Search

Lo sfogo di Bonifazio e la promessa di riprovarci

16.09.2023
4 min
Salva

Bonifazio è tornato a correre, dopo più di un mese, in Belgio: prima al Bodes Izegem Koerse e poi al GP Fourmies. Mentre la prima corsa gli è servita per tornare a mettere chilometri nelle gambe, la seconda (Gp Fourmies) lo ha portato già ad ottenere un buon sesto posto.

Un piazzamento che lo accompagna con maggiore fiducia alle prossime gare, a cominciare dal Memorial Pantani (in apertura Bonifazio in ricognizione a Tavullia, foto Instagram), corso oggi, e all’Adriatica Ionica Race. 

Tra le due corse in Belgio e Francia Bonifazio è tornato sulle pietre della Roubaix ad allenarsi (foto Instagram)
Tra le due corse in Belgio e Francia Bonifazio è tornato sulle pietre della Roubaix ad allenarsi (foto Instagram)

Care pietre

Niccolò Bonifazio ha poi postato una foto sui social che immortalava le pietre della Roubaix. Il corridore ligure da quelle parti ci ha lasciato il cuore e un po’ di fortuna, che in futuro spera di poter andare a recuperare. 

«Tra le due corse fatte in Francia e Belgio – racconta Bonifazio – ho approfittato per tornare ad allenarmi sulle strade della Parigi-Roubaix. La corsa distava un po’ da lì ma il richiamo era troppo forte e sono tornato a pedalare su quelle pietre. In passato ho corso qui per tre volte e non sono mai stato fortunato: tra forature o cadute nelle gare prima non sono mai arrivato al pieno della forma. Secondo me è una gara che si può adattare alle mie caratteristiche, vado forte in pianura e guido bene la bici. Solo che negli anni le squadre non mi hanno più convocato, forse non avrò più occasione di tornare, ma ci spero sempre».

Al Giro d’Italia, nella tappa vinta da Dainese per Bonifazio è arrivato un quarto posto
Al Giro d’Italia, nella tappa vinta da Dainese per Bonifazio è arrivato un quarto posto

Il presente incombe

Il presente però porta esigenze diverse per Bonifazio, quest’anno in forza alla Intermarché-Wanty-Circus. L’obiettivo in queste prossime gare è quello di mettersi in mostra. Vuole dimostrare a se stesso e agli altri che in questo mondo c’è ancora spazio per lui. Il contratto con il team WorldTour belga scade alla fine del 2023, mentre per il 2024 ancora non si parla di ufficialità. 

«Ci sono stati dei contatti – spiega – anche con interessi concreti, però non si è ufficializzato ancora nulla. Mi dispiacerebbe smettere proprio ora, alla fine sono ancora giovane (deve compiere 30 anni a breve, ndr). In più bisogna anche considerare che da dopo il Covid, negli ultimi tre anni quindi, ho fatto registrare i miei migliori numeri. Il ciclismo ha cambiato pelle e si va sempre più veloci, quindi bisogna allinearsi. Da un lato non ho avuto però modo di correre con continuità, nello stesso periodo (cioè gli ultimi tre anni, ndr) ho messo insieme 40 giorni di corsa ogni stagione. Ho cercato di tenere alto il livello con tanti allenamenti, ma senza il riscontro delle gare è difficile.

«A inizio anno – continua Bonifazio – le poche occasioni le ho colte al volo. Al Giro di Sicilia ho vinto una tappa, mentre al Giro d’Italia sono arrivato tre volte in top 10. Nel ciclismo dei punti, forse non c’è più spazio per i corridori come me, ma una cosa voglio dirla: la questione dei punti dovrebbe essere rivista. Non è possibile che una vittoria di una tappa al Giro d’Italia abbia lo stesso peso di una corsa in linea minore».

E’ tornato in corsa al Czech Tour, poi di nuovo uno stop lungo un mese fino a inizio settembre
E’ tornato in corsa al Czech Tour, poi di nuovo uno stop lungo un mese fino a inizio settembre

Il finale in Italia

Ora Bonifazio punta alle corse in Italia per rialzare la testa, per avere continuità in questo finale di stagione e andare con più fiducia verso la prossima.

«Nelle prossime gare cercherò di mettermi in mostra – dice – di fare bene e provare a vincere o comunque essere protagonista. Quest’anno alla Intermarché sono arrivato un po’ all’ultimo, con i programmi già fatti. Mi piacerebbe fare un inverno fatto bene e avere l’occasione di fare un calendario congruo, la voglia e la fiducia non le ho perse, tra un anno ci sentiremo di nuovo e sarò ancora qua».

Bisiaux, re di Lunigiana. A Casano vince lo spagnolo Lospitao

03.09.2023
5 min
Salva

CASANO DI LUNI – Gli ultimi cinque chilometri di questo Giro della Lunigiana sono una rincorsa continua, un braccio di ferro a distanza tra i fuggitivi e il gruppo. 13 secondi, un nulla. Così pochi che quando i corridori spuntano sul rettilineo finale, ingannati dalla prospettiva, sembra siano tutti insieme. Invece la fuga ha resistito e sul traguardo di Casano di Luni, ad esultare è lo spagnolo Pablo Gonzalez Lospitao, che batte il norvegese Grimstad e lo sloveno Marolt. 

Cinque chilometri infiniti

Uno dei più attivi nella fuga di giornata è stato l’umbro Vittorio Friggi, il suo tecnico, Eros Capecchi, ci aveva promesso che ci avrebbero provato. In seconda battuta ci capita davanti Daniele Chinappi, della rappresentativa laziale, il primo a lanciare lo sprint, che ci racconta quegli ultimi e interminabili 5 chilometri: «Abbiamo fatto l’ultimo strappo, quello di Montecchio – racconta – molto forte perché sapevamo di avere poco vantaggio. Gli ultimi 2 chilometri, girandoci, vedevamo il gruppo arrivare. Sono saltati un po’ gli accordi e quindi con il passare dei metri ho deciso di provare la volata lunga. Con noi davanti c’erano gli stranieri che avevano un migliore spunto, ho provato a beffarli. Mi sono buttato in questa fuga perché immaginavo oggi ci sarebbe stato spazio, peccato non aver vinto, ma è stata una bella avventura».

Un altro francese: Bisiaux

Dietro il gruppo arriva unito ed in fondo, in ultima posizione, sicuro e sorridente, transita Leo Bisiaux. Il giovane francese vince questo 47° Giro della Lunigiana, succedendo a Morgado e al connazionale Lenny Martinez. E’ il secondo francese in 3 anni a vincere la “Corsa dei Futuri Campioni” e quando glielo facciamo notare sotto al podio delle premiazioni ride di gusto. 

