Forlì, serata per Fabio. Lampi di una storia dura e dolcissima

07.07.2024
8 min
Salva

FORLI’ – «Se fosse arrivato secondo – dice Maggioni – Fabio non avrebbe alzato le mani. Era un grande corridore, lui voleva vincere, era un campione. Ne ho visti pochi in corsa avere la sua lucidità e puntare dritto all’obiettivo. Lui voleva vincere e questo secondo me fa la differenza tra chi partecipa e chi punta al massimo risultato possibile. Fabio avrebbe fatto una carriera da campione, l’ho sempre detto. Era un atleta di classe, aveva questo spunto e aveva soprattutto la caparbietà nel voler arrivare all’obiettivo. E poi sarebbe stato un buon padre e un buon marito. E noi continuiamo a ricordarlo, divertendoci e provando a far divertire anche gli altri, con lo spirito che lui ci ha lasciato».

La sala si è riempita, i racconti hanno coinvolto il pubblico (foto Valentina Guardigli)
La sala si è riempita, i racconti hanno coinvolto il pubblico (foto Valentina Guardigli)

Il tempo non guarisce

Forlì, sera d’estate al Grand Hotel. Annalisa Rosetti, moglie di Fabio Casartelli, ha radunato gli amici di un tempo alla vigilia della gran fondo che porta il suo nome: La Casartelli. Suona strano raccontare questa storia all’indomani della morte di André Drege al Tour of Austria, con quel senso di quasi colpa perché il tempo ha sanato queste ferite. In realtà il tempo non ha sanato un bel niente, ci ha costretto semmai alla rassegnazione.

A 29 anni di distanza il dolore resta e per questo Annalisa ha chiesto che la serata serva soprattutto a ricordare il campione olimpico di Barcellona 92 e non le immagini del Tour 1995. Invito raccolto, a costo di lasciare il Tour de France per qualche giorno. E quando in testa alla sala si ritrovano i compagni di una volta, sembra di tornare indietro nel tempo. Storie di dilettanti, di uomini che sognavano di diventare grandi, senza tutta la scienza che oggi a 18 anni li trasforma in macchine da guerra.

Bulli e gentiluomini

«Non si può raccontare tutto», scherza Roberto Maggioni, campione del mondo della cronosquadre juniores nel 1986 e atleta olimpico a Seoul 1988. Ha corso con Casartelli alla Domus 87, la squadra di quel Locatelli cui a un certo punto voltò le spalle, non riconoscendosi nel suo ciclismo. Maggioni aveva circa due anni più di Casartelli.

«Se Fabio fosse stato qua questa sera – prosegue – avrebbe fatto casino come sempre, perché in vita sua ha sempre fatto casino. Ci siamo divertiti tanto, abbiamo riso tanto, abbiamo fatto un po’ di stupidate. Eravamo bulli – dice gonfiando il petto – era bello, avevamo vent’anni ed eravamo bulli e ci comportavamo da bulli. Lui è stato quello che mi ha iniziato al rito del festino al Ventolosa…».

Mamma Rosa e papà Sergio Casartelli (foto Valentina Guardigli)
Mamma Rosa e papà Sergio Casartelli (foto Valentina Guardigli)

I festini del Ventolosa

Il Ventolosa era un vecchio albergo, sede del ritiro della squadra bergamasca. Locatelli lo gestiva come fosse un monastero o una casa delle penitenze, con il vecchio Jair che doveva fare la spia, ma spesso era dalla parte dei corridori o fingeva di non vedere.

«Io ero appena arrivato – prosegue Maggioni – e lì non si mangiava, avevo fame. Avevamo tutti fame, quindi quando ci trovavamo facevamo dei festini segreti in cui prendevamo dolci e quant’altro e ce li mangiavamo. Avevamo fame, quindi la prima sera che io ero in ritiro, vado nella camera che Fabio divideva con Fagnini. Erano una coppia indissolubile e gli chiedo quando si sarebbe fatto il festino. E lui mi risponde: “Stai calmo Maggio, stai calmo. Siediti lì. Ogni cosa ha il suo tempo”.

«Mi siedo, lui chiama gli altri e lo vedo prendere il cacciavite e una sedia. Si avvicina alla finestra, sale sulla sedia. Io non capisco: cosa sta facendo? E lo vedo che smonta il cassone della tapparella, lo apre e dentro è pieno di roba da mangiare. Il tempo che arrivassero tutti e finalmente ho capito cosa fosse il festino».

Maggioni, Peron, Gualdi e Consonni, quattro campioni del mondo (foto Valentina Guardigli)
Maggioni, Peron, Gualdi e Consonni, quattro campioni del mondo (foto Valentina Guardigli)

Trenta paste per la vittoria

La magrezza a tutti i costi, che negli anni successivi produsse persino qualche caso di anoressia, ma che fra quei ragazzi del 68-70 si combatteva con la sfrontatezza della trasgressione.

«Quell’anno – prosegue Maggioni – Fabio vince la corsa di Diano Marina. Io attacco, ma mi prendono all’ultimo chilometro. Lancio una volata lunghissima, parte lui, imperiale, e vince. Si va al bar di nascosto, per festeggiare. Sopra al bancone c’era un vassoio con delle mattonelle così, che se ne mangio una adesso, ci vogliono 4 giorni per digerirla. Chiede al barista di darcele tutte e 30. “No no – dice il tipo del bar – quelle sono pesanti per voi che siete atleti”.

«Lo stesso ci dà questo vassoio, noi eravamo in 7-8 e le abbiamo spianate in due secondi. Il tipo ci guardava allibito, ma noi eravamo bulli (ride, ndr) e allora per esagerare, Fabio chiese altre quattro brioche. Erano le nostre scorribande quando eravamo insieme. Questa serata ricorda molto la bellezza di Fabio e il suo stile».

Conti, Fontanelli, Simoni e Perona (foto Valentina Guardigli)
Conti, Fontanelli, Simoni e Perona (foto Valentina Guardigli)

Arrivo alla Motorola

I racconti si susseguono. Ci sono Mauro Consonni, campione del mondo. C’è Andrea Peron, campione del mondo e argento olimpico. C’è Mirko Gualdi, campione del mondo e azzurro alle Olimpiadi di Barcellona, mentre Casartelli e Rebellin non ci sono più.

«A parte Fondriest che era andato per primo alla Panasonic nel 1988 – racconta Peron – con Fabio fummo i primi ad andare alla Motorola, una squadra americana. Io a differenza sua parlavo un po’ di inglese, lui prometteva che avrebbe studiato, ma intanto non cominciava mai. Jim Ochowitz, il manager, faceva leva su di me perché lo spingessi. Al primo ritiro gli parlava chiedendogli delle cose e Fabio non andava oltre rispondergli sì o no, qualunque fosse la domanda. Poi qualcosa imparò, ma ricordo che se in squadra volevamo sapere qualcosa sugli avversari e sulla corsa, dovevamo parlare con lui. Dopo pochi chilometri di gara, sapeva tutto di tutte le squadre». Si faceva capire in inglese, francese, spagnolo e sospetto anche in tedesco…».

