Villa a Liegi con la febbre: «Voglio tornare per godermela di più»

26.04.2024
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Giacomo Villa risponde al telefono mercoledì mattina, lo intercettiamo mentre sta uscendo per l’allenamento. A quasi tre giorni di distanza dalla sua prima Liegi-Bastogne-Liegi, terminata dopo 70 chilometri, l’emozione di essere stato alla Doyenne non è svanita (in apertura foto PRM x Bingoal). Sicuramente non se la sarebbe immaginata così, ma essere presenti in certe corse ha sempre un valore positivo

«Riprendo oggi – racconta Villa – dopo due giorni di stop. Alla Liegi ho corso con la febbre, ho provato a tenere duro, ma è stato impossibile. L’idea era quella di mettermi comunque a disposizione della squadra ma sono durato 70 chilometri. Praticamente fino alla prima macchina dei massaggiatori. Il clima di freddo e pioggia trovato anche alla Liegi non mi ha aiutato, vista la settimana che abbiamo vissuto in gruppo».

Il freddo e la pioggia della Freccia Vallone hanno condizionato l’avvicinamento alla Liegi (foto PRM x Bingoal)
Il freddo e la pioggia della Freccia Vallone hanno condizionato l’avvicinamento alla Liegi (foto PRM x Bingoal)

Il freddo ha colpito

Villa era alla partenza anche della Freccia Vallone, corsa che hanno terminato solo 44 degli oltre 170 corridori partiti. Una settimana di freddo e pioggia che è culminata in una febbre che ha condizionato in negativo la prima Classica Monumento del giovane della Bingoal-WB.

«La febbre – continua – mi è venuta sabato sera, a poche ore dalla Liegi. Ho provato ad abbassarla con una tachipirina, cosa che ha funzionato in parte. Domenica mattina, il giorno della gara, stavo discretamente bene. Sensazione che è durata una manciata di ore, perché appena partiti si è rialzata subito. Ho pagato la settimana di freddo e pioggia che abbiamo preso in Belgio.

«Alla Freccia, corsa mercoledì, ho mollato solamente all’ultimo passaggio sul muro di Huy. Ero in una “terra di nessuno” perché mi trovavo insieme a Ulissi e due corridori della Quick-Step, a metà tra i primi 30 e gli ultimi 10. L’ammiraglia della formazione di Lefevere è arrivata e ha detto ai suoi ragazzi di fermarsi dopo l’arrivo, io ero indeciso su cosa fare e li ho seguiti».

Nonostante il brutto tempo la Liegi ha visto un grande richiamo di pubblico, come merita una Monumento
Nonostante il brutto tempo la Liegi ha visto un grande richiamo di pubblico, come merita una Monumento
Come stavi dopo la Freccia?

Bene, tanto che mi sono fermato in Belgio per preparare la Liegi. Giovedì abbiamo fatto un paio d’ore di allenamento, sempre al freddo, mentre venerdì dovevamo vedere il percorso della Doyenne, ma è stato impossibile.

Sempre troppa acqua?

Non ha smesso di piovere un secondo. Dovevamo fare i primi 30-40 chilometri per trovare il punto giusto per poi andare in fuga domenica. Venerdì pioveva così tanto che siamo riusciti a fare solo i primi 10 chilometri. Secondo me quella è stata la mazzata definitiva, tanto che sabato mi sono svegliato che ero barcollante e infatti la sera mi è venuta la febbre.

In fuga per la Bingoal alla Doyenne è andato Loïc Vliegen
In fuga per la Bingoal alla Doyenne è andato Loïc Vliegen
Anche se per poco hai corso la tua prima Monumento…

Sono rimasto affascinato, devo ammetterlo. La verità è che a inizio anno sapevo che in questa squadra ci sarebbe stata la possibilità di correre la Liegi ed è stato un mio obiettivo fin da subito. Raggiungerlo al primo anno mi ha fatto un immenso piacere, anche se non l’ho vissuta come avrei voluto.  

E come avresti dovuto viverla?

Con la squadra eravamo d’accordo che sarei dovuto andare in fuga. Tanto che domenica mattina, nonostante le condizioni precarie, alla partenza mi sono messo in seconda fila. Diciamo che sono durato poco. Alla prima salitella mi hanno sfilato in 30 e sono finito a metà gruppo. Ogni chilometro che passava tra vento, pioggia e freddo perdevo posizioni. Così appena vista l’ammiraglia mi sono fermato. 

Com’è stato vivere la Liegi? 

In queste occasioni capisci quanto siano amati i grandi eventi. Rispetto ad altre gare, che sono comunque tanto frequentate dai tifosi, non c’è paragone. Ti senti come se tutti sappiano chi sei, chiedono autografi, foto…

Villa è rimasto affascinato dalle corse nelle Ardenne e nel 2025 vuole tornare e perché no correrne di più (foto PRM x Bingoal)
Villa è rimasto affascinato dalle corse nelle Ardenne e nel 2025 vuole tornare e perché no correrne di più (foto PRM x Bingoal)
C’era tanto pubblico nonostante la pioggia?

In quei primi 70 chilometri ogni volta che entravamo in un paesino trovavamo due muri di gente. Mi sa che in Belgio sono abituati a questo clima (ride, ndr). I tifosi sono scesi in strada armati di mantelle e ombrelli. 

Allora l’obiettivo è quello di tornare?

Certo. Magari fare anche qualche altra semiclassica in quelle zone. Il team partecipa a tante gare del genere, soprattutto quelle con il pavé e devo ammettere che mi hanno intrigato parecchio. Speriamo che nel 2025 ci possa accogliere il sole.

EDITORIALE / Si poteva evitare lo scempio della Freccia Vallone?

22.04.2024
5 min
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LIEGI (Belgio) – La settimana scorsa eravamo sparsi in ogni angolo d’Europa, la qual cosa ci riempie di orgoglio. Alberto Fossati, appena tornato da un viaggio in Spagna con Ridley, è quello che come meteo se l’è passata meglio. Simone Carpanini e Gabriele Bonetti erano al Tour of the Alps e si sono presi la loro dose di neve e pioggia. Stefano Masi all’Eroica Juniores ha visto l’annullamento di una tappa per la grandine. Infine il sottoscritto, tra Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, ha vissuto una settimana d’inverno in Belgio. In attesa di fare ritorno in Italia, è venuto perciò spontaneo fare una riflessione sul diverso trattamento che le condizioni meteo avverse hanno avuto nelle tre corse in questione.

Eroica Juniores, tappa annullata

In Toscana, vuoi un mezzo sciopero (tutto da capire) dei corridori e vuoi qualche indicazione imprecisa, la Giuria ha ritenuto di annullare la terza tappa, data la presenza di grandine sulla strada, che rendeva impraticabile la discesa finale su Montevarchi. Si poteva passare? Decisione presa e palla al centro: ha vinto l’interesse dei corridori. Se non lo avete ancora fatto, potete leggere tutto nell’articolo di Stefano Masi.

