Cavalli, cosa c’è oltre la paura? «Accettazione e voglia di ripartire»

14.02.2024
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«Il primo giorno che mi dicono che posso riprendere la bicicletta – dice Marta Cavalli – prendo, vado e non mi fermo. Giusto per rabboccare acqua un paio di volte, tanto poi arrivo a Lourdes e posso berne tutta quella che voglio».

Una risata sommessa, quasi un ruggito. La sfortuna si è messa di mezzo ancora una volta e la campionessa di San Bassano ha dovuto fermarsi nuovamente. Una caduta di quelle che non ti aspetti, persino banale.

«Di certo non così rilevante – racconta la lombarda (in apertura immagine capucinepourre) – eravamo a fine allenamento. In una curva un po’ sporca e scivolosa, a poche centinaia di metri dall’appartamento che avevamo in affitto, sono andata giù sul fianco e ho sbattuto. Sono rimasta un po’ lì seduta, per capire veramente come stessi e valutare la situazione. Non stavo bene, avevo un po’ male, però sono risalita in bici. Ci siamo accorti che qualcosa non andava bene, perché non riuscivo a poggiare il piede a terra.

«Per il dolore, non riuscivo a rimanere col peso sulla gamba e allora mi hanno portato in ospedale. Dalle prime lastre non è apparso niente, infatti ho continuato ad andare in bici. Solo dopo cinque giorni che ancora non poggiavo il piede a terra, il dottore mi ha fermato e mi ha detto che era meglio fare degli accertamenti ulteriori. E alla fine hanno trovato questa microfrattura».

Con questa foto e un post su Instagram Marta Cavalli ha annunciato l’incidente
Con questa foto e un post su Instagram Marta Cavalli ha annunciato l’incidente

Il mondo che crolla

Non serve uno psicologo per riconoscere il rumore del mondo che ti crolla addosso. In questo giorno di ricorrenze tristissime, viene spontaneo ricordare l’incidente che poteva costare la carriera a Pantani e invece lo rilanciò più forte di prima. Ma lo ricordiamo bene il suo sconforto: passi dall’essere in tabella verso gli obiettivi che sogni da mesi a doverti fermare senza alcuna certezza. Se poi, come Marta due anni fa, su questo sentiero sei già passato, basta un cenno per riaccendere le paure mai del tutto sopite.

«Il peggior momento – ammette – è stato quando mi hanno detto che c’era una microfrattura. Lì ho iniziato veramente a pensare che tutto il lavoro fatto durante l’inverno fosse andato in fumo. Non avevo nemmeno idea delle tempistiche e quindi mi si è attaccata addosso una visione negativa. Ho cominciato a pensare che sarei dovuta rimanere lontana dalla bici per tanto tempo. Pensavo addirittura che mi avrebbero messo a letto per mesi e ho pregato tutti i dottori che non mi dessero questa notizia. E quando infatti mi hanno detto che avrei potuto camminare, mi sono tolta un macigno di dosso. Col passare delle settimane l’ho accettato e adesso sto solo ricaricando la voglia di ripartire per ricostruire, in base a quando potrò riprendere. A quel punto vedrò quanto avrò perso e valuteremo il miglior piano.

«Ho riposto tante speranze in questa stagione. Quando l’anno scorso ho chiuso con la Crono delle Nazioni – riprende Cavalli – tirando la riga, non sono stata per niente soddisfatta. Ci sono stati degli acuti, dei momenti buoni in cui ho ottenuto risultati e mi sono tolta delle soddisfazioni, ma non erano le soddisfazioni che mi ero prefissata. Ci sono stati tanti alti e bassi, forse più bassi che alti, quindi vedo il 2024 come un vero banco di prova per capire se riuscirò a tornare al livello del 2022».

Arrabbiata e sconsolata

Ancora non c’è nulla di certo. Fra una decina di giorni ci sarà un altro esame e a quel punto, se la frattura sarà saldata, si potrà ricominciare a lavorarci sopra. In realtà, spiega Marta, avrebbe potuto già fare qualcosa, ma ha preferito non rischiare. 

«Finché ho avuto le stampelle – racconta – non ho voluto fare assolutamente niente, per evitare di rallentare il processo di guarigione, meglio restare a riposo. Non mi avevano imposto particolari divieti, in base al dolore avrei potuto camminare. Però ovviamente andare in giro con due stampelle era abbastanza impegnativo, quindi sono rimasta ferma. E adesso, grazie a un po’ di fisioterapia, la situazione è migliorata e il riposo ha fatto il resto. Quindi vediamo, stiamo andando giorno per giorno in base alle mie sensazioni.

«Ovviamente sarei dovuta andare a correre giovedì alla Volta Valenciana, diciamo che fino a tre settimane fa i programmi erano diversi. Invece abbiamo dovuto mettere tutto in pausa. E in quel momento il primo pensiero è stato: ecco, ci siamo di nuovo. Nei primi giorni ero veramente arrabbiata e sconsolata. Non riuscivo a capacitarmi. Avevamo appena fatto dei test ed erano abbastanza buoni, in linea col periodo e con il tempo che mancava alle prime gare importanti. E di colpo non c’era più niente».

L’11 gennaio Marta ha posato con la nuova divisa, il 5 febbraio la caduta in allenamento (foto FDj Suez)
L’11 gennaio Marta ha posato con la nuova divisa, il 5 febbraio la caduta in allenamento (foto FDj Suez)

L’esperienza del 2022

L’errore più grande in questi casi è farsi prendere dalla smania di bruciare le tappe, anche se serve un grande autocontrollo per tenere a bada l’indole del guerriero che in certi frangenti permette di vincere le corse e ora potrebbe ritorcersi contro.

«Se fosse per me – ride – io prenderei la bici e starei fuori dall’alba al tramonto, però so che non sarebbe la cosa giusta da fare. Non è rassegnazione, però prendere atto che la situazione è questa. Ed è quello che serve per tornare a pedalare al massimo tra qualche settimana. Quello che mi conforta è che se anche la primavera potrebbe essere compromessa, per obiettivi come il Giro d’Italia e il Tour de France ci sono ancora dei mesi. Perciò non resta che aspettare il momento di ripartire e farlo gradualmente. La squadra sa come vanno queste cose. Già con l’esperienza del 2022 hanno capito anche loro quanto sia importante rispettare le tempistiche e non aver fretta.