Per Annalisa e Marco, un’immersione nell’affetto per il loro Fabio (foto Valentina Guardigli)
Per Annalisa e Marco, un’immersione nell’affetto per il loro Fabio (foto Valentina Guardigli)

La dieta dissociata

«Eravamo insieme per un mese prima delle Olimpiadi – racconta Gualdi – c’era Fabio e c’era Rebellin. Loro due erano in una doppia e io ero da solo. Al pomeriggio andavo in camera loro e stavo lì. Davide era sempre in palestra, faceva gli addominali e lo stretching. Io mai e Fabio nemmeno. Così facevamo scherzi. Un giorno il massaggiatore viene tutto preoccupato che sua figlia va per la prima volta in vacanza col moroso. E noi per prenderlo in giro iniziamo a dirgli che diventerà nonno. Finisce lì, con lui che fa gli scongiuri. Facciamo le Olimpiadi, Fabio le vince e a settembre ci ritroviamo con quel massaggiatore. Che ci punta il dito e dice che siamo due poco di buono. E quando gli chiediamo perché, risponde che presto diventerà nonno. Noi scherzavamo, era quello lo spirito che c’era.

«Come ricordo che a quel tempo si faceva la dieta dissociata. E quando tre giorni prima della gara completavi lo svuotamento dei carboidrati, non andavi avanti. Ricordo che tre giorni prima di vincere i mondiali in Giappone nel 1990, il mercoledì non riuscivo a tornare in hotel, anche se mancavano solo tre chilometri. E Fabio, che non l’aveva mai fatta, tre giorni prima delle Olimpiadi era in crisi nera. Non aveva forze e passai delle ore a rassicurarlo, dicendo che avrebbe funzionato. E alla fine andò bene…».

Questo sorriso resterà per sempre nei cuori di chi ha amato Fabio (foto Valentina Guardigli)
Questo sorriso resterà per sempre nei cuori di chi ha amato Fabio (foto Valentina Guardigli)

La medaglia d’oro

I momenti si succedono. Mauro Consonni racconta di quando in inverno andavano insieme in baita per mangiare… sano. Ci sono il racconto di Marcello Siboni e poi quello di Roberto Conti, che accolse Casartelli neoprofessionista all’Ariostea, apprezzandone l’umiltà. Le parole di Fabiano Fontanelli e Davide Perona, che corsero con lui alla ZG Mobili.

Le immagini della vittoria di Barcellona toccano dentro, con Fabio, Dekker e Ozols che alzano le braccia all’unisono. Quelle condivise da Marco Casartelli in cui suo papà lo tiene in braccio – 3 mesi lui, 25 anni Fabio – fanno male per quanto sono dolci. Si potrebbe andare avanti per ore, con quel senso di amarcord cui Fabio non si sarebbe sottratto. Nella hall dell’hotel ci sono i cimeli delle Olimpiadi. La Colnago rossa, con quei pignoncini dietro da chiedersi come facessero. La medaglia d’oro. La maglia celeste, in quella prima variazione rispetto al solito azzurro, per il grande caldo. Ci sono le foto giù dalla bici. C’è quello che Annalisa ha avuto il coraggio di cercare dentro cassetti che non apriva da anni e che là dentro non dovranno tornare mai più. Forse serviva questo choc per ripartire, con il senso di colpa di essere fortunati che tanto tempo sia passato e Marco ricordi il suo babbo come una goccia d’acqua. Fabio in qualche modo sarà con noi per sempre. In altre case, in questo momento, tanta leggerezza non è possibile. Questa serata, a pensarci bene, è anche per loro.

Coppi e Bartali, sul taccuino i nomi di Ulissi e De Pretto

24.03.2024
5 min
Salva

FORLì – Le curve ripide in cemento del velodromo Glauco Servadei fanno da eco alle urla del giovane Jenno Berckmoes. Sul prato gli atleti iniziano a scrollarsi le fatiche di oggi e di questa Settimana Internazionale Coppi e Bartali. Dopo cinque giorni di corse due nomi ci hanno colpito per costanza e permanenza nelle prime posizioni, Ulissi e De Pretto. Esperienza e gioventù che oggi si sono incrociate ancora una volta sull’ultima salita all’epilogo di questa settimana. Per Diego un’ulteriore conferma di competitività, avendo conquistato la sua 46ª vittoria da pro’. Per Davide una presa di coscienza per nulla scontata da neoprofessionista. Non a caso i due nel retropodio a distanza di pochi secondi si sono scambiati parole di stima reciproca.

De Pretto, 21 anni, è al suo primo anno tra i pro’
De Pretto, 21 anni, è al suo primo anno tra i pro’

Soddisfatto

Per De Pretto è la prima stagione tra i pro’. In Jayco-AlUla sembra aver trovato il giusto contesto per essere competitivo fin da subito. L’ambizione di vittoria è già lì a rendere l’atteggiamento di Davide agguerrito senza timori reverenziali. «Sono soddisfatto – afferma De Pretto – di questa Coppi e Bartali. Non mi aspettavo di essere a livelli così alti. Ho già finito quarto nella generale, quindi per un neoprofessionista penso sia una buona cosa. Ho fatto tutti i piazzamenti nella top 6, quindi sono abbastanza soddisfatto. Sperare in una vittoria è sempre difficile. Oggi ho preso troppo dietro l’entrata del velodromo, che era molto insidiosa. Poi il ragazzo della Lotto è molto forte e veloce, quindi mi sono accontentanto del terzo posto.

«Sapevamo che non era una corsa così semplice da gestire, perché c’era la Visma che aveva poco vantaggio, quindi ci sono stati molti attacchi. Sull’ultima salita nessuno attaccava, quindi ho provato ad accelerare io. Poi l’esperienza di Ulissi si è fatta sentire, ha guidato il gruppo e in cima mi ha rispreso. Da solo era difficile andare via, a poco dal GPM mi sono girato e ho visto il gruppo e ho smesso di insistere nell’azione. In volata ho provato a sprintare, sono sempre lì e spero di arrivare a questa vittoria».

Dopo il podio è tempo di sorridere e pensare ai prossimi appuntamenti
Dopo il podio è tempo di sorridere e pensare ai prossimi appuntamenti

Consapevolezza

Al termine di questi cinque giorni di gara il veneto si porta a casa la consapevolezza di aver già un buon ritmo gara e un primo accenno positivo di risposta dal proprio fisico in più giorni di corsa. Come detto da lui le sue top sei nelle cinque tappe ne sono la conferma.  «A Inizio stagione – spiega De Pretto – sono partito forte, non pensavo di tenere la condizione così tanto e adesso avrò un altro blocco di gara in Spagna e poi in Belgio, quindi è ancora lunga prima di riposare, però anche negli scorsi anni ho notato questa capacità di tenere la condizione alta gran parte della stagione, quindi speriamo di continuare così.

«Ritmo gara? Mi sento pronto. Il ritmo è più alto dell’anno scorso, però nel finale sono sempre lì davanti. Esco consapevole di avere un buon recupero tra una gara e l’altra, di tenere le salite, di essere veloce nel sprint».