«Probabilmente – ha detto il direttore di corsa Paolo Maraffon – si sarebbe potuto fare l’arrivo in cima a Monte Luco. Solo che a Levane, dove c’è stata l’effettiva neutralizzazione, i corridori sono andati dritti alle macchine. Quindi alla fine la decisione è stata quella di non ripartire, i ragazzi hanno praticamente fatto sciopero. Per carità, tutto legittimo, anche perché avevo quattro ragazzi in macchina e tutti tremavano dal freddo. Uno di loro lo abbiamo dovuto accompagnare in due tenendolo per le braccia».

Eroica Juniores, terza tappa annullata. Un corridore intirizzito cerca di riscaldarsi
Eroica Juniores, terza tappa annullata. Un corridore intirizzito cerca di riscaldarsi

Tour of the Alps, freddo sopportabile

Al Tour of the Alps, i corridori hanno preso freddo, ma evidentemente non c’erano le condizioni per applicare il protocollo sulle avverse condizioni meteo.

«Abbiamo trovato neve guidando sul Brennero per rientrare in Italia – spiega Simone Carpanini – mai sulla corsa. L’unica tappa un po’ al limite è stata la terza, quella di Schwaz, in cui è andato in fuga Ganna e che alla fine ha vinto Lopez su Pellizzari. Era una tappa di 124 chilometri, il freddo c’era, ma soprattutto perché i corridori non se lo aspettavano ad aprile. Alcuni sono andati in fuga per scaldarsi, ma niente di troppo estremo. Ricordo che nei giorni successivi ne ho parlato con Pellizzari, mi sembra, e mi diceva che erano stati fortunati a non avere avuto le stesse condizioni della Freccia Vallone. Le immagini di Skjelmose semi assiderato li hanno colpiti parecchio».

Terza tappa del Tour of the Alps: Pellizzari si congratula con Lopez, dopo la sfida sotto la pioggia gelida
Terza tappa del Tour of the Alps: Pellizzari si congratula con Lopez, dopo la sfida sotto la pioggia gelida

Il caso Freccia Vallone

Già, che cosa è successo alla Freccia Vallone? Le previsioni meteo, che ormai non sbagliano un colpo, dicevano che intorno all’ora di pranzo su Huy si sarebbe abbattuta una sorta di tormenta di ghiaccio. Per questo motivo, Roberto Damiani che rappresentava i gruppi sportivi, ha proposto alla Giuria di valutare la riduzione di un giro: arrivo sul terzo Muro d’Huy, anziché sul quarto. La risposta è stata: «Vediamo» e non lasciava presagire niente di buono. Come spesso accade, nulla ha detto invece Staf Scheirlinckx, rappresentante del CPA per il Belgio.

Quando all’ora di pranzo sulla corsa si è abbattuta la nevicata mista a grandine, con temperatura di due gradi, dalle auto della Giuria non è arrivato alcun cenno. Risultato finale: chi si era coperto alla partenza, sudando come in sauna per le prime due ore di corsa, è riuscito a fare la corsa. Gli altri hanno patito una gelata che non dimenticheranno e che ha condizionato il resto della loro settimana. In ogni caso, la Freccia si è conclusa con 44 corridori all’arrivo, 129 ritirati e 2 che non sono partiti.

Dopo l’arrivo, la rivalsa di alcuni team manager e direttori sportivi si è abbattuta sul loro rappresentante: Roberto Damiani. Il quale ha fatto presente di aver segnalato la cosa per tempo e di aver offerto anche una via d’uscita. Annullare un giro a Huy non avrebbe falsato la corsa: «Ma andava fatto subito – dice Damiani – prima che Kragh Andersen andasse in fuga».

Interlocutori diversi

Qualcuno ha scritto sui social che se i corridori si lamentano per queste condizioni, forse hanno sbagliato mestiere. Altri hanno fatto notare che quando Hinault vinse la Liegi nel 1980, finirono la corsa solo 21 dei 174 corridori partiti.

Tutto si può fare e dire. «Non c’è buono o cattivo tempo – diceva da buon militare Baden Powell, fondatore degli scout – ma solo buono o cattivo equipaggiamento». Alla Freccia alcuni hanno sbagliato materiali e altri no, ma c’erano tutte le condizioni per ridurre la prova. Al Giro del 2020 ridussero una tappa solo perché pioveva forte e non era neanche freddo. Si possono fare tutte le congetture che si vogliono e applicare le proprie convinzioni e spesso le frustrazioni alle vite degli altri.

Quello che tuttavia traspare da questi tre casi (forse due, ritenendo che al Tour of the Alps non si sono raggiunte condizioni estreme) è che la vera differenza la fa il potere dell’organizzatore. Perché una Giuria si sente in diritto di fermare una gara juniores organizzata da Giancarlo Brocci, mentre un’altra si volta dall’altra parte quando davanti ha il Tour de France?

Il prossimo anno, andando al via della Freccia Vallone, avremmo tutti ricordato la saggezza dei giudici e celebrato un vincitore comunque degno dell’evento. In cima al Muro d’Huy, che fossero 197 o 168 chilometri (la distanza con un giro in meno), avrebbe comunque vinto un grande corridore.

La Freccia di Williams, del gelo e degli gnocchi di Formolo

17.04.2024
5 min
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HUY (Belgio) – «Hai presente quando sei in trance per il freddo e non riesci a capire dove ti trovi? Ero lì che pedalavo, sapevo di essere alla Freccia Vallone, ma a un certo punto mi sono messo a chiedere dove fossimo. Se nel primo gruppo oppure dove, perché non capivo davvero. Adesso ho un piatto di gnocchetti che mi aspetta, ma prima devo scaldarmi le mani, che quasi non le sento…».

Formolo è stato il primo degli italiani alla Freccia. Sul pullman ha ritrovato il sorriso e gli gnocchi
Formolo è stato il primo degli italiani alla Freccia. Sul pullman ha ritrovato il sorriso e gli gnocchi

Tre italiani all’arrivo

Davide Formolo è stato il primo degli italiani alla Freccia Vallone, 24° a 36 secondi dal vincitore Williams che si fa attendere. Alla fine se non altro ha smesso di piovere e buttar neve, ma a un certo punto, visto il veronese risalire posizioni, abbiamo sperato che ne avesse per tentare l’allungo. Non è stato semplice essere italiani su questo muro, senza corridori azzurri nel primo gruppo, ad eccezione appunto di Formolo. Gli altri compaesani ad aver finito la Freccia Vallone sono stati Lorenzo Germani (quarantesimo) e Luca Vergallito, quattro posti dopo di lui: ultimo classificato.

«La Freccia è meglio vederla in televisione che starci dentro – dice il lombardo approdato al WorldTour dal mondo Zwift – sono distrutto. Nei primi 80-90 chilometri c’è stato tempo bello, meglio di quanto ci aspettassimo. Poi sono iniziati il diluvio, il freddo, un po’ di grandine e pure la neve. E’ stata una gara a eliminazione, io mi sono staccato sul penultimo passaggio del Muro d’Huy e poi ho portato la bici all’arrivo e basta. Ho fatto fatica anche a mettere le mani in tasca per prendere da mangiare. Sicuramente chi ha vinto oltre a essere forte, è stato anche bravo a alimentarsi in maniera corretta».