«Avevamo una squadra forte – racconta Bisiaux mentre si scioglie nei festeggiamenti – ed è stato importante vincere questa corsa. Martinez, due anni dopo, aver vinto il Giro della Lunigiana ha indossato la maglia rossa alla Vuelta. Non so cosa potrò fare io in futuro, mi auguro di poter fare gli stessi passi, ma è molto difficile. Vedrò anno dopo anno in che direzione andare e che cosa fare, penso che con il giusto impegno si possa fare tutto. Le gare, però sono difficili, farò i giusti passi, scoprendo che corridore sono».

«Intanto – riprende subito – il prossimo anno passerò alla AG2R Citroen Continental (Bisiaux corre già nel team juniores, ndr). E’ la squadra giusta per me, francese e che mi darà gli spazi per gestirmi e conoscermi sempre meglio. Poi conosco tutto lo staff, che è un dettaglio da non trascurare».

Stradista e crossista

Leo Bisiaux corre anche nel ciclocross, e sul fango, dove mette le ruote vince. L’inverno appena passato ha fatto incetta di primi posti, tra i quali spicca una “tripletta” da capogiro: titolo nazionale francese, titolo europeo e maglia iridata. Un pensiero non può che andare in quella direzione, Bisiaux stesso non intende abbandonare questa disciplina che tanto gli piace e che gli porta numerose gioie. 

«Ora correrò su strada fino ai campionati europei – ci dice – e poi passerò al ciclocross. La scelta di continuare con l’AG2R è dovuta anche a questo, loro mi lasciano lo spazio per correre anche nel ciclocross. Abbiamo visto come ormai sia una disciplina che vale tanto, in chiave di preparazione e di crescita. Van Der Poel ha vinto entrambi i titoli iridati (strada e ciclocross appunto, ndr). Van Aert è uno degli atleti più forti in circolazione, insomma è una disciplina che porta tanti benefici, e in più mi piace tantissimo».

Roubaix U23: Delle Vedove racconta il viaggio all’Inferno

11.05.2023
5 min
Salva

LE CATEAU-CAMBRESIS (Francia) – Nel piazzale dei pullman di linea del paesino del dipartimento dell’Alta Francia si sono raccolte le squadre della Paris-Roubaix Espoirs. La pioggia detta il ritmo della mattinata, picchiettando su caschi e bici, in un silenzio decisamente surreale. Il camper del team development della Intermarché è uno dei più distanti dalla partenza. Chiediamo di parlare con Delle Vedove e i suoi lunghi capelli escono dal camper pochi istanti dopo.

Delle Vedove dopo aver corso la Eschborn-Frankfurt ha iniziato a preparare la Roubaix (foto Instagram)
Delle Vedove dopo aver corso la Eschborn-Frankfurt ha iniziato a preparare la Roubaix (foto Instagram)

Di casa al Nord

Il veneto, al suo primo anno da under 23, è stato accolto dalla Circus-ReUz nel migliore dei modi. E’ giovane ma ha già dimostrato, almeno in parte, di essersi meritato questa squadra: la convocazione alla Paris-Roubaix Espoirs ne è una testimonianza. Ma com’è preparare questa gara quando corri in una squadra che da queste parti è praticamente di casa?

«Arrivavo direttamente dalla Eschborn-Frankfurt (dove ha fatto settimo, ndr). Siamo venuti a provare il percorso mercoledì – racconta sotto una tettoia mentre cerchiamo di ripararci dalla pioggia – abbiamo visto gli ultimi 100 chilometri. La squadra ci ha fatto curare tutto nei minimi dettagli, si è curato molto il setting della bici. Io sono poi rimasto al service course che è qui vicino. Gli altri giorni prima della corsa ci siamo allenati riducendo sempre di più le ore. Giovedì abbiamo pedalato due ore e mezza, mentre venerdì e sabato abbiamo fatto delle sgambate da un’oretta e mezza».

La cura dei dettagli

Questi cinque giorni al Nord per Delle Vedove sono stati un ottimo modo per adattarsi al clima e alle pietre. La prima differenza che si nota rispetto al viaggio della Colpack-Ballan è la ricognizione. Per motivi logistici la squadra bergamasca ha visto i primi chilometri di gara, che comprendevano comunque quattro settori di pavé. 

«I giorni prima della gara – riprende Delle Vedove – non siamo tornati sul percorso, anche perché le indicazioni le avevamo prese. Il meccanico aveva il suo bel da fare, ha dovuto sistemare due bici per ogni corridore. Tutti in squadra abbiamo optato per la bici più pesante, lasciando la light sull’ammiraglia. Io ho scelto di correre montando ruote con profilo da 42, i copertoni sono da 32 millimetri tubeless. Ho messo un doppio nastro al manubrio, per attutire al meglio i colpi. Il setting a livello di misure è uguale. Durante la ricognizione di mercoledì mi sono accorto che perdevo le borracce, quindi ho messo un portaborracce diverso, più stretto».

Appuntamento nel velodromo

La Paris-Roubaix Espoirs di Delle Vedove è stata una continua lotta contro il tempo. Fin dai primi settori di pavé il corridore della Circus-ReUz si è trovato a tirare il gruppo degli inseguitori. All’interno del velodromo, se non ci avesse salutato lui, avremmo fatto molta fatica a riconoscerlo. Si sta confrontando con i compagni, così ascoltiamo e chiediamo com’è andata la corsa.

«E’ stata una corsa folle fin da subito – dice – al primo settore di pavé è caduta una moto ed il gruppo si è spezzato. Noi ci siamo trovati a rincorrere, io sono stato uno dei primi a mettersi all’opera per chiudere il gap. Non è stata una corsa facile, abbiamo rincorso per quasi 100 chilometri, se non di più. Per fortuna il fango ha sporcato lo schermo del computerino, perché probabilmente ho fatto una gara interamente fuori soglia (dice ridendo, ndr). Alla fine siamo tornati sui primi nei pressi del Carrefour de l’Arbre. Io mi sono sfilato ed ho chiuso ventiquattresimo, non male. Però che corsa e che spettacolo, è la più bella mai fatta e voglio tornare, non c’è dubbio».

L’arrivo nel velodromo e la soddisfazione di aver dato il massimo, per Delle Vedove è sbocciato l’amore verso questa corsa
L’arrivo nel velodromo e la soddisfazione di aver dato il massimo, per Delle Vedove è sbocciato l’amore verso questa corsa

Le occasioni ci sono

Come detto in precedenza Delle Vedove arrivava direttamente dalla Eschborn-Frankfurt, corsa da protagonista, nella quale ha raccolto il settimo posto. Dall’inizio dell’anno ha raccolto tanti piazzamenti importanti, risultati che danno fiducia.