Per Diego Ulissi la 46ª vittoria è arrivata nella seconda tappa a Sogliano al Rubicone
Per Diego Ulissi la 46ª vittoria è arrivata nella seconda tappa a Sogliano al Rubicone

Contento e vittorioso

L’Ulissi che abbiamo incontrato è sembrato davvero pieno di energie e rilassato. Pienamente cosciente di aver raggiunto egregiamente i suoi obiettivi. E’ stato la guida per una UAE Team Emirates giovane e vogliosa. «Sto bene – dice sorridente Ulissi – sono contentissimo della vittoria di tappa e ho chiuso sul podio. Bisogna essere felici perché per l’ennesima stagione ho trovato la vittoria e ho lottato tutta la settimana. Questi ragazzi stanno venendo fuori veramente bene. Io sono contento di essere lì. La Coppi e Bartali era una gara dove ero libero e di cercare il mio risultato nonostante avessimo comunque una squadra giovanissima. Sono contento che i ragazzi sono andati veramente bene e spero di avergli trasmesso qualcosa di buono

«Ero un po’ anche preoccupato per il fatto che non ero stato bene dopo l’Oman, ero stato quasi una settimana senza bici, però dopo mi sono allenato bene ed era venuto fuori un bel piazzamento alla Milano-Torino. Qua sono riuscito a conquistare un buon podio. Adesso andiamo avanti, faremo il Giro d’Abruzzo che sarà uno step importante perché poi andremo a fare l’Ardenne con Tadej e cercheremo di essere in condizione per far bene».

Una Coppi e Bartali soddisfacente per Ulissi
Una Coppi e Bartali soddisfacente per Ulissi

Tra i giovani

Per Diego è la 14ª stagione tra i pro’. In ognuna di queste ha vinto e quest’anno il primo sigillo è arrivato nella seconda tappa a Sogliano sul Rubicone. Tanta esperienza che si è incontrata con un ricambio generazionale importante qui alla Coppi e Bartali. Così gli abbiamo chiesto cosa ne pensasse di questi giovani promettenti.

«Ci sono ragazzi – spiega Ulissi – molto interessanti come De Pretto, perché è sempre lì, ha costanza e spero per lui che prima o poi arrivi la vittoria per sbloccarsi e per far sì che ne arrivino altre. Non voglio elencare nomi, ma di giovani italiani ce ne sono tanti che vanno forte. L’unica cosa, spero per loro che non gli venga messa pressione e che riescano con calma a tirare fuori tutta quella potenzialità che sono sicuro hanno. 

«Esco da questa Coppi e Bartali felice perché comunque quest’anno compio 35 anni. Io l’unica cosa che cerco ogni stagione è di dare il cento per cento e penso di aver fatto una buonissima carriera, e sono sempre qui a farmi valere anche se ci sono questi ragazzi davvero forti».

Coppi e Bartali, percorso per attaccanti. Domani il via

18.03.2024
5 min
Salva

Cinque tappe che animeranno questo marzo fino alla vigilia della campagna del Nord. Stiamo parlando della Settimana Internazionale Coppi e Bartali, la storica corsa organizzata dal GS Emilia. In programma dal 19 al 23 marzo, la prova dedicata ai due campionissimi italiani partirà domani da Pesaro per concludersi sabato a Forlì. Una partenza da Grande Giro e un arrivo di altrettanta bellezza con quel sapore di ciclismo d’altri tempi che solo un teatro come il Velodromo Glauco Servadei è in grado di regalare. Scopriamo il percorso e le insidie di questa Coppi e Bartali 2024 insieme all’organizzatore Adriano Amici (in apertura il podio dell’edizione 2023, vinta da Mauro Schmid su Shaw ed Healy). 

La prima tappa da Pesaro a Pesaro
La prima tappa da Pesaro a Pesaro

Da Pesaro a Pesaro

La partenza come detto avverrà in terra marchigiana, per la prima volta nella storia della corsa. La Coppi e Bartali sarà infatti ospitata da Pesaro, Capitale della Cultura italiana 2024. La tappa si snoderà dopo aver varcato il confine regionale, tra le città romagnole. Un percorso nervoso che sale su e giù incontrando nel finale il Mar Adriatico: 109 chilometri, con 1.450 metri di dislivello.

«E’ una tappa un po’ strana – spiega Adriano Amici, organizzatore storico – perché è abbastanza difficile. Pochi chilometri, 109, pertanto sembra facile invece non è così, perché lungo il percorso ci sono dei dislivelli notevoli. Quella che potrebbe fare la differenza, dal mio punto di vista, è la parte finale quando si farà la Panoramica da Gabicce Monte a Pesaro, quindi già una prima tappa movimentata».

Da Riccione a Sogliano

Nella seconda tappa si riparte dalla Romagna, con una tappa iconica della Coppi e Bartali. Da Riccione a Sogliano al Rubicone sono in programma 140 chilometri con 2.900 metri di dislivello che si sviluppano su e giù per le colline ripide e per nulla banali dell’Appennino riminese. Una frazione che tre anni fa consacrò un giovane Jonas Vingegaard al successo.

«E’ una tappa – afferma Amici – che stiamo verificando perché è franata una strada e forse saremo costretti a cambiare leggermente il percorso, se non riescono a ripristinarla in tempo. Questa però rispecchia quella che vinse Vingegaard nel 2021, pertanto con la salita che porta a Sogliano sul Rubicone, diventa una giornata secondo me abbastanza severa. Anzi, sono sicuro che lo sarà».

Riccione il teatro della terza tappa
Riccione il teatro della terza tappa

Da Riccione a Riccione

Da Riccione a Riccione, si rimane nei dintorni della tappa precedente, ma con un copione diverso e un finale tutto da scrivere. Una partenza e un arrivo di rito per questa frazione: non a caso la città marittima ospita la Settimana Internazionale Coppi e Bartali per il quinto anno consecutivo. 134 chilometri con 2.630 metri di dislivello vedono nel Passo San Marco e nella salita di San Marino le due insidie regine dalla terza frazione.

«Riccione-Riccione – dice Amici – con il Passo San Marco esattamente come l’anno scorso, forse è la più difficile per il chilometraggio e anche per le salite che ci sono, come quella fino a San Leo e lo sconfinamento a San Marino. Sarà il giorno per chi vuole farsi valere quando la strada sale e una bella scossa per la classifica».

Cinque volte il Monticino su e giù da Brisighella
Cinque volte il Monticino su e giù da Brisighella

Da Brisighella a Brisighella

Il giorno degli attaccanti. Non che gli altri non lo siano, ma la tappa Brisighella-Brisighella vede un vortice di giri (cinque complessivi) con un passaggio costante sul GPM del Monticino. Una salita che sarà protagonista anche del passaggio del Tour de France a luglio. 150 chilometri con 2.350 metri di dislivello che vedono partenza e arrivo in uno dei borghi storici più belli d’Italia e legati da sempre al ciclismo. 

«Una tappa molto bella con la partenza dal fantastico borgo di Brisighella – spiega Amici – che con la sua Rocca ha un fascino davvero importante. E’ una frazione adatta forse ai colpi di mano quindi ad attacchi. Chi vuole giocare il jolly ha il terreno giusto. Non è che sia durissima però è comunque insidiosa. La tappa è stata fatta in collaborazione con Davide Cassani. Abbiamo ragionato di non renderla così severa in funzione del giorno dopo».