Luca Vergallito, 44° all’arrivo, è stato l’ultimo degli atleti classificati alla Freccia Vallone
Luca Vergallito, 44° all’arrivo, è stato l’ultimo degli atleti classificati alla Freccia Vallone

Germani e il freddo

«E’ stata una giornata strana – dice Germani – siamo partiti col bello e sapendo che avrebbe piovuto, ma non così. Magari sono partito un po’ troppo coperto, con crema riscaldante e all’inizio della gara sentivo caldissimo. Poi però, da quando ha cominciato a piovere, ha cominciato a fare davvero freddo. Ho cercato di fare il mio. Ogni volta che mi staccavo, cercavo di rientrare per aiutare Gregoire o Madoouas, ma è stata una giornata talmente particolare che anche loro ne hanno risentito. Non ho avuto delle sensazioni buonissime, ma con questo tempo non si possono avere…».

Attacco a sorpresa

Quando Williams ha attaccato, i primi hanno avuto appena il tempo di guardarsi. Nessuno attacca mai in quel punto, perché di solito poi si pianta. Eppure proprio quella piccola esitazione ha spalancato la porta al britannico della Israel Premier Tech, che al momento di tagliare il traguardo ha ricordato la gestualità e lo sguardo stravolto di Dan Martin.

«Penso di essermi mosso un po’ prima del solito – racconta – ma c’era un po’ di stallo. Tutti hanno rallentato e credo che nessuno si aspettasse un attacco del genere. Ho potuto farlo perché ero certo delle mie gambe. Ho seguito l’istinto e ho visto che quello era il momento perfetto per partire. Ho pensato che se fossi riuscito a ottenere un margine sufficiente, una volta visto il traguardo sarei stato capace di soffrire più degli altri. E alla fine è bastato. Penso di essermi voltato spesso negli ultimi cento metri. Si stavano avvicinando, ma dopo 200 chilometri sotto la pioggia, fai la differenza con la capacità di soffrire ed ero certo di me».

Dopo l’arrivo di Huy, Williams era stravolto, ma il suo sforzo è stato perfetto
Dopo l’arrivo di Huy, Williams era stravolto, ma il suo sforzo è stato perfetto

Gli occhi al cielo

La differenza in questa Freccia Vallone, che ha perso subito i big del gruppo (ritirati o staccati), l’hanno fatta la fiducia, la capacità di gestire alimentazione, abbigliamento e stress.

«Chiedete a qualcuno dei miei compagni di squadra – dice – ieri sera e stamattina, guardavamo sempre il cielo per capire come sarebbe stato il meteo. In effetti è davvero difficile correre in queste condizioni. Il circuito non era incredibilmente tecnico, quindi era gestibile. Ugualmente la cosa più difficile è provare a fare le cose normali in certe condizioni. Quindi mangiare, bere, cercare di non esagerare con lo stress, cercare di non vestirsi troppo. E oggi ho fatto tutto perfettamente.

«Sono partito con un paio di mantelline in tasca e penso di aver tolto l’ultima a 10-15 chilometri dall’arrivo. Mi sono sentito davvero a mio agio per tutto il giorno. Le mie mani si sono un po’ increspate, i piedi sono diventati freddi a un paio di giri dalla fine, ma a quel punto il gruppo era davvero piccolo. Eravamo tutti uguali in una corsa di bici, potevo gestirlo.

325 grammi di gnocchi

A proposito di mani, quelle di Formolo ormai hanno ripreso colore e vita. Il veronese scherza: dopo una doccia ed essersi infilati in abiti asciutti, la vita cambia prospettiva.

«Ha cominciato a piovere e fare freddo – racconta ancora Formolo – quando siamo entrati nel circuito finale. La UAE si è messa davanti a tirare e così non si riusciva a coprirsi. Si sapeva che avrebbe piovuto e per questo sono partito con i guanti in neoprene nelle tasche e anche la gabba a maniche lunghe. Solo che ho impiegato 10 chilometri per infilarmi i guanti e a quel punto la gabba era bagnata e non entrava più. Sono arrivato al classico punto che non capisci più niente. Difficile dire quanto freddo abbia sentito, difficile fare una classifica. E’ una di quelle giornate che per fortuna capita solo un paio di volte ogni anno. Diciamo un buon allenamento per la Liegi (ride, ndr). E adesso però si mangia: 325 grammi di gnocchi con ragù di pollo e tacchino. Ho così fame, che quasi ci farei il bagno».

I guanti di Scinto per la Freccia di Bartoli…

20.02.2024
5 min
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Un paio di guanti, Luca Scinto, Michele Bartoli e la Freccia Vallone: metti tutto insieme e ne esce un bell’aneddoto di ciclismo.

Qualche giorno fa Michele Bartoli ci ha parlato della classica delle Ardenne. Il campione toscano è intervenuto sugli effetti tecnico-tattici che potrebbe avere l’inserimento del quarto passaggio sul Muro d’Huy. Inevitabilmente si finì per parlare anche della sua Freccia Vallone, quella del 1999.

Un’edizione storica, sia perché fu l’ultima ad essere stata vinta con un attacco da lontano e non con la selezione sul muro finale, sia per il maltempo che imperversava ad Huy quel giorno. Vento, neve, pioggia… insomma tipico meteo da Belgio. Ma c’è dell’altro. 

Michele Bartoli e Luca Scinto ai tempi della Mapei
Michele Bartoli e Luca Scinto ai tempi della Mapei

Guanti oversize

C’è una storia di un guanto e del suo proprietario, Luca Scinto. Un guanto, anzi, un paio di guanti a dire il vero che iniziarono la corsa con Luca e la finirono con Michele. 

«Ricordo – racconta Scinto con grande passione – che cominciava il tempo brutto. Iniziava a nevischiare. Michele ci disse di andare avanti. Avevamo appena superato il penultimo passaggio sul Muro d’Huy. E lì il gioco si faceva duro. Si scendeva decisi. C’erano curve e controcurve, per di più la strada era bagnata. Poi ad un tratto si girava secchi e con questa curva a 90 gradi iniziava la salita».

Scinto è una fonte di particolari. Ancora una volta fa impressione ascoltare certi racconti. I corridori rammentano tutto. A momenti il direttore sportivo toscano ricorda il rapporto che aveva in canna! Parla della salita, al 5-7 per cento di pendenza che fece da antipasto allo scatto di Bartoli.

«Era una salita stretta – prosegue Scinto – Bartoli ci disse di farla forte e che poi ci avrebbe pensato lui. La feci come se il mio arrivo fosse in cima. Quando dovevo fare un lavoro lo facevo al massimo. Ci si mise a tirare. Il gruppo si allungò. Già dopo il Muro d’Huy era bello allungato, figuriamoci in fondo alla discesa. Anche per questo iniziammo la salita forte. Chi era in coda, dopo quella curva a 90 gradi, ancora doveva finire la discesa e chi era davanti invece era già in piena salita. Così io e Coppolillo facemmo a tutta questi cinque chilometri di salita. In cima eravamo rimasti in venti o poco più. Dietro c’era uno sparpaglio della miseria».

La corsa va come vuole Bartoli. Grande ritmo, grande selezione, davanti solo i migliori. E proprio in quel frangente, con il grosso della selezione ormai fatta e il gruppo esploso, Bartoli fa a Scinto: «Luca, mi vai a prendere i guanti lunghi in ammiraglia? Qui comincia a nevicare e fa freddo».