«La squadra crede in me – replica – son contenti di quello che faccio, e di come mi sto ambientando. Mi piace correre qui, i compagni sono super gentili e disponibili, siamo una famiglia. Per il momento, avendo ancora la scuola da concludere, alterno periodi in Belgio, quando corriamo a periodi a casa per allenarmi. A giugno, quando finirò la scuola, potrò concentrarmi ancora di più sulle corse. Per il Giro under non so ancora come ci gestiremo, certamente la squadra è corta, con soli cinque corridori, ed in più il percorso è davvero tosto».

Colombo e l’avventura al Nord terminata in ospedale

13.04.2023
5 min
Salva

Nel giro di una settimana Filippo Colombo è passato dalla fuga da protagonista del Fiandre alla caduta della Roubaix. Ora lo svizzero si trova in ospedale a Zurigo e nei giorni scorsi è stato sottoposto ad un’operazione per sistemare la frattura al gomito. Il suo 2023 era iniziato iniziato in modo diverso, correndo un po’ di corse al Nord, sempre con un occhio alla mountain bike: suo terreno di caccia. Vale la pena ricordare infatti che lo svizzero di Gussago, classe 1997, ha vinto per due volte il mondiale della staffetta (2017 e 2018) e una volta il titolo europeo nella stessa specialità (2017), mentre è stato argento ai mondiali U23 di cross country e bronzo agli ultimi europei di Monaco, dietro Pidcock e Carstensen.

«Quest’anno – racconta dal letto dell’ospedale – grazie a Scott ed al Team Q36.5 ho avuto modo di mettermi alla prova su strada. Dovevo fare una prima parte di stagione con un po’ di gare tra Belgio e Francia e poi tornare concentrato al massimo per preparare la stagione di Mtb».

La stagione su strada di Colombo si è aperta prima con la Kuurne, poi con Le Samyn, qui in foto
La stagione su strada di Colombo si è aperta prima con la Kuurne, poi con Le Samyn, qui in foto
Come sono andate queste gare?

Bene, almeno fino alla Roubaix. Ho iniziato la stagione con un ritiro in Sud Africa insieme alla Scott-Sram Mtb. Successivamente ho gareggiato alla Kuurne e a Le Samyn, devo ammettere che mi sono trovato a mio agio fin da subito. 

Eri soddisfatto della condizione?

Sono riuscito a performare bene, fino alla Roubaix, che se vogliamo dirla tutta è stata l’eccezione. Ero molto curioso di vedere come sarebbe andata, passando dalla Mtb alla strada. 

Con quale obiettivo ti eri messo in gioco?

Non avevo necessità di fare risultato, volevo capire se un periodo su strada mi avrebbe poi aiutato a fare meglio in Mtb. L’obiettivo era di iniziare un blocco di lavoro in vista poi delle Olimpiadi di Parigi 2024.

Sei partito per testarti arrivando a guadagnarti la convocazione al Fiandre…

Sì, non me lo aspettavo nemmeno io ad essere sincero. Però, come detto, fin dalle prime gare mi sentivo bene e quindi anche la squadra mi ha dato fiducia. 

Che cosa hai provato a correre lì?

E’ stata un’esperienza bellissima, super intensa. L’ambiente in Belgio è sensazionale, la gente vive per il ciclismo e la corsa, manco a dirlo, è magnifica. Il fatto di essere andato in fuga mi ha permesso di prendere i Muri davanti e di godermi ancor di più l’atmosfera

Sei stato in avanscoperta per 135 chilometri, nel Fiandre più veloce di sempre…

Si è trattata di una prova di forza, la squadra aveva voglia di andare in fuga e nei primi 100 chilometri ci siamo messi d’impegno. Nessuno però voleva mollare, il gruppetto è uscito solamente dopo 109 chilometri, è stata una vera guerra. 

Al Fiandre 135 chilometri in avanscoperta, Colombo è stato uno degli ultimi della fuga ad arrendersi
Al Fiandre una fuga cercata e sudata, poi 135 chilometri in avanscoperta
Con una distanza importante da affrontare.

Fino ai 250 chilometri è andata nella maniera prevista, poi però non ero preparato per affrontare i rimanenti 20. Mi mancava la base che mi avrebbe permesso di concludere al meglio la prova. 

Che sensazioni hai avuto?

Nelle fasi finali ho davvero sofferto, sono però riuscito ad arrivare al traguardo in 50ª posizione. Con il senno di poi, mi viene da dire che con la giusta preparazione sarebbe stato possibile ambire alla top 20. 

Una bella esperienza?

E’ stato un bell’esperimento, a febbraio non ero a conoscenza delle gare che avrei fatto e nemmeno che corridore fossi su strada. Però fin dalla prima gara, la Kuurne-Bruxelles-Kuurne mi ero comportato bene, entrando nel gruppo dei primi. 

Poi c’è stata la parentesi Roubaix, meno positiva per come è finita?

Non del tutto, i primi chilometri stavo molto bene, ero sempre nelle prime posizioni e nel prendere i settori di pavé non facevo fatica a lottare per il piazzamento. Due settori prima di Arenberg ho bucato la ruota davanti ed ho fatto tutto il pavé sul cerchio. Alla fine del settore c’era un meccanico e siamo riusciti a montare la ruota, ma non so perché è stato messo un copertone con sezione da 28 al posto di un 30

La caduta nella Foresta di Arenberg è costata a Colombo la frattura del gomito e il ricovero in ospedale
La caduta nella Foresta di Arenberg è costata a Colombo la frattura del gomito e il ricovero in ospedale
A breve è arrivata la caduta nella Foresta…

Nel frattempo tra la foratura e Arenberg sono riuscito a rientrare ed ho preso l’imbocco del pavé nei primi quindici. Dopo 100 metri, purtroppo ho bucato ancora, sempre la ruota davanti ma sono riuscito a rimanere in piedi. Wright, che era accanto a me, ha forato anche lui ed è caduto ed io mi sono ritrovato a terra. Avevo capito fin da subito che si trattava di una frattura.

Che esperienza è stata?

Positiva, anche se i risultati li vedremo una volta che riuscirò a tornare in sella. Anche questo fa parte del processo di crescita, le conclusioni le tirerò dopo la stagione di Mtb, però mi piacerebbe continuare questa doppia attività.

