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Pogacar domina anche il Muro. Ulissi ci racconta come è andata

19.04.2023
5 min
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«Tripletta Amstel, Freccia e Liegi come Gilbert? E’ un obbiettivo chiaramente e ci stiamo lavorando». A dirlo è Tadej Pogacar. E neanche lo puoi additare come “spaccone” visto il modo naturale e serio al tempo stesso con cui lo dice. Lo sloveno, ha vinto (anche) la Freccia Vallone. Il corridore della UAE Emirates è in una forma smagliante. E ora a queste latitudini tutti non aspettano altro che Remco Evenepoel, l’unico, s’ipotizza, che possa contrastare il suo strapotere sulle cotes.

E di questo stato di grazia ci parla Diego Ulissi. Il campione toscano transita sorridente dopo il traguardo, felice per la vittoria del compagno e del lavoro – ottimo – svolto con la sua squadra. Un pezzetto di questa vittoria è decisamente il suo. Diego ci porta nel viaggio di questa Freccia.

La chiacchierata con il toscano parte proprio con dei complimenti a lui e al team. «Tadej – dice Ulissi – sta veramente andando fortissimo e per noi sembra tutto facile. Dobbiamo solo metterlo nelle migliori condizioni per esprimersi. Penso che oggi abbiamo fatto un grandissimo lavoro di squadra. Siamo contenti».

Diego Ulissi (classe 1988) affianco a Pogacar. Il toscano doveva scortarlo soprattutto nel finale
Diego Ulissi (classe 1988) affianco a Pogacar. Il toscano doveva scortarlo soprattutto nel finale
Tu non lo hai visto, ma ti diciamo che in pratica è scattato da seduto. Solo nel finale si è alzato sui pedali.

Eh – ride Ulissi – è così. Come ho detto, sta andando davvero fortissimo. Speriamo di continuare… fino a domenica a questo punto.

In effetti sembra tutto facile, ma quando si ha un capitano così forte, cosa gli si dice in corsa? Come lo si aiuta? Qui basta evitare cadute e forature e il risultato è garantito…

Cerchiamo di correre davanti. Per fare così magari spendiamo anche diverse energie in più, però ne vale la pena. Alla fine basta rimanere concentrati.

C’era qualcuno che tenevate d’occhio più di altri?

Siamo concentrati su quel che dobbiamo fare noi. Gli avversari ce ne sono tanti e forti, quindi bisogna stare bene attenti sin dall’inizio. Sapete, quando Tadej sta bene non teme nessuno. Pertanto avevamo in testa di fare quello che avevamo in programma.

E qual era il programma?

Come detto cercare di tenerlo coperto. In riunione abbiamo parlato soprattutto dell’approccio alla parte finale. Volevamo cercare di rendere la gara più dura possibile. Più dura è, meglio è per lui. In particolare io e Hirschi dovevamo stargli vicino nell’ultimo giro. Così io (va detto che anche Ulissi sta molto bene, la sua faccia fresca a fine corsa ne è una prova, ndr)  ho fatto molto forte la penultima salita e Mark lo ha messo bene ad inizio muro. A quel punto toccava a lui… Ma tutto il giorno credo che abbiamo controllato la corsa alla grande. Tadej doveva aspettare il muro e così ha fatto. Abbiamo rischiato di essere un po’ lunghi. Avendo gli occhi addosso, un po’ tutti ci aspettavano non era facilissimo.

Ecco, occhi addosso. In settimana c’è stata qualche critica dopo l’Amstel sul fatto che è folle aiutare Pogacar mentre si è in fuga… C’è questa sensazione di essere costretti a prendere in mano la corsa? C’è la paura che tutti vi aspettino al varco?

Paura con lui proprio no! Semmai abbiamo ancora più motivazioni. Quando c’è Tadej in gara si lavora al meglio e senza paura. Anche perché è lui il primo che non si mette paura! E’ super tranquillo e questa sua tranquillità, credetemi, la trasmette anche a noi. Noi contiamo molto sul nostro lavoro, su quel che facciamo in settimana e non pensiamo agli altri.

Lo spettacolo del Muro d’Huy, dove i tifosi si fondono e confondono con i corridori
Lo spettacolo del Muro d’Huy, dove i tifosi si fondono e confondono con i corridori
In effetti c’era sempre qualche tuo compagno in testa al gruppo…

Questo perché stiamo bene. Chi non c’è è fuori per qualche caduta o intoppo vario, ma abbiamo dimostrato che quando stiamo bene tutti quanti, siamo tra le squadre più forti al mondo. 

Ma davvero questa Freccia Vallone (e in generale le classiche delle Ardenne) non erano in programma?

Questo non lo so. Ma so che sta andando forte e che voleva correre. E’ in una condizione incredibile e giustamente la vuole sfruttare. Poi si sa che quando Pogacar attacca il numero vuole vincere. La Freccia Vallone è una gara importante e voleva scrivere il suo nome nell’albo d’oro.

Con Pogacar, sul podio della Freccia Vallone numero 87, anche Skjelmose e Landa. A premiare Gilbert, a destra
Con Pogacar, sul podio della Freccia Vallone numero 87, anche Skjelmose e Landa
Come avete approcciato questa Freccia? Tra di voi ne avete parlato anche la sera prima oppure tutto si è risolto nella riunione del mattino?

Ci siamo concentrati soprattutto sul meeting della sera prima, ma poi cerchiamo sempre di sdrammatizzare, di staccare. Dobbiamo essere super concentrati per 5-6 ore e infatti anche oggi fino a pochi istanti prima del via scherzavamo e ridevamo.

Come si gestisce un Pogacar in corsa? Alla fine cosa dovete dirgli?

Lui si fida ciecamente dei compagni. Sa bene che ci sono atleti con più esperienza di lui. Atleti che hanno fatto certe corse anche dieci volte. Quel che dobbiamo fare noi è non perderlo d’occhio. Oggi per esempio a metà gara c’è stato un momento nel quale sembrava potessero esserci dei ventagli. A quel punto gli siamo stati ancora più vicini e lui ci ha seguito. Ormai corriamo insieme da diversi anni e a dire il vero non serve parlarci tanto.

Valverde, il signore della Freccia raccontato da Visconti

18.04.2023
7 min
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Domani la Freccia Vallone porterà sul Muro d’Huy tifosi e storie da raccontare. Quel budello ripido e silenzioso, che si inerpica lungo le Chemin de Capelles, per un giorno diventerà un’arena selvaggia. L’ultima vittoria italiana porta la firma di Rebellin: sembra ieri che lo intervistammo per parlarne, invece è passato più di un anno e nel frattempo quel dannato camionista, di cui non si sa più nulla, gli ha rubato la vita.

Oggi però vogliamo raccontarvi la Freccia e le Ardenne con gli occhi di Giovanni Visconti, che le ha vissute accanto a uno dei più grandi di sempre: Alejandro Valverde, che detiene il record di cinque vittorie a Huy e ha vinto quattro a Liegi.

Visconti e Valverde hanno corso insieme dal 2012 al 2016: l’anno successivo, Giovanni passerà al Bahrain
Visconti e Valverde hanno corso insieme dal 2012 al 2016: l’anno successivo, Giovanni passerà al Bahrain
Valverde lo conoscevi prima di andare alla Movistar nel 2012?

No, lo conobbi lì. Il primo approccio fu un messaggio Whatsapp. Chiesi il numero a Unzue, perché sapevo che Alejandro rientrava dalla squalifica e gli scrissi l’ammirazione che avevo e che ero strafelice di andare in squadra con lui.