Da Forlì a Forlì

L’epilogo della Settimana Internazionale Coppi e Bartali avrà, come detto, nel teatro del velodromo Glauco Servadei di Forlì. Un arrivo d’altri tempi, con i corridori che, dopo aver scalato la Rocca delle Caminate e fatto cinque volte i “muri” di Polenta e Bertinoro, arriveranno nelle curve ripidissime della pista in cemento per consacrare il vincitore di tappa e quello della classifica generale. Da Forlì a Forlì in 157 chilometri con 2.750 metri di dislivello. 

«La corsa arriva a Forlì – conclude Amici – si farà cinque volte la salita di Bertinoro e Polenta. A differenza dell’anno scorso che terminammo la corsa con la cronometro vinta da Cavagna, che fu molto bella, quest’anno niente corsa contro il tempo. Sarà una frazione che non lascia respiro e si concluderà nel bellissimo velodromo Glauco Servadei che l’anno scorso ha ospitato l’arrivo della terza tappa. Abbiamo sei squadre WorldTour con corridori importanti, speriamo che si diano battaglia. Avremo sicuramente un nuovo vincitore che si aggiungerà all’albo d’oro di prestigio che la Coppi e Bartali vanta».

Memorial Pantani: un annullamento esemplare. Amici spiega…

23.09.2022
6 min
Salva

La sicurezza prima di tutto. Una frase che riecheggia spesso quando ci sono situazioni di difficile interpretazione. Momenti in cui l’esperienza che sia di un direttore di corsa, di un organizzatore o della figura insignita può segnare le sorti degli atleti pronti a fare ciò per cui si sono allenati. Questo capita in tutti gli sport e la lista di sventure e di eventi che si sarebbero potuti evitare è purtroppo lunga. Al Memorial Pantani che si sarebbe dovuto correre il 17 settembre, la macchina organizzativa coordinata da Adriano Amici ha funzionato perfettamente

Proprio così, perché seppur sia stata annullata una corsa così cara agli appassionati, l’organizzazione ha saputo dire no e lo ha fatto creando un precedente di collaborazione collettiva. Si sarebbe dovuto partire da Forlì e arrivare sul tradizionale lungomare di Cesenatico in memoria del Pirata. Ciò non è avvenuto e squadre, diesse, autorità, giornalisti e addetti ai lavori anziché alzare polemiche, hanno fatto trasparire messaggi di stima e di condivisione riguardo alla decisione. Il GS Emilia, ha dimostrato di sapere come gestire e soprattutto come comunicare in momenti così delicati. Adriano Amici ci aiuta a ricostruire quelle ore tra bollettini, decisioni e cinquant’anni d’esperienza. 

Qui Adriano Amici con Tonina nell’edizione 2021 del Memorial Pantani
Qui Adriano Amici con Tonina nell’edizione 2021 del Memorial Pantani
Cosa vuol dire organizzare una corsa come il Memorial Pantani?

Una corsa come il Pantani, che sfortunatamente si fa perché non c’è più Marco, non si organizza in una settimana.  Si comincia a preparare con le squadre gettando le basi per un programma annuale, edizione dopo edizione. Si comincia già da dicembre a stilare il calendario delle manifestazioni del GS Emilia, poi si comincia a diramare l’invito a tutte le squadre. Il Memorial Pantani quest’anno aveva dieci WorldTour presenti, vien da sé che la preparazione parte da lontano. Quando invece si avvicinano aprile e maggio si tirano le file per sponsor, percorsi e per le autorizzazioni. 

Era in programma un’altra bella edizione…

L’albo d’oro è la dimostrazione di come sia sempre stato prestigioso da quando è nato. All’inizio il nome di Marco è stato sicuramente trainante, dopo via via la qualità si è sempre mantenuta alta. Colbrelli con la maglia di campione europeo ne è l’esempio più recente. Il Memorial ha un albo d’oro prestigioso considerata l’età della manifestazione. 

Sonny Colbrelli ha vinto l’edizione 2021 con indosso la maglia di campione europeo
Sonny Colbrelli ha vinto l’edizione 2021 con indosso la maglia di campione europeo
Veniamo alla mattina della corsa, cosa è successo?

C’era grande entusiasmo ed euforia nel vedere il foglio dei partenti. Una soddisfazione immensa alla verifica licenze vedendo i nomi e la risposta positiva degli atleti e dei team. Il tutto coadiuvato dal meteo che sembrava essere favorevole. Nonostante quello che era appena successo nelle Marche poche ore prima. Tant’è vero che abbiamo fatto anche un punto di riflessione su quello che è successo, decidendo comunque di proseguire.

Dalle previsioni meteo avevate previsto qualcosa?

Le previsioni dicevano che non era bellissimo però nulla a che vedere con quello che sarebbe arrivato. Alla riunione con la Prefettura, c’è stata la segnalazione per un’allerta gialla in un orario totalmente differente, che non ci toccava. La mattina sono partito da Bologna con un cielo sereno splendido, che nel corso dei 60 chilometri fino ad arrivare alla partenza di Forlì si è poi incupito. Da lì in poi, la nostra attenzione si è rivolta a guardare il cielo e cosa sarebbe avvenuto di lì a poco. 

Una bomba d’acqua?

Non è stata una bomba d’acqua, bensì un temporale molto intenso con venti a 130 km/h. Tant’è che il mare si è preso metri su tutto il litorale. 

Qui la piazza di Forlì investita dal violento temporale
Qui la piazza di Forlì investita dal violento temporale
Da Forlì come si è evoluta la situazione?

Alla partenza erano tutti presenti e le ammiraglie stavano iniziando ad arrivare, in quel momento abbiamo iniziato a prendere le prime decisioni. A differenza di altri momenti che quando arrivavano due gocce d’acqua iniziava il valzer delle richieste da parte di tutti: “Cosa facciamo?”, “Si parte oggi, oppure no?”, “Io aspetterei”. In questo caso invece abbiamo trovato subito un’unione di intenti e una collaborazione esemplare da parte di tutti gli addetti ai lavori, dai diesse alle autorità, giuria e organizzatori. Questo mi ha fatto molto piacere. Nessuno ha azzardato di dire: «No oggi non si può correre» prima del dovuto. Si è iniziato a verificare cosa si poteva fare, remando tutti nella stessa direzione. 

La prima decisione è stata quella di spostare la partenza…

Abbiamo cercato una zona distante dalla perturbazione, più vicina all’arrivo dove ci potesse essere un parcheggio in grado di ospitare tutte le squadre e quindi partire. E io ringrazio veramente tutti i componenti dei gruppi sportivi che hanno appoggiato la soluzione. Il nostro coordinatore ha individuato il posto a 52 chilometri dalla partenza, a Borello, con i presupposti che per l’una e mezza il tempo avrebbe dovuto calmarsi. La Polizia è stata esemplare, ci ha accompagnato e scortato fino a lì e qui devo ringraziare il Vice Questore che è stato encomiabile. 

La decisione è arrivata con un lavoro corale tra tutti gli addetti ai lavori
La decisione è arrivata con un lavoro corale tra tutti gli addetti ai lavori
E poi?