Storia di Vauquelin, la grande speranza normanna

17.03.2023
5 min
Salva

«Mi sento sotto pressione». Nel corso dell’ultima Parigi-Nizza, Kevin Vauquelin non ha nascosto che la sua nuova situazione ha delle controindicazioni. A ogni gara che disputa, c’è un’attenzione mediatica, social, degli appassionati intorno a lui che non è comune. Tanto è vero che la sua squadra, l’Arkea Samsic, cerca per quanto possibile di tenerlo tranquillo e limita al minimo i contatti con la stampa, altrimenti i giornalisti starebbero quasi addosso più a lui che a Pogacar…

Perché tutto ciò? Partiamo da una constatazione: l’ultimo francese ad aver vinto il Tour de France è stato Bernard Hinault nel 1985. Da allora sono arrivate solo 9 presenze sul podio, l’ultima di Romain Bardet, terzo nel 2017. I tifosi francesi hanno visto il proprio ciclismo affrontare una crisi profondissima, scalzato nell’attenzione popolare da altre discipline ciclistiche dove si vinceva molto di più, poi con i vari Alaphilippe, Pinot, Bardet stesso la ripresa è stata evidente, ma resta sempre la stessa domanda: quando si tornerà a vincere la Grande Boucle?

Al Tour des Alpes Maritimes 2023 primo in classifica con 7″ su Paret-Peintre e 10″ su Powless
Al Tour des Alpes Maritimes 2023 primo in classifica con 7″ su Paret-Peintre e 10″ su Powless

Un pensiero che schiaccia

Una richiesta che nel corso del tempo ha schiacciato tanti giovani validi. Ora di elementi promettenti ce ne sono tanti, ma il problema è l’impazienza. Vauquelin è uno di questi e a colpire la fantasia popolare è la sua cocciutaggine. Kevin è normanno di Bayeux, 22 anni ancora da compiere, orgoglioso delle sue origini tanto che non manca mai di sottolinearle e in questo ricorda molto proprio quel Bernard Hinault che era bretone fin nel più profondo delle ossa, forse spigoloso, ma campione purissimo. Sarà lo stesso per Kevin?

D’altronde non è che avrebbe potuto fare molto di diverso dal ciclista: basti pensare che ha iniziato nell’UC Tilly-Val de Seulles, società gestita dai genitori per la quale ha ancora la licenza nazionale. Da buon francese ha affrontato un po’ tutte le discipline ciclistiche partendo dalla Bmx, che è un po’ il primo banco di scuola e su pista ha mostrato inizialmente il suo talento, cogliendo fra il 2018 e il 2019 tre argenti iridati, due nell’inseguimento a squadre e uno nella corsa a punti. Sempre da junior aveva vinto il titolo sia in linea che a cronometro. Insomma, le capacità erano evidenti a tutti, ma un conto è a livello giovanile, il professionismo è tutt’altra cosa.

Tre argenti iridati su pista da junior. Ma da pro il bretone non si è più impegnato nei velodromi
Tre argenti iridati su pista da junior. Ma da pro il bretone non si è più impegnato nei velodromi

Corse a tappe? Il suo pane…

I suoi risultati non erano comunque passati inosservati e già nel 2020 l’Arkea Samsic lo aveva preso sotto la sua ala, lasciandolo anche per l’anno successivo nelle file del Vc Rouen 76, ma facendolo allenare a più riprese nel suo gruppo. Dallo scorso anno Vauquelin è a pieno titolo nella formazione entrata nel 2023 nel WorldTour e subito ha fatto capire che le corse a tappe sono il suo pane: 6° nell’Oman, primo giovane in Belgio, 6° all’Arctic Race in Norvegia, 2° al Tour Poitou-Charentes, 2° anche al Giro del Lussemburgo. Una tale costanza di risultati è da specialista vero come solo pochi big riescono ad avere, da corridore capace di far sognare.

La squadra non lo opprime, questo deve essere chiaro, la pressione viene tutta dall’esterno, emerge anche dando una semplice occhiata ai social, scorrendo lo smartphone. Alla Parigi-Nizza è diventato protagonista sempre di più e i tifosi si sono estasiati vedendolo, nella quarta tappa, mettersi a battagliare con gente come Pogacar e Vingegaard. E chissà che cosa avrebbe potuto fare senza una caduta…

Spesso in fuga alla Parigi-Nizza, ha raccolto poco ma ha impressionato gli addetti ai lavori
Spesso in fuga alla Parigi-Nizza, ha raccolto poco ma ha impressionato gli addetti ai lavori

La pressione dei media

«Sono stato stupido – faceva sapere tramite la squadra – andavo veloce e ho colpito la ruota avanti a me. Per non perdere troppo terreno ho preso la bici di Champoussin (altro giovane di grandi speranze, ma per certi versi già passato di moda, quell’attesa spasmodica consuma troppo in fretta…) e sono ripartito, ma avevo rotto anche la scarpa. Ho speso tanto nell’inseguimento, anche se il vento frontale davanti frenava il gruppo. In salita ho pagato dazio».

La cosa curiosa è che in quella tappa, vinta da Pogacar nel testa a testa con Gaudu, i giornalisti erano quasi più interessati a lui che al leader della Groupama FDJ tanto è vero che la squadra ha preferito evitargli interviste raccogliendo le sue impressioni.

A Ramatuelle (Tour des Alpes Maritimes) il primo successo da pro. Primo di tanti?
A Ramatuelle (Tour des Alpes Maritimes) il primo successo da pro. Primo di tanti?

Alla ricerca della potenza

Alla fine Vauquelin ha chiuso 18° a 14’52” dallo sloveno vincitutto, ma con tanta esperienza in più: «Correndo con i più grandi ho capito che devo guadagnare potenza e gestire meglio la ripetizione degli sforzi nei sorpassi per essere al loro livello. Per ora non posso andare veloce come Tadej e gli altri».

All’Arkea però ne sono coscienti e gli danno tutto il tempo: «Kevin rispecchia lo spirito del gruppo – ha affermato Yvon Caer, diesse del team – mai abbassare la testa ma ripartire più forte di prima come ha fatto lui dopo la caduta, per provare sempre a vincere. E’ così che si progredisce». E magari andare un giorno a caccia della maglia gialla, sempre che la gente sappia aspettare…

Juniores, anche in Francia il livello si alza…

05.03.2023
6 min
Salva

Il viaggio in Francia con gli juniores del CPS Professional Team è stata un’occasione per “toccare dal vivo” ciò di cui spesso parliamo: come lavorano e com’è il movimento giovanile all’estero. Ed in effetti qualche differenza c’è.

Alcune le abbiamo captate noi stessi semplicemente osservando quanto accadeva: infrastrutture organizzative snelle, ogni ragazzo ha la sua bici, poco gioco di squadra… Altre differenze ce hanno rivelate i direttori sportivi con cui abbiamo parlato: la presenza di “squadre federali” e squadre satellite, il progetto scuola. E in comune? Anche in Francia la categoria juniores sta vivendo una rapida evoluzione.

