Il discorso dei dislivelli da sempre, e sempre di più, affascina i ciclisti. Sulle piattaforme digitali, i computerini… i numeri delle salite attirano non poco. E al Giro della Valle d’Aosta, oltre a Darren Rafferty, il dislivello è stato protagonista. Il totale dei metri verticali da affrontare era di ben 15.500 in cinque tappe. Vale a dire una media di 3.100 per frazione. Il Giro Next Gen in otto frazioni arrivava a 12.050 metri, per rendere l’idea.
Spesso quando eravamo in Valle si scherzava: «Oggi gli under 23 battono i pro’ del Tour». In qualche caso ci si è chiesti se non si fosse esagerato. Più di qualche direttore sportivo si è velatamente lamentato, auspicando almeno una frazione centrale più morbida. Una frazione che desse respiro ai ragazzi e magari motivasse un po’ di più gli uomini “veloci”, termine che al Valle d’Aosta, è da prendere con le pinze.
D’altra parte, dando una botta al cerchio e una alla botte, lo spettacolo è stato magnifico e i percorsi affrontati sono stati bellissimi.
Quanto dislivello?
E allora cerchiamo di capire come sono andate le cose. Riccardo Moret, presidente della Società Ciclistica Valdostana, al via da Courmayeur, in occasione della seconda tappa ci aveva detto proprio del dislivello, aggiungendo che storicamente questa corsa ne proponeva molto. Un po’ per la conformazione del territorio e un po’ perché era proprio nel Dna dell’evento.
Discorso che poi abbiamo ripreso con Francois Domaine, vicepresidente del Valle d’Aosta. Con Domaine siamo partiti dall’esempio del tappone di Calavalité, con arrivo nella splendida conca sulle montagne a Sud di Fenis.
«La nostra volontà – spiega Domaine – è quella di proporre una tappa dura che somigli a quella dei professionisti, anche per il chilometraggio. Sì, forse proprio questa frazione poteva essere addolcita un po’ togliendo una salita, ma non credo che alla fine sarebbero cambiati molto i valori.
«Noi abbiamo delle statistiche e storicamente il Giro della Valle d’Aosta era concluso da “pochi” corridori, quest’anno ne sono arrivati alla fine due su tre».
Il discorso di una tappe stile pro’ alla fine concorda con quello che è lo sviluppo del ciclismo attuale. Un ciclismo in cui di fatto già a 19-20 sono dei piccoli pro’, tanto da fare la spola con la prima squadra WT nei casi dei team development.
«Nell’ottica dei 5-6 giorni di gara ci vorrebbe nel mezzo una tappa come quella iniziale di Arvier, una frazione che dia respiro. Che non è comunque una tappa facile, visto che contava oltre 1.300 metri di dislivello in 80 chilometri, tanto è vero che ha vinto Vandenstorme, ragazzo che avrà un futuro non solo come sprinter».
Strade obbligate
Non è facile per la Società Ciclistica Valdostana realizzare un tracciato semplice o molto più semplice: come diceva Moret l’orografia conta. La Valle d’Aosta è circondata da montagne ovunque e la valle principale, quella della Dora Baltea e del capoluogo, è comunque stretta. Non si hanno spazi da pianura Padana. E questa stessa valle va dai 1.300 metri di quota alla base del tunnel del Bianco ai 340 metri di Pont Saint Martin, che segna l’ingresso nel territorio aostano. Va da sé che le alternative non sono molte.
«Da noi – prosegue Domaine – allegerire i percorsi non è facile oltre che per le questioni orografiche anche per quelle logistiche e turistiche.
«In Valle – dice Domaine – abbiamo due arterie principali, la SS 26 e la SS27, che sono le vie di comunicazione più trafficate. Il Giro della Valle si corre poi nel mezzo della settimana: nei giorni feriali c’è il traffico anche di mezzi pesanti e nel week-end (siamo a luglio, ndr) c’è quello turistico. Cerchiamo pertanto di bypassare queste due strade per ovvi motivi e per farlo ci spostiamo sulle vie più laterali e queste o salgono o scendono».
Influenze esterne
A questa motivazione tecnica se ne aggiunge anche una seconda altrettanto pragmatica ed importante: quella turistica, come accennavamo. Una gara ciclistica, specie in territori simili e con un’ottima diffusione internazionale grazie alla diretta streaming, fa leva anche sui distretti turistici.
I vari comprensori che ospitano la gara indicano i punti peculiari da toccare, succede al Giro d’Italia, al Tour de France, figuriamoci in gare più piccole. E questi consorzi il più delle volte vogliono portare la corsa in testa alla valle di riferimento così da farla vedere tutta.
«Anche questo è un aspetto di cui siamo consapevoli – conclude Domaine – al netto del dislivello della tappa pensiamo di proporre arrivi diversi. Arrivi in fondo alle valli e avremmo anche individuato delle località adatte, ma ci chiedono quasi sempre di arrivare in cima».
La questione è dunque ben complessa. Si può sempre modificare, aggiustare, migliorare, ma il Valle d’Aosta è questo e se da qui escono i campioni che oggi si giocano il Tour, il Giro e, in qualche caso anche le classiche più dure del mondo, un motivo ci sarà.