A un certo punto ci è arrivata la fotografia della salita di Montevecchio con gli alberi caduti sulla strada, tra salita e discesa la strada era diventata inagibile. Dopo poco sono arrivati video e foto del lungomare di Cesenatico con il mare Adriatico che aveva inondato tutta la zona d’arrivo con trenta centimetri d’acqua. 

Da lì la decisione di annullare la corsa?

E’ stata una cosa che mi ha colpito molto. Nella mia vita ciclistica, da quando ho 15 anni ho incominciato a correre, passando per tutta una vita da organizzatore di corse e non ho mai sofferto come quel giorno lì e mai ho avuto un’esperienza di questo genere. Pioggia sì, freddo sì perché alla Coppi e Bartali ci è capitato spesso, ma questa è stata una cosa incredibile.

La decisione è stata condivisa da tutti, Roberto Damiani lo ha sottolineato con un post su Facebook..

E’ stata una soddisfazione leggere commenti di questo tipo. Dagli appassionati, agli addetti ai lavori, ai giornalisti abbiamo ricevuto i complimenti per come è stata gestita la situazione. Mi ha inorgoglito e fatto molto piacere.

Capita spesso che arrivino queste “richieste”?

Sì, un esempio è stata un’edizione recente con un corridore, di cui non voglio fare il nome, che ha fatto da portavoce per alcuni dirigenti che non volevano che si partisse. Invece si partì regolarmente e dopo dieci chilometri c’era il sole e la corsa si è svolta in sicurezza senza problemi. Per me i corridori sono come figlioli,c’è una confidenza che si porta avanti da tanto tempo, mai li metterei in rischio, se c’è da mettere le cose in chiaro lo faccio direttamente e loro capiscono.

Si è parlato di “protocollo meteo UCI”, in cosa consiste?

Ci sono i responsabili dell’UCI che unitamente a quelli italiani valutano se la decisione del direttore di organizzazione, in questo caso io, decide correttamente e nel caso ci si confronta. Qui non ce n’è stato bisogno perché la situazione era chiara e delineata. 

Come mai non è stata rimandata?

Una corsa di quel genere richiede uno sforzo economico intorno ai 150 mila euro, senza dare gratificazione al personale di lavoro cioè noi. Se si rimanda gli alberghi sono nuovamente da pagare… La tassa tecnica chi la paga? E poi c’è l’aspetto logistico, gli alberghi sarebbero tutti da riprenotare, così come le autorizzazioni per la viabilità da richiedere nuovamente ai Comuni. In più le squadre hanno calendari internazionali decisi da mesi che non possono modificare. Sarebbe totalmente una corsa ex novo.

Il lettino di Moro, massaggi, ricordi, campioni e nostalgia

26.01.2022
7 min
Salva

E’ stato Cassani a riportarlo in nazionale, in quello staff trasversale che segue gli azzurri in ogni angolo del mondo. Prima Luigino Moro, nella vita precedente iniziata dieci anni dopo aver smesso di correre e fino alla chiusura della Liquigas, è stato uno dei massaggiatori di riferimento del gruppo. E’ passato attraverso anni particolari del ciclismo. E’ stato uomo di fiducia di alcuni fra i più grandi italiani degli ultimi 30 anni. Da Bartoli al Pantani del 1998, per capirci, avendo cominciato con l’Italbonifica, poi la Carrera, la Mg Technogym, la Mercatone Uno, la Mapei, la Fassa Bortolo e appunto la Liquigas. Sorridendo ammette che lentamente sta tirando i remi in barca: è del 1956, è nato in Veneto ma vive a Forlì, è sposato con Silvia dal 1982, fra un paio d’anni potrebbe andare in pensione.

«Sono stato professionista con la Inoxpran dal 1979 al 1982 – racconta – poi ho iniziato la scuola di massofisioterapista e insieme per un po’ ho fatto il gruista del soccorso stradale, così ho preso tutte le patenti che mi sono tornate poi utili nelle varie squadre. Ho sempre avuto la passione per la fisioterapia, ma l’idea iniziale era di lavorare in ospedale. Solo che in quel periodo prendevano solo terapisti della riabilitazione e così mi sono rivolto nuovamente al ciclismo».

Luigino Moro è bellunese, ma vive a Forlì. Classe 1956, è stato professionista dal 1979 al 1982
Luigino Moro è bellunese, ma vive a Forlì. Classe 1956, è stato professionista dal 1979 al 1982
Si diceva e a volte si prova a ripetere che il massaggiatore sia il confessore del corridore…

Si diceva, all’inizio era così. Ultimamente sempre meno, ora il corridore che arriva sul lettino è sempre molto distratto dal cellulare. E’ raro che lo spenga, per cui il contatto personale si riduce. Bisogna adeguarsi ai tempi. In proporzione, ho lavorato meglio con le ragazze in ritiro…

Cioè?

Sono stato a Calpe al ritiro con la nazionale femminile per sostituire il loro massaggiatore fisso. E’ stata una bella esperienza, mi sono trovato benissimo. Anche loro venivano col cellulare, però nessuna lo ha mai usato. Mi hanno dato l’impressione di essere attente e partecipi al lavoro e in questo modo anche il massaggio è più efficace.

Bisogna adeguarsi ai tempi?

Il modo di comunicare è cambiato. I direttori sportivi mandano mail e whatsapp, si parla sempre meno. Per questo ho avuto i rapporti migliori con i vecchi corridori. Ancora adesso con Bartoli ci sentiamo spesso, ma forse i corridori giovani hanno un miglior rapporto con i massaggiatori della loro età. Io per alcuni di loro potrei essere tranquillamente il padre (ride, ndr).

Nel 1998, Luigino Moro è stato il massaggiatore di Pantani, vivendo con lui i mesi più belli
Nel 1998, Luigino Moro è stato il massaggiatore di Pantani, vivendo con lui i mesi più belli
Come mai Bartoli?

Siamo molto amici, anche con la famiglia, con mia moglie siamo stati padrini al battesimo di suo figlio Gianni. Per lavoro ci siamo incrociati spesso. Alla Mg Technogym, poi alla Fassa Bortolo e alla Mapei sino alla fine della sua carriera.

E poi Pantani…

Già quando nel 1991 correva alla Giacobazzi, a volte d’inverno veniva a casa mia per fare i massaggi. Poi lo trovai alla Carrera. Infine arrivai alla Mercatone Uno quando fu rifondata nel 1997, però Marco era con Pregnolato. Quando nel 1998 ci fu un assestamento e Roberto andò via, iniziai a seguirlo io. L’ho massaggiato per tutto il 1998, quando vinse Giro e Tour e fu un’esperienza incredibile, molto bella. Ho vissuto i momenti migliori di Marco, mi ritengo fortunato.

Com’era Marco ai massaggi?

Lui entrava e ascoltava il massaggio, come Bartoli. Corridori così sensibili ce ne sono stati pochi, mi viene in mente Rolf Sorensen con cui ho fatto tre mondiali. In quel periodo i cellulari stavano arrivando e comunque servivano solo per telefonare. I momenti che ho vissuto con Marco non saprei come definirli. C’era gioia e insieme l’emozione, sapendo tutto quello che aveva fatto per tornare grande. Si era fra il pianto e la gioia. In quel periodo Pantani parlava il giusto, per avere conferme alle sue sensazioni (in apertura, il massaggio di fine Tour 1998, ndr). Aveva attimi scanzonati, ma quell’anno era sempre molto concentrato. Poi tornò Pregnolato e io non ho più lavorato con lui.