Manu Cordoba con i suoi ragazzi della Occitaine Cyclisme Formation
Manu Cordoba con i suoi ragazzi della Occitaine Cyclisme Formation

Cordoba, diesse OCF

Manu Cordoba è il direttore sportivo dell’Occitan Cyclisme Formation Juniores con lui partiamo appunto dalla questione dell’importanza di questa categoria, la prima internazionale.

«E’ la categoria più importante – spiega Cordoba – I bambini sono spugne e certe cose le imparano dai piccoli, ma la categoria juniores consente loro di convalidare tutto ciò che hanno appreso prima. In questa fase subentrano infrastrutture tecniche, conoscenze e figure professionali che gli insegnano il mestiere del ciclista». 

«Oggi molti ragazzi sono captati direttamente dai grandi team, ma credo che se ne sia anche abusato. Abbiamo degradato la categoria U23 in Francia perché oggi uno junior corre come fosse un trentenne o un quasi pro’, mentre la categoria U23 può permettere a tutti gli juniores che non sono maturi di crescere e quindi di passare. Oggi (riferito alla Challenge Anthony Perez, ndr) abbiamo 160 ragazzi, ma il prossimo anno ce ne saranno 80 nella categoria superiore. E perdiamo tesserati. Questo anche perché le gare U23 dovrebbero essere vere gare U23 e non gare elite».

Codoba passa poi agli allenamenti, l’altra sfera su cui ci siamo concentrati.

«Non abbiamo un ritiro fisso e non seguo giornalmente i miei ragazzi, ma cerchiamo di fare degli stage. Per esempio veniamo da un training camp in Spagna e magari questa estate ne faremo uno in montagna, Sono momenti di apprendimento e non solo di preparazione.

«Voglio portare i ragazzi alle gare tutti allo stesso livello. Cerco di lavorare in modo equo con tutti. Per me il gruppo è centrale. Oggi molti diesse isolano i corridori meno forti e perdiamo questo senso di gruppo. La bici mi ha insegnato molti valori e voglio condividerli con tutti: quelli bravi e quelli meno bravi, più ricchi e meno ricchi…».

Michel Puntous, della Haute-Garonne. Dietro a questa squadra federale c’è anche il supporto di Specialized Francia
Michel Puntous, della Haute-Garonne. Dietro a questa squadra federale c’è anche il supporto di Specialized Francia

Puntous, Haute-Garonne

A Cordoba segue Michel Puntous, diesse dell’Haute-Garonne, una squadra federale che raccoglie e ha rapporti con diversi team.

«La categoria juniores – spiega Puntous – si sta sviluppando anche in Francia. Noi dell’Haute-Garonne abbiamo questa categoria da 10 anni e da 4 abbiamo creato una squadra di livello internazionale. Andiamo all’estero: Belgio, Spagna… Questa estate abbiamo ottenuto un invito per una corsa in Austria. In tutto faremo 20-22 gare internazionali».

«Prima i migliori juniores andavano in club di divisione nazionale come Aix-en-Provence o Vendée, ora invece vanno direttamente nei team di sviluppo delle squadre professionistiche. Personalmente, ho fatto passare 14 corridori. 

«Non abbiamo un filo diretto con le squadre professionistiche, ma abbiamo una buona rete a livello di comitato dipartimentale che a sua volta ci mette in contatto con le squadre pro’. Ma vale anche il contrario: molti ragazzi vogliono venire da noi. Per esempio quest’anno avevamo 6 posti e 30 candidati. E ci siamo posti un limite di due ragazzi stranieri».

Il dipartimento dell’Haute-Garonne nel Sud-Ovest, rappresenta un grande serbatoio ciclistico per la Francia.

«Non abbiamo un ritiro. Alcuni ragazzi che vivono vicini nei pressi di Tolosa si allenano insieme. Tutti vivono a casa coi genitori anche perché hanno la scuola. Ciò che vogliamo è che abbiano un doppio progetto sportivo e scolastico. A 18 anni ottengono il diploma di maturità (un anno prima rispetto a noi, ndr) e fino ad allora cerchiamo di allenarli senza strafare e oggi ci sono gli strumenti per farlo con potenziometri, piattaforme preparatori.

«I ragazzi devono imparare il mestiere e avere dei margini di miglioramento per quando passeranno. Il nostro obiettivo: prepararli per l’altissimo livello, non essere professionisti da junior. Se imponi loro troppi vincoli sin da adesso, come il nutrizionista, poi come faranno?».

Con Puntous si parla anche di tattiche. Lui dirige una squadra importante e avevamo notato che dopo il primo giorno di gara non c’era stato un grosso gioco di squadra.

«In Francia è complicato farli correre da squadra! Sono pochissimi i team che corrono con un leader. La filosofia è spesso individuale e anche io sostanzialmente la penso così. Voglio dare una possibilità a tutti. Non voglio avere solo uno o due leader e gli altri ragazzi che sono lì solo per loro.

«Poi è anche vero che da due anni a questa parte i ragazzi spesso ci chiedono di designare un leader. Più che altro perché hanno una tattica più chiara. Però non chiudiamo a nessuno. Ripeto, in questi due anni di categoria non voglio bloccare un corridore che magari non ha grandi mezzi e dirgli: “Non avrai mai la tua possibilità».

Xavier Bernat con due ragazzi della As Villemur Cyclisme
Xavier Bernat con due ragazzi della As Villemur Cyclisme

Bernat, Villemur Cyclisme

Xavier Bernat è invece l’organizzatore della due giorni francese, lui dirige la As Villemur Cyclisme, una squadra più piccola e che rientra in quella rete di team satelliti della Haute Garonne.

«In Francia – dice Bernat – la categoria juniores è diventata fondamentale. Ci sono corridori che passano subito alle “Conti” e possono diventare professionisti. Ora chiediamo a questi ragazzi di essere ad un alto livello. Guardate il vincitore di ieri (Giuliano, ndr): erano tre settimane che ogni weekend faceva delle corse con gli elite. E nell’ultima di queste gare è arrivato con il gruppo di testa. La cosa dura è che se non ottengono dei buoni risultati per loro il ciclismo è finito: non trovano un posto nella categoria successiva (come da noi, ndr)».

«Per quanto riguarda la gestione quotidiana dei ragazzi, anche noi non abbiamo un ritiro fisso. Siamo una piccola squadra e facciamo due stage l’anno qui in zona. Ognuno ha il suo preparatore. Anche perché spesso venendo da altre squadre erano legati ad esso e quasi non vogliono venire se non continua a seguirli».