«Certo ho più fretta io di rimettermi in bici e di salvare il salvabile, loro sono assolutamente tranquilli. Diciamo ci sono grande sinergia e collaborazione tra i medici e il resto dello staff. Ormai è come una tela tessuta in modo molto fitto, quindi c’è un confronto quotidiano sulle mie sensazioni, sui consigli medici, sulle teorie migliori per riprendere l’allenamento, sulla fisioterapia. Sono in una botte di ferro e questo mi lascia tranquilla».

Anche l’ultimo inverno è stato per Marta Cavalli un momento di costruzione
Anche l’ultimo inverno è stato per Marta Cavalli un momento di costruzione

MasterChef Marta

E così, in attesa dell’esame che le dia il via libera, si fa fatica a vederla sul divano a giocare con un telecomando o a perdersi dietro le schermate dei social. Infatti anche Marta oppone le mani, come a tenere lontano un certo modo di passare il tempo.

«Non sto assolutamente ferma su un divano – racconta e ride – passo il mio tempo in cucina. Pur stando attenta, non mi sto privando di tante cose. Già mentalmente non è così semplice gestire questa situazione. Se poi devo anche mettermi a dieta stretta, chiusa in casa, cucinando un sacco di cose buone senza poterle mangiare, allora non ho avuto un infortunio, ma ho firmato una condanna».

La voglia di scherzarci su fa capire che in qualche modo, al netto del giramento di scatole, l’incidente è stato metabolizzato quasi del tutto. Li vediamo imbattibili, pensiamo che lo siano davvero. Ma basta una crepetta nel bacino e nella sicurezza, per farli vacillare come giunchi al vento. Fra dieci giorni ne sapremo di più, per ora ci sta un abbraccio ideale e la promessa di risentirci presto. A volte farsi sotto senza dover commentare una vittoria è il modo di far capire che ci tieni davvero.

Frattura del trochite omerale: scopriamo di cosa si tratta

08.12.2023
4 min
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L’esperienza di Montoli e della frattura all’area trochite omerale che ha compromesso il suo 2023 è stata lo spunto giusto per parlare di questa problematica. Per affrontare il tema abbiamo chiesto il supporto di Loris Perticarini, ortopedico con un master in chirurgia della spalla. 

«Intanto – spiega subito il dottor Perticarini – va individuata la zona di cui stiamo parlando. Il trochite si trova nella parte finale della spalla, vicino alla testa dell’omero, sotto il deltoide (foto apertura My-personaltrainer.it, ndr). E’ il punto dove ci sono le cuffie dei rotatori e da dove partono i tendini della spalla. Il trochite è un osso spugnoso».

Il dottor Loris Perticarini ha conseguito un master in chirurgia della spalla
Il dottor Loris Perticarini ha conseguito un master in chirurgia della spalla

La frattura

«Solitamente – prosegue Perticarini – si staccano i tendini e, di conseguenza, non si ha una frattura. Se, invece, si ha una frattura vuol dire che il trauma è stato così forte che i tendini non si sono rotti, ma hanno strappato via una parte dell’osso. Per fare un esempio concreto: è come i “panettoni” di cemento che ci sono in strada, collegati da catene. Se la catena viene via senza danneggiare il blocco di cemento è come se si rompessero i tendini. Al contrario, se la catena rimane intatta ma strappa via il blocco di cemento allora quella situazione è paragonabile alla frattura».

Montoli con l’evidente tutore alla spalla destra, in compagnia di Van Aert alla partenza della Coppa Bernocchi
Montoli con l’evidente tutore alla spalla destra, in compagnia di Van Aert alla partenza della Coppa Bernocchi
Noi parliamo di frattura, che è il caso di Montoli

Ci sono due opzioni. Se la frattura è minima, quindi meno di un centimetro, si lascia guarire da sola. Altrimenti se la frattura supera il centimetro, o vi è una rotazione o una rotazione della struttura, si opera. Nel caso di un atleta si può decidere di operare anche se la frattura è ridotta.

In cosa consiste l’operazione?

Si può ricorrere una stabilizzazione percutanea, ovvero con l’utilizzo di una vite, nel caso ci fosse un distaccamento importante. Oppure un’artroscopia: quando si ha un distaccamento ridotto, come un frammento osseo, si usano delle piccole ancore. 

Come mai questa distinzione?

Perché nel caso di una frattura minima, quindi sotto al centimetro di distaccamento, l’osso è in grado di attaccarsi da solo. Mentre nel caso di un distaccamento maggiore la parte danneggiata non si riattaccherebbe più. 

Tornare in bici dopo l’infortunio sarebbe stato rischioso nel caso di altre cadute (foto Instagram)
Tornare in bici dopo l’infortunio sarebbe stato rischioso nel caso di altre cadute (foto Instagram)
Per un ciclista cosa è meglio fare?

Ci sono casi e casi. Da un certo punto di vista è meglio operare, per ridurre i tempi di recupero. Questo permette al corridore di rimettersi in sella al più presto, ma vanno considerate anche altre variabili. 

Quali?

La prima è quella di eventuali cadute. E’ vero che un’operazione attacca l’osso, ma non riduce a zero i tempi di recupero. Operare serve per non lasciare troppo tempo l’articolazione immobile, con il rischio di farla irrigidire. Dopo l’operazione magari non si torna in strada, ma sicuramente si pedala sui rulli senza problemi

La glena è una parte molto delicata nell’articolazione della spalla (foto Dottor Vivanti Giovanni Battista)
La glena è una parte molto delicata nell’articolazione della spalla (foto Dottor Vivanti Giovanni Battista)
Montoli ci ha parlato anche di un problema alla glena.

La glena è la parte della spalla dove si articola l’omero. Una frattura in questa zona porterebbe ad un maggior pericolo o meglio al rischio che non guarisca bene. Ci sono colleghi che curano solo traumi alla spalla, talmente è delicata e complessa questa parte del corpo. 

I tempi di recupero quali sono?

Ci sono tante variabili da tenere in conto. La prima è il tipo di danno che si è subito e lo sport che si pratica. Un ciclista ha il problema che se rimane troppo tempo immobilizzato perde elasticità e capacità di mantenere la posizione in bici. Ma come detto prima un ritorno troppo affrettato potrebbe portare a danni superiori nel caso di altre cadute.

