FORLI’ – «Se fosse arrivato secondo – dice Maggioni – Fabio non avrebbe alzato le mani. Era un grande corridore, lui voleva vincere, era un campione. Ne ho visti pochi in corsa avere la sua lucidità e puntare dritto all’obiettivo. Lui voleva vincere e questo secondo me fa la differenza tra chi partecipa e chi punta al massimo risultato possibile. Fabio avrebbe fatto una carriera da campione, l’ho sempre detto. Era un atleta di classe, aveva questo spunto e aveva soprattutto la caparbietà nel voler arrivare all’obiettivo. E poi sarebbe stato un buon padre e un buon marito. E noi continuiamo a ricordarlo, divertendoci e provando a far divertire anche gli altri, con lo spirito che lui ci ha lasciato».
Il tempo non guarisce
Forlì, sera d’estate al Grand Hotel. Annalisa Rosetti, moglie di Fabio Casartelli, ha radunato gli amici di un tempo alla vigilia della gran fondo che porta il suo nome: La Casartelli. Suona strano raccontare questa storia all’indomani della morte di André Drege al Tour of Austria, con quel senso di quasi colpa perché il tempo ha sanato queste ferite. In realtà il tempo non ha sanato un bel niente, ci ha costretto semmai alla rassegnazione.
A 29 anni di distanza il dolore resta e per questo Annalisa ha chiesto che la serata serva soprattutto a ricordare il campione olimpico di Barcellona 92 e non le immagini del Tour 1995. Invito raccolto, a costo di lasciare il Tour de France per qualche giorno. E quando in testa alla sala si ritrovano i compagni di una volta, sembra di tornare indietro nel tempo. Storie di dilettanti, di uomini che sognavano di diventare grandi, senza tutta la scienza che oggi a 18 anni li trasforma in macchine da guerra.
Bulli e gentiluomini
«Non si può raccontare tutto», scherza Roberto Maggioni, campione del mondo della cronosquadre juniores nel 1986 e atleta olimpico a Seoul 1988. Ha corso con Casartelli alla Domus 87, la squadra di quel Locatelli cui a un certo punto voltò le spalle, non riconoscendosi nel suo ciclismo. Maggioni aveva circa due anni più di Casartelli.
«Se Fabio fosse stato qua questa sera – prosegue – avrebbe fatto casino come sempre, perché in vita sua ha sempre fatto casino. Ci siamo divertiti tanto, abbiamo riso tanto, abbiamo fatto un po’ di stupidate. Eravamo bulli – dice gonfiando il petto – era bello, avevamo vent’anni ed eravamo bulli e ci comportavamo da bulli. Lui è stato quello che mi ha iniziato al rito del festino al Ventolosa…».
I festini del Ventolosa
Il Ventolosa era un vecchio albergo, sede del ritiro della squadra bergamasca. Locatelli lo gestiva come fosse un monastero o una casa delle penitenze, con il vecchio Jair che doveva fare la spia, ma spesso era dalla parte dei corridori o fingeva di non vedere.
«Io ero appena arrivato – prosegue Maggioni – e lì non si mangiava, avevo fame. Avevamo tutti fame, quindi quando ci trovavamo facevamo dei festini segreti in cui prendevamo dolci e quant’altro e ce li mangiavamo. Avevamo fame, quindi la prima sera che io ero in ritiro, vado nella camera che Fabio divideva con Fagnini. Erano una coppia indissolubile e gli chiedo quando si sarebbe fatto il festino. E lui mi risponde: “Stai calmo Maggio, stai calmo. Siediti lì. Ogni cosa ha il suo tempo”.
«Mi siedo, lui chiama gli altri e lo vedo prendere il cacciavite e una sedia. Si avvicina alla finestra, sale sulla sedia. Io non capisco: cosa sta facendo? E lo vedo che smonta il cassone della tapparella, lo apre e dentro è pieno di roba da mangiare. Il tempo che arrivassero tutti e finalmente ho capito cosa fosse il festino».
Trenta paste per la vittoria
La magrezza a tutti i costi, che negli anni successivi produsse persino qualche caso di anoressia, ma che fra quei ragazzi del 68-70 si combatteva con la sfrontatezza della trasgressione.
«Quell’anno – prosegue Maggioni – Fabio vince la corsa di Diano Marina. Io attacco, ma mi prendono all’ultimo chilometro. Lancio una volata lunghissima, parte lui, imperiale, e vince. Si va al bar di nascosto, per festeggiare. Sopra al bancone c’era un vassoio con delle mattonelle così, che se ne mangio una adesso, ci vogliono 4 giorni per digerirla. Chiede al barista di darcele tutte e 30. “No no – dice il tipo del bar – quelle sono pesanti per voi che siete atleti”.