E lui?

Più contento di me. Quell’anno rientrò con una vittoria al Tour Down Under, ma quando arrivammo ad Amorebieta ed eravamo in fuga noi due con Igor Anton, gli chiesi se potesse lasciarmi vincere e lui non fece neanche un’obiezione. Fu la prima vittoria in maglia Movistar.

Tu avevi già fatto le classiche con Bettini alla Quick Step, trovasti punti in comune?

Due situazioni completamente diverse. Paolo era molto meno metodico, Valverde sapeva cosa avrebbe fatto e cosa avrebbe mangiato ogni giorno fino alla gara. Bettini faceva le cose come gli venivano, anche perché in quegli anni il ciclismo era meno scientifico sul fronte della preparazione e dell’alimentazione. A colazione la Nutella non doveva mancare mai.

Il suo massaggiatore Escamez lo accoglie ogni giorno col suo bibitone proteico, poi sotto col riso e tonno
Il suo massaggiatore Escamez lo accoglie ogni giorno col suo bibitone proteico, poi sotto col riso e tonno
Invece Valverde?

Non era mai nervoso, però era schematico. Il suo massaggiatore Escamez, quando finivamo l’allenamento, gli faceva trovare un piattino di riso col tonno. Faceva così anche di pomeriggio. Intorno alle 17, si faceva portare lo stesso riso e lo faceva mangiare anche a me, che spesso ero suo compagno di camera. Mi diceva: «Come, come», mangia, mangia! E mi spiegava che me lo sarei ritrovato nelle gambe nel giorno della corsa. A tavola poi era anche più preciso.

Cioè?

Se nel piatto avevano messo più riso, lui lo scansava. Se doveva mangiare due pezzettini di pollo, il terzo lo scansava. Il bicchierino di birra, quello ci poteva stare. E spesso anche una pallina di gelato. Però se gliene portavano due, una la lasciava. Non c’era verso, non sbagliava mai. Ed era così anche a casa, perché sono stato da lui ad allenarmi. Io credo che in tutta la vita da corridore abbia mangiato solo riso bianco col tonno, oppure pollo. E anche in bici non scherzava.

In che senso?

Era maniaco dell’integrazione. Durante il giorno si prendeva i suoi 20 grammi di proteine, voleva la borraccia con le maltodestrine e gli aminoacidi. E anche in gara voleva che avessi le borracce identiche alle sue.

Com’era fare le ricognizioni sui percorsi?

Alejandro le faceva in maniera molto tranquilla. I primi tempi, ma questo riguarda la Liegi, sulla Redoute capitava di incontrare Florio (un italo-belga, grande tifoso di Giovanni, ndr) con la sua famosa torta di riso e un paio di volte ci siamo anche fermati. Negli ultimi tempi no, perché più passavano gli anni e più sapeva di non poter sbagliare neanche una virgola.

A livello di tensione, Freccia e Liegi per Valverde erano la stessa cosa? 

Uguale. Il suo programma era quello è lo stile di vita identico dalla mattina alla sera. Ci si distraeva solo la sera dopo la Freccia, magari si andava a mangiare fuori. Una volta che aveva vinto ci portò in un posto bello a Maastricht. Lui mangiò un piatto di riso o comunque cercò di avvicinarsi il più possibile alla sua alimentazione, mentre tutti noi ordinammo il sushi.

Sulla Redoute con Quintana: mancano tre giorni alla Liegi del 2015
Sulla Redoute con Quintana: mancano tre giorni alla Liegi del 2015
Si faceva anche la ricognizione sul Muro d’Huy?

Sempre. Col pullman ci fermavamo in basso, davanti a una scuola sulla sinistra con un muro molto alto, e lanciavamo le borracce ai bambini. Era un vero rituale, come pregare allo stesso modo tutti i giorni. Sempre la solita preghiera, che non cambiava mai.

Il Valverde della vigilia era nervoso?

Anche se era concentrato, il suo pregio era essere proprio un bambinone. Glielo dicevo sempre: «Tu sei capace solo di andare in bici». Infatti non riesce a smettere e lo ha sempre fatto col sorriso, perché è proprio quello che gli è piaciuto fino a 42 anni. L’ha fatto sempre seriamente, ma sempre con buon umore e scherzando. Sul pullman faceva lo scemo, certi scherzi è meglio non raccontarli (ride, ndr).

Si capiva dalla vigilia che avrebbe vinto?

Si capiva che avrebbe lottato per vincere, come in ognuno dei cinque anni che sono stato al suo fianco. Non c’era una sola gara in cui non volesse farlo. Si capiva casomai quando aveva una giornata storta, ma io penso che mi sarà successo al massimo due volte. 

In Belgio c’era spesso la sua famiglia…

La portava perché il 25 aprile è il suo compleanno e la Liegi è sempre in quei giorni. Nessuno gli ha mai fatto storie, anche perché Valverde era la squadra, quindi nessuno si permetteva di dire nulla. Forse per come è oggi, con le squadre tutte chiuse, anche lui avrebbe qualche problema.

Che ruolo avevi al Nord con lui? 

Gli stavo accanto, sempre. Ho partecipato a tre vittorie: una Liegi e due Freccia. Avevo capito da subito come voleva essere trattato e tante volte, anche se non era vero, gli dicevo quanto fosse tirato e che grande gamba avesse. Lui si girava e lo vedevi che era più motivato. Magari cavolate così gli davano l’uno per cento in più. Per il resto ho tirato tanto nei momenti decisivi della corsa dalla Freccia al Lombardia, passando per la Liegi e il Giro.

L’abbraccio a Sant’Anna di Vinadio, dopo il sacrificio che permise a Valverde di arrivare sul podio del Giro 2016
L’abbraccio a Sant’Anna di Vinadio, dopo il sacrificio che permise a Valverde di arrivare sul podio del Giro 2016
Che cosa hai imparato da Valverde in quegli anni?

Mi ha dato una grande lezione di umiltà. Io che ero super permaloso, da lui ho imparato anche a sapere arrivare secondo o essere d’aiuto ed essere ugualmente felice un compagno. A Sant’Anna di Vinadio nel Giro 2016, mi fermarono dalla fuga per aspettarlo e tirare 500 metri per lui: normalmente mi sarei stranito. Invece lui è arrivato, mi ha abbracciato e mi ha messo davanti agli occhi l’umiltà di un immenso campione. Quel gesto fu meglio di ogni ricompensa.

Teuns e la scelta dell’Israel: «E’ stata quella giusta»

30.01.2023
5 min
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Non senza sorpresa, lo scorso 5 agosto Dylan Teuns passò dalla Bahrain Victorious alla Israel Premier Tech. Una mossa clamorosa, con il team mediorientale che decise d’investire fior di quattrini sul corridore belga reduce da una grande campagna nelle Classiche del Nord, culminata con la vittoria alla Freccia Vallone. Non avviene sovente che nel mezzo della stagione ci siano cambi di casacca, la Israel Premier Tech contava forse sui suoi punti per salvarsi, ma alla fine non è stato sufficiente.

Sul podio con Valverde e Vlasov, Teuns a Huy festeggia la sua prima grande classica
Sul podio con Valverde e Vlasov, Teuns a Huy festeggia la sua prima grande classica

Il corridore di Diest si ritrova così, pur essendo stato uno dei protagonisti della stagione, a essere retrocesso fra le professional. Buon per lui che comunque la squadra sarà presente a tutti i principali appuntamenti dell’annata grazie alla deroga dell’Uci riguardante le due formazioni retrocesse, ma queste vicende rischiavano di minare la sua fiducia. Molti nella sua situazione avrebbero preferito non parlarne, invece Teuns è stato subito molto disponibile.