Ursella riparte: la gamba cresce, ora si fa sul serio

29.04.2023
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L’ultimo anno di Lorenzo Ursella è stato un incubo, ma adesso che sensazioni e numeri si stanno allineando, magari quello stringere i denti diventerà un punto a suo favore. Il friulano del Team DSM Development era caduto al Giro di Bretagna, in un 27 aprile senza particolari motivi di interesse. Tappa nervosa, il finale pieno di salite e discese. E quando gli erano caduti davanti, lui aveva messo piede a terra, ma poco aveva potuto contro lo tsunami del gruppo. Lo avevano travolto e sbattuto giù, rompendogli il malleolo e la tibia. L’intervento era stato anche tempestivo, ma convivere con la placca e le viti non è stato una passeggiata, anche se a settembre era tornato in gruppo e da allora non si è più fermato.

«Parto mercoledì per l’Olanda – racconta – dopo che l’anno scorso, con quello che è successo, non ho corso più di tanto e non ho potuto esprimermi al massimo o crescere come avrei voluto. Diciamo che il 2022 l’ho perso, ma ora sto lavorando tanto con la squadra e sento che la gamba sta iniziando a crescere e la condizione sta uscendo. Mi dispiace essermi ritirato per una caduta dal Giro di Sicilia, ci tenevo. In assoluto, da quando ad agosto ho ripreso a uscire in bicicletta, non mi sono mai fermato. Ho fatto tutto l’inverno in bicicletta».

Lorenzo Ursella è friulano della classe 2003: corre con il team olandese dallo scorso anno (foto Team DSM)
Lorenzo Ursella è friulano della classe 2003: corre con il team olandese dallo scorso anno (foto Team DSM)
Quale sarà il tuo programma?

Starò su in Olanda tutto il mese di maggio. Ho due gare di un giorno il 5 e il 6 maggio e poi dal 17 al 21 la Fleche du Sud, che invece si corre in Lussemburgo. Da lì la corsa successiva saranno i campionati italiani. Non parlo invece del Giro d’Italia U23 perché sono riserva, anche se mi piacerebbe partecipare. Bisognerà vedere la mia condizione e quella degli altri.

Quando dici che la gamba comincia a girare è un discorso globale o stai lavorando sulle tue qualità veloci?

Per adesso abbiamo messo un po’ da parte il discorso volate, perché comunque il picco ce l’ho, quindi lo spunto veloce è a posto. Stiamo lavorando tanto sulla resistenza e la salita. Aumentiamo le ore di allenamento settimana per settimana. Magari un paio di mesi fa dopo tre minuti a tutta ero già finito, adesso riesco a fare il doppio. Ogni allenamento aumentiamo un pochino per arrivare un giorno al risultato che cerchiamo. I numeri dicono che fisicamente sono sulla buona strada. E questo mi rende più ottimista. Lo sono sempre stato, perché un giorno voglio arrivare a fare qualcosa di importante.

Quindi non parliamo soltanto di quantità, ma anche di lavori specifici?

Esatto. Questa settimana ho avuto un blocco di tante ore in bicicletta, però anche con parecchi lavori. E’ chiaro che un po’ si perderà come punta di velocità, perché calando di peso e aumentando la resistenza, è logico che il picco si abbassi. Però ogni due settimane facciamo dei richiami o dei lavori in palestra per verificare la situazione su tutti i fronti.

Ursella ha disputato il Giro di Sicilia con la nazionale: si è ritirato per caduta il terzo giorno
Ursella ha disputato il Giro di Sicilia con la nazionale: si è ritirato per caduta il terzo giorno
Come ti trovi in squadra?

Bene. Loro hanno un metodo non dico severo, però diciamo che bisogna rispettarlo. Sono molto puntigliosi sulle cose, bisogna attenersi a quello che dicono. E’ un sistema che magari non va bene a chiunque, però io mi trovo abbastanza bene. Ogni tanto anch’io ho i miei momenti, però diciamo che quando hai l’abitudine al lavoro, riesci a fartela andare bene.

Cosa si prova a non vincere da un anno e mezzo?

L’anno scorso è stato brutto, perché non correndo tanto, non è stata una bella esperienza. Il primo mesetto col gesso è stato abbastanza duro. Infatti la squadra mi ha detto di mettere da parte la bicicletta e così mi son concentrato su tutt’altro e l’ho passata. Quest’anno sto cercando di pensare positivo e di andare avanti, perché vedo che i risultati stanno venendo. Bisogna solo aspettare, magari anche un po’ di fortuna.

In questi giorni a casa ti sei allenato da solo?

Qua in zona, soprattutto nel periodo invernale, mi trovo sia con De Marchi che con Jonathan Milan. Abbiamo un bel gruppetto e ci alleniamo spesso insieme. Adesso è un po’ più difficile perché siamo tutti in giro per le gare.

Ursella ha ripreso ad allenarsi la scorsa estate, dopo l’infortunio del 27 aprile 2022 (foto Team DSM)
Ursella ha ripreso ad allenarsi la scorsa estate, dopo l’infortunio del 27 aprile 2022 (foto Team DSM)
Con Amadori ti sei sentito per il mondiale o l’europeo?

Ho parlato con lui già a inizio anno e ha detto che gli piacerebbe appunto avermi e per questo mi ha inserito nella rosa più ampia. Adesso però tocca a me dimostrare qualcosa. In teoria maggio dovrebbe essere un periodo buono, perché le prossime gare sono abbastanza adatte a me e quindi devo dimostrare qualcosa adesso. Sono le classiche gare del Nord, con strappi ripidi però corti e magari l’arrivo in volata.

Chiaramente è presto per parlare di passaggio nella WorldTour, anche se a fine anno scade il contratto…

Dopo quello che è successo l’anno scorso, non abbiamo parlato. Non ho avuto risultati, sarebbe illogico. Detto questo, non so sinceramente cosa faremo a fine anno. Stiamo guardando e anche la squadra starà facendo le sue valutazioni.

Pozzovivo, l’obiettivo è guarire (e firmare il contratto!)

26.10.2022
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L’ultima in ordine di tempo è stata al Lombardia. Pozzovivo e le cadute non fanno quasi più notizia, ma solo rabbia. Tanta rabbia.

«Mi sono rialzato tipo stuntman – dice e intanto sorride – e mi sono detto che non mi ero fatto poi tanto male. Poi invece al Pronto Soccorso hanno cominciato a fare l’elenco. Ed è venuta fuori una frattura composta del tubercolo superiore, dove i muscoli si inseriscono nella cuffia della spalla. La frattura della falange del mignolo della mano sinistra e due costole. Per la prima fortunatamente non è servito operare, conoscendo il soggetto e la mia capacità di convivere con qualcosa di rotto. Prognosi di 6 settimane che per me sono diventate 3. Quel che ha dato davvero fastidio sono state le ferite, per i primi 10 giorni sono state impegnative. Al punto che non riuscivo a cambiare le garze da solo».