«Lo stesso ci dà questo vassoio, noi eravamo in 7-8 e le abbiamo spianate in due secondi. Il tipo ci guardava allibito, ma noi eravamo bulli (ride, ndr) e allora per esagerare, Fabio chiese altre quattro brioche. Erano le nostre scorribande quando eravamo insieme. Questa serata ricorda molto la bellezza di Fabio e il suo stile».
Arrivo alla Motorola
I racconti si susseguono. Ci sono Mauro Consonni, campione del mondo. C’è Andrea Peron, campione del mondo e argento olimpico. C’è Mirko Gualdi, campione del mondo e azzurro alle Olimpiadi di Barcellona, mentre Casartelli e Rebellin non ci sono più.
«A parte Fondriest che era andato per primo alla Panasonic nel 1988 – racconta Peron – con Fabio fummo i primi ad andare alla Motorola, una squadra americana. Io a differenza sua parlavo un po’ di inglese, lui prometteva che avrebbe studiato, ma intanto non cominciava mai. Jim Ochowitz, il manager, faceva leva su di me perché lo spingessi. Al primo ritiro gli parlava chiedendogli delle cose e Fabio non andava oltre rispondergli sì o no, qualunque fosse la domanda. Poi qualcosa imparò, ma ricordo che se in squadra volevamo sapere qualcosa sugli avversari e sulla corsa, dovevamo parlare con lui. Dopo pochi chilometri di gara, sapeva tutto di tutte le squadre». Si faceva capire in inglese, francese, spagnolo e sospetto anche in tedesco…».
La dieta dissociata
«Eravamo insieme per un mese prima delle Olimpiadi – racconta Gualdi – c’era Fabio e c’era Rebellin. Loro due erano in una doppia e io ero da solo. Al pomeriggio andavo in camera loro e stavo lì. Davide era sempre in palestra, faceva gli addominali e lo stretching. Io mai e Fabio nemmeno. Così facevamo scherzi. Un giorno il massaggiatore viene tutto preoccupato che sua figlia va per la prima volta in vacanza col moroso. E noi per prenderlo in giro iniziamo a dirgli che diventerà nonno. Finisce lì, con lui che fa gli scongiuri. Facciamo le Olimpiadi, Fabio le vince e a settembre ci ritroviamo con quel massaggiatore. Che ci punta il dito e dice che siamo due poco di buono. E quando gli chiediamo perché, risponde che presto diventerà nonno. Noi scherzavamo, era quello lo spirito che c’era.
«Come ricordo che a quel tempo si faceva la dieta dissociata. E quando tre giorni prima della gara completavi lo svuotamento dei carboidrati, non andavi avanti. Ricordo che tre giorni prima di vincere i mondiali in Giappone nel 1990, il mercoledì non riuscivo a tornare in hotel, anche se mancavano solo tre chilometri. E Fabio, che non l’aveva mai fatta, tre giorni prima delle Olimpiadi era in crisi nera. Non aveva forze e passai delle ore a rassicurarlo, dicendo che avrebbe funzionato. E alla fine andò bene…».
La medaglia d’oro
I momenti si succedono. Mauro Consonni racconta di quando in inverno andavano insieme in baita per mangiare… sano. Ci sono il racconto di Marcello Siboni e poi quello di Roberto Conti, che accolse Casartelli neoprofessionista all’Ariostea, apprezzandone l’umiltà. Le parole di Fabiano Fontanelli e Davide Perona, che corsero con lui alla ZG Mobili.
Le immagini della vittoria di Barcellona toccano dentro, con Fabio, Dekker e Ozols che alzano le braccia all’unisono. Quelle condivise da Marco Casartelli in cui suo papà lo tiene in braccio – 3 mesi lui, 25 anni Fabio – fanno male per quanto sono dolci. Si potrebbe andare avanti per ore, con quel senso di amarcord cui Fabio non si sarebbe sottratto. Nella hall dell’hotel ci sono i cimeli delle Olimpiadi. La Colnago rossa, con quei pignoncini dietro da chiedersi come facessero. La medaglia d’oro. La maglia celeste, in quella prima variazione rispetto al solito azzurro, per il grande caldo. Ci sono le foto giù dalla bici. C’è quello che Annalisa ha avuto il coraggio di cercare dentro cassetti che non apriva da anni e che là dentro non dovranno tornare mai più. Forse serviva questo choc per ripartire, con il senso di colpa di essere fortunati che tanto tempo sia passato e Marco ricordi il suo babbo come una goccia d’acqua. Fabio in qualche modo sarà con noi per sempre. In altre case, in questo momento, tanta leggerezza non è possibile. Questa serata, a pensarci bene, è anche per loro.