«Come i guanti, Michele? L’ammiraglia sarà chissà dove – racconta Luca – così gli diedi i mei. Infatti se osservate bene, all’arrivo, quando Michele alza le mani, indossa dei guanti troppo grossi. Le miei mani sono il doppio delle sue!».

Bartoli festeggia sul muro… con i guanti giganteschi di Scinto
Bartoli festeggia sul muro… con i guanti giganteschi di Scinto

Mani nude nella neve

Poco dopo lo scambio dei guanti Bartoli attaccò. Andò via portandosi dietro Den Bakker e Camenzind. Li cucinò per bene strada facendo. Mentre Scinto, Bettini e Coppolillo erano dietro che remavano. Nonostante tutto, Luca concluse la sua Freccia al 15° posto.

«Arrivai per la disperazione, faceva un freddo cane a quel punto. Ricordo che a Bettini si girò un dito dal gelo. E infatti si ritirò. Salii sull’ammiraglia di Damiani, mentre Parsani era davanti con Bartoli. Io avevo le mani scoperte e in certe situazioni è la peggior cosa. Non riuscivo più a cambiare. Per togliere il 53, sul Muro d’Huy usai il palmo della mano. All’epoca la leva Shimano dovevi spostarla tutta. E lo stesso per mettere il 28 dietro, ammesso sia stato un 28!».

Mani congelate, ma sorriso in volto, o almeno interiore, per Scinto. Dalla radiolina, ricorda il toscano, arrivò la notizia che Michele, circa 4′ prima di lui, aveva tagliato il traguardo per primo.

Sul bus della Mapei scattarono i racconti, più che la festa. «Quando Bartoli puntava le Ardenne – aggiunge Scinto – di festa se ne faceva poca». La Liegi era lì che lo chiamava e Michele non l’avrebbe mai buttata all’aria per un bicchiere di troppo. Né lui, né i suoi compagni. Compagni che erano amici oltre che gregari. Per di più alcuni di loro erano toscani come lui.

«Ognuno – va avanti Scinto – raccontava la sua. Io dissi che nell’ultima discesa, prima di prendere il Muro, scesi con una mano sul manubrio e con l’altra a riparare gli occhi dalla neve che arrivava forte di traverso. Avevo gli occhiali giù, ormai appannati, quindi con una mano guidavo e con l’altra appunto mi riparavo dalla neve. Per 15 giorni ho avuto i polpastrelli gelati e non sentivo nulla».

Den Bakker, Bartoli e Camenzind in fuga alla Freccia del 1999. L’ultimo a cedere fu il corridore della Rabobank (Bridgeman Images)
Den Bakker, Bartoli e (dietro ma nascosto) Camenzind in fuga in quella Freccia del 1999 (Bridgeman Images)

Bartoli l’inventore

Scinto spiega che il percorso lo conoscevano, ma non lo avevano provato e riprovato come si fa ai tempi attuali: «Avevamo fatto una ricognizione, ma Michele improvvisava. 

«Non era come oggi che i ragazzi si dice di ogni curva, di ogni tombino prima di partire. Poi montano in bici, vanno alla partenza e si sono già scordati tutto. Michele si ricordava quello che serviva. Sapeva quali erano i punti decisivi e su quelli si concentrava. Era un inventore. Quello che gli veniva in mente in corsa, lo faceva. Io credo che se Michele Bartoli avesse corso oggi sarebbe stato un Van der Poel della situazione».

E i guanti che fine hanno fatto?

«Michele – conclude Scinto – me li restituì. Ma fra la trasferta, gli anni e tutto il resto… me ne è rimasto uno solo. La gente non ci crede, ma quel guanto ha vinto una Freccia! Michele fece un numero quel giorno e mi ringraziò. Senza i miei guanti forse si sarebbe congelato e addio Freccia».

Il quarto Muro d’Huy cambierà il film della Freccia?

12.02.2024
4 min
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«Partiamo da questo – dice Bartoli secco – alla Freccia Vallone dovevano cambiare qualcosa, perché non mi piace una corsa così che generalmente arriva agli ultimi 150 metri con 70-80 atleti. Non è assolutamente la classica che deve avere questo svolgimento. Quindi secondo me fare una volta in più il Muro d’Huy, visto il coraggio superiore che c’è in gruppo negli ultimi tempi, è sicuro che potrebbe far male».

Il quarto Muro

Per celebrare il quarantesimo arrivo in cima al Muro d’Huy, inserito nel programma della Freccia Vallone nel 1985, gli organizzatori di ASO hanno deciso che il 17 aprile, la 88ª edizione della Freccia Vallone che partirà nuovamente da Charleroi scalerà il celebre Chemin des Chapelles per quattro volte, cioè una in più del solito. Il circuito finale, lungo 140 chilometri, vedrà la scalata del muro ogni 31,6 chilometri. Non ci sarà la Cote de Cherave, ma fra un muro e l’altro i corridori dovranno scalare la Cote d’Ereffe.

«La tradizionale Cote de Cherave – ha spiegato Jean-Michel Monin, responsabile della corsa per ASO – quest’anno non ci sarà a causa di lavori nel centro di Huy. L’aggiunta di un quarto passaggio sul Muro non ha precedenti per la Freccia Vallone. Chissà come reagiranno i corridori a queste due salite extra. Nulla però dice che la formula verrà mantenuta anche nel 2025, perché la Cote de Cherave è molto bella nel finale e recuperarla potrebbe essere un nostro obiettivo».

Lo scorso anno Pogacar vinse la Freccia Vallone aspettando l’ultima scalata del Muro d’Huy
Lo scorso anno Pogacar vinse la Freccia Vallone aspettando l’ultima scalata del Muro d’Huy

Preparata a tavolino

Bartoli la Freccia Vallone la vinse con un’azione da lontano, resa ancora più eroica dalla giornata di tregenda, fra pioggia e neve. Il toscano non attese l’ultima scalata del Muro, pur avendo l’esplosività per giocarsela con i rivali di allora.

«Mi ricordo – spiega – che chiesi alla squadra di fare a tutta il penultimo Muro d’Huy. C’erano Steinhauser e Noè e lo fecero davvero forte. Avevamo programmato l’attacco sulla salita successiva. In quel modo fu facile fare selezione, scremammo un po’ gli avversari e nel punto prestabilito andammo via in tre e poi rimasi da solo. Mi sarebbe piaciuto avere un quarto passaggio, una gara più dura. Però si poteva attaccare anche prima avendone tre, si sfruttava quel che si aveva. Secondo me è soprattutto una questione di coraggio. Puoi mettere anche due muri in più, ma se poi li fanno piano, non serve a niente».

Il record di vittorie alla Freccia Vallone è di Alejandro Valverde, che nel 2017 siglò la quinta
Il record di vittorie alla Freccia Vallone è di Alejandro Valverde, che nel 2017 siglò la quinta

Questione di coraggio

Sta tutto a trovare chi avrà le gambe e la voglia di attaccare prima della scalata finale. Se anche l’imprevedibile Pogacar lo scorso anno si accontentò di fare la differenza sull’ultima, chi potrebbe anticipare sapendo che nel finale li avrebbe tutti sul collo?