La caduta al Giro di Lombardia ha chiuso in anticipo la stagione di Pozzovivo (immagini Tv)
La caduta al Giro di Lombardia ha chiuso in anticipo la stagione di Pozzovivo (immagini Tv)

Ancora qualche giorno in Calabria, poi Domenico e sua moglie Valentina torneranno nella quiete di Morcote, in Svizzera. Lei sta per laurearsi in Ingegneria a Cosenza e mentre parliamo è in cantiere per il tirocinio. Quel che manca perché l’inverno sia giusto è la firma sul contratto e francamente si spera che “Pozzo”, 40 anni da compiere a fine novembre, non dovrà aspettare come l’anno scorso.

L’anno scorso c’era l’attenuante della Qhubeka che aveva chiuso…

Esatto, c’era un valido motivo. Sto aspettando e spero di chiudere prima che arrivino i saldi di fine stagione, perché non lo troverei dignitoso. Non sono il tipo che stressa il suo manager (Raimondo Scimone, ndr), aspetto di essere chiamato. E intanto faccio esercizi di training autogeno (sorride, ndr). Abbiamo valutato anche altre piste rispetto alla Intermarché-Wanty, ma l’obiettivo è rimanere con loro. Offerte di squadre professional sono pure arrivate, ma considerando la situazione ce le saremmo aspettate un po’ più alte.

Dopo il Giro, la Vuelta per preparare il finale di stagione: nel 2022 per Pozzo 73 giorni di gara
Dopo il Giro, la Vuelta per preparare il finale di stagione: nel 2022 per Pozzo 73 giorni di gara
Che valutazione dai di questo 2022?

Per come è partito e per come è finito, sarebbe meglio non parlare. Ma la parte centrale mi è piaciuta molto, sarebbe stato un anno da 9 se fossi riuscito a fare il Lombardia che avevo in mente. I due mesi di long Covid hanno fatto da moltiplicatore al bene che stavo. Prima avevo pianificato di entrare nei 10 al Giro dopo l’incidente e ci sono riuscito, avendo per giunta sognato per un po’ di andare sul podio.

Abbiamo esposto a Valverde la tua teoria sul confronto con i giovani che ti ha spinto a migliorarti ed è totalmente d’accordo.

Serve ancora più motivazione. E poi, parlando di atleti di una certa età, la conoscenza porta a commettere meno errori. E ridurre gli errori diventa il vero fronte su cui lavorare. I prodromi della prossima stagione potrebbero essere nella condizione che ho mostrato nelle ultime gare. Con il vantaggio che l’asimmetria conseguenza dell’incidente si sta riducendo sempre di più.

In vista delle tre crono del Giro, Pozzovivo spera di poter lavorare sulla bici da crono
In vista delle tre crono del Giro, Pozzovivo spera di poter lavorare sulla bici da crono
Merito delle terapie?

Merito degli accorgimenti che sto adottando empiricamente. Non c’è un software che possa determinare la biomeccanica giusta per me. Continuo a fare aggiustamenti e intanto lavoro con fisioterapisti e osteopati. Il cambiamento così rapido dei materiali di inizio anno su di me si è riflesso in modo importante. Non sono passaggi indifferenti.

Alla vigilia dell’ultimo Giro lamentasti il non aver potuto mettere a punto la bici da crono.

E lo confermo, è l’unico aspetto su cui non ho lavorato e per il Giro che viene sarebbe importante. E’ importante avere le spalle coperte quando la corsa parte con una prova già abbastanza lunga.

Che effetto ti farà tornare a Lago Laceno, dove vincesti nel 2012?

Parliamo di un’altra epoca Undici anni dopo, mi sento di dire che sarà una salita di scarsa selezione. Io arrivai da solo, poi un altro e poi il gruppo. L’anno prossimo vedo un arrivo con 15-20 corridori. E’ diverso anche il contesto.

Nel 2023, la 4ª tappa del Giro arriverà a Lago Laceno, dove nel 2012 vinse Pozzovivo
Nel 2023, la 4ª tappa del Giro arriverà a Lago Laceno, dove nel 2012 vinse Pozzovivo
Cioè?

Nel 2012 era l’ottava tappa e prima c’erano parecchie altre salite più impegnative di quelle che si affronteranno nel 2023. Quella fu una tappa di 230 chilometri da 6 ore e 6 minuti, la prossima saranno 50 chilometri in meno. E poi ci sarà il controllo del primo arrivo in salita, mentre allora c’era già stato l’arrivo a Rocca di Cambio il giorno prima.

Quando torni in Svizzera?

Penso la settimana prossima, anche perché devo fare delle radiografie di controllo. Ormai non conto più le fratture, ma con le ultime ho sicuramente superato le 20. Se l’Enel cercasse me come ha fatto con De Marchi per degli spot pubblicitari, i miei dovrebbero girarli in un reparto di radiologia…

Bernal si commuove: da oggi comincia la corsa più dura

07.02.2022
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E’ un Egan Bernal visibilmente commosso quello che ringrazia lo staff sanitario della Clinica Universitaria La Sabana in cui è stato ricoverato in fin di vita e dalla quale è uscito ieri dopo 13 giorni e una serie impressionante di interventi. La foto di apertura lo ritrae a casa fra i suoi cari, lo staff Ineos Grenadiers rimasto ad assisterlo e alle sue spalle c’è Brandon Rivera, caduto a sua volta pochi giorni dopo l’amico. Guardate la posa di Egan, non sembra bloccato come in certi casi.

«La Clinica Universitaria La Sabana – recita l’ultimo dei bollettini che ci arrivavano quotidianamente – in qualità di centro sanitario accademico che punta all’eccellenza, al servizio e alla promozione della vita, comunica al pubblico che il paziente Egan Bernal Gomez ha completato due settimane nella nostra struttura, riuscendo a superare un trauma ad alta energia.

La prima immagine di un Bernal vigile e vispo, circolata pochi giorni fa (foto La Sabana)
La prima immagine di un Bernal vigile e vispo, circolata pochi giorni fa (foto La Sabana)

«In questo momento, il paziente è nella terza fase del trauma, pronto per iniziare il suo percorso riabilitativo. Non ha complicazioni e tutte le sue ferite sono stabili e in via di guarigione.