La chiacchierata, realizzata attraverso Zoom mentre il trentenne belga sta svolgendo l’ultimo ritiro in vista dell’esordio stagionale, programmato per l’1 febbraio all’Etoile de Besseges, parte dalla sua analisi dell’ultima stagione, davvero vissuta sull’otto volante.

«E’ stata una delle mie stagioni migliori. Penso di essere stato molto contento per come sono andate le cose, soprattutto nelle corse d’un giorno. La vittoria nella classica di Huy è stata molto importante per me, ho raggiunto uno dei miei obiettivi da quando ho iniziato a correre».

Teuns al Tour, chiuso al 18° posto. Lì i dirigenti israeliani lo hanno convinto a passare con loro
Teuns al Tour, chiuso al 18° posto. Lì i dirigenti israeliani lo hanno convinto a passare con loro
Sei passato alla squadra israeliana ad agosto. Ora ti ritrovi in un team professional. Ti sei mai pentito di questa scelta?

No, non la rinnego. I dirigenti mi hanno contattato quando eravamo alle battute finali del Tour, si parlava del 2023, poi una settimana dopo mi hanno chiesto se volevo venire per agosto e settembre e sono stato molto felice di anticipare il trasferimento.

Quali sono le principali differenze tra Bahrain Victorious e Israel Premier Tech?

Ci sono differenze, è ovvio, ma penso che ogni team di alto livello in questo periodo stia lavorando in modo molto professionale, solo che ci sono modi diversi di farlo. Sto bene nel team, sono seguito con molta attenzione e posso perseguire i miei obiettivi, ma mi è piaciuto anche con il Bahrain. Anche il periodo in cui sono stato lì è stato molto felice. Con loro sono rimasto in buoni rapporti, ma ho fatto la mia scelta.

Il belga, 30 anni, è in uno dei team dall’età media più alta. Qui è con Nizzolo, 33 anni
Il belga, 30 anni, è in uno dei team dall’età media più alta. Qui è con Nizzolo, 33 anni
L’anno scorso hai ottenuto ottimi risultati nelle Classiche del Nord, ma hai anche vinto importanti gare a tappe nella tua carriera e al Tour hai chiuso 18°. Dove ti trovi meglio?

E’ una domanda difficile. Diciamo che per l’inizio della stagione mi concentro sempre sulle classiche. Per me è sempre molto importante il periodo di aprile, da quello dipende molto dell’andamento complessivo e quindi lavoro per quelle corse, dall’Amstel alla Liegi. Quelle sono il mio obiettivo principale anche per quest’anno. In base a quanto ho dimostrato l’anno scorso, so che posso fare bene e voglio provare a fare lo stesso quest’anno, giocarmi le mie carte in ogni prova e portare a casa risultati. E poi mi piace anche avere qualche successo nelle gare di una settimana. Ma è molto difficile competere per la classifica generale con molti bravi scalatori nel gruppo, ovviamente. Quindi preferisco puntare a vincere alcune tappe.

La Israel è un team con l’età media tra le più anziane. Nel ciclismo di oggi è uno svantaggio?

Di sicuro non è un problema perché serve anche molta esperienza e questo è un fattore che secondo me pesa molto. Penso che i corridori con esperienza e che hanno già vinto grandi gare possano anche aiutare altri corridori a fare una buona prestazione. Io lo vedo come un vantaggio.

Alla Coppa Agostoni la sua ultima corsa portata a termine. Tornerà in gara il 30 gennaio in Francia
Alla Coppa Agostoni la sua ultima corsa portata a termine. Tornerà in gara il 30 gennaio in Francia
Tu hai vinto la Freccia Vallone e sei stato sesto alla Liegi-Bastogne-Liegi. Qual è tatticamente più difficile tra le due?

Sicuramente la Liegi è un po’ più difficile, perché può cambiare scenario di continuo e non sai mai che cosa aspettarti. Alla Freccia ormai ci si gioca tutto alla fine, basta esserci…

Hai iniziato la tua carriera più di dieci anni fa. Quanto è cambiato il ciclismo da allora?

I primi anni sono stati di apprendistato, al WorldTour sono approdato nel 2013, quindi dieci anni ancora non li ho fatti… E’ vero però che nel frattempo è cambiato molto. In base alla mia esperienza posso dire che i primi quattro anni sono stati più o meno gli stessi, poi l’avvento di nomi nuovi ha cambiato tutto, quando nel gruppo sono arrivati talenti come Pogacar, Van Der Poel, Evenepoel… Sono talenti super grandi e possono fare all’inizio della corsa cose folli e poi esserci ancora nel finale. Questo ha cambiato l’approccio con le corse e il loro schema tattico. Non direi che sono corridori imbattibili, ma sono difficili da sconfiggere. Ma se vuoi vincere, bisogna essere al loro livello e avere anche qualcosa in più. Io un giorno l’ho avuto e so che si può ripetere.

Rebellin, trent’anni di carriera e tanta voglia di pedalare

23.10.2022
6 min
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Con trent’anni di carriera professionistica alle spalle, Davide Rebellin è testimone di un ciclismo passato, ha attraversato il secolo affrontando grandi gioie e profonde delusioni. Ha conosciuto i vertici assoluti del movimento internazionale ma anche il rifiuto di quello stesso ambiente. E’ diventato un riferimento per i giovani ma anche uno pseudo intruso nelle gare Elite. A 51 anni il corridore di San Bonifacio ha deciso di chiudere con la strada, ma resterà nell’ambiente perché la voglia di competere non viene meno con gli anni che passano.

Per ripercorrere tutta la sua storia abbiamo scelto di focalizzarci su alcuni momenti, una sorta di bivi attraverso i quali si è sviluppata la sua carriera. Ogni gara è come il capitolo di un romanzo, raccontato in prima persona e che attende ancora di conoscere la parola fine…

L’ultima passione del veneto, il gravel. Al mondiale Davide è stato 39° a 12’11” da Vermeersch
L’ultima passione del veneto, il gravel. Al mondiale Davide è stato 39° a 12’11” da Vermeersch

Gli anni da dilettante

«Già da junior mi ero fatto conoscere e avevo anche vinto un oro mondiale di categoria, nella 100 Chilometri a squadre a Mosca. Passato di categoria mi accorsi subito di quanto le cose fossero cambiate, si faceva sul serio, la concorrenza era spietata. Ebbi molte cadute e vinsi una sola gara, ma non mi persi d’animo. Nel 1991 invece la situazione cambiò drasticamente: oltre 10 gare vinte, successo al Giro delle Regioni, oro ai Giochi del Mediterraneo, argento iridato su strada.

«Quella era una generazione straordinaria, con Bartoli, Pantani, Belli, ma io sbocciai prima di tutti. Nel 1992 tutti parlavano di me come del favorito per i Giochi Olimpici, ma il percorso di Barcellona non era adatto alle mie caratteristiche, anche se avevamo lavorato con Zenoni per tutto l’anno pensando a quell’evento andando anche in altura. Il tracciato non era selettivo, quando Casartelli partì con altri due corridori, rimasi lì in copertura e a conti fatti fu la scelta giusta. La vittoria di Fabio la sentii un po’ anche mia».

