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Memorial Pantani: un annullamento esemplare. Amici spiega…

23.09.2022
6 min
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La sicurezza prima di tutto. Una frase che riecheggia spesso quando ci sono situazioni di difficile interpretazione. Momenti in cui l’esperienza che sia di un direttore di corsa, di un organizzatore o della figura insignita può segnare le sorti degli atleti pronti a fare ciò per cui si sono allenati. Questo capita in tutti gli sport e la lista di sventure e di eventi che si sarebbero potuti evitare è purtroppo lunga. Al Memorial Pantani che si sarebbe dovuto correre il 17 settembre, la macchina organizzativa coordinata da Adriano Amici ha funzionato perfettamente

Proprio così, perché seppur sia stata annullata una corsa così cara agli appassionati, l’organizzazione ha saputo dire no e lo ha fatto creando un precedente di collaborazione collettiva. Si sarebbe dovuto partire da Forlì e arrivare sul tradizionale lungomare di Cesenatico in memoria del Pirata. Ciò non è avvenuto e squadre, diesse, autorità, giornalisti e addetti ai lavori anziché alzare polemiche, hanno fatto trasparire messaggi di stima e di condivisione riguardo alla decisione. Il GS Emilia, ha dimostrato di sapere come gestire e soprattutto come comunicare in momenti così delicati. Adriano Amici ci aiuta a ricostruire quelle ore tra bollettini, decisioni e cinquant’anni d’esperienza. 

Qui Adriano Amici con Tonina nell’edizione 2021 del Memorial Pantani
Qui Adriano Amici con Tonina nell’edizione 2021 del Memorial Pantani
Cosa vuol dire organizzare una corsa come il Memorial Pantani?

Una corsa come il Pantani, che sfortunatamente si fa perché non c’è più Marco, non si organizza in una settimana.  Si comincia a preparare con le squadre gettando le basi per un programma annuale, edizione dopo edizione. Si comincia già da dicembre a stilare il calendario delle manifestazioni del GS Emilia, poi si comincia a diramare l’invito a tutte le squadre. Il Memorial Pantani quest’anno aveva dieci WorldTour presenti, vien da sé che la preparazione parte da lontano. Quando invece si avvicinano aprile e maggio si tirano le file per sponsor, percorsi e per le autorizzazioni. 

Era in programma un’altra bella edizione…

L’albo d’oro è la dimostrazione di come sia sempre stato prestigioso da quando è nato. All’inizio il nome di Marco è stato sicuramente trainante, dopo via via la qualità si è sempre mantenuta alta. Colbrelli con la maglia di campione europeo ne è l’esempio più recente. Il Memorial ha un albo d’oro prestigioso considerata l’età della manifestazione. 

Sonny Colbrelli ha vinto l’edizione 2021 con indosso la maglia di campione europeo
Sonny Colbrelli ha vinto l’edizione 2021 con indosso la maglia di campione europeo
Veniamo alla mattina della corsa, cosa è successo?

C’era grande entusiasmo ed euforia nel vedere il foglio dei partenti. Una soddisfazione immensa alla verifica licenze vedendo i nomi e la risposta positiva degli atleti e dei team. Il tutto coadiuvato dal meteo che sembrava essere favorevole. Nonostante quello che era appena successo nelle Marche poche ore prima. Tant’è vero che abbiamo fatto anche un punto di riflessione su quello che è successo, decidendo comunque di proseguire.

Dalle previsioni meteo avevate previsto qualcosa?

Le previsioni dicevano che non era bellissimo però nulla a che vedere con quello che sarebbe arrivato. Alla riunione con la Prefettura, c’è stata la segnalazione per un’allerta gialla in un orario totalmente differente, che non ci toccava. La mattina sono partito da Bologna con un cielo sereno splendido, che nel corso dei 60 chilometri fino ad arrivare alla partenza di Forlì si è poi incupito. Da lì in poi, la nostra attenzione si è rivolta a guardare il cielo e cosa sarebbe avvenuto di lì a poco. 

Una bomba d’acqua?

Non è stata una bomba d’acqua, bensì un temporale molto intenso con venti a 130 km/h. Tant’è che il mare si è preso metri su tutto il litorale. 

Qui la piazza di Forlì investita dal violento temporale
Qui la piazza di Forlì investita dal violento temporale
Da Forlì come si è evoluta la situazione?

Alla partenza erano tutti presenti e le ammiraglie stavano iniziando ad arrivare, in quel momento abbiamo iniziato a prendere le prime decisioni. A differenza di altri momenti che quando arrivavano due gocce d’acqua iniziava il valzer delle richieste da parte di tutti: “Cosa facciamo?”, “Si parte oggi, oppure no?”, “Io aspetterei”. In questo caso invece abbiamo trovato subito un’unione di intenti e una collaborazione esemplare da parte di tutti gli addetti ai lavori, dai diesse alle autorità, giuria e organizzatori. Questo mi ha fatto molto piacere. Nessuno ha azzardato di dire: «No oggi non si può correre» prima del dovuto. Si è iniziato a verificare cosa si poteva fare, remando tutti nella stessa direzione. 