«La Freccia Vallone – ribadisce Bartoli – deve essere più selettiva, è brutto aspettare la volatina negli ultimi 150, non ha senso. Quindi apprezzo questa scelta degli organizzatori, anche perché il Muro lo si affronta ogni 30 chilometri e non a troppa distanza una volta dall’altra. Ed è anche positivo che nel mezzo ci sia anche un’altra salita, in modo che il giro sia comunque impegnativo. Diciamo che chi si sente battuto nel corpo a corpo sull’ultima salita adesso ha il terreno per provarci. E’ una questione di tattica e di coraggio. Come all’Emilia con il San Luca. Non sempre si decide all’ultimo passaggio, qualche volta il colpaccio riesce…».

Pogacar domina anche il Muro. Ulissi ci racconta come è andata

19.04.2023
5 min
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«Tripletta Amstel, Freccia e Liegi come Gilbert? E’ un obbiettivo chiaramente e ci stiamo lavorando». A dirlo è Tadej Pogacar. E neanche lo puoi additare come “spaccone” visto il modo naturale e serio al tempo stesso con cui lo dice. Lo sloveno, ha vinto (anche) la Freccia Vallone. Il corridore della UAE Emirates è in una forma smagliante. E ora a queste latitudini tutti non aspettano altro che Remco Evenepoel, l’unico, s’ipotizza, che possa contrastare il suo strapotere sulle cotes.

E di questo stato di grazia ci parla Diego Ulissi. Il campione toscano transita sorridente dopo il traguardo, felice per la vittoria del compagno e del lavoro – ottimo – svolto con la sua squadra. Un pezzetto di questa vittoria è decisamente il suo. Diego ci porta nel viaggio di questa Freccia.

La chiacchierata con il toscano parte proprio con dei complimenti a lui e al team. «Tadej – dice Ulissi – sta veramente andando fortissimo e per noi sembra tutto facile. Dobbiamo solo metterlo nelle migliori condizioni per esprimersi. Penso che oggi abbiamo fatto un grandissimo lavoro di squadra. Siamo contenti».

Diego Ulissi (classe 1988) affianco a Pogacar. Il toscano doveva scortarlo soprattutto nel finale
Diego Ulissi (classe 1988) affianco a Pogacar. Il toscano doveva scortarlo soprattutto nel finale
Tu non lo hai visto, ma ti diciamo che in pratica è scattato da seduto. Solo nel finale si è alzato sui pedali.

Eh – ride Ulissi – è così. Come ho detto, sta andando davvero fortissimo. Speriamo di continuare… fino a domenica a questo punto.

In effetti sembra tutto facile, ma quando si ha un capitano così forte, cosa gli si dice in corsa? Come lo si aiuta? Qui basta evitare cadute e forature e il risultato è garantito…

Cerchiamo di correre davanti. Per fare così magari spendiamo anche diverse energie in più, però ne vale la pena. Alla fine basta rimanere concentrati.

C’era qualcuno che tenevate d’occhio più di altri?

Siamo concentrati su quel che dobbiamo fare noi. Gli avversari ce ne sono tanti e forti, quindi bisogna stare bene attenti sin dall’inizio. Sapete, quando Tadej sta bene non teme nessuno. Pertanto avevamo in testa di fare quello che avevamo in programma.

E qual era il programma?

Come detto cercare di tenerlo coperto. In riunione abbiamo parlato soprattutto dell’approccio alla parte finale. Volevamo cercare di rendere la gara più dura possibile. Più dura è, meglio è per lui. In particolare io e Hirschi dovevamo stargli vicino nell’ultimo giro. Così io (va detto che anche Ulissi sta molto bene, la sua faccia fresca a fine corsa ne è una prova, ndr)  ho fatto molto forte la penultima salita e Mark lo ha messo bene ad inizio muro. A quel punto toccava a lui… Ma tutto il giorno credo che abbiamo controllato la corsa alla grande. Tadej doveva aspettare il muro e così ha fatto. Abbiamo rischiato di essere un po’ lunghi. Avendo gli occhi addosso, un po’ tutti ci aspettavano non era facilissimo.

Ecco, occhi addosso. In settimana c’è stata qualche critica dopo l’Amstel sul fatto che è folle aiutare Pogacar mentre si è in fuga… C’è questa sensazione di essere costretti a prendere in mano la corsa? C’è la paura che tutti vi aspettino al varco?

Paura con lui proprio no! Semmai abbiamo ancora più motivazioni. Quando c’è Tadej in gara si lavora al meglio e senza paura. Anche perché è lui il primo che non si mette paura! E’ super tranquillo e questa sua tranquillità, credetemi, la trasmette anche a noi. Noi contiamo molto sul nostro lavoro, su quel che facciamo in settimana e non pensiamo agli altri.

Lo spettacolo del Muro d’Huy, dove i tifosi si fondono e confondono con i corridori
Lo spettacolo del Muro d’Huy, dove i tifosi si fondono e confondono con i corridori
In effetti c’era sempre qualche tuo compagno in testa al gruppo…

Questo perché stiamo bene. Chi non c’è è fuori per qualche caduta o intoppo vario, ma abbiamo dimostrato che quando stiamo bene tutti quanti, siamo tra le squadre più forti al mondo. 

Ma davvero questa Freccia Vallone (e in generale le classiche delle Ardenne) non erano in programma?

Questo non lo so. Ma so che sta andando forte e che voleva correre. E’ in una condizione incredibile e giustamente la vuole sfruttare. Poi si sa che quando Pogacar attacca il numero vuole vincere. La Freccia Vallone è una gara importante e voleva scrivere il suo nome nell’albo d’oro.

Con Pogacar, sul podio della Freccia Vallone numero 87, anche Skjelmose e Landa. A premiare Gilbert, a destra
Con Pogacar, sul podio della Freccia Vallone numero 87, anche Skjelmose e Landa
Come avete approcciato questa Freccia? Tra di voi ne avete parlato anche la sera prima oppure tutto si è risolto nella riunione del mattino?

Ci siamo concentrati soprattutto sul meeting della sera prima, ma poi cerchiamo sempre di sdrammatizzare, di staccare. Dobbiamo essere super concentrati per 5-6 ore e infatti anche oggi fino a pochi istanti prima del via scherzavamo e ridevamo.

Come si gestisce un Pogacar in corsa? Alla fine cosa dovete dirgli?

Lui si fida ciecamente dei compagni. Sa bene che ci sono atleti con più esperienza di lui. Atleti che hanno fatto certe corse anche dieci volte. Quel che dobbiamo fare noi è non perderlo d’occhio. Oggi per esempio a metà gara c’è stato un momento nel quale sembrava potessero esserci dei ventagli. A quel punto gli siamo stati ancora più vicini e lui ci ha seguito. Ormai corriamo insieme da diversi anni e a dire il vero non serve parlarci tanto.

Valverde, il signore della Freccia raccontato da Visconti

18.04.2023
7 min
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Domani la Freccia Vallone porterà sul Muro d’Huy tifosi e storie da raccontare. Quel budello ripido e silenzioso, che si inerpica lungo le Chemin de Capelles, per un giorno diventerà un’arena selvaggia. L’ultima vittoria italiana porta la firma di Rebellin: sembra ieri che lo intervistammo per parlarne, invece è passato più di un anno e nel frattempo quel dannato camionista, di cui non si sa più nulla, gli ha rubato la vita.