A Stoccarda 1991, Rebellin 2° dietro Rzaksinskij (URS) e prima di Zberg (SUI)
A Stoccarda 1991, Rebellin 2° dietro Rzaksinskij (URS) e prima di Zberg (SUI)

Le prime classiche

«Passato professionista subito dopo, ci volle tempo per emergere. Nel 1997 ero passato alla Française des Jeux, che intendeva puntare su di me per il Tour. L’anno prima ero stato 6° al Giro e 7° alla Vuelta, mi avevano preso pensando che fossi un corridore da grandi giri. Invece quell’estate non andavo proprio, finivo sempre nel gruppetto dei velocisti nelle tappe di montagna. Solo che col passare dei giorni le cose cominciarono a ingranare e uscii dal Tour con una gran gamba. A San Sebastian volavo e vinsi la corsa in volata, sette giorni dopo mi ripetei al GP di Svizzera a Zurigo beffando Ullrich che veniva dalla maglia gialla al Tour. Quelle vittorie mi sbloccarono e trasformarono: non ero più un corridore per gare a tappe, ma un cacciatore di classiche».

A Zurigo una volata imperiale, il tedesco Ullrich si piega come anche il danese Sorensen
A Zurigo una volata imperiale, il tedesco Ullrich si deve piegare (foto Cor Vos/PezCyclingNews)

Una settimana da Dio…

«Mi parlano ancora spesso di quel che avvenne nel 2004, di come feci a vincere tre grandi classiche in una settimana. Io dico che fu la mia “settimana santa”. Spesso avevo sfiorato la vittoria alla Liegi, finendo 2° nel 2001 e 3° l’anno prima. Quella settimana avevo una forma mai vista, ma venivo da un periodo abbastanza scialbo e quindi avevo anche fame di vittorie. Iniziai con l’Amstel battendo Boogerd nello sprint a due, poi alla Freccia che correvo pensando alla Liegi feci la differenza sul Muro di Huy con Di Luca a 3”. Potevo dirmi appagato, sicuramente partii per Liegi con la mente sgombra, il mio l’avevo fatto. Così le cose ti vengono ancora più facili, rischi di più senza aver nulla da perdere. Finì che battei ancora Boogerd, per lui non fu certo una settimana felice…».

La vittoria nell’Amstel 2004 battendo Boogerd, che cederà anche sette giorni dopo a Liegi
La vittoria nell’Amstel 2004 battendo Boogerd, che cederà anche sette giorni dopo a Liegi

La Freccia del 2007

«La Freccia stava diventando la “mia” gara. Col passare degli anni avevo imparato a memoria ogni passaggio di quel muro decisivo, sapevo dove scattare, perché in quel frangente è fondamentale non sbagliare. Dicono che sia una gara per scalatori ma non è proprio così, è per gente esplosiva, serve tanta potenza per domare quelle pendenze. Devi prendere la salita nella posizione giusta, non partire troppo presto, affrontare le curve nella maniera corretta. Se hai la forma giusta te la puoi giocare. Io quel giorno non sbagliai nulla, dietro finì Valverde a 6” e mi fa strano che 15 anni dopo chiudiamo insieme…».

La Freccia è stata il regno del veneto: tre vittorie (2004-07-09) e 3° nel 2005 (foto Procycling.nl)
La Freccia è stata il regno del veneto: tre vittorie (2004-07-09) e 3° nel 2005 (foto Procycling.nl)

Il dolore di Pechino 2008

«Sono passati tanti anni e la sofferenza è un po’ smussata, ma di quella vicenda mi resta tanto dentro: la grande gioia per la gara e quell’argento a un soffio dallo spagnolo Sanchez. La sospensione arrivata sei mesi dopo, le spese per i legali che hanno prosciugato i miei conti. Persi due anni e volevo rientrare da vincente, ma mi accorsi che nell’ambiente molti giravano la testa, non volevano neanche ascoltare le mie ragioni e ciò non è cambiato neanche quando sono stato assolto. Potrei riavere quella medaglia, ma dovrei fare ricorso al Tas in Svizzera e ci vogliono troppi soldi…».

Rebellin in gara a Pechino 2008. Un argento poi cancellato (foto Cor Vos/PezCyclingNews)
Rebellin in gara a Pechino 2008. Un argento poi cancellato (foto Cor Vos/PezCyclingNews)

Vittoria a 44 anni

«La Coppa Agostoni del 2015 ha un sapore particolare: a 44 anni ho dimostrato che avevo ancora tanto da dare. Fu una vittoria bellissima perché ottenuta di forza, in fuga con Nibali e Scarponi con Michele che era quello che lavorava di più e poi cedette. Mi ritrovai a giocarmi la vittoria con Vincenzo Nibali che veniva dal trionfo del Tour, ma il gruppo stava tornando sotto, infatti guardando la foto sembra che vinco uno sprint di gruppo, ma non era così…».

La vittoria Agostoni del 2015. A 44 anni Rebellin batte Nibali con il gruppo in rimonta
La vittoria Agostoni del 2015. A 44 anni Rebellin batte Nibali con il gruppo in rimonta

Le ultime stagioni

«Ne ho viste di tutti i colori: chi mi tacciava di ridicolo perché stavo ancora in mezzo a corridori con meno della metà dei miei anni, chi invece si avvicinava incuriosito, mi chiedeva perché. Tanti ragazzi mi hanno chiesto consigli, mi hanno detto che avevano visto i video delle mie vittorie. Tanti bambini e i loro genitori mi hanno avvicinato, quasi spronati dal mio esempio. Anche sui social dove come per tutti ho avuto messaggi buoni e cattivi.

«E ora? Continuerò innanzitutto a collaborare con la Dynatek, società della quale faccio parte per lo sviluppo delle loro bici, ci tengo a far crescere l’azienda e nel contempo voglio scoprire sempre di più questo nuovo mondo del gravel. Mi entusiasma la possibilità di esplorare posti diversi pedalando. Magari qualche gara la faccio ancora, con queste nuove bici, così mi tengo in forma…».

Alle radici di Marta Cavalli, parlando con il padre

24.04.2022
7 min
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Se non fosse stato chiaro dopo l’Amstel, la vittoria di Marta Cavalli alla Freccia Vallone ha acceso un riflettore potentissimo sulla ragazza di Cremona. Se infatti la prima volta ha vinto usando la testa, sul Muro d’Huy ha ragionato e atteso fino all’ultimo, poi ha riversato nei pedali la forza che ha piegato la rocciosa Van Vleuten. Non tante atlete possono dire di esserci riuscite.

In quarta elementare

Da dove viene Marta Cavalli? Sappiamo della trafila completa con la maglia della Valcar, ma cosa c’è prima? Sapevamo che suo padre Alberto per qualche anno avesse oragnizzato delle corse e da lui siamo partiti per andare all’origine della campionessa della FDJ Nouvelle Aquitaine Futuroscope. Appuntamento alle 9 del mattino, prima che il lavoro in azienda lo sommerga.

«D’accordo con Valentino Villa – racconta – avevamo messo insieme la Freccia Rosa, una challenge di tre corse in cui la maglia di classifica aveva i colori della Valcar. Villa ci metteva i premi, davanti al primo sbocciare del ciclismo femminile. Però Marta aveva cominciato prima. In terza, quarta elementare, cominciò a dire di voler correre, anche se io cercavo di scoraggiarla».

Arriva la bici

Alberto ha giocato a calcio, poi si è appassionato alla bici, correndo da amatore. Bici in casa non sono mai mancate, per cui era prevedibile che la figlia si innamorasse dello sport del padre. Che invece faceva di tutto per sconsigliarla.