«Abbiamo dei corridori del nostro team che fanno la spola con il team Haute-Garonne, che è una squadra della Federazione. I ragazzi hanno 17-18 anni e non tutti possono andare a correre ogni fine settimana con loro che fanno un’attività più internazionale. Pertanto stiliamo un calendario parallelo: chi può va con loro, chi non può resta a correre con noi. Andiamo d’accordo. Quest’anno per esempio faremo la Liegi Juniores, c’è una buona collaborazione con la Federazione».

La Pomme Marseille, Boggianti parla in inglese con uno atleta giapponese prima del via della Ronde Besseriane
La Pomme Marseille, Boggianti parla in inglese con uno atleta giapponese prima del via della Ronde Besseriane

Boggianti, Pomme Marseille

Jean Michel Boggianti è intento a parlare con i ragazzi de La Pomme-Marseille quando ci avviciniamo per parlare con lui. La sua è una delle squadre più blasonate di Francia.

«In Francia – dice Boggianti – investiamo molte risorse sui giovani perché il ciclismo si sta evolvendo e sempre più juniores stanno diventando professionisti. Cerchiamo di fargli prendere gli automatismi per il mondo dei pro’. Non abbiamo un nostro nutrizionista, ma organizziamo di tanto in tanto degli incontri con mental coach, preparatori, nutrizionisti…».

«In Pomme abbiamo un progetto, un programma di lavoro doppio: uno sportivo e uno scolastico. Per noi l’obiettivo è che i ragazzi abbiano successo, ma non per forza nel ciclismo. Se non avranno una carriera con la bici, che abbiano qualcosa a cui aggrapparsi e quindi che portino avanti il loro percorso di studi. Per questo abbiamo un centro di formazione dove sono fissi, dove dormono, e tre volte a settimana si allenano con noi. I ragazzi vanno a scuola e noi li andiamo a prendere quelle tre volte a settimana.

«Sono 9 ragazzi su 17 che portano avanti questo progetto sport-studio. In Provenza, il nostro dipartimento, vi accedono solo quando hanno raggiunto buoni risultati. Sono classificati come sportivi di alto livello e quindi beneficiano della scuola di sviluppo e ottengono una borsa di studio».

A Boggianti chiediamo se hanno dei fili diretti con le squadre pro’.

«Delle relazioni con i team pro’ ci sono: vedi EF Education-EasyPost o Soudal-Quick Step, ma ci sono soprattutto gli agenti (procuratori, ndr) che vengono da noi per individuare gli atleti». 

Diario dalla Francia. Si torna a casa con una vittoria!

26.02.2023
6 min
Salva

Terzo giorno di trasferta in Francia per i ragazzi del CPS Professional Team. Inaspettatamente sembra sia passato un secolo da quando siamo partiti. Ogni cosa ha già assunto una sua normalità. Almeno in apparenza. La colazione, i rumori, ciò che c’è da mangiare, le abitudini di tutti. Tutto è come in una famiglia.

Il sole splende. Le colline sono più verdi che mai. Il padrone di casa, un signore di mezza età calvo e taciturno, gironzola curioso per la casa. Pensava che gliel’avremmo riconsegnata di buonora, ma così non è. Pertanto dopo qualche convenevole, se ne va dai vicini. Intanto inizia ad alzarsi una leggera brezza.

«Coppi chi?»

A mente fredda si ragiona sulla corsa di ieri ed emergono due cose: che la gambe ci sono e che bisogna correre più compatti.

E su questo punto Gianluca Oddone e Andrea Bardelli impostano la riunione. Riunione che da ieri sera è stata posticipata a questa mattina. I ragazzi erano stanchi e si era andati un po’ troppo lunghi. E poi, tutto sommato, meglio parlare appunto con la mente fredda. Senza l’adrenalina della gara.

Luciano Cordone invece si incarica più di tutti di riordinare la casa. Tutti noi dovremmo a lui un grazie speciale. Intanto, fatta la riunione e assegnati i ruoli, si ammazza il tempo in attesa del pranzo tra giochi online e un simpatico “Questionary” sui campioni del passato. Oddone mostra delle vecchie foto ai ragazzi. Gli suggerisce qualche indizio e loro cercano di indovinare. Ma invano…

“L’apoteosi”? Quando scambiano Freddy Maertens con Freddy Mercury e Fausto Coppi con Fausto MasnadaPer loro il corridore più “antico” è Gianni Bugno! Ogni volta spunta lui.

Ma in fin dei conti c’è poco da stupirsi, questi ragazzi sono nati che Pantani – lui si che lo conoscono – era morto da un anno o due… 

Sale il vento

Si va alla corsa. Il tracciato della Ronde Bessieraine, seconda frazione della Challenge Anthony Perez (per ironia della sorte Perez – Cofidis – oggi ha vinto alla Faun Drome Classic, dovrebbe essere meno duro di quello di ieri. Dovrebbe… L’altimetria lo è in effetti, solo che le strade su queste colline basse e arrotondate, sono scoperte e in cresta il vento è parecchio forte.

E comunque non mancano strappate che sfiorano il 20 per cento neanche oggi. 

Prima del via si scambiano due chiacchiere con la Pomme Marseille, tra le squadre più importanti di Francia. Il loro diesse ammette che l’attacco di ieri al secondo giro dei CPS Professional Team aveva fatto rivedere i piani ai suoi atleti. A quel punto avevano deciso di correre sulle ruote e di attendere le mosse degli italiani. Come abbiamo scritto anche ieri: i CPS avevano mostrato i muscoli con troppo anticipo. 

“Pizzini” volanti

Se il vento ci mette lo zampino, ancora di più ce lo mette lo strappo principale. Fatto sta che la tattica del mattino ben presto è rivista. Ma andare in ammiraglia non è facile e le radioline non ci sono. 

Quindi come si fa per comunicare con i ragazzi? Con i foglietti! In pratica dei “pizzini”. Dal furgone Bardelli prende un pezzo di carta, una penna e appunta il da fare ai suoi atleti. Farsetti, che ha corso ieri, lo segue e oggi tocca a lui fornire assistenza.

Bardelli lo manda 50 metri avanti sulla strada, rispetto alla sua posizione, per avvertire i compagni in corsa: «Ragazzi, il “Bard” vi dà il foglietto». E di solito a prenderlo è Tommaso Bambagioni, il regista in corsa, il più scaltro e uno dei due leader designati. L’altro è Matthias Schwarzbacher o Gabriele De Fabritiis, a seconda di come staranno.

Victoire en France

I ragazzi prendono i foglietti ed eseguono alla lettera. Fuori c’è una pericolosissima fuga di quattro atleti e bisogna tenerla a tiro. Così quattro dei CPS vanno in testa a tirare.