Bartoli era più estroverso, a volte bisognava spegnere i microfoni…

Michele esternava tutto quello che gli passava per la testa. Si creò un bel rapporto perché ti coinvolgeva nelle sue preoccupazioni e nei ragionamenti. La visione di corsa con lui era molto più intensa, ti faceva entrare nella sua rabbia. Ricordo Plouay…

Si sentì tradito dalla Mapei, scagliò la bici nel box dopo l’arrivo, era nero…

Prima di quel mondiale, massaggiavo sia lui sia Bettini. Michele quel giorno era furibondo, si sentì tradito, ma solo loro due sanno come sia andata. Forse Paolo pensava di partire più avanti per tirargli la volata, difficile giudicare da fuori.

Il fatto di aver corso ti ha aiutato nel tuo lavoro?

Credo che quegli anni in bici siano serviti per dare agli atleti quello che era mancato a me quando correvo. Il massaggio era di 20 minuti quando andava bene, solo ai capitani andava meglio. Una volta si lavorava solo con le mani, senza tanti apparecchi. Giusto qualcuno usava delle lampade a infrarosso, ma il solo risultato era di riscaldare il muscolo.

Moro ha lavorato a lungo con Ferretti, qui nel 2003 con Petacchi: per lui ha grande stima
Moro ha lavorato a lungo con Ferretti, qui nel 2003 con Petacchi: per lui ha grande stima
Hai lavorato con grandi direttori sportivi…

Per Ferretti ho grande stima, lo ritengo uno dei migliori. Riis è stato un grande innovatore per la comunicazione e ha cambiato il modo di pensare del tecnico. Parsani aveva un bel rapporto con gli atleti e avendo corso insieme, ci intendevamo bene. Zanatta e Chiesa li ho sempre visti come due bravi ragazzi capaci di parlare con i corridori. Giannelli è stato il migliore sul piano della logistica.

In Belgio si parla ancora della tua pizza…

Quando andavamo nell’hotel di Piva (ride, ndr), visto che da ragazzino avevo lavorato come panettiere, capitava che mi chiedessero di fare la pizza. Poi con la venuta dei cuochi, hanno iniziato a mangiarne di migliori.

C’è stato anche un periodo in cui i massaggiatori venivano visti come i… pasticcioni del doping.

Purtroppo (dice dopo una piccola pausa, ndr) abbiamo avuto dei momenti non belli. Ma una volta stabilite le regole, si riusciva a restare anche tranquillo. Alcuni però non si sono attenuti e hanno combinato qualche pasticcio. Qualche bandito c’è stato, io per fortuna ho lavorato in squadre in cui i medici facevano bene il loro lavoro e noi ci siamo tolti un bel peso. In altre squadre invece tutto è continuato come prima. Io ho sempre ritenuto importante che ognuno rimanga nel proprio lavoro.

Ecco Moro, a destra, alla festa del 10 anni del mondiale di Cipollini
Ecco Moro, a destra, alla festa del 10 anni del mondiale di Cipollini
Luigino e la nazionale?

Non ho mai avuto il piacere di lavorare con Alfredo Martini, ma anche quando veniva alle corse sentivi la sua presenza. Su di lui hanno detto di tutto, ma è ancora poco per il carisma che aveva. Ballerini ascoltava tutti quanti, poi prendeva le sue decisioni. Con Bettini sono andato una sola volta in Australia, ma il bel rapporto che c’era da corridore è rimasto. Con Cassani, cosa dire? Ci allenavamo insieme. Io smettevo e lui cominciava. Vedremo con Bennati, che ho massaggiato alla Liquigas.

Pensi davvero alla pensione?

Per venire alle corse bisogna avere grande passione e io ce l’ho, anche perché lavorando a casa si guadagnerebbe certamente di più. Mi piace ancora essere in giro e con la nazionale faccio un numero di giornate giusto, un bel compromesso rispetto alle lunghe assenze dei team. Però mi sto facendo la bici nuova per riprendere quando avrò più tempo. Ho 65 anni, potrei andarci a 67,5. Si vede ormai l’arrivo, ma ci penseremo al tempo giusto.

Gilbert, Evenepoel e Froome: qualcosa su cui riflettere

01.04.2021
5 min
Salva

In una lunga dichiarazione piena di tristezza dopo il ritiro dalla Gand-Wevelgem, Philippe Gilbert ha annunciato che si sarebbe preso un periodo di stacco per analizzare la situazione e capire per quale motivo fosse già sfinito e la sua condizione non crescesse.

«Penso che il recupero dall’infortunio al ginocchio – ha detto – mi abbia tolto un’enorme quantità di energia. Il fatto che il corpo dovesse guarire da solo ha richiesto molta più energia di quanto avremmo potuto immaginare. Ho lavorato duramente per provare a tornare e ho fatto grandi progressi dopo il ritiro di gennaio, ma forse è stato un po’ troppo veloce. Ora sto pagando per questo».

Philippe si era fratturato la rotula al Tour del 2018, volando giù da una curva nella discesa del Portet d’Aspet. Lo scorso anno, ugualmente in Francia, si è rotto lo stesso ginocchio nella maxi caduta del primo giorno a Nizza. Era il 30 agosto.

Borra ha seguito anche una bella fetta della carriera di Fernando Alonso in Formula Uno
Borra ha seguito anche una bella fetta della carriera di Alonso

Come Remco

Lo stop di Gilbert ci ha fatto pensare a quello di Remco Evenepoel. Ricordate quanta voglia di rientrare dopo la frattura del bacino? I tempi bruciati. Il ritiro di dicembre in Spagna tirato come per correre. Poi invece un altro stop, così lungo da fargli saltare l’intera primavera. E così ci siamo chiesti se sia possibile che a certi livelli non si riescano a gestire l’infortunio e la rieducazione con tempi certi. Lungi da noi prendere a esempio il mondo del calcio, ma certi campioni sono seguiti come meritano?

Per chiarirci le idee ci siamo rivolti a Fabrizio Borra: un vecchio amico e soprattutto un grande rieducatore di scuola americana, al cui fianco seguimmo passo dopo passo la rieducazione e la ripresa di Marco Pantani. Dato che il romagnolo lavora anche nel basket, nella Formula Uno e in parecchi altri sport, avremo l’occasione di valutare alcune abitudini del ciclismo.

La prima frattura della rotula Gilbert la subì al Tour del 2018
La prima frattura della rotula Gilbert la subì al Tour del 2018
Come si gestiscono la convalescenza e il recupero di un atleta infortunato come Gilbert?