«Le dicevo – sorride – che le soddisfazioni sono poche, che è più facile perdere che vincere. Ho cercato di indirizzarla altrove. Finché un giorno tornò a casa annunciando che il suo amico Cristian correva in bici e lei avrebbe voluto fare come lui. Faceva ormai la quinta e visto che conoscevo la Gloria Guarnieri di Cremona, la portai a provare. Cominciammo il martedì e giovedì, facendo piccoli passi. Quando un figlio comincia a correre, la famiglia viene tirata dentro, soprattutto nei primi anni. Sentivo direttori sportivi dire che i genitori dovessero starne fuori, ma da quando Marta ha cominciato, io ho smesso di correre e 3-4 volte a settimana mi dedicavo a lei. Avere la famiglia alle spalle è tanta roba. Nei momenti belli non lo capisci, in quelli storti fa la differenza».

Fra i giovanissimi, già ben determinata e vincente
Nei giovanissimi, già ben determinata e vincente

Se Marta pianta il chiodo

Marta è un tondino d’acciaio. La guardi negli occhi e riconosci una determinazione pazzesca. E’ orgogliosa. E la bicicletta non ha fatto altro che amplificarne le doti del carattere.

«Pedalare insieme – prosegue Alberto – non ha aggiunto molto alla mia conoscenza di Marta. La nostra famiglia è molto unita. Siamo insieme a colazione, pranzo e cena. Siamo sempre presenti, può capitare che il lavoro ci costringa a qualche assenza, ma i figli li abbiamo cresciuti noi per il 90 per cento del tempo. Mia moglie lavora part time proprio per questo.

«Uscendo con lei in bici, ho visto lo stesso carattere che ha sempre messo nelle sue passioni. La conosco molto bene. E’ una che, se pianta il chiodo, poi è quello! E’ consapevole di quel che può fare e questi risultati aumenteranno la convinzione. Non è semplice attaccare certe campionesse, ci vuole un bel coraggio…».

FDJ, un progetto di crescita

Da esordiente alla Valcar e con la Valcar è cresciuta. Poi quando è stato il momento ha spiccato il volo. Si può capire che certe partenze, come quella più recente di Elisa Balsamo, siano ferite per la squadra di Villa, ma al contempo se ne può essere fieri. Le parole di Marta su cosa significhi correre in una squadra estera fa riflettere sulla difficoltà di un trasferimento a 22 anni.

«Quando si è fatta avanti la FDJ – riflette papà Cavalli – abbiamo voluto capire se fossero davvero interessati. Bisognava decidere se fare il salto o rimanere. Con la Valcar-Travel&Service c’erano e ci sono ancora ottimi rapporti. Il secondo che mi ha scritto quando Marta ha vinto l’Amstel è stato Valentino Villa. Così prima abbiamo valutato il progetto. Poi abbiamo fatto un consulto di famiglia, dopo esserci sentiti con il suo procuratore (Fabio Perego, ndr). Si è fatto un ragionamento globale nell’ottica di un’evoluzione nella crescita di Marta. Abbiamo messo sul piatto il discorso economico, ma soprattutto il progetto. Non sarebbe partita per fare numero. Abbiamo deciso insieme e alla fine è andata in Francia».

La Coppa Rosa

Lo ha detto chiaro Cassani nei giorni scorsi: per arrivare in cima alla scalinata serve salire un gradino per volta. Perciò se tanti si sono meravigliati dei risultati di Marta, chi l’ha vissuta più da vicino era lì ad aspettarli, certo che sarebbero venuti.

«Ci sono stati passaggi importanti nella sua carriera – ricorda il padre – il primo di tutti la vittoria della Coppa Rosa a Borgo Valsugana. Lì ha capito di poter fare di più. Purtroppo ebbe quell’incidente nel 2016, cadendo a Montichiari. Rimase quasi per un mese in ospedale a Brescia e poi ferma per altri sei, con il rischio che le asportassero un rene. Però ripartì cocciuta come al solito e tornò a Montichiari per vincere il titolo italiano dell’inseguimento. Ve l’ho detto, aveva piantato il chiodo. E anche l’anno dopo, passando fra le elite e correndo contro i mostri, riuscì a centrare due vittorie. E nel 2018, con il campionato italiano, capì che era la sua strada. Adesso a certi passaggi non ci si pensa più, si guarda solo in avanti».

Dopo le vittorie di Amstel e Freccia e nel giorno in cui si corre la Liegi, andiamo alle origini di Marta Cavalli, parlando con suo padre Alberto
Eccola nel 2013 con Marianne Vos, iridata e all’apice della sua fama
Nel 2013 con Marianne Vos, iridata e all’apice della sua fama

In ginocchio sul pavimento

Il giorno in cui Marta ha vinto l’Amstel, in casa Cavalli c’erano solo tre persone. Alberto, sua moglie Romina e Irene la figlia più piccola.

«Non siamo gente da bar – sorride – anche perché durante le corse a volte do in escandescenze ed è meglio che rimanga tutto tra le mura di casa. Quando hanno iniziato il Cauberg, mi sono messo in ginocchio sul pavimento. Ero consapevole che avesse quella forza, tutto stava arrivare a quel punto per dare la stoccata. Appena ho visto che aveva preso 30-40 metri, ho detto: “Ci siamo!”. Ha vinto da finisseur, sapevo che avrebbe tenuto. La volata non sarebbe stata così sicura, anche se è cresciuta con il mito di Cavendish. Non perché fosse o volesse diventare una velocista, ma perché Cavendish era il fuoco sotto la paglia. Vedendo quelle volate, si esaltava. Quando faceva il quartetto era più veloce, aveva più massa e abitudine. Poi si è specializzata su strada. E adesso quando usciamo in bicicletta insieme, in pianura se lo scorda di staccarmi. Ma appena inizia la salita, le dico: “Figlia mia, aspettami in cima oppure tornami incontro”. E lei fa così. Arriva su e poi gira e la finiamo insieme…».

Dove sono gli italiani al Nord? Ne parliamo con Pozzovivo

23.04.2022
5 min
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Il primo italiano della Freccia Vallone è stato Domenico Pozzovivo, che ha 39 anni e corre con la Intermarché-Wanty-Gobert, esattamente come Pasqualon, miglior italiano alla Roubaix, che ne ha 34. Si è piazzato 15° a 7 secondi da Dylan Teuns, ma se fosse stato appena più avanti, sarebbe entrato nei primi 10, per quel gioco di distanze sul Muro d’Huy di cui ha parlato tanto bene ieri Enrico Gasparotto. E’ vero che secondo s’è piazzato Valverde che ne ha 42, però nel bilancio del ciclismo italiano, che immette nel professionismo decide di corridori ogni anno, qualcosa non torna.

«Non è come sembra – dice Pozzovivo, in apertura nella foto IntermarchéWG – abbiamo buoni prospetti, mi viene in mente Bagioli che però corre in una squadra in cui è difficile trovare spazio. Quest’anno tanti hanno avuto problemi di salute, però è evidente che le cose stiano cambiando. Gli uomini che lottavano per i Giri e magari venivano qua con il freno tirato per non compromettere il loro avvicinamento stanno diventando dei bravi limatori. Vengono a prendersi dei rischi e questo rende tutto più complicato».