E i ragazzi di Oddone chiudono eccome. Le trenate di De Fabritiis, Di Zio, Rolando e Shyrin ricompattano il gruppo. All’ultima tornata vanno via in otto: tutti i migliori. Come da copione ci sono dentro i due leader, Bambagioni e Schwarzbacher.

Se la giocano alla grande. Matthias parte ai 500 metri, “Bamba” controlla il gruppetto. E’ fatta! Primo e terzo…

Scattano i commenti dopogara. Gli abbracci. I selfie. I complimenti reciproci. L’inno d’Italia nel furgone. Le mani congelate che neanche si riesce a togliere il casco. Il vento in cresta che li faceva pedalare di traverso. O quello contro in valle «che a tutta andavi a 33 all’ora». E’ festa!

«Abbiamo corso da squadra», lo dicono tutti. E ora si riparte dalla Francia, carichi di gioia, con un trofeo in più nel bagagliaio e un’esperienza preziosa in tasca. Un’esperienza che resterà indelebile in questi ragazzi.

Diario dalla Francia. La gamba c’è, domani si attacca

25.02.2023
6 min
Salva

Villemur sur Tarn, Francia. Oggi si corre. E lo si capisce subito. Rispetto a ieri in casa si respira un filo in più di tensione, specialmente in coloro che devono gareggiare appunto. I ragazzi del CPS Professional Team fremono.

La casa pulsa, ma è meno rumorosa. C’è concentrazione ed è normale. Anzi, è giusto. In fin dei conti è la prima corsa dell’anno e per di più, essendo in Francia, si gareggia contro avversari che non si conoscono: due incognite mica da ridere.

La tensione sale

Però i ragazzi non perdono il buonumore. Neanche quando aprono la porta e scoprono che di fuori c’è un freddo cane. I quattro atleti, Joan Rolando, Gabriele De Fabritiis, Simone Di Zio e Tommaso Bambagioni che devono correre domani infatti devono andare alla scoperta del percorso. E si sa che pedalare così non è il massimo della vita. Sul vetro del furgone c’è un dito di ghiaccio.

Restiamo in casa. Noi lavoriamo, gli altri sono piuttosto silenziosi, ammazzano il tempo giocando a scacchi sullo smartphone, gironzolando tra una stanza e l’altra… Si aspetta il pranzo. 

Compagni totali

In questa attesa dopo un’oretta abbondante rientrano i quattro in avanscoperta. Tremano e si fiondano nel camino. Ci mettono mani e piedi. «Ad un certo punto – dice Rolando – sembrava fosse calata la nebbia. Siamo scesi in un punto più umido. Le lenti degli occhiali si sono appannate e quando col dito sono andato per pulirle è venuta via una crosta di ghiaccio». Dopo questa, chi deve correre è ufficialmente nel pallone!

Tutti collaborano. Chi fa la pasta, chi lava i piatti. Mangia prima chi corre, poi agli altri. E questa collaborazione si fa più forte una volta arrivati al ritrovo. Con i quattro che supportano gli altri sei: gli montano i numeri sulle bici e gli fanno persino i massaggi. 

Senza contare il tifo in gara. L’hanno vissuta in prima persona. «Bravi, bravi. Sono davanti. Compatti, da vera squadra», esclama De Fabritiis.

Figurone CPS

La gara è come da noi. Il ritrovo, la riunione dei diesse richiamata con un urlo dalla giudice. E’ il bello del ciclismo giovanile e genuino. Il CPS Professional Team si piazza proprio in prossimità della riunione dei diesse. Tutti devono passare di lì e tutti notano le bici uguali. «Colnagò! Bon velò», dicono i francesi. Forse più colpiti dal fatto che le bici fossero tutte uguali, piuttosto che dal modello. In Francia ognuno corre con la propria bici.

E il figurone qui in Francia lo hanno fatto anche in corsa, almeno in parte. «Oh ma qui sono matti: vanno piano sugli strappi e a tutta in discesa. Comunque si vedeva che eravamo i più forti», ha detto Russo appena dopo la corsa.

E tutto sommato ha ragione. Solo che lo hanno “dimostrato troppo” e nel momento sbagliato della corsa. Insomma hanno scoperto le carte e quando c’è stato un attacco tutti gli altri li aspettavano al varco.

Errori di gioventù. La cosa che fa sorridere è che Dario Giuliano, nome italiano ma francese di fatto, ha fatto esplodere il suo vantaggio proprio nei 3 chilometri di “terra di nessuno” indicati da Bardelli nella riunione della vigilia. Poi i CPS hanno provato a chiudere, ma ormai era tardi. 

Le risposte però sono state positive. Le gambe c’erano. Un ragazzino come Lorenzo Finn alla prima da juniores è stato protagonista. Il più deluso è forse Matthias Schwarzbacher, 15°, colui che alla vigilia voleva attaccare. Ma una gara corposa l’hanno fatta anche Tommaso Farsetti e Danil Shyrin: sempre nel vivo della corsa. «Dovevamo parlarci di più», ammette Farsetti nel viaggio di rientro verso la casa.

Dario Giuliano (classe 2005) da solo al traguardo. La Mapei Classic è sua
Dario Giuliano (classe 2005) da solo al traguardo. La Mapei Classic è sua

Sognando Nibali

Ma in tutto ciò, mentre si pensa e ripensa su quanto accaduto e mentre si aspetta il debriefing per la corsa andata e la riunione per quella che verrà, merita due parole il vincitore, Dario Giuliano.

Quando a due giri e mezzo dall’arrivo è scattato, gli altri ragazzi del CPS a bordo strada hanno subito commentato la sua pedalata potente: «Avete visto “raga”, quanto spingeva. Ed era pure a bocca chiusa».

Quando Giuliano taglia il traguardo ha tutto il tempo di godersi l’arrivo della prima frazione della  Challenge Anthony Perez.

«Era la prima volta che arrivavo da solo in una gara – dice Giuliano – e infatti ho avuto un po’ paura che succedesse qualcosa. Conoscevo i distacchi, lo vedovo dalla modo e me li dava l’ammiraglia. E conoscevo anche questa corsa. Io vivo verso i Pirenei, a 200 chilometri da qui, ma la mia squadra (la Cyclisme Comminges – Garonne, ndr) non è di questa zona. Lo scorso anno avevo fatto settimo e volevo fare bene. Certo, non pensavo di vincere»

«Il mio nome italiano? Mio nonno era di Cuneo. Capisco qualche parola d’italiano ma non lo parlo. Però il mio corridore preferito è italiano. Anzi, era: Vincenzo Nibali». 