«Per quanto sopra, siamo lieti di comunicare che oggi il paziente è stato dimesso, per continuare il suo percorso riabilitativo in regime ambulatoriale presso la nostra struttura, la prima Clinica accreditata in Colombia in riabilitazione, dal 2015, dall’ente internazionale Commission on Accreditation delle Strutture Riabilitative (CARF).

«Oggi diamo più significato e forza alle parole che portiamo nella nostra Istituzione come missione. Con orgoglio e speranza iniziamo una nuova tappa insieme al nostro atleta».

Paura e gratitudine

Ricordiamo tutti il giorno dell’incidente, ne abbiamo fornito ricostruzione e abbiamo iniziato a tratteggiare il suo recupero. E certo rileggendo l’andamento del decorso di Egan ci saremmo aspettati tutti un cammino ben più complicato. Probabilmente però la bravura dei chirurghi e il suo fisico gli hanno permesso di assorbire il trauma e di smaltirlo.

In piedi fra i chirurghi che lo hanno operato: la riduzione chirurgica delle fratture ha ridotto i tempi (foto La Sabana)
In piedi fra i chirurghi che lo hanno operato (foto La Sabana)

«In questi giorni- dice Bernal rivolgendosi al personale della clinica – ho sentito grande dolore, però almeno ho sentito qualcosa. Quello che ricordo è che un secondo mi stavo preparando per il Tour de France, ho battuto gli occhi e il secondo successivo stavo lottando per la mia vita. La verità è che ho dato sempre tutto per essere un professionista e lo stesso è stato per voi, ma in maniera differente. E devo dirvi grazie per avermi permesso di avere una seconda opportunità. Per me è come tornare a nascere. E… niente, spero un giorno di tornare forte in qualche modo, anche se sarà qualcosa di piccolo».

I prossimi passi

In Colombia ovviamente la notizia dell’uscita di Bernal dalla clinica ha avuto grande risalto ed ha messo in moto una serie di interviste ai medici che lo hanno seguito nel recupero.

«Il processo per tornare ad essere il ciclista di prima – ha affermato il medico specializzato Gustavo Castro – seguirà una pianificazione complessa e ampia. La prima è la riabilitazione, la seconda sarà la fase di riqualificazione e la terza sarà l’allenamento. Il vantaggio è che le fratture sono state stabilizzate chirurgicamente, il che permetterà di iniziare un rapido recupero per iniziare a muoversi più velocemente. Lo scopo è che i tessuti e l’osso possano aderire bene, che abbiano di nuovo la struttura di prima e ci vorranno circa sei mesi».

Foto ricordo con gli infermieri e i terapisti di neurochirurgia (foto La Sabana)
Foto ricordo con gli infermieri e i terapisti di neurochirurgia (foto La Sabana)

Un lavoro complesso

Bernal è entrato nella Clinica de la Sabana il 24 gennaio, dopo essere finito contro un autobus mentre si allenava sulla bicicletta da cronometro, riportando fratture multiple.

«Dopo che i tessuti saranno funzionali – ha proseguito Castro – e le ossa, i tendini e i legamenti saranno normali, dovremo lavorare su forza, coordinazione e potenza. Oltre che sulla mobilità articolare, così come sulla coordinazione neuromuscolare. Egan ha al suo fianco un team di professionisti altamente competenti e questa è la chiave». 

I campioni sono speciali

Un parere molto interessante è infine arrivato da Fredy Abella, medico molto riconosciuto in ambito sportivo per aver curato per molti anni Nairo Quintana.

Con sua madre Flor Marina (a sinistra), la compagna Maria Fernanda e il primario della clinica (foto La Sabana)
Con sua madre Flor Marina (a sinistra), la compagna Maria Fernanda e il primario della clinica (foto La Sabana)

«Questo trattamento deve essere completo – dice – non si tratta solo di curare le fratture, ma si dovrà lavorare sulla parte biomeccanica, avere un gruppo specializzato per recuperare rapidamente il paziente. La Clinica Universidad de la Sabana è il centro di riabilitazione più completo in questo settore del Paese ed è l’ideale per quello che Bernal dovrà affrontare. Bisogna sapere, prima di tutto, come sono andati i trattamenti per la frattura, come è risultato l’allineamento della colonna vertebrale, conoscere il lavoro che verrà fatto per recuperare il problema muscolare. I processi degli atleti ad alte prestazioni sono molto speciali».

A noi resta la paura nella voce di Egan e il suo essere tornato nuovamente quasi come un bambino in cerca di rassicurazioni. Ma l’uomo è duro, ha vinto un Tour e nella vita ha dovuto soffrire per raggiungere ognuno dei suoi traguardi. Pensiamo spesso in questo periodo alla storia di Pantani e alla sua ripresa. I campioni sono diavoli, non si arrendono mai. Da oggi la corsa di Egan sarò sempre in salita e non conoscerà soste.

Guazzini, quei 79 chilometri avevano il gusto della libertà

08.12.2021
5 min
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Settantanove chilometri di libertà. No, non sono quelli di evasione dal gruppo durante una gara, ma quelli pedalati da Vittoria Guazzini sulle strade di Peccioli, dove abita nonna Marinetta. La prima uscita in bici (5 dicembre) a distanza di due mesi dal brutto incidente patito alla Parigi-Roubaix (2 ottobre) durante la quale aveva riportato una doppia frattura alla caviglia sinistra. Era stata necessaria un’operazione e aveva dovuto saltare sia il Women’s Tour in Gran Bretagna sia il mondiale in pista a Roubaix.

Paradossalmente alla “Guazz” – che compirà ventuno anni il prossimo 26 dicembre e che ha firmato un biennale con la Fdj Nouvelle Aquitaine Futuroscope – ha fatto più male rinunciare a quelle gare che il dolore dell’infortunio. 

Tuttavia l’ha presa con filosofia e con l’ironia che la contraddistingue. «Sembrerà assurdo – racconta la campionessa europea U23 a crono – ma anche il mondiale su pista di Berlino a febbraio 2020 lo avevo saltato perché ero scivolata sulle scale di casa facendomi male alla caviglia destra e finendo all’ospedale. Fa ridere raccontarlo. Fortuna che ho finito le caviglie!». 

Con questa foto su Instagram dei paesaggi di Peccioli, Vittoria ha celebrato il ritorno in sella
Con questa foto su Instagram dei paesaggi di Peccioli, Vittoria ha celebrato il ritorno in sella
Vittoria come è stato questo ritorno in bici?