La Intermarché-Wanty ha anticipato la ricognizione della Liegi al giovedì (foto @cyclingmedia_agency)
La Intermarché-Wanty ha anticipato la ricognizione della Liegi al giovedì (foto @cyclingmedia_agency)

Ricognizione in anticipo

La Intermarché-Wanty-Gobert, che l’ha accolto quando la Qhubeka ha alzato bandiera bianca, ha fatto giovedì la ricognizione sul percorso della Liegi. Gli allenatori hanno considerato che essendoci stata la Roubaix domenica scorsa (e non l’Amstel come d’abitudine) e nessuno dei corridori qui presenti l’abbia corsa, la Freccia Vallone è stata un bell’allenamento robusto. Con la ricognizione il giorno dopo, si è aggiunto un altro lavoro importante, lasciando poi il tempo per recuperare fino alla Liegi.

Pozzovivo ci raggiunge dopo massaggi e trattamento osteopatico. Ha un bel colorito dato dall’altura dell’Etna e lo sguardo di quando le cose iniziano a girare nel modo giusto.

«Nella mia carriera – dice – ho sempre fatto avvicinamenti diversi alla Liegi. Mercoledì invece per la Freccia sono partito con l’idea di arrivare salvo al traguardo. E’ stata anche la raccomandazione di mia moglie. La battuta di arresto alla fine del Giro di Sicilia mi aveva lasciato qualche dubbio, mi sarebbe piaciuto uscirne con un bel piazzamento. Invece in corsa mi sono sentito meglio. Sapevo che sul Muro avrei potuto fare qualcosa del genere. Ci ho provato, ma siamo arrivati ai piedi dell’ultima scalata ancora in tanti e di riflesso la situazione era caotica. Se l’ha pagata Pogacar, che è rimasto indietro e si è seduto (arrivando 12°, ndr), mi dico che tanto male non sono andato. Però è vero, se fossi stato più avanti, magari sarei entrato nei dieci, ma ormai è fatta».

Pozzovivo in evidenza alla Tirreno nella tappa di Fermo, la condizione cresce
In evidenza alla Tirreno nella tappa di Fermo,la condizione cresce
Non è più tempo di aspettare i giovani, così pare: dove sono allora?

Non sono tradizionalista. Ormai si ragiona in termini di carriere più brevi e la gradualità, che un tempo era la regola, è andata a farsi benedire. Quando ero giovane io, si puntava a una carriera di 15 anni, perciò nelle prime due stagioni da pro’, neanche ti portavano a fare i grandi Giri.

Ma non sempre buttarli dentro è garanzia di risultato…

Iniziando a lavorare da subito con cognizione di causa e con il misuratore di potenza, anche da molto giovane puoi arrivare alla grande prestazione. Più che sul fisico, mi concentrerei sull’aspetto mentale. Se fisicamente puoi avere il livello necessario, mentalmente non credo che tu sia ancora pronto. E’ un ciclismo che richiede sempre di più, per cui escludo a vent’anni si possa già essere strutturati come serve. Quindi semmai vedo il rischio che qualcuno possa bruciarsi.

Una volta ci pensavano i corridori più maturi, dando i consigli giusti…

Io sto cercando di rimodularli. Ma in ogni caso racconto a tutti i giovani che vogliono ascoltarmi la necessità della dedizione da mettere alla base del lavoro, che poi è ciò che mi riesce meglio. Da parte mia ho cercato di evolvermi sul piano della preparazione e dell’alimentazione.

Esiste un consiglio della vecchia saggezza che va ancora bene?

Ad esempio il fatto che la stagione buona la costruisci d’inverno. Staccare è una necessità, in questo ciclismo che non si fermerebbe mai. Però staccare senza eccedere con lo svago, perché poi diventa difficile recuperare.

Pozzovivo è uscito dalla Tirreno con uno step di condizione in più
Pozzovivo è uscito dalla Tirreno con uno step di condizione in più
Va bene che corridori forti da dilettanti vengano subito messi a confronto con i più forti?

E’ un nuovo mood da apprendere. Se vuoi diventare uno importante nel futuro, devi provare i tuoi limiti contro i più forti. Una volta veniva facile dire al giovane che doveva andare in fuga, oggi invece ti ritrovi con il corridore maturo mandato in avanscoperta e il ragazzino che fa il leader.

Come si fa a farsela andar bene?

Bisogna essere realisti e molto elastici mentalmente, non è un caso che questa situazione stia mettendo alla prova soprattutto i corridori più abitudinari, che non sono ancora riusciti ad adeguarsi. Tanti hanno smesso proprio per questo.

Valverde fa eccezione?

Valverde mi fa sfigurare (ride, ndr). Le sue prestazioni sono fuori dal normale ed è un fenomeno perché riesce ad andare ancora così forte. Io penso invece di non avere tantissimo da inventarmi. Cerco lo spazio quando c’è e per il resto serve tanta pazienza.

Che cosa ti aspetti dalla Liegi?

Sogno di entrare nella top 10 (Pozzovivo è stato due volte 5°, nel 2014 e nel 2018, ndr). Però mi piaceva di più l’arrivo di Ans, perché lì me la potevo giocare.

Alla Freccia Vallone voleva solo non cadere, avendo l’obiettivo Liegi e poi il Giro d’Italia
Alla Freccia Vallone voleva solo non cadere, avendo l’obiettivo Liegi e poi il Giro d’Italia
Come stai?

Ora bene. Ho fatto un bel blocco di lavoro sull’Etna, che mi ha permesso di riprendere bene dopo lo step già fatto alla Tirreno. E in questa squadra si sta bene, perché è una WorldTour che ha mantenuto i rapporti umani della professional.

E se fossi di nuovo tu il migliore degli italiani?

La mattina della Liegi e nonostante abbia 39 anni, si parte ancora con i brividi per l’emozione. Ci sarà vento, per questo l’aver tolto la Cote de Forges ha eliminato un tratto di controllo, troppo esposta per fare la differenza. Credo che l’intenzione di ASO sia sempre stata ridurre la distanza fra la Redoute e la Roche aux Faucouns e così facendo hanno di nuovo rimesso la Redoute al centro del villaggio. Prima, quando era a 45 chilometri dall’arrivo era come il Capo Berta alla Sanremo.

Sul Muro d’Huy, la vendetta di Teuns su Valverde

20.04.2022
5 min
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«Sono contento – dice Valverde – sono stato bene tutto il giorno e molto vicino alla vittoria. Sono mancate un po’ di gambe. Abbiamo fatto un bel lavoro di squadra, ma nel finale Teuns è stato superiore. Si è meritato questa Freccia, la mia ultima Freccia Vallone. Ho avuto buone sensazioni, credo che per domenica sarò pronto».

Il Re del Muro

Lo spagnolo ha fatto tutto alla perfezione, ma quando si è trattato di cambiare ritmo per l’ultima volta, ha scoperto che Dylan Teuns aveva più forza di lui e si è seduto. La Freccia Vallone si è conclusa sul Muro d’Huy strapieno di gente e profumi. Il Belgio si è riappropriato delle sue corse, come i francesi domenica a Roubaix hanno presidiato le stradine del pavé. Seguendo il copione di sempre, dato che tutte le squadre lavorano per arrivare col gruppo ai piedi del Muro, i migliori si sono giocati la corsa sullo storico strappo. E quando s’è capito che la vittoria stava sorridendo a un belga, la folla è esplosa.