La prima decisione è stata quella di spostare la partenza…

Abbiamo cercato una zona distante dalla perturbazione, più vicina all’arrivo dove ci potesse essere un parcheggio in grado di ospitare tutte le squadre e quindi partire. E io ringrazio veramente tutti i componenti dei gruppi sportivi che hanno appoggiato la soluzione. Il nostro coordinatore ha individuato il posto a 52 chilometri dalla partenza, a Borello, con i presupposti che per l’una e mezza il tempo avrebbe dovuto calmarsi. La Polizia è stata esemplare, ci ha accompagnato e scortato fino a lì e qui devo ringraziare il Vice Questore che è stato encomiabile. 

La decisione è arrivata con un lavoro corale tra tutti gli addetti ai lavori
La decisione è arrivata con un lavoro corale tra tutti gli addetti ai lavori
E poi?

A un certo punto ci è arrivata la fotografia della salita di Montevecchio con gli alberi caduti sulla strada, tra salita e discesa la strada era diventata inagibile. Dopo poco sono arrivati video e foto del lungomare di Cesenatico con il mare Adriatico che aveva inondato tutta la zona d’arrivo con trenta centimetri d’acqua. 

Da lì la decisione di annullare la corsa?

E’ stata una cosa che mi ha colpito molto. Nella mia vita ciclistica, da quando ho 15 anni ho incominciato a correre, passando per tutta una vita da organizzatore di corse e non ho mai sofferto come quel giorno lì e mai ho avuto un’esperienza di questo genere. Pioggia sì, freddo sì perché alla Coppi e Bartali ci è capitato spesso, ma questa è stata una cosa incredibile.

La decisione è stata condivisa da tutti, Roberto Damiani lo ha sottolineato con un post su Facebook..

E’ stata una soddisfazione leggere commenti di questo tipo. Dagli appassionati, agli addetti ai lavori, ai giornalisti abbiamo ricevuto i complimenti per come è stata gestita la situazione. Mi ha inorgoglito e fatto molto piacere.

Capita spesso che arrivino queste “richieste”?

Sì, un esempio è stata un’edizione recente con un corridore, di cui non voglio fare il nome, che ha fatto da portavoce per alcuni dirigenti che non volevano che si partisse. Invece si partì regolarmente e dopo dieci chilometri c’era il sole e la corsa si è svolta in sicurezza senza problemi. Per me i corridori sono come figlioli,c’è una confidenza che si porta avanti da tanto tempo, mai li metterei in rischio, se c’è da mettere le cose in chiaro lo faccio direttamente e loro capiscono.

Si è parlato di “protocollo meteo UCI”, in cosa consiste?

Ci sono i responsabili dell’UCI che unitamente a quelli italiani valutano se la decisione del direttore di organizzazione, in questo caso io, decide correttamente e nel caso ci si confronta. Qui non ce n’è stato bisogno perché la situazione era chiara e delineata. 

Come mai non è stata rimandata?

Una corsa di quel genere richiede uno sforzo economico intorno ai 150 mila euro, senza dare gratificazione al personale di lavoro cioè noi. Se si rimanda gli alberghi sono nuovamente da pagare… La tassa tecnica chi la paga? E poi c’è l’aspetto logistico, gli alberghi sarebbero tutti da riprenotare, così come le autorizzazioni per la viabilità da richiedere nuovamente ai Comuni. In più le squadre hanno calendari internazionali decisi da mesi che non possono modificare. Sarebbe totalmente una corsa ex novo.

Il lettino di Moro, massaggi, ricordi, campioni e nostalgia

26.01.2022
7 min
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E’ stato Cassani a riportarlo in nazionale, in quello staff trasversale che segue gli azzurri in ogni angolo del mondo. Prima Luigino Moro, nella vita precedente iniziata dieci anni dopo aver smesso di correre e fino alla chiusura della Liquigas, è stato uno dei massaggiatori di riferimento del gruppo. E’ passato attraverso anni particolari del ciclismo. E’ stato uomo di fiducia di alcuni fra i più grandi italiani degli ultimi 30 anni. Da Bartoli al Pantani del 1998, per capirci, avendo cominciato con l’Italbonifica, poi la Carrera, la Mg Technogym, la Mercatone Uno, la Mapei, la Fassa Bortolo e appunto la Liquigas. Sorridendo ammette che lentamente sta tirando i remi in barca: è del 1956, è nato in Veneto ma vive a Forlì, è sposato con Silvia dal 1982, fra un paio d’anni potrebbe andare in pensione.