Si fa fatica ovviamente a trovare delle regole generali. Ci sono tre punti. Il primo è stabilire cosa si possa fare durante la rieducazione. Quindi valutare la fase di riatletizzazione, cioè il passaggio dalla riabilitazione allo sport. Infine la ripresa della preparazione. Sono fasi di cui nel ciclismo si tiene poco conto. Mentre ad esempio nel calcio, sono codificate perché oltre alla capacità di correre, ad esempio, c’è da curare la rieducazione al gesto tecnico. Chi rieduca nel ciclismo dà per scontato che da un certo punto in poi sia sufficiente risalire in bicicletta. Come è successo probabilmente con Evenepoel.

Che cosa si dovrebbe fare invece?

Bisogna capire le caratteristiche specifiche dell’atleta e dello sport. Durante la rieducazione va preparata la base perché si possa tornare al gesto motorio corretto, affinché quando un giorno l’atleta tornerà in bici, possa pedalare correttamente. Ma se lo rimetto in sella e per vari motivi usa una gamba più dell’altra, si creano dei compensi che non ti puoi permettere.

Approfondiamo il gesto motorio corretto?

Il corpo ha memoria del trauma e magari anche dopo la rieducazione, qualche muscolo continua a lavorare in modo improprio. Per ricreare lo schema motorio corretto si comincia dalla rieducazione, poi c’è la delicata fase della riatletizzazione, che deve essere graduale. E nel frattempo cerco di capire dai numeri se il corpo mi sta seguendo nel percorso che ho disegnato per lui.

Nella caduta al Lombardia, Evenepoel ha riportato la frattura del bacino
Nella caduta al Lombardia, Evenepoel ha riportato la frattura del bacino
Quali numeri?

Si fanno valutazioni giù dalla bici, valutando la qualità del reclutamento neuro-muscolare e se ci sono inibizioni neuro-muscolari. Partendo da questa base, la ripresa del lavoro atletico deve essere bilanciata ed efficiente. E’ la fase in cui il rieducatore parla con il preparatore. Rialzarsi e montare in bici è nella natura del ciclista, ma c’è una finestra temporale, che nel ciclismo è il mondo di nessuno, in cui si deve fare il raccordo fra rieducazione e preparazione. Anche in bici ci sarebbe da curare il gesto tecnico, invece si fanno bastare i dati del potenziometro per valutare la spinta delle gambe e ad esempio smettono di osservare la risposta della parte superiore del corpo.

Per questo con Pantani si ricominciò a pedalare in acqua?

Esattamente ed è quello che nel nostro centro si fa ancora. Ti metto in acqua, elimino la forza di gravità e impedisco che ci creino dei compensi. Se invece riparti senza essere a posto e magari vai anche a correre, perdi ogni equilibrio. I compensi vengono portati all’estremo e anche se l’ortopedico ha fatto il miglior lavoro possibile, rischi che non sia servito a niente. Con Marco non fu possibile tornare alla perfezione solo perché la gamba era rimasta più corta di un centimetro e dovemmo studiare soluzioni alla luce di questo.

Quindi lo sfinimento di Gilbert?

Potrebbe essere dovuto al fatto che a un certo punto sia tornato in bici senza essere del tutto a posto. Il suo corpo ha attivato compensi che lo hanno portato a spendere troppo. Si è trasformato in una macchina che lavorava con troppi attriti. Mentre la vera cosa da fare era resettare completamente il corpo.

In California, presso il centro high-Performance di Reb Bull, Froome ha resettato il suo corpo
Per Froome in California un supplemento di rieducazione
E come si fa?

L’atleta va valutato giù dalla bici per capire se ci siano situazioni migliorabili e poi si passa a determinare la posizione più efficiente in bici. Se invece riparti, poi sposti le tacchette, aggiungi il plantare, alzi il manubrio e sposti la sella, stai sicuro che entri in un incubo. Sapete quanti corridori mi sono arrivati al termine di questo calvario?

Perché succede?

La mia percezione è che quella finestra di passaggio di cui abbiamo parlato venga sottovalutata. Gli schemi motori sono dei file preorganizzati e quando ho un infortunio, gli equilibri cambiano. Se monto in bici, sapendo che la bici ha 5 punti fissi (la sella, i 2 pedali, le due mani), costringo il corpo a raggiungerli. Ma se si lavora con un rieducatore che conosce il ciclismo, si evita di creare le memorie che provocano conseguenze difficili da superare.

In parte è successo anche a Froome, che è rimontato subito in bici, invece in California durante l’inverno alla Red Bull lo hanno resettato…

Era la cosa da fare subito. L’atleta giovane risponde più in fretta di quello meno giovane, ma il risultato si raggiunge lo stesso. E pensate che adesso la ricerca lavora sulla plasticità cerebrale proprio per valutare anche i tempi di risposta.

Vingegaard re, danese, della Coppi e Bartali

28.03.2021
4 min
Salva

Probabilmente non se lo aspettava neanche lui di vincere due tappe e la classifica generale. Invece Jonas Vingegaard ci è riuscito ed anche bene. E forte di quei due successi e di una condotta di gara sempre di testa si è portato a casa la Settimana Internazionale Coppi e Bartali. 

Jonas Vingegaard è alto 1,75 metri per 60 chili: scalatore puro, ma anche veloce
Jonas Vingegaard è alto 1,75 metri per 60 chili: scalatore puro, ma anche veloce

Gara d’attacco

Nell’arco della settimana, il portacolori della Jumbo Visma è stato davvero il più forte. E’ uscito dai primi sei solo negli arrivi in volata, nei quali comunque è sfilato nelle prime venti posizioni, per dire quanto fosse “sul pezzo”. In più, anche se non era la corazzata che siamo abituati a vedere, la sua squadra è sempre stata compatta intorno a lui. 

Occhio però a darlo per “sconosciuto”. Jonas aveva già alzato le braccia al cielo nel WorldTour, era successo al Giro di Polonia di due anni fa ed era successo soprattutto quest’anno all’UAE Tour, quando aveva battuto nientemeno che Tadej Pogacar nel secondo arrivo in salita. Non c’è da stupirsi quindi se alla Coppi e Bartali si è portato a casa due frazioni, quella di Sogliano al Rubicone e quella di San Marino. Ricordiamo che anche se ha doti di scalatore è anche molto veloce.

Vingegaard (24 anni) in maglia di leader, tra i suoi compagni della Jumbo Visma
Vingegaard (24 anni) in maglia di leader, tra i suoi compagni della Jumbo Visma.

Mai nel panico

Magari Jonas è partito sapendo che poteva fare bene, ma forse non di vincere. La mattina del via da Riccione però, la sua bici era pronta sui rulli. Voleva scaldarsi e quindi nulla era lasciato al caso.

Poi dalla penultima frazione le cose sono cambiate del tutto per lui. Verso San Marino non ha corso solo per la tappa, anzi… Come lui stesso ha ammesso teneva sott’occhio l’inglesino della Ineos Grenadiers, Hayter, per il discorso degli abbuoni, e il neozelandese Schultz, della BikeExchange.

«Ho fatto uno sprint lunghissimo – aveva detto Vingegaard, dopo la frazione sanmarinese – Ad un tratto ho quasi chiuso gli occhi perché la linea d’arrivo non arrivava mai. Ma una volta presi quei secondi di abbuono sapevo che potevo stare più tranquillo in vista dell’ultima tappa (cioè quella di ieri, ndr). A quel punto avrei fatto di tutto per vincere la corsa».