«Cinque anni fa – dice Teuns – ero ugualmente con Valverde, ma non riuscii a rispondere alla sua accelerazione e arrivai terzo (era il 2017, anno dell’ultima Freccia del Bala, ndr). Per questo oggi è speciale avere come secondo alle mie spalle il Re del Muro, sono super orgoglioso. Per lui ho grandissimo rispetto. Non credo che a 42 anni sarò ancora in gruppo, ma vedrò queste corse dal divano di casa. Ma soprattutto non so se a 42 sarei in grado di andare così forte».

La vittoria nata, a detta di Teuns, nel buon recupero dopo il Covid
La vittoria nata, a detta di Teuns, nel buon recupero dopo il Covid

Ricordando Ciccone

Teuns è quello che fece andare di traverso il Tour del 2019 a Ciccone. Per fortuna alla Planche des Belles Filles per l’abruzzese arrivò la maglia gialla, altrimenti l’impatto della sconfitta di giornata sarebbe stato ben più pesante…

«Ma c’è una grande differenza – spiega il corridore del Team Bahrain Victorious – fra quella tappa e la corsa di oggi. Allora vinsi in una fuga di corridori forti, oggi ho vinto lasciandomi dietro tutti i migliori. Dire perché io vada bene sulle pendenze estreme rischia di essere banale. Potrei spiegarlo col fatto che sono molto leggero, la verità è che faccio anche io fatica come gli altri. Mentre più degli altri soffro lo stress. Prima dell’inizio del Muro mi sono tormentato per arrivarci nella giusta posizione. Poi però ho cercato di non pensare più a niente. Quando è partito Valverde, ho pensato che fosse il punto giusto anche per me. L’ho visto che risaliva, ma per fortuna avevo ancora un po’ di margine per accelerare ancora».

Soggetto a stress

Michele Bartoli, che lo allena, parla di un rapporto eccezionale con il belga. E segnatamente aggiunge che Teuns ha sempre avuto capacità di grandi prestazioni, ma gli era mancato finora il risultato che desse sicurezza.

«Non credo di aver mai dubitato di me e dei miei mezzi – dice – ma diciamo che ho passato la vita a combattere le pressioni che altra gente mi metteva addosso. Sono uscito bene dal Catalunya e sono arrivato alle prime classiche con buone sensazioni. Ho sofferto più ad Harelbeke che sul pavé della Roubaix, anche se quella convocazione mi ha spiazzato. Ci voleva un po’ di fortuna. Stavo bene anche all’inizio dell’anno alla Valenciana, ma ho preso il Covid. Credo che questa vittoria sia nata lì. Non sono andato nel panico. Per un po’ ho stressato il dottore della squadra, poi dopo 10 giorni senza bici e con il tampone finalmente negativo, ho cominciato ad allenarmi bene, cambiando programma e restando calmo. No Parigi-Nizza, sì Catalunya. E con l’aiuto di Bartoli le cose hanno iniziato a girare bene soprattutto in queste ultime settimane. Il suo modo di lavorare mi trasmette fiducia. Abbiamo preparato queste corse e adesso tutto funziona».

Un russo che corre

Il baccano nella strada si è attenuato. Resta il picchiettare dei giornalisti sulle tastiere nella sala stampa, mentre con un sorriso vagamente amaro salutiamo Vlasov, venuto a raccontare il suo terzo posto. Quando gli abbiamo chiesto se si senta fortunato a poter correre, nonostante sia russo, ha risposto allargando le braccia. «Io sono un corridore – ha detto – questo è il mio lavoro, per cui certo che mi sento fortunato».

Vorrebbero sentirsi così anche i corridori della Gazprom, ma ancora una volta nessuno si è degnato di dare loro una risposta.

Vent’anni dopo, il Muro torna nostro con una grande Cavalli

20.04.2022
5 min
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«La sensazione più bella? Essere sul Muro d’Huy – sorride Marta Cavalli – e rendermi conto di avere ancora gambe per accelerare. Qualcosa che ha dato un senso a tanto lavorare. La convinzione che mi sono data in questi ultimi tempi è che quando io faccio fatica, la fanno anche le altre. Ho visto Vollering che si staccava e io non ero ancora al limite. E questo mi ha dato il coraggio per attaccare Annemiek (Van Vleuten, ndr). Era un rischio. Poteva accelerare a sua volta. Invece non ce l’ha fatta».

L’ha piegata. Dovendo descrivere quel che Marta Cavalli ha appena combinato alla rocciosa Van Vleuten, piegare è davvero il verbo giusto. E l’ha fatto con una freddezza da campionessa navigata. La stessa che ti viene giocandoti medaglie in pista, probabilmente.

Quando Cavalli ha accelerato, Van Vleuten si è piegata: strada libera!
Quando Cavalli ha accelerato, Van Vleuten si è piegata: strada libera!

A vent’anni dalla Lupa

E così dopo vent’anni esatti, ci siamo ripresi la Freccia Vallone. Ci ha pensato l’atleta della FDJ Nouvelle Aquitaine Futuroscope, già vincitrice dell’Amstel con cui nei giorni scorsi avevamo parlato dell’opportunità di correre la Roubaix prima di queste Ardenne.

Era dalla vittoria 2002 di Fabiana Luperini, quella per lei del tris, che il Muro ci respingeva. Al tempo, Marta aveva da poco compiuto 4 anni. E così la bella coincidenza ha voluto che a consegnarle il trofeo sia stata proprio la toscana di Buti (foto di apertura), invitata per la ricorrenza dai francesi di ASO, che quanto a simili attenzioni non perdono un colpo.

«Salire sul palco con Fabiana a 20 anni dalla sua vittoria – ha detto Marta – è stato come sentire accanto la mia grande famiglia italiana. Quando corri in una squadra straniera ti senti un po’ sempre fuori casa. Con le francesi mi trovo bene, abbiamo tanto in comune, ma manca sempre qualcosa. Per sfortuna non sono ancora riuscita a correre con Vittoria Guazzini. E’ stato bello sentire parole italiane sul podio…».

Ti aspettavi di vincere?

Neanche un po’. All’Amstel ho giocato sul fattore sorpresa, mentre qui è stata una prova di forza. La squadra ha lavorato tutto il giorno per me, ma non ero affatto sicura che sul Muro sarei riuscita a ripagarle del lavoro. Ho cercato di stare calma. So che in cima un po’ spiana e bisogna tenere energie per quel momento. Così sono stata a ruota. Ho aspettato e aspettato e sono uscita solo alla fine. Ieri abbiamo visto parecchi video di questa corsa e abbiamo visto che tutti quelli che hanno anticipato, in cima l’hanno pagata cara.

Avevi paura che Van Vleuten potesse staccarti?

Per mia fortuna, non è molto esplosiva. Lei fa il suo passo regolare e potente con cui ti stronca, ma queste sono le mie stesse caratteristiche.

Due italiane nella fuga del mattino: Anastasia Carbonari e Katia Ragusa. Con loro Waterreus
Due italiane nella fuga del mattino: Anastasia Carbonari e Katia Ragusa. Con loro Waterreus
Sempre convinta che correre la Roubaix sia stata la miglior preparazione per la Freccia?

Neanche un po’ (ride, ndr)! Fino a ieri e anche oggi ho avuto dolori in tutto il corpo. La schiena urla, stessa cosa per le caviglie. Non è facile recuperare la Roubaix.

Due giorni fa nella ricognizione del finale avresti mai immaginato una conclusione così?

Ho cercato di capire rapporti e ruote, ma non immaginavo che finisse così. Abbiamo corso bene e siamo arrivate fresche al finale, per come si può essere freschi dopo tre ore e mezza di corsa.