«Sono stato professionista con la Inoxpran dal 1979 al 1982 – racconta – poi ho iniziato la scuola di massofisioterapista e insieme per un po’ ho fatto il gruista del soccorso stradale, così ho preso tutte le patenti che mi sono tornate poi utili nelle varie squadre. Ho sempre avuto la passione per la fisioterapia, ma l’idea iniziale era di lavorare in ospedale. Solo che in quel periodo prendevano solo terapisti della riabilitazione e così mi sono rivolto nuovamente al ciclismo».

Luigino Moro è bellunese, ma vive a Forlì. Classe 1956, è stato professionista dal 1979 al 1982
Luigino Moro è bellunese, ma vive a Forlì. Classe 1956, è stato professionista dal 1979 al 1982
Si diceva e a volte si prova a ripetere che il massaggiatore sia il confessore del corridore…

Si diceva, all’inizio era così. Ultimamente sempre meno, ora il corridore che arriva sul lettino è sempre molto distratto dal cellulare. E’ raro che lo spenga, per cui il contatto personale si riduce. Bisogna adeguarsi ai tempi. In proporzione, ho lavorato meglio con le ragazze in ritiro…

Cioè?

Sono stato a Calpe al ritiro con la nazionale femminile per sostituire il loro massaggiatore fisso. E’ stata una bella esperienza, mi sono trovato benissimo. Anche loro venivano col cellulare, però nessuna lo ha mai usato. Mi hanno dato l’impressione di essere attente e partecipi al lavoro e in questo modo anche il massaggio è più efficace.

Bisogna adeguarsi ai tempi?

Il modo di comunicare è cambiato. I direttori sportivi mandano mail e whatsapp, si parla sempre meno. Per questo ho avuto i rapporti migliori con i vecchi corridori. Ancora adesso con Bartoli ci sentiamo spesso, ma forse i corridori giovani hanno un miglior rapporto con i massaggiatori della loro età. Io per alcuni di loro potrei essere tranquillamente il padre (ride, ndr).

Nel 1998, Luigino Moro è stato il massaggiatore di Pantani, vivendo con lui i mesi più belli
Nel 1998, Luigino Moro è stato il massaggiatore di Pantani, vivendo con lui i mesi più belli
Come mai Bartoli?

Siamo molto amici, anche con la famiglia, con mia moglie siamo stati padrini al battesimo di suo figlio Gianni. Per lavoro ci siamo incrociati spesso. Alla Mg Technogym, poi alla Fassa Bortolo e alla Mapei sino alla fine della sua carriera.

E poi Pantani…

Già quando nel 1991 correva alla Giacobazzi, a volte d’inverno veniva a casa mia per fare i massaggi. Poi lo trovai alla Carrera. Infine arrivai alla Mercatone Uno quando fu rifondata nel 1997, però Marco era con Pregnolato. Quando nel 1998 ci fu un assestamento e Roberto andò via, iniziai a seguirlo io. L’ho massaggiato per tutto il 1998, quando vinse Giro e Tour e fu un’esperienza incredibile, molto bella. Ho vissuto i momenti migliori di Marco, mi ritengo fortunato.

Com’era Marco ai massaggi?

Lui entrava e ascoltava il massaggio, come Bartoli. Corridori così sensibili ce ne sono stati pochi, mi viene in mente Rolf Sorensen con cui ho fatto tre mondiali. In quel periodo i cellulari stavano arrivando e comunque servivano solo per telefonare. I momenti che ho vissuto con Marco non saprei come definirli. C’era gioia e insieme l’emozione, sapendo tutto quello che aveva fatto per tornare grande. Si era fra il pianto e la gioia. In quel periodo Pantani parlava il giusto, per avere conferme alle sue sensazioni (in apertura, il massaggio di fine Tour 1998, ndr). Aveva attimi scanzonati, ma quell’anno era sempre molto concentrato. Poi tornò Pregnolato e io non ho più lavorato con lui.

Bartoli era più estroverso, a volte bisognava spegnere i microfoni…

Michele esternava tutto quello che gli passava per la testa. Si creò un bel rapporto perché ti coinvolgeva nelle sue preoccupazioni e nei ragionamenti. La visione di corsa con lui era molto più intensa, ti faceva entrare nella sua rabbia. Ricordo Plouay…

Si sentì tradito dalla Mapei, scagliò la bici nel box dopo l’arrivo, era nero…

Prima di quel mondiale, massaggiavo sia lui sia Bettini. Michele quel giorno era furibondo, si sentì tradito, ma solo loro due sanno come sia andata. Forse Paolo pensava di partire più avanti per tirargli la volata, difficile giudicare da fuori.

Il fatto di aver corso ti ha aiutato nel tuo lavoro?

