atleta. Una reputazione cui oggi si ribella con decisione.

Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
La vittoria di tappa a Zottegem alla Tre Giorni di La Panne 1998, primo acuto al Nord
Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
Zottegem, De Panne 1998: primo colpo al Nord

«Non era tutto vero – dice a un certo punto, si impunta poi si rilassa – ma ho le spalle grandi e me la sono fatto scivolare addosso. E’ vero che mi piaceva mangiare e non ero un fissato come Bartoli e Casagrande. Ma se vengono certi risultati, vuol dire che mi allenavo».

A un certo punto si parlava di te come dell’erede di Franco Ballerini.

Lui me lo diceva sempre. «Se avessi il tuo fisico e la mia testa, non ce ne sarebbe per nessuno». Il paragone per la prima volta lo fece Marcello Perugi, un vecchio direttore sportivo che purtroppo è morto lo scorso settembre. «Te sei come Franco – disse – ma con un po’ più di classe». Perché Franco quando andava a tutta, un po’ stantuffava. Così me lo fece conoscere e uscimmo anche insieme, solo che ai tempi io ero un ragazzino e lui un professionista, sempre in giro. Poi quando passai anche io, divenne una figura da seguire.

Cosa fai oggi?

Ho il mio tiro al piattello, più ho un B&B con il ristorante sotto, “Il boschetto”, che gestisco con la mia compagna Samanta. Quest’anno ho dato anche una mano alla griglia, per non dover pagare una persona in più. Al tiro si è lavorato fino a settembre, poi s’è aperta la caccia e hanno smesso di venire. Vivo a Montemiccioli, un borghetto medievale di tre anime fra Volterra e Colle Val d’Elsa.

Segui ancora il ciclismo?

Poco per via del lavoro. Com’è stato seguirlo dal vivo con tante transenne? In televisione sembra lo stesso, però si capisce che non è uguale. Mi tiene aggiornato Balducci e qualche volta anche Alberto Bettiol. Simpatica questa cosa di Piepoli! E’ vero che a volte deve essere spronato, ma Gabriele fa un buon lavoro. Alberto ha vinto il Fiandre da giovane, se fa un’annata regolare, combina sicuro qualcosa di buono.

In bici ci vai qualche volta?

Zero. Ma sapete che proprio in questi giorni mi sta venendo voglia di allenarmi? Ma prima dovrei rimettermi in forma.

E al periodo delle corse ci pensi qualche volta?

Ci penso sì, normale. E’ stata la mia vita, sono cose che rimangono e che rifarei. Ho visto il mondo, sono maturato. Ho eliminato dai ricordi le situazioni spiacevoli e le discussioni inutili. Ho smesso perché il Pieri a un certo punto non era più una persona, ma solo un gran motore. Mi accorsi che nonostante tanta gente, ero da solo. Quando mi feci male alla Roubaix, mi ci portò Balducci all’ospedale. Due giorni dopo. Avevo un foruncolo che si era gonfiato troppo e rischiava di esplodere all’interno. Mi operarono, mi misero dei punti.

Quella fu l’ultima Roubaix, nel 2004. Poi ci fu il progetto di rifarla con la Lpr nel 2007, con tanto di troupe della Rai che voleva seguirti.

Ma alla fine rinunciai, perché pensavo di aver trovato persone di un certo tipo, che invece alle spalle dicevano altro. Ho sempre avuto accanto la mia famiglia, gli amici veri e Balducci, il solo nel mondo del ciclismo.

Quali corse ricordi?

La prima vittoria a De Panne, quando presi la maglia. Mi dissi: «Allora sei buono per davvero!». Ma il vero rammarico ce l’ho per la volata di Roubaix. Ero in giornata eccezionale, ma trovai Aldag che non tirava e non si staccava. Se fossi riuscito ad andare via da solo, non mi prendevano. Invece arrivammo allo sprint e vinse Van Petegem. A quello sprint ammetto che ci penso spesso. Il secondo al Fiandre fu diverso. Feci un po’ il succhiaruote, sapevo di non avere tante banane e poi venni fuori bene all’ultimo chilometro.

Una vittoria avrebbe cambiato la tua carriera?

Ne sono certo, avrei corso ancora a lungo, perché non ero davvero un corridore spremuto.

Dario Pieri
Un gigante buono che si è sempre fatto in quattro per gli altri, non sempre ricambiato
Dario Pieri
Dario Pieri, un gigante buono
Hai detto che Bartoli e Casagrande erano fissati, come si troverebbe Pieri nel ciclismo di oggi dove quello è lo standard?