Ci voleva, è stata una liberazione. Avevo già pedalato sui rulli nei giorni precedenti, poi quando ho avuto l’ok per andare su strada, sono andata. Ero a casa di mia nonna dove c’era anche un meteo migliore rispetto a casa mia. Sono uscita da sola e tanto che c’ero, con calma ho fatto un po’ di chilometri. Settantanove diceva il computerino.

Hai avuto difficoltà?

E’ stata una pedalata strana anche se non ho avuto fastidi. Non volevo piegare troppo la bici, avevo molta paura di cadere e facevo le curve quadrate. Ogni rotonda era un incubo. Anche alzarmi in piedi mi faceva effetto. Ma la cosa più difficile è stata un’altra…

Quale? 

Solitamente parto a pedalare col piede destro e quando mi fermo agli incroci sgancio il sinistro. Al momento mi devo impegnare per staccare il pedale perché non mi viene automatico. Addirittura quando arrivo a casa mi aiuto con le mani. Quindi sto imparando a staccare il destro e non è semplice, mi rende spaesata. 

Ecco la caduta alla Roubaix che le è costata uno stop di due mesi (foto Louis Lambin)
Ecco la caduta alla Roubaix che le è costata uno stop di due mesi (foto Louis Lambin)
Hai fatto particolari pensieri, magari al 2022, durante questi 79 chilometri?

Onestamente pensavo a restare in piedi (ride, ndr), mi sembrava già un grande traguardo. E pensavo anche che stavo facendo tanta fatica. Anche perché partendo da Peccioli, dove fanno la Coppa Sabatini, c’è subito salita. Alla fine però sono andata a cercare la pianura e qualche strappetto lì attorno. 

Il tuo programma di riabilitazione come sta procedendo?

Ho pedalato anche i due giorni successivi, ma mi sto gestendo perché accuso ancora un po’ di fatica. Naturalmente sto facendo fisioterapia e nelle settimane scorse avevo fatto anche del laser. Sento che sto recuperando bene.

Nel frattempo è praticamente già iniziata la prossima stagione con la nuova squadra…

Qualche settimana fa sono stata un paio di giorni in Francia per le misure della bici e sono rientrata subito. Il 12 dicembre invece partirò con il team per Altea, in Spagna, per un ritiro di una decina di giorni. Laggiù definiremo anche il mio calendario in base al recupero. Io però tornerò il 20 dicembre, perché il giorno successivo avrò la premiazione del Giro d’Onore a Roma.

Un’altra foto su Instagram per rassicurare amici, tifosi e parenti delle condizioni dopo la caduta di Roubaix
Un’altra foto su Instagram per rassicurare tutti dopo la caduta di Roubaix
Avrai un programma differenziato in questi giorni?

Non so ancora di preciso, dovrei seguirne uno un po’ diverso dalle mie compagne. Per me sarà importante anche riprendere confidenza con il pedalare in gruppo. In ogni caso starò a ruota e in un qualche modo me la caverò. 

Con l’infortunio sono cambiati un po’ gli obiettivi?

Nel 2022, cambiando l’ambiente, c’era già voglia di fare bene. A maggior ragione dopo questo incidente. Le motivazioni sono tante. Ora c’è un punto interrogativo su come e quando mi rimetterò in forma al 100 per cento. Questo è l’obiettivo primario poi la condizione arriverà e le occasioni ci saranno. Spero di coglierle e togliermi qualche soddisfazione. 

Ci sono stati dei lati positivi in questo periodo di degenza?

In queste circostanze bisogna trovarne per forza. Ho forse imparato a guardare non troppo avanti. Avrei voluto andare in vacanza per staccare mentalmente, però fisicamente mi sono riposata anche più del dovuto. Non so quando correrò, di sicuro sfrutterò questo periodo per ambientarmi meglio con la nuova squadra.

Basta stampelle, finalmente per Vittoria Guazzini è tempo di ricominciare (foto Instagram)
Basta stampelle, finalmente per Vittoria Guazzini è tempo di ricominciare (foto Instagram)
Perché hai accettato di andare all’estero?

Non è stato semplice decidere, ci ho riflettuto molto. La proposta della Fdj era arrivata dopo le classiche di primavera, ma era doveroso che io aspettassi le intenzioni della Valcar-Travel&Service. D’altronde devo tantissimo a loro se ho ottenuto dei risultati in questi tre anni. Alla fine sono stata convinta dall’attenzione che i francesi hanno verso le crono. E’ una specialità che mi piace molto e volevo svilupparla maggiormente guardando cosa ne può uscire.

Sarai in una formazione World Tour dove ritroverai la Cavalli…

Marta è stata importante per scegliere. Me ne aveva parlato bene e mi aveva rassicurata. Il fatto di conoscere già lei è un valore aggiunto. Per il resto è una squadra di qualità che è cresciuta tanto. E’ arrivata anche l’australiana Grace Brown che quest’anno è andata molto forte. Spero di dare il mio contributo. Le basi per fare bene ci sono.

Clavicola rotta? Non imitate i corridori…

27.01.2021
6 min
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La frattura della clavicola è una delle seccature più ricorrenti per il corridore. Basta andare giù sul fianco e avere il semplice riflesso di mettere la mano a terra per ripararsi dalla caduta e si percepisce netto lo schioccare dell’osso o del legamento, a seconda che si tratti di frattura o lussazione. Tutti durante la carriera prima o poi passano per l’antipatico inconveniente. Ricordate Pozzato fratturato a febbraio al Tour of Qatar del 2012 recuperare in tempo per fare secondo al Fiandre dietro Boonen e prima di Ballan? Oppure Tyler Hamilton che corse il Tour del 2003 malgrado la frattura, arrivando addirittura al quarto posto?

Noi ci siamo rivolti al dottor Antonio Padolino, ortopedico specialista  in Chirurgia della Spalla e del Gomito e consulente del Centro Fisioradi di Pesaro, per capire quanto sia da prendere ad esempio il recupero kamikaze di certi atleti o non convenga piuttosto rispettare i tempi di una guarigione più cauta.

Frattura della clavicola, la radiografia non lascia spazio a dubbi
Frattura della clavicola, la radiografia non lascia spazio a dubbi
Che cos’è la clavicola?