Oggi però vogliamo raccontarvi la Freccia e le Ardenne con gli occhi di Giovanni Visconti, che le ha vissute accanto a uno dei più grandi di sempre: Alejandro Valverde, che detiene il record di cinque vittorie a Huy e ha vinto quattro a Liegi.

Visconti e Valverde hanno corso insieme dal 2012 al 2016: l’anno successivo, Giovanni passerà al Bahrain
Visconti e Valverde hanno corso insieme dal 2012 al 2016: l’anno successivo, Giovanni passerà al Bahrain
Valverde lo conoscevi prima di andare alla Movistar nel 2012?

No, lo conobbi lì. Il primo approccio fu un messaggio Whatsapp. Chiesi il numero a Unzue, perché sapevo che Alejandro rientrava dalla squalifica e gli scrissi l’ammirazione che avevo e che ero strafelice di andare in squadra con lui.

E lui?

Più contento di me. Quell’anno rientrò con una vittoria al Tour Down Under, ma quando arrivammo ad Amorebieta ed eravamo in fuga noi due con Igor Anton, gli chiesi se potesse lasciarmi vincere e lui non fece neanche un’obiezione. Fu la prima vittoria in maglia Movistar.

Tu avevi già fatto le classiche con Bettini alla Quick Step, trovasti punti in comune?

Due situazioni completamente diverse. Paolo era molto meno metodico, Valverde sapeva cosa avrebbe fatto e cosa avrebbe mangiato ogni giorno fino alla gara. Bettini faceva le cose come gli venivano, anche perché in quegli anni il ciclismo era meno scientifico sul fronte della preparazione e dell’alimentazione. A colazione la Nutella non doveva mancare mai.

Il suo massaggiatore Escamez lo accoglie ogni giorno col suo bibitone proteico, poi sotto col riso e tonno
Il suo massaggiatore Escamez lo accoglie ogni giorno col suo bibitone proteico, poi sotto col riso e tonno
Invece Valverde?

Non era mai nervoso, però era schematico. Il suo massaggiatore Escamez, quando finivamo l’allenamento, gli faceva trovare un piattino di riso col tonno. Faceva così anche di pomeriggio. Intorno alle 17, si faceva portare lo stesso riso e lo faceva mangiare anche a me, che spesso ero suo compagno di camera. Mi diceva: «Come, come», mangia, mangia! E mi spiegava che me lo sarei ritrovato nelle gambe nel giorno della corsa. A tavola poi era anche più preciso.

Cioè?

Se nel piatto avevano messo più riso, lui lo scansava. Se doveva mangiare due pezzettini di pollo, il terzo lo scansava. Il bicchierino di birra, quello ci poteva stare. E spesso anche una pallina di gelato. Però se gliene portavano due, una la lasciava. Non c’era verso, non sbagliava mai. Ed era così anche a casa, perché sono stato da lui ad allenarmi. Io credo che in tutta la vita da corridore abbia mangiato solo riso bianco col tonno, oppure pollo. E anche in bici non scherzava.

In che senso?

Era maniaco dell’integrazione. Durante il giorno si prendeva i suoi 20 grammi di proteine, voleva la borraccia con le maltodestrine e gli aminoacidi. E anche in gara voleva che avessi le borracce identiche alle sue.

Com’era fare le ricognizioni sui percorsi?

Alejandro le faceva in maniera molto tranquilla. I primi tempi, ma questo riguarda la Liegi, sulla Redoute capitava di incontrare Florio (un italo-belga, grande tifoso di Giovanni, ndr) con la sua famosa torta di riso e un paio di volte ci siamo anche fermati. Negli ultimi tempi no, perché più passavano gli anni e più sapeva di non poter sbagliare neanche una virgola.

A livello di tensione, Freccia e Liegi per Valverde erano la stessa cosa? 

Uguale. Il suo programma era quello è lo stile di vita identico dalla mattina alla sera. Ci si distraeva solo la sera dopo la Freccia, magari si andava a mangiare fuori. Una volta che aveva vinto ci portò in un posto bello a Maastricht. Lui mangiò un piatto di riso o comunque cercò di avvicinarsi il più possibile alla sua alimentazione, mentre tutti noi ordinammo il sushi.

Sulla Redoute con Quintana: mancano tre giorni alla Liegi del 2015
Sulla Redoute con Quintana: mancano tre giorni alla Liegi del 2015
Si faceva anche la ricognizione sul Muro d’Huy?

Sempre. Col pullman ci fermavamo in basso, davanti a una scuola sulla sinistra con un muro molto alto, e lanciavamo le borracce ai bambini. Era un vero rituale, come pregare allo stesso modo tutti i giorni. Sempre la solita preghiera, che non cambiava mai.

Il Valverde della vigilia era nervoso?

Anche se era concentrato, il suo pregio era essere proprio un bambinone. Glielo dicevo sempre: «Tu sei capace solo di andare in bici». Infatti non riesce a smettere e lo ha sempre fatto col sorriso, perché è proprio quello che gli è piaciuto fino a 42 anni. L’ha fatto sempre seriamente, ma sempre con buon umore e scherzando. Sul pullman faceva lo scemo, certi scherzi è meglio non raccontarli (ride, ndr).

Si capiva dalla vigilia che avrebbe vinto?

Si capiva che avrebbe lottato per vincere, come in ognuno dei cinque anni che sono stato al suo fianco. Non c’era una sola gara in cui non volesse farlo. Si capiva casomai quando aveva una giornata storta, ma io penso che mi sarà successo al massimo due volte. 

In Belgio c’era spesso la sua famiglia…

La portava perché il 25 aprile è il suo compleanno e la Liegi è sempre in quei giorni. Nessuno gli ha mai fatto storie, anche perché Valverde era la squadra, quindi nessuno si permetteva di dire nulla. Forse per come è oggi, con le squadre tutte chiuse, anche lui avrebbe qualche problema.

Che ruolo avevi al Nord con lui? 

Gli stavo accanto, sempre. Ho partecipato a tre vittorie: una Liegi e due Freccia. Avevo capito da subito come voleva essere trattato e tante volte, anche se non era vero, gli dicevo quanto fosse tirato e che grande gamba avesse. Lui si girava e lo vedevi che era più motivato. Magari cavolate così gli davano l’uno per cento in più. Per il resto ho tirato tanto nei momenti decisivi della corsa dalla Freccia al Lombardia, passando per la Liegi e il Giro.

L’abbraccio a Sant’Anna di Vinadio, dopo il sacrificio che permise a Valverde di arrivare sul podio del Giro 2016
L’abbraccio a Sant’Anna di Vinadio, dopo il sacrificio che permise a Valverde di arrivare sul podio del Giro 2016
Che cosa hai imparato da Valverde in quegli anni?

Mi ha dato una grande lezione di umiltà. Io che ero super permaloso, da lui ho imparato anche a sapere arrivare secondo o essere d’aiuto ed essere ugualmente felice un compagno. A Sant’Anna di Vinadio nel Giro 2016, mi fermarono dalla fuga per aspettarlo e tirare 500 metri per lui: normalmente mi sarei stranito. Invece lui è arrivato, mi ha abbracciato e mi ha messo davanti agli occhi l’umiltà di un immenso campione. Quel gesto fu meglio di ogni ricompensa.