Intanto mentre pubblichiamo questo articolo in casa CPS si mangia. Un riso fumante per i ragazzi, un buon rosso per noi grandi. E via a sognare altri traguardi. E con le gambe di oggi si può sognare eccome…

“Attaque de Rolland”, ma l’uomo delle fughe ha detto stop

30.12.2022
5 min
Salva

La vicenda che ha portato alla cancellazione della B&B Hotels Ktm è costata un’improvvisa fine di carriera per Pierre Rolland (nella foto di apertura di Aurelien Vialatte), che appende la bici al chiodo a 36 anni. Un corridore con alle spalle 16 anni di professionismo, conditi da 14 vittorie. Ma non sono tanto o solo queste a rendere la notizia del suo addio diversa dalle altre. Rolland non è stato un corridore comune, per molti aspetti.

Innanzitutto, per capire la sua importanza, Rolland va collocato nel tempo. Passato molto giovane, il corridore di Gien si collocò in un periodo davvero difficile per il ciclismo transalpino. Erano molti anni che si attendeva un ciclista capace di vincere il Tour e questa attesa ammantava ogni nuovo talento di un profondo carico di responsabilità. Nei primi anni, Rolland diede nuova linfa a queste aspettative, con piazzamenti di livello (la vittoria nella classifica degli scalatori al Criterium del Delfinato 2008 che gli valse anche la convocazione per le Olimpiadi di Pechino) fino ad accompagnare nel 2011 il grande sogno di Thomas Voeckler di vincere la Grande Boucle.

Alla B&B dal 2020, Pierre paga la crisi del team. Chiude con 14 vittorie, tra cui 2 al Tour
Alla B&B dal 2020, Pierre paga la crisi del team. Chiude con 14 vittorie, tra cui 2 al Tour

In fuga solamente per vincere

Il giorno della tappa dell’Alpe d’Huez, Rolland era al fianco della maglia gialla, a due sole frazioni dal termine. Voeckler è sempre stato un ciclista molto presente a se stesso e a un certo punto disse al più giovane compagno di non trattenersi e andare per la sua strada. Rolland partì all’attacco infiammando i cronisti locali: staccò Contador e Sanchez, non due qualunque e conquistò una delle frazioni più iconiche della corsa francese, condendola con la vittoria della classifica per i giovani.

Poteva, anzi doveva essere il suo trampolino di lancio. Ma i tempi non erano ancora maturi (e a ben guardare non lo sono ancora, se l’ultimo francese vincitore della corsa di casa resta Bernard Hinault nel 1985…) e Rolland se ne rese presto conto. Era approdato alla Cannondale per fare classifica, fu un passaggio non senza contraccolpi, a cominciare dal fatto di essere costretto a imparare l’inglese. Nel frattempo però qualcosa stava cambiando nel suo modo di correre. Forse era nato tutto da quella fuga all’Alpe d’Huez: «Non sarei mai andato in fuga per essere secondo o terzo – aveva affermato subito dopo la conquista del traguardo – quando sono partito avevo in mente solo la vittoria e nulla mi avrebbe fermato».

L’azione decisiva sull’Alpe d’Huez. Contador prova a tenerlo, ma il francese andrà via di forza
L’azione decisiva sull’Alpe d’Huez. Contador prova a tenerlo, ma il francese andrà via di forza

Il capolavoro del Giro 2017

Fuga. Rolland ha messo un po’ da parte le sue ambizioni di classifica per diventare uomo da fughe. Per certi versi in tal modo è riuscito a sopravvivere all’ascensione di nuovi talenti e non parliamo solo dei vari Pogacar, Van Aert e compagnia cantando, ma anche in casa, vedi il pluriridato Alaphilippe. Ma c’era qualcosa in più. Per Rolland la fuga “era” il ciclismo, dava un significato al tutto. Non vogliamo scomodare la filosofia (c’è Guillaume Martin per quello…), ma per il transalpino andare in fuga era una sorta di sfida alla sorte: ci sarà la spinta giusta del vento? Il gruppo si coalizzerà o le beghe interne daranno via libera? La strada sarà quella giusta per compiere l’impresa? Ogni volta una scommessa, ogni volta una lotteria del destino. Ma già essere lì a gettare i dadi sul tavolo era un successo, vivere quell’attesa per il responso.

Nel 2017 Rolland compie il capolavoro, che dà un senso a questa nuova dimensione: nella tappa di Canazei al Giro d’Italia se ne va alla partenza insieme ad altri 23, nessuno gli dà credito (e come si potrebbe…), tutti pensano alla classica fuga ripresa dal gruppo quando si farà sul serio, invece Rolland resta lì e a 8 chilometri dal traguardo piazza la stoccata decisiva, con 24” su Rui Costa, già battuto una settimana prima da Fraile. Il destino sa essere anche beffardo…

La vittoria autoritaria di Rolland a Canazei, Giro d’Italia 2017. L’apoteosi per chi ama le fughe come lui
La vittoria autoritaria di Rolland a Canazei, Giro d’Italia 2017. L’apoteosi per chi ama le fughe come lui

Pensate ai disoccupati della B&B

Rolland avrebbe anche potuto continuare. Voleva farlo, ma poi ha riflettuto. In fin dei conti, la carriera gli aveva già dato quel che chiedeva: «Posso chiudere a buon livello e non in fondo al gruppo, dimenticato. Il futuro è una pagina tutta da scrivere, forse rimarrò nell’ambiente, i progetti ci sono e devono solo essere messi in pratica. Ad esempio potrei rimanere nell’ambiente dedicandomi alle prove un po’ più lunghe, le ultra. Pedalare mi piace ancora e mi piacerà sempre».

Quando le prime voci sul dissesto della B&B erano iniziate a circolare, qualche team aveva anche tentato un approccio, ma Rolland aveva risposto garbatamente: «Ho consigliato a tutti coloro che mi chiamavano di puntare su un collega più giovane, uno di quelli che avrebbe dovuto condividere con me l’avventura del team di Pineau e si è ritrovato senza lavoro. Io una sistemazione la trovo, anche se non agonistica, anche se non più in questo mondo di corridori che ho frequentato per anni girando il pianeta».

Rolland, miglior giovane al Tour 2011, con gli altri vincitori, Sanchez, Cavendish e Evans
Rolland, miglior giovane al Tour 2011, con Sanchez, primo fra gli scalatori

L’importanza dei tifosi

L’ultimo pensiero nel mettere da parte bici, maglietta, casco e quant’altro è stato per i tifosi: «Ci tengo a ringraziarli, coloro che mi hanno sostenuto per tutta la mia carriera, che hanno appoggiato le mie scelte e per le strade urlavano il mio nome: “Attaque de Pierre Rolland” era diventato quasi un mantra, lanciato da L’Equipe e che i tifosi avevano preso come slogan. Mi dispiacerà non sentirlo più…».