La clavicola fa parte delle ossa lunghe del corpo umano, è a forma di “S” e si articola trasversalmente tra il processo acromiale della scapola, formando l’articolazione acromion-clavicolare e lo sterno, formando l’articolazione sterno-clavicolare. Il suo nome deriva proprio dalla sua forma a piccola chiave musicale “clavicola”. Gli uomini presentano una maggiore lunghezza di quest’osso rispetto alle donne ed un’angolatura maggiore.

Perché si rompe ed in quanti modi?

Le fratture della clavicola avvengono solitamente per trauma ad alta energia, come cadute ed incidenti stradali. Si può rompere in diversi modi, sia dal punto di vista dei frammenti che delle sedi. Se immaginassimo di dividere la clavicola in tre parti, mediale, centrale e laterale, le fratture si possono raggruppare in queste tre sedi. Le fratture “centrali”, meglio dette del corpo della clavicola, sono quelle più frequenti in quanto la densità ossea è inferiore rispetto alla porzione mediale e laterale. Ci possono poi essere fratture a due, tre o più frammenti.

Come si risolve? Intervento chirurgico sempre?

La prima cosa da fare, quando si ha un trauma alla spalla, è recarsi in pronto soccorso per effettuare una radiografia. Se confermata la frattura, la scelta del trattamento può essere duplice. Conservativa o chirurgica. Questa valutazione deve essere fatta dallo specialista ortopedico che, in base al tipo, sede, numero e scomposizione de frammenti, può decidere per l’una o l’altra soluzione. 

Valutazione importante sono anche l’attività che svolge il paziente e l’età?

La scelta conservativa, per molti ancora oggi, è il trattamento di scelta, in quanto la clavicola ha un’ottima capacità di guarigione con un’immobilizzazione adeguata ed un minor rischio di complicanze di non guarigione. L’intervento chirurgico deve essere ben ponderato per quelle fratture altamente scomposte, con sovrapposizione dei frammenti ossei, che potrebbero forare la cute (vista la vicinanza tra osso e cute) e nei casi di un evidente accorciamento dell’arto superiore interessato.

Tyler Hamilton con compact FSA
Tyler Hamilton al Tour del 2003 corse e arrivò in fondo nonostante la frattura
Tyler Hamilton con compact FSA
Hamilton al Tour del 2003 arrivò in fondo nonostante la frattura
Che mezzi di sintesi si usano e poi si devono rimuovere?

Presa la decisione chirurgica, anche qui dobbiamo fare delle scelte in base all’età e all’attività del paziente. Nei bambini e negli adolescenti, con ancora un basso grado di formazione ossea, è preferibile utilizzare una sintesi temporanea, ad esempio con un chiodo endomidollare. Nell’adulto o nello sportivo agonista, è preferibile ridurre e sintetizzare la frattura di clavicola con una placca in titanio e le relative viti. Questo tipo di sintesi permette di riallineare i frammenti e di stabilizzare la frattura permettendone la guarigione. Anche se non è scevra da rischi, come la mancata consolidazione a causa della riduzione dell’afflusso sanguigno in sede di frattura, dovuto all’insulto chirurgico.  I mezzi di sintesi, nella maggioranza dei casi, vanno rimossi una volta guarita radiograficamente e clinicamente la frattura. In rari casi, in accordo con il paziente, possono rimanere in sede.

Ritorno in bicicletta dopo intervento?

Dopo l’intervento chirurgico, è necessaria un’immobilizzazione del braccio di circa 3 settimane, per consentire una corretta guarigione primaria della frattura e la formazione di callo fibroso, prima ed osseo poi. Una mobilizzazione precoce può aumentare il rischio di mancata guarigione. Dopo le canoniche tre settimane, si può iniziare una mobilizzazione passiva, con il fisioterapista, per recuperare l’articolarità della spalla ed evitare il rischio di rigidità. Dopo 4-5 settimane si può iniziare la riabilitazione in piscina riabilitativa, con acqua a temperatura di 32-34 gradi. I movimenti attivi, fuori dall’acqua, sono consentiti dopo circa 6 settimane. Il ritorno in bicicletta o comunque all’attività sportiva, deve essere valutato caso per caso, in base al dolore, articolarità della spalla, iniziale guarigione della frattura, comunque non prima delle 8 settimane. Le forze di stress, soprattutto in bicicletta, sulla clavicola sono molto importanti. 

Pozzato venne operato e recuperò a tempo di record fino al secondo posto del Fiandre
Pozzato si operò e recuperò a tempo di record per il Fiandre
A volte, a parità di trauma, si può avere una lussazione acromion-claveare. Come prognosi è migliore della frattura?

La clavicola, nella porzione laterale, è stabilizzata all’acromion tramite i legamenti acromion-clavicolari (una vera e propria articolazione) e stabilizzata al processo coracoideo della scapola tramite i legamento coraco-clavicolari (conoide e trapezoide). Quando avviene un trauma diretto in questa zona della spalla (nello sport da contatto o nelle cadute dirette sulla stessa), si possono rompere questi legamenti ed abbiamo la lussazione acromion-clavicolare. La prognosi, rispetto alla frattura della clavicola, è praticamente sovrapponibile.

Quanti tipi di lussazione ci sono?

La classificazione universalmente accettata è quella di Rockwood. Sono classificati 6 tipi diversi di lussazione, in crescendo da 1 a 6 in base alla gravità della stessa ed alla compromissione dei legamenti prima elencati.  La lussazione acromion-clavicolare è più frequente nei traumi in bicicletta rispetto alla frattura di clavicola

Quale tipo di trattamento per la lussazione acromion-clavicolare?

Anche qui il trattamento si divide in conservativo e chirurgico. E’ necessario eseguire in acuto una radiografia in proiezioni standard, nella proiezione per l’acromion-clavicolare ed una radiografia comparativa di entrambe le spalle per stabilire il grado della lussazione, oltre ovviamente all’esame obiettivo specialistico. La Risonanza Magnetica e l’esame TC possono essere di aiuto in casi selezionati. Fatta la diagnosi, anche qui si discuterà con il paziente il tipo di trattamento da effettuare. Per il grado 1 e 2, il trattamento di scelta è conservativo. Per il grado 3, si può discutere tra trattamento conservativo e chirurgico. Dal grado 4 in poi, il trattamento è pressoché chirurgico. L’immobilizzazione postoperatoria è mandatoria per 3 settimane. Poi il percorso riabilitativo segue sempre una mobilizzazione passiva con il fisioterapista e poi recupero attivo e passivo in acqua dopo 4-6 settimane. Il ritorno all’attività sportiva non può avvenire prima delle 8 settimane, compreso il ritorno in bicicletta.