Teuns e la scelta dell’Israel: «E’ stata quella giusta»

30.01.2023
5 min
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Non senza sorpresa, lo scorso 5 agosto Dylan Teuns passò dalla Bahrain Victorious alla Israel Premier Tech. Una mossa clamorosa, con il team mediorientale che decise d’investire fior di quattrini sul corridore belga reduce da una grande campagna nelle Classiche del Nord, culminata con la vittoria alla Freccia Vallone. Non avviene sovente che nel mezzo della stagione ci siano cambi di casacca, la Israel Premier Tech contava forse sui suoi punti per salvarsi, ma alla fine non è stato sufficiente.

Sul podio con Valverde e Vlasov, Teuns a Huy festeggia la sua prima grande classica
Sul podio con Valverde e Vlasov, Teuns a Huy festeggia la sua prima grande classica

Il corridore di Diest si ritrova così, pur essendo stato uno dei protagonisti della stagione, a essere retrocesso fra le professional. Buon per lui che comunque la squadra sarà presente a tutti i principali appuntamenti dell’annata grazie alla deroga dell’Uci riguardante le due formazioni retrocesse, ma queste vicende rischiavano di minare la sua fiducia. Molti nella sua situazione avrebbero preferito non parlarne, invece Teuns è stato subito molto disponibile.

La chiacchierata, realizzata attraverso Zoom mentre il trentenne belga sta svolgendo l’ultimo ritiro in vista dell’esordio stagionale, programmato per l’1 febbraio all’Etoile de Besseges, parte dalla sua analisi dell’ultima stagione, davvero vissuta sull’otto volante.

«E’ stata una delle mie stagioni migliori. Penso di essere stato molto contento per come sono andate le cose, soprattutto nelle corse d’un giorno. La vittoria nella classica di Huy è stata molto importante per me, ho raggiunto uno dei miei obiettivi da quando ho iniziato a correre».

Teuns al Tour, chiuso al 18° posto. Lì i dirigenti israeliani lo hanno convinto a passare con loro
Teuns al Tour, chiuso al 18° posto. Lì i dirigenti israeliani lo hanno convinto a passare con loro
Sei passato alla squadra israeliana ad agosto. Ora ti ritrovi in un team professional. Ti sei mai pentito di questa scelta?

No, non la rinnego. I dirigenti mi hanno contattato quando eravamo alle battute finali del Tour, si parlava del 2023, poi una settimana dopo mi hanno chiesto se volevo venire per agosto e settembre e sono stato molto felice di anticipare il trasferimento.

Quali sono le principali differenze tra Bahrain Victorious e Israel Premier Tech?

Ci sono differenze, è ovvio, ma penso che ogni team di alto livello in questo periodo stia lavorando in modo molto professionale, solo che ci sono modi diversi di farlo. Sto bene nel team, sono seguito con molta attenzione e posso perseguire i miei obiettivi, ma mi è piaciuto anche con il Bahrain. Anche il periodo in cui sono stato lì è stato molto felice. Con loro sono rimasto in buoni rapporti, ma ho fatto la mia scelta.

Il belga, 30 anni, è in uno dei team dall’età media più alta. Qui è con Nizzolo, 33 anni
Il belga, 30 anni, è in uno dei team dall’età media più alta. Qui è con Nizzolo, 33 anni
L’anno scorso hai ottenuto ottimi risultati nelle Classiche del Nord, ma hai anche vinto importanti gare a tappe nella tua carriera e al Tour hai chiuso 18°. Dove ti trovi meglio?

E’ una domanda difficile. Diciamo che per l’inizio della stagione mi concentro sempre sulle classiche. Per me è sempre molto importante il periodo di aprile, da quello dipende molto dell’andamento complessivo e quindi lavoro per quelle corse, dall’Amstel alla Liegi. Quelle sono il mio obiettivo principale anche per quest’anno. In base a quanto ho dimostrato l’anno scorso, so che posso fare bene e voglio provare a fare lo stesso quest’anno, giocarmi le mie carte in ogni prova e portare a casa risultati. E poi mi piace anche avere qualche successo nelle gare di una settimana. Ma è molto difficile competere per la classifica generale con molti bravi scalatori nel gruppo, ovviamente. Quindi preferisco puntare a vincere alcune tappe.

La Israel è un team con l’età media tra le più anziane. Nel ciclismo di oggi è uno svantaggio?

Di sicuro non è un problema perché serve anche molta esperienza e questo è un fattore che secondo me pesa molto. Penso che i corridori con esperienza e che hanno già vinto grandi gare possano anche aiutare altri corridori a fare una buona prestazione. Io lo vedo come un vantaggio.

Alla Coppa Agostoni la sua ultima corsa portata a termine. Tornerà in gara il 30 gennaio in Francia
Alla Coppa Agostoni la sua ultima corsa portata a termine. Tornerà in gara il 30 gennaio in Francia
Tu hai vinto la Freccia Vallone e sei stato sesto alla Liegi-Bastogne-Liegi. Qual è tatticamente più difficile tra le due?

Sicuramente la Liegi è un po’ più difficile, perché può cambiare scenario di continuo e non sai mai che cosa aspettarti. Alla Freccia ormai ci si gioca tutto alla fine, basta esserci…

Hai iniziato la tua carriera più di dieci anni fa. Quanto è cambiato il ciclismo da allora?

I primi anni sono stati di apprendistato, al WorldTour sono approdato nel 2013, quindi dieci anni ancora non li ho fatti… E’ vero però che nel frattempo è cambiato molto. In base alla mia esperienza posso dire che i primi quattro anni sono stati più o meno gli stessi, poi l’avvento di nomi nuovi ha cambiato tutto, quando nel gruppo sono arrivati talenti come Pogacar, Van Der Poel, Evenepoel… Sono talenti super grandi e possono fare all’inizio della corsa cose folli e poi esserci ancora nel finale. Questo ha cambiato l’approccio con le corse e il loro schema tattico. Non direi che sono corridori imbattibili, ma sono difficili da sconfiggere. Ma se vuoi vincere, bisogna essere al loro livello e avere anche qualcosa in più. Io un giorno l’ho avuto e so che si può ripetere.

Rebellin, trent’anni di carriera e tanta voglia di pedalare

23.10.2022
6 min
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Con trent’anni di carriera professionistica alle spalle, Davide Rebellin è testimone di un ciclismo passato, ha attraversato il secolo affrontando grandi gioie e profonde delusioni. Ha conosciuto i vertici assoluti del movimento internazionale ma anche il rifiuto di quello stesso ambiente. E’ diventato un riferimento per i giovani ma anche uno pseudo intruso nelle gare Elite. A 51 anni il corridore di San Bonifacio ha deciso di chiudere con la strada, ma resterà nell’ambiente perché la voglia di competere non viene meno con gli anni che passano.