All’arrivo dimostrazione di forza a dieci giorni dalla vittoria “tattica” dell’Amstel
All’arrivo dimostrazione di forza a dieci giorni dalla vittoria “tattica” dell’Amstel
La Freccia aggiunge un’altra abilità al tuo curriculum…

Sono un’atleta all-ground, buona per tutti i terreni. Il punto debole è lo sprint perché mi manca la potenza, ma per il resto mi piace andare bene in tutti i tipi di corsa. Mi piacciono le classiche, ma penso di potermi difendere anche in un grande Giro sulle montagne.

E adesso arriva la Liegi.

Non ho aspettative, come non le avevo qui. Aspetterò senza pressione le ultime salite. La corsa è adatta a me, ma spesso si arriva in volata, per cui spero si selezioni un gruppo ristretto.

Quella sensazione di forza sul Muro?

Sono cresciuta molto l’anno scorso, trovando assieme al mio preparatore il giusto modo di lavorare. Ora possiamo concentrarci sulle mie abilità, cercando di crescere ancora per step. Quanto a queste corse, il segreto è farle e rifarle.

Balsamo a Cittiglio e alla Gand, la tua accoppiata Amstel-Freccia, Longo Borghini alla Roubaix…

Fra noi italiane c’è una sana rivalità che ci porta a crescere e spinge a migliorarci. C’è sicuramente una generazione di alto livello. Ho sempre corso con loro, mi sembra normale. Ma certo questi risultati sono proprio belli…

Domani riposo. Venerdì ricognizione sul percorso della Liegi. E domenica si corre ancora. Quando finalmente riguadagna la via per l’ammiraglia, Marta ha ancora in faccia lo stesso sorriso. Se c’è voluta una settimana per assorbire la vittoria dell’Amstel, ora ha appena tre giorni per digerire la Freccia e pensare alla prossima sfida.

Ulissi nostra guida nei segreti della Freccia

20.04.2022
5 min
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Il Martin’s Rentmeesterij hotel si incontra 300 metri dopo il castello dei misteri di Bilzen, ricavato nella Grand Commandery in cui il… fantasma di Lord Bielsen – al secolo Squire Armand Roelants du Vivier, che lottò da solo tutta la vita per mantenere intatta l’enorme proprietà – accompagna i turisti nelle magie del castello. La nostra visita vuole essere ugualmente una guida nei misteri della Freccia Vallone che si corre domani (oggi, ndr) da Blegny al Muro d’Huy. I corridori del UAE Team Emirates sono rientrati più tardi del previsto. Il programma prevedeva un’oretta e mezza di bici alla vigilia della corsa, ma la sosta caffè è durata più del dovuto e il rientro avviene all’ora del pranzo già scoccata.

Alessandro Mazzi prepara la bici per la Freccia di Ulissi, con pignone da 32 al posteriore
Alessandro Mazzi prepara la bici per la Freccia di Ulissi, con pignone da 32 al posteriore

UAE con più frecce

Ulissi ha l’espressione paciosa di un uomo di 32 anni che si è appena svegliato, perché evidentemente l’impegno dell’uscita è stato davvero blando. Lui la Freccia la conosce bene, sempre intorno ai dieci, con l’exploit del terzo posto nel 2019. La corsa del Muro d’Huy sembra tagliata sulle sue caratteristiche e magari domani (oggi, ndr) sarebbe una delle punte della squadra, se la UAE Emirates non avesse tra le sue file un certo Tadej Pogacar.

«Terzo – ricorda – dietro Alaphilippe e Fuglsang. Sto bene anche adesso. Sono uscito dai Baschi con buone sensazioni. Abbiamo passato la Pasqua a casa, quindi siamo di buon umore. Siamo una squadra con più frecce. Siamo consapevoli di avere il corridore più forte al mondo, quindi vedremo come affrontare la corsa».

Ulissi è uscito bene dal Giro dei Paesi Baschi, con il terzo posto a Zamudio
Ulissi è uscito bene dal Giro dei Paesi Baschi, con il terzo posto a Zamudio

Non solo il Muro

Il via da Blegny, dalla miniera Patrimonio dell’Unesco. Distanza di 202,5 chilometri e 11 cotes: tre di queste sono lo stesso Muro d’Huy, che si scala la prima volta dopo 139,8 chilometri, quindi al 170,9 e poi per l’arrivo.

«Bisogna stare attenti. Una volta che si è fatto il primo passaggio sul Muro – dice Diego – si va verso altre salite. Le stesse due ogni volta (la Cote d’Ereffe e la Cote de Cherave, ndr). C’è da vedere se tira vento, comunque ci sono dei punti critici da affrontare. E poi, come abbiamo visto dalle ultime volte, le corse ormai esplodono lontano dall’arrivo. Di conseguenza ci sono tanti punti dove stare attenti. Perché quelle salite si prestano per attacchi…».

Curva al 19 per cento

Il Muro d’Huy è l’arena verticale su cui si gioca la corsa. Salita di 1,3 chilometri con pendenza media del 9,6 per cento e la famosa doppia curva al 19 per cento. Chi si scopre troppo presto, finisce col piantarsi, ma non tutti hanno l’esplosività di Alaphilippe o Valverde.

«I segreti del Muro sono pochi – sorride – se non che ci vogliono tante gambe. Soprattutto è determinante la doppia curva, sinistra-destra. Lì devi essere assolutamente in ottima posizione. Il punto dell’attacco dipende dai corridori. Negli ultimi anni hanno dominato Valverde e Alaphilippe, appunto, che hanno fatto la differenza subito dopo la doppia curva. Per cui, una volta che ti sei lasciato dietro quel punto critico, si deve stare con gli occhi aperti ai movimenti degli avversari.

«Io ho messo il 32 per i primi passaggi, che magari si fanno un po’ più tranquilli. Si spera, almeno! Invece il rapporto per il tratto finale non si guarda mai. A quel punto contano le sensazioni delle gambe. Sai che devi spingere a tutta e guardare gli avversari, sapere che rapporto spingi è l’ultima delle preoccupazioni».

Vicino a Tadej

Quel che resta da capire sono i ruoli in corsa, con Hirschi che la Freccia l’ha vinta nel 2020 e Pogacar che l’ha fatta per due volte, con il 9° posto del 2020 come miglior risultato e un bagaglio specifico ancora da costruire.

«In tutte le classiche del Nord – dice Ulissi – alla fine l’esperienza paga. Per cui è importante aver fatto il Muro d’Huy in corsa per sentirlo nelle gambe e capire dove farsi trovare nei momenti decisivi. Vediamo quali saranno le sensazioni in gara. Senza dubbio dovrò stare vicino a Tadej nel finale, però bisognerà anche vedere come saremo messi quando la corsa esploderà sul serio».

Il resto sono chiacchiere, come facendo il punto dopo tanto tempo. Lia cresce bene, dice, ma è impressionante vedere la velocità con cui Anna, la più piccola, impara ogni cosa. I corridori per le Ardenne sono arrivati nella serata del lunedì, dopo Pasqua e Pasquetta in famiglia. La Liegi di domenica sarà il giro di boa della stagione, poi alcuni faranno rotta sul Giro, mentre Pogacar e il suo gruppo si concentreranno sul Tour. Ora si parla del Muro d’Huy. La curiosità di vedere all’opera il Pogacar delle classiche, che già s’è messo in tasca il Lombardia e la Liegi, sarà uno dei motivi di interesse della giornata.