Un tutore per immobilizzare la spalla
Un tutore per immobilizzare la spalla
E’ più rapida la ripresa dalla frattura di clavicola o dalla lussazione acromion-clavicolare?

Ovviamente va fatto un distinguo da caso a caso. Con le evidenze di oggi, possiamo dire che la ripresa dell’attività fisica post intervento della frattura di clavicola e della lussazione acromion-clavicolare può essere sovrapponibile.  A volte si può “rischiare” una ripresa precoce nelle frattura di clavicola con un’ottima sintesi rispetto alla stabilizzazione acromion-clavicolare

Possono avvenire entrambe contemporaneamente?

Un trauma ad alta energia, come quello stradale, può portare ad avere contemporaneamente una frattura dell’estremo laterale di clavicola con rottura dei legamenti coraco-clavicolari, con conseguente lussazione del corpo della clavicola. In questo caso particolare, abbiamo la possibilità di un trattamento chirurgico unico con il sistema a carrucola che va a sostituire i legamenti coraco-clavicolari e riallineare i monconi di frattura, permettendone una corretta guarigione della frattura. I tempi di recupero non sarebbero comunque superiori ad una delle due lesioni prese singolarmente.

La frattura del femore (il calvario di Froome)

07.12.2020
4 min
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La lenta ripresa di Froome dopo la frattura del femore. Il britannico cadde nel giugno del 2019 e dopo mille sforzi e senza badare a spese, alla Vuelta del 2020 ha ritrovato sensazioni accettabili. Frattura esposta del femore, del gomito e di alcune costole. Chris non è il primo ciclista a incappare in uno stop così lungo e doloroso: il femore finisce spesso agli onori della cronaca. Ma il fatto che il suo ritorno all’efficienza sia stato così lungo dimostra che non si tratta di un problema di poco conto. Anche se, come ci ha raccontato Salvatore Puccio, a rallentare il suo ritorno all’efficienza è intervenuto anche lo stop dovuto al Covid.

Del femore e della sua frattura parliamo con Francesco Maria Guerrini, fisioterapista e laureato in Scienze Motorie, che presta la sua opera presso il Centro Fisioradi di Pesaro.

Il recupero di Froome dopo la caduta del 2019 si è concluso di fatto un anno dopo
Froome, un anno per recuperare dalla brutta frattura
Dottor Guerrini, in quanti modi si rompe il femore?

I tipi di frattura sono molteplici, in quanto si tratta di un osso molto lungo e anatomicamente complesso. Per semplicità possiamo classificare le fratture in 4 diverse tipologie. La prima è la frattura della diafisi: quando è coinvolta la parte lunga del femore (nell’apertura in un’immagine Inran, ndr). Poi c’è la frattura sottocapitata: quando si localizza subito al di sotto della testa del femore. La terza è la frattura del collo: quando si localizza in un punto del collo del femore. Quindi la frattura trocanterica: quando coinvolge uno o entrambi i trocanteri (le sporgenze, grande e piccola, nella parte superiore del femore, ndr).

La frattura dell’acetabolo rientra nella casistica?

E’ meno comune delle fratture della testa del femore. La frattura acetabolare è quasi sempre frutto di eventi traumatici. Si verifica in caso di impatto violento della testa del femore contro l’acetabolo. Questa tipologia di frattura però non rientra tra le fratture del femore bensì tra le fratture dell’anca.

Un anno dopo, il britannico fa ancora fatica a camminare, ma ha finito la Vuelta
Un anno dopo, Froome ha concluso la Vuelta ma ancora zoppica
La frattura del femore presuppone un urto violento oppure, essendo un osso lungo, basta anche un colpo non violentissimo?

Il femore è l’osso più lungo del corpo ed è anche il più resistente. Quindi si presuppone che necessiti di un urto molto violento per causare una frattura. Purtroppo però, soprattutto in soggetti anziani, la frattura può avvenire senza nessun incidente a causa della condizione osteoporotica. 

Si opera in tutti i casi? 

E’ molto improbabile che una frattura di femore possa guarire senza intervento chirurgico che, tra l’altro, deve essere eseguito entro 24/48 ore dalla diagnosi. In caso di impossibilità di intervento chirurgico, l’unica soluzione è, come in tutte le fratture, l’immobilizzazione dell’arto e l’assoluto divieto di carico fino al consolidamento osseo. 

La frattura del femore può danneggiare anche il muscolo intorno?

Purtroppo in caso di frattura esposta, quindi quando la struttura ossea lacera i tessuti, possono verificarsi lesioni a livello dei muscoli adiacenti all’osso interessato. Un caso eclatante è quello avvenuto recentemente a Chris Froome, che a causa di un grave incidente ha riportato, oltre ad altre fratture e contusioni, la frattura esposta del femore destro con perdite ematiche ingenti. A causa di questo grave incidente la carriera del corridore inglese è parsa fortemente a rischio, ma la sua forza di volontà e il suo ottimo recupero fisico gli hanno permesso di rientrare all’attività agonistica. Seppure al momento senza riuscire a tornare ai livelli precedenti

Il collo del femore può subire una frattura vera e propria o una frattura pertrocanterica
Il collo del femore può subire 2 tipi di frattura
Fatto l’intervento, si può cominciare subito con la rieducazione?

La rieducazione deve essere iniziata nel minor tempo possibile dall’intervento. La prolungata attesa può ritardare i tempi di recupero e aumentare il rischio della formazione di trombi. La rieducazione avverrà gradualmente. Prima con mobilizzazioni passive. Successivamente con esercizi isometrici, in scarico e con carico progressivo sino alla completa autonomia del paziente. Con l’obiettivo di tornare alla performance sportiva nella migliore condizione possibile. 

Quanto tempo di stop assoluto si impone? 

Non esiste un tempo assoluto, può variare in base all’entità della frattura e in base all’attività che dovrà svolgere il paziente. 

Dopo quanto tempo si può cominciare a caricare l’arto? 

La concessione del carico purtroppo dipende dal tipo di frattura e conseguentemente dal tipo di intervento eseguito per la sua riduzione. E’ molto importante il confronto tra il professionista della riabilitazione e l’ortopedico che ha eseguito l’intervento. La rieducazione non termina con la ripresa dell’attività sportiva. E’ la corretta valutazione posturale e biomeccanica che permette il recupero completo del gesto atletico.