Per ripercorrere tutta la sua storia abbiamo scelto di focalizzarci su alcuni momenti, una sorta di bivi attraverso i quali si è sviluppata la sua carriera. Ogni gara è come il capitolo di un romanzo, raccontato in prima persona e che attende ancora di conoscere la parola fine…

L’ultima passione del veneto, il gravel. Al mondiale Davide è stato 39° a 12’11” da Vermeersch
L’ultima passione del veneto, il gravel. Al mondiale Davide è stato 39° a 12’11” da Vermeersch

Gli anni da dilettante

«Già da junior mi ero fatto conoscere e avevo anche vinto un oro mondiale di categoria, nella 100 Chilometri a squadre a Mosca. Passato di categoria mi accorsi subito di quanto le cose fossero cambiate, si faceva sul serio, la concorrenza era spietata. Ebbi molte cadute e vinsi una sola gara, ma non mi persi d’animo. Nel 1991 invece la situazione cambiò drasticamente: oltre 10 gare vinte, successo al Giro delle Regioni, oro ai Giochi del Mediterraneo, argento iridato su strada.

«Quella era una generazione straordinaria, con Bartoli, Pantani, Belli, ma io sbocciai prima di tutti. Nel 1992 tutti parlavano di me come del favorito per i Giochi Olimpici, ma il percorso di Barcellona non era adatto alle mie caratteristiche, anche se avevamo lavorato con Zenoni per tutto l’anno pensando a quell’evento andando anche in altura. Il tracciato non era selettivo, quando Casartelli partì con altri due corridori, rimasi lì in copertura e a conti fatti fu la scelta giusta. La vittoria di Fabio la sentii un po’ anche mia».

A Stoccarda 1991, Rebellin 2° dietro Rzaksinskij (URS) e prima di Zberg (SUI)
A Stoccarda 1991, Rebellin 2° dietro Rzaksinskij (URS) e prima di Zberg (SUI)

Le prime classiche

«Passato professionista subito dopo, ci volle tempo per emergere. Nel 1997 ero passato alla Française des Jeux, che intendeva puntare su di me per il Tour. L’anno prima ero stato 6° al Giro e 7° alla Vuelta, mi avevano preso pensando che fossi un corridore da grandi giri. Invece quell’estate non andavo proprio, finivo sempre nel gruppetto dei velocisti nelle tappe di montagna. Solo che col passare dei giorni le cose cominciarono a ingranare e uscii dal Tour con una gran gamba. A San Sebastian volavo e vinsi la corsa in volata, sette giorni dopo mi ripetei al GP di Svizzera a Zurigo beffando Ullrich che veniva dalla maglia gialla al Tour. Quelle vittorie mi sbloccarono e trasformarono: non ero più un corridore per gare a tappe, ma un cacciatore di classiche».

A Zurigo una volata imperiale, il tedesco Ullrich si piega come anche il danese Sorensen
A Zurigo una volata imperiale, il tedesco Ullrich si deve piegare (foto Cor Vos/PezCyclingNews)

Una settimana da Dio…

«Mi parlano ancora spesso di quel che avvenne nel 2004, di come feci a vincere tre grandi classiche in una settimana. Io dico che fu la mia “settimana santa”. Spesso avevo sfiorato la vittoria alla Liegi, finendo 2° nel 2001 e 3° l’anno prima. Quella settimana avevo una forma mai vista, ma venivo da un periodo abbastanza scialbo e quindi avevo anche fame di vittorie. Iniziai con l’Amstel battendo Boogerd nello sprint a due, poi alla Freccia che correvo pensando alla Liegi feci la differenza sul Muro di Huy con Di Luca a 3”. Potevo dirmi appagato, sicuramente partii per Liegi con la mente sgombra, il mio l’avevo fatto. Così le cose ti vengono ancora più facili, rischi di più senza aver nulla da perdere. Finì che battei ancora Boogerd, per lui non fu certo una settimana felice…».

La vittoria nell’Amstel 2004 battendo Boogerd, che cederà anche sette giorni dopo a Liegi
La vittoria nell’Amstel 2004 battendo Boogerd, che cederà anche sette giorni dopo a Liegi

La Freccia del 2007

«La Freccia stava diventando la “mia” gara. Col passare degli anni avevo imparato a memoria ogni passaggio di quel muro decisivo, sapevo dove scattare, perché in quel frangente è fondamentale non sbagliare. Dicono che sia una gara per scalatori ma non è proprio così, è per gente esplosiva, serve tanta potenza per domare quelle pendenze. Devi prendere la salita nella posizione giusta, non partire troppo presto, affrontare le curve nella maniera corretta. Se hai la forma giusta te la puoi giocare. Io quel giorno non sbagliai nulla, dietro finì Valverde a 6” e mi fa strano che 15 anni dopo chiudiamo insieme…».

La Freccia è stata il regno del veneto: tre vittorie (2004-07-09) e 3° nel 2005 (foto Procycling.nl)
La Freccia è stata il regno del veneto: tre vittorie (2004-07-09) e 3° nel 2005 (foto Procycling.nl)

Il dolore di Pechino 2008

«Sono passati tanti anni e la sofferenza è un po’ smussata, ma di quella vicenda mi resta tanto dentro: la grande gioia per la gara e quell’argento a un soffio dallo spagnolo Sanchez. La sospensione arrivata sei mesi dopo, le spese per i legali che hanno prosciugato i miei conti. Persi due anni e volevo rientrare da vincente, ma mi accorsi che nell’ambiente molti giravano la testa, non volevano neanche ascoltare le mie ragioni e ciò non è cambiato neanche quando sono stato assolto. Potrei riavere quella medaglia, ma dovrei fare ricorso al Tas in Svizzera e ci vogliono troppi soldi…».

Rebellin in gara a Pechino 2008. Un argento poi cancellato (foto Cor Vos/PezCyclingNews)
Rebellin in gara a Pechino 2008. Un argento poi cancellato (foto Cor Vos/PezCyclingNews)

Vittoria a 44 anni

«La Coppa Agostoni del 2015 ha un sapore particolare: a 44 anni ho dimostrato che avevo ancora tanto da dare. Fu una vittoria bellissima perché ottenuta di forza, in fuga con Nibali e Scarponi con Michele che era quello che lavorava di più e poi cedette. Mi ritrovai a giocarmi la vittoria con Vincenzo Nibali che veniva dal trionfo del Tour, ma il gruppo stava tornando sotto, infatti guardando la foto sembra che vinco uno sprint di gruppo, ma non era così…».

La vittoria Agostoni del 2015. A 44 anni Rebellin batte Nibali con il gruppo in rimonta
La vittoria Agostoni del 2015. A 44 anni Rebellin batte Nibali con il gruppo in rimonta

Le ultime stagioni

«Ne ho viste di tutti i colori: chi mi tacciava di ridicolo perché stavo ancora in mezzo a corridori con meno della metà dei miei anni, chi invece si avvicinava incuriosito, mi chiedeva perché. Tanti ragazzi mi hanno chiesto consigli, mi hanno detto che avevano visto i video delle mie vittorie. Tanti bambini e i loro genitori mi hanno avvicinato, quasi spronati dal mio esempio. Anche sui social dove come per tutti ho avuto messaggi buoni e cattivi.

«E ora? Continuerò innanzitutto a collaborare con la Dynatek, società della quale faccio parte per lo sviluppo delle loro bici, ci tengo a far crescere l’azienda e nel contempo voglio scoprire sempre di più questo nuovo mondo del gravel. Mi entusiasma la possibilità di esplorare posti diversi pedalando. Magari qualche gara la faccio ancora, con queste nuove bici, così mi tengo in forma…».