Dipende. Sono epoche diverse. Adesso nascono con tutto a portata di mano e se sanno sfruttare le opportunità, sono avvantaggiati. Io passai nel 1997, l’epoca dei grandi cambiamenti, del controllo dell’ematocrito, un periodo differente. Mi dispiace che ho smesso quando si sono ritirati Boonen e Van Petegem, magari trovavo spazio.

Sei felice?

Vivo con Samanta e le sue due figlie di 11 e 20 anni, Irene e Sara. Ho il mio lavoro e vado a caccia, stamattina sono rientrato prima per fare questa chiacchierata. Di cosa posso lamentarmi? Sì, sto bene così.

Alberto Bettiol, Giro delle Fiandre 2020

E Bettiol apre lo scrigno dei ricordi belli

24.12.2020
6 min
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Natale con i tuoi, così quelli di Lugano hanno caricato famiglie e biciclette sulle auto e sono discesi verso le case di origine, Bettiol fra loro.

«Sono in piena ripresa – dice il toscano della Ef Pro Cycling – perché ho avuto un po’ di febbre un paio di settimane fa, quindi mi sono fermato e ora sono ripartito alla grande, perché ho già perso un bel po’ di giorni. Ma non so ancora quando comincerò a correre. Certezze ce ne sono poche. Il primo periodo vero però dovrà essere quello dalle Strade Bianche in poi…».

Alberto Bettiol, mondiali Imola 2020
Alberto Bettiol ai mondiali Imola 2020 chiusi in 18ª posizione
Bettiol ai mondiali di Imola, 18° al traguardo
Però intanto comincerai senza Fabrizio Guidi, passato alla Uae Emirates…

E per me è stato un colpo. Eravamo arrivati insieme in America a fine 2014. E’ toscano, ha fatto il mio stesso percorso da corridore, da Massini a Balducci. Quando era in Toscana, passava a vedermi sul Serra, la sua salita. Ci si scambiava un’idea, mi vedeva dal vivo invece di guardare i file. Facevamo insieme Strade Bianche, Tirreno e Sanremo, preparando le classiche. Mi dava consigli e ne dava a Klier e Wegelius che sono i direttori per il Nord. L’anno che ho vinto il Fiandre lui l’aveva visto subito. Non entro nel merito delle scelte, non le ho volute nemmeno sapere. 

Quando l’hai saputo?

Non tanto tempo fa. Me lo ha voluto anticipare di persona come si fa tra persone serie, perché sapeva che una notizia del genere mi avrebbe un po’ stranito.

Che cosa vuoi dal 2021?

Conferme. Per me ogni anno deve essere un andare avanti, migliorarsi. Ovviamente vincere, in qualunque mese, qualunque tipo di corsa. Continuare a stare bene fisicamente e psicologicamente. Preparare una gara, arrivarci in forma, interpretarla bene tatticamente.

La stagione di Bettiol era ripresa con un ottimo 4° posto alla Strade Bianche
Quarto alla Strade Bianche, prima gara post lockdown
E’ difficile trovare la condizione?

In termini di concentrazione, devi lavorare su te stesso e l’approccio alle gare. Per la condizione atletica, ci sono tante cose che si devono incastrare. Se mi venisse a marzo la febbre dei giorni scorsi, sarebbe un problema. Servono fortuna, continuità di allenamento e di prestazione. Io non ci metto tanto a Trovarla. Madre Natura mi ha dato questa dote, non ho bisogno di tanti chilometri e giorni di gara. Non a caso, alle Strade Bianche quest’anno sono andato forte (4°, ndr), venendo da poco o niente. Solo con un bel blocco di allenamento a Livigno. Poi ovviamente bisogna dare continuità. Per trovare la forma, quella bella, ci vogliono le gare.

Hai più avuto la gamba del Fiandre 2019?

Secondo me, sì. Proprio al Fiandre, ad esempio, non ero meno di allora. Anche alla Liegi, nonostante i problemi intestinali. Al mondiale, troppo duro per me, vedendo altri colleghi che hanno mollato prima di me. La Gand lo ha dimostrato (4°, ndr). Al Fiandre non mi hanno staccato in salita ma in un tratto tecnico in discesa, però era anche 30 chilometri meno. Ma quel giorno lì, l’anno scorso al Fiandre, fu più un discorso di testa. Conta la forza, ma conta anche la libertà mentale. Arrivare lì spensierato, buttare il cappello per aria, come si dice noi qua. L’Alberto Bettiol del 2019 non aveva niente da perdere. Ora è cambiata un po’ la musica, fortunatamente.

Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Sul pullman della Ef Pro Cycling, Bettiol con Vaughters e Modolo, dopo il Fiandre 2019
Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Con Vaughters sul pullman dopo il Fiandre 2019
Allenarsi da solo oppure in gruppo?

Per me sono importanti la banda di Lugano e quella toscana. Ieri mi sono allenato con Sbaragli e Sabatini, anche con Visconti. E’ meglio uscire in compagnia, con dei professionisti però. Si parte insieme o ci si incontra, su ogni salita ognuno fa il suo lavoro, ci si aspetta in cima, ci si ferma al bar, fai il medio… Ieri abbiamo preso 3 ore e mezza di acqua. Probabilmente da solo ne avrei fatta una e sarei tornato a casa. Con loro, ridendo e scherzando, siamo arrivati in fondo. Io non ho la forza mentale di partire e fare il lavoro in ogni condizione. Con gli amici, con i compagni di allenamento viene più facile

Avrai sempre qualcuno accanto?

Non diventerò mai autonomo, avrò sempre bisogno di persone a fianco. Adesso ho Gabriele Balducci (suo diesse da U23 alla Mastromarco, ndr) e Leonardo Piepoli. Leonardo puramente per l’aspetto della preparazione e un po’ anche psicologico, perché alla fine siamo sempre noi con i nostri problemi. Gabriele è la persona per quando sono in Toscana, che mi sa vedere, mi conosce in bicicletta come pochissimi altri. Con Leonardo s’è creato questo triangolo che funziona bene. Sono molto fortunato. Prima c’era anche Mauro Battaglini, riduttivo definirlo il mio procuratore, che purtroppo non c’è più (si è spento il 5 settembre 2020, dopo una lunga malattia, ndr).

Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
La Ef Pro Cycling usa ruote Vision: ecco Bettiol con Claudio Marra festeggiando il Fiandre
Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
Nella sede di Vision, Bettiol con Marra, a fine 2019
Perché riduttivo?

Perché mi ha lasciato una quantità di cose, di insegnamenti, di lezioni di vita, di stile… Era una delle persone più vanitose che abbia conosciuto sulla faccia della terra (ride, ndr). Gli ultimi periodi non ha mai voluto che io andassi a fargli visita, a casa o in ospedale, perché probabilmente si vergognava, per il suo pudore. Una persona tutta d’un pezzo, una persona d’altri tempi. Il più bel ricordo è quando è voluto venire l’anno scorso in Canada, alle due gare di Toronto e Montreal, perché non le aveva mai viste e mi aveva detto che prima di andare in pensione voleva fare tutte le gare del WorldTour.

Come andò?

Probabilmente lui si sentiva già dentro qualcosa e senza dirmi niente ha fissato gli stessi voli che avevo io. Mi ricordo proprio il viaggio di ritorno da Montreal, di notte. Io ero stanco, ma non abbiamo mai dormito perché mi ha raccontato tutta la sua vita. Per me, questo è un bel ricordo. Gli ultimi mesi ha sofferto tanto. Poi quella telefonata di sua moglie…

Carlo Franceschi, Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco corre con bici Cannondale. Qui con Franceschi e Balducci
Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco di Balducci corre con Cannondale
L’hai saputo così?

Aveva lasciato cinque numeri di telefono da avvisare. Mauro era un calcolatore, niente lo sorprendeva. Lui calcolava tutto e ha calcolato anche cosa dovevano fare sua moglie e suo figlio nel giorno in cui sarebbe morto. Per me rimarrà per sempre come un babbo. Pinuccia è molto brava. Per il Covid non l’ho potuta rivedere, non sono andato a trovarlo al cimitero, ma farò tutto (la voce si inceppa, ndr). Mauro era uno dei pilastri che sorreggeva la mia casa. E quando si butta giù un pilastro, la casa ovviamente non crolla perché ci sono gli altri due o tre. Però la botta si è sentita.

A gennaio sul Teide?

Con Keukeleire e un massaggiatore. Ormai sono un belga adottato. Si va dal 15 gennaio al 2 febbraio. Poi andrò a correre, non lo so ancora dove…

Buon Natale, ragazzo…

Buon Natale a tutti voi!