Una delle qualità di Vingegaard, dice il suo direttore sportivo, Sierk Jan de Haan, è che Jonas non va mai nel panico. Durante questa Coppie e Bartali un paio di volte è stato attaccato e non subito è riuscito a stare davanti. Lui però si è guardato intorno, ha visto quali altri uomini di classifica potevano avere il suo stesso interesse e ha chiuso con loro o sfruttando il loro lavoro.

A Forlì festeggia Honorè ma dietro esulta anche Vingegaard: la generale è sua!
A Forlì festeggia Honorè ma dietro esulta anche Vingegaard: la generale è sua!

Tappa a te, classifica a me

E forse la tappa più bella è stata proprio l’ultima, quella in cui si è sentito un vero grande. Insieme al connazionale Mikkel Frolich Honoré sono fuggiti a dieci chilometri dal traguardo. Magari si sono dati anche un’occhiata d’intesa e come succede nella più classica tradizione ciclistica, sull’arrivo di Forlì Jonas ha lasciato la tappa al connazionale della Deceuninck-Quick Step. Come davvero usano fare i grandi e come magari gli è stato suggerito dall’ammiraglia per non… scivolare come Roglic alla Parigi-Nizza. Ma crediamo poco a questa seconda ipotesi, in quanto la gara finiva sul quel traguardo.

«No, nessun accordo  – ha lasciato intendere Honorè dopo l’arrivo. Anzi, siamo partiti cercando di vincere la corsa». La Deceuninck infatti ha cercato di fare gioco di squadra, isolando Vingegaard. I suoi compagni infatti erano davvero molto giovani. Pensate che il più vecchio della Jumbo presente nelle corsa romagnola era proprio il danese, con i suoi 24 anni, gli altri avevano dai 19 ai 21 anni.

Forte di questa condizione la Jumbo porterà Vingegaard prima ai Paesi Baschi e poi nelle Ardenne, gare in cui sarà al fianco di Roglic. Poi si vedrà se sarà della partita anche al Giro d’Italia, quasi sicuramente sarà alla Vuelta. Ma da qui a fine estate ce ne passa… Intanto Jonas si gode la sua bottiglia di spumante.

Fabrizio Borra, Fernando Alonso 2012 (foto Motori Online)

Borra, l’angelo custode di Moschetti

28.11.2020
4 min
Salva

Fabrizio Borra saltò fuori nel mondo del ciclismo tra il 1995 e il 1996. Caschetto nero, slang mezzo americano sull’accento romagnolo, raffiche di mille parole al secondo. Ma soprattutto mise le mani su quello che un tempo era insieme un amico ferito e il messia del ciclismo italiano: Marco Pantani nei mesi successivi all’incidente di Torino. I pomeriggi con loro nel vecchio centro di Forlì a fare rieducazione in acqua riempivano gli occhi. E anche se quelle immagini sono rimaste negli archivi di un tempo, nulla potrà portarsi via il ricordo e il rapporto costruito negli anni.

L’uomo delle stelle

Da allora Borra è diventato una sorta di salvatore degli atleti feriti e intanto si dedicava alla preparazione fisica di Jovanotti, prima dei concerti, e allo stato di forma di Fernando Alonso, quando lo spagnolo era ancora un riferimento in Formula Uno (i due sono insieme nella foto d’apertura di Motori Online). Rimase persino… impigliato nella squadra che Alonso avrebbe voluto fare con Paolo Bettini, ma questa è un’altra storia.

Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020
Matteo Moschetti un caffè nel giorno di riposo della Vuelta a Vitoria
Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020
Moschetti, un caffè alla Vuelta nel giorno di riposo

Arriva Moschetti

Più recentemente di Borra abbiamo parlato con Matteo Moschetti, reduce a sua volta dalla frattura dell’acetabolo del femore destro rimediata il 7 febbraio all’Etoile de Besseges. E quando, riferendosi sua rieducazione, Fabrizio ha detto che non fosse niente di troppo complesso per un ciclista, ci è venuta voglia di chiamarlo.

«A livello clinico ero guarito – aveva detto Moschetti – però mi mancava la condizione per tutte quelle settimane immobile. Non ho dolori, manca un po’ di forza e ho la sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affatichi più del sinistro».

Comanda la testa

Borra va subito al sodo. Per cui dopo averci raccontato l’evoluzione nel mondo della riabilitazione, con gli europei che hanno superato i maestri americani, spiega perché a Moschetti è andata tutto sommato bene.

«Quando si subisce una frattura come quella – dice – e poi si riprende, il rischio è uno solo: che il corpo netta in atto quelle famose compensazioni che lo spingono a sostenere con la parte sana il carico di quella ferita. La sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affaticasse più dell’altra deriva proprio da questo. Non si tratta di un fatto ortopedico, perché nel frattempo la scienza è andata avanti a studiare certi fenomeni. Ed è venuto fuori, come si era sempre intuito, che il vero problema sia a livello del cervello. Banalizzando, è la testa che determina certe compensazioni. Per cui quello che si è fatto con Matteo è stato essenzialmente impedire al suo cervello di farci lo scherzetto».

Centro Phisiology Fabrizio Borra Forlì
La piscina del centro di Borra a Forlì che si chiama entro Fisiology
Centro Phisiology Fabrizio Borra Forlì
La piscina del centro di Forlì

Tempi eroici

La rilettura dell’intervista di Moschetti assume ora un altra sfumatura. Soprattutto laddove il milanese parla delle attenzioni osservate alla Vuelta, nel fare stretching per curare il bilanciamento fra destra e sinistra. Prima di finire fuori tempo massimo per pochi secondi Villanueva de Valdegovia, settima tappa.

Borra sorride, perché quel tipo di lavoro glielo ha suggerito lui, non potendo completare il lavoro in palestra.

«E’ stato però buono poterlo seguire dall’inizio – riprende – perché di fatto è arrivato che non camminava. E’ salito sui rulli e poi è tornato a pedalare sotto stretto controllo. Intanto era quasi marzo e l’Italia iniziava a chiudere. Un mio amico gli aveva prestato un piccolo appartamento vicino al Centro e mio figlio e mia moglie lo accompagnavano avanti e indietro e anche a fare la spesa. E’ un peccato non essere riusciti a finire il lavoro perché a un certo punto è dovuto andare a casa, ma credo che averlo preso prima che quegli adattamenti si verificassero ha permesso di abbreviare la sua ripresa. Quello che gli è mancato è stato semmai un problema di preparazione, ma l’attenzione al fatto che restasse simmetrico gli ha permesso di rientrare. Ormai rispetto a tante tematiche siamo super avanti. Il lavoro con Marco, la stessa attenzione a evitare posture scorrette, il lavoro in acqua… mi rendo conto che eravamo davvero dei pionieri. Oggi quello che una volta si faceva in modo quasi empirico è molto più schematizzabile. Per questo ho parlato di un infortunio serio ma non impossibile da gestire.

Dopo l’ultimo controllo di una decina di giorni fa, ci ha scritto Moschetti: Borra gli ha detto che è dritto e pronto a iniziare il lavoro invernale. E allora che l’inverno abbia inizio…