Credo che quegli anni in bici siano serviti per dare agli atleti quello che era mancato a me quando correvo. Il massaggio era di 20 minuti quando andava bene, solo ai capitani andava meglio. Una volta si lavorava solo con le mani, senza tanti apparecchi. Giusto qualcuno usava delle lampade a infrarosso, ma il solo risultato era di riscaldare il muscolo.

Moro ha lavorato a lungo con Ferretti, qui nel 2003 con Petacchi: per lui ha grande stima
Moro ha lavorato a lungo con Ferretti, qui nel 2003 con Petacchi: per lui ha grande stima
Hai lavorato con grandi direttori sportivi…

Per Ferretti ho grande stima, lo ritengo uno dei migliori. Riis è stato un grande innovatore per la comunicazione e ha cambiato il modo di pensare del tecnico. Parsani aveva un bel rapporto con gli atleti e avendo corso insieme, ci intendevamo bene. Zanatta e Chiesa li ho sempre visti come due bravi ragazzi capaci di parlare con i corridori. Giannelli è stato il migliore sul piano della logistica.

In Belgio si parla ancora della tua pizza…

Quando andavamo nell’hotel di Piva (ride, ndr), visto che da ragazzino avevo lavorato come panettiere, capitava che mi chiedessero di fare la pizza. Poi con la venuta dei cuochi, hanno iniziato a mangiarne di migliori.

C’è stato anche un periodo in cui i massaggiatori venivano visti come i… pasticcioni del doping.

Purtroppo (dice dopo una piccola pausa, ndr) abbiamo avuto dei momenti non belli. Ma una volta stabilite le regole, si riusciva a restare anche tranquillo. Alcuni però non si sono attenuti e hanno combinato qualche pasticcio. Qualche bandito c’è stato, io per fortuna ho lavorato in squadre in cui i medici facevano bene il loro lavoro e noi ci siamo tolti un bel peso. In altre squadre invece tutto è continuato come prima. Io ho sempre ritenuto importante che ognuno rimanga nel proprio lavoro.

Ecco Moro, a destra, alla festa del 10 anni del mondiale di Cipollini
Ecco Moro, a destra, alla festa del 10 anni del mondiale di Cipollini
Luigino e la nazionale?

Non ho mai avuto il piacere di lavorare con Alfredo Martini, ma anche quando veniva alle corse sentivi la sua presenza. Su di lui hanno detto di tutto, ma è ancora poco per il carisma che aveva. Ballerini ascoltava tutti quanti, poi prendeva le sue decisioni. Con Bettini sono andato una sola volta in Australia, ma il bel rapporto che c’era da corridore è rimasto. Con Cassani, cosa dire? Ci allenavamo insieme. Io smettevo e lui cominciava. Vedremo con Bennati, che ho massaggiato alla Liquigas.

Pensi davvero alla pensione?

Per venire alle corse bisogna avere grande passione e io ce l’ho, anche perché lavorando a casa si guadagnerebbe certamente di più. Mi piace ancora essere in giro e con la nazionale faccio un numero di giornate giusto, un bel compromesso rispetto alle lunghe assenze dei team. Però mi sto facendo la bici nuova per riprendere quando avrò più tempo. Ho 65 anni, potrei andarci a 67,5. Si vede ormai l’arrivo, ma ci penseremo al tempo giusto.

Gilbert, Evenepoel e Froome: qualcosa su cui riflettere

01.04.2021
5 min
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In una lunga dichiarazione piena di tristezza dopo il ritiro dalla Gand-Wevelgem, Philippe Gilbert ha annunciato che si sarebbe preso un periodo di stacco per analizzare la situazione e capire per quale motivo fosse già sfinito e la sua condizione non crescesse.

«Penso che il recupero dall’infortunio al ginocchio – ha detto – mi abbia tolto un’enorme quantità di energia. Il fatto che il corpo dovesse guarire da solo ha richiesto molta più energia di quanto avremmo potuto immaginare. Ho lavorato duramente per provare a tornare e ho fatto grandi progressi dopo il ritiro di gennaio, ma forse è stato un po’ troppo veloce. Ora sto pagando per questo».

Philippe si era fratturato la rotula al Tour del 2018, volando giù da una curva nella discesa del Portet d’Aspet. Lo scorso anno, ugualmente in Francia, si è rotto lo stesso ginocchio nella maxi caduta del primo giorno a Nizza. Era il 30 agosto.

Borra ha seguito anche una bella fetta della carriera di Fernando Alonso in Formula Uno
Borra ha seguito anche una bella fetta della carriera di Alonso

Come Remco

Lo stop di Gilbert ci ha fatto pensare a quello di Remco Evenepoel. Ricordate quanta voglia di rientrare dopo la frattura del bacino? I tempi bruciati. Il ritiro di dicembre in Spagna tirato come per correre. Poi invece un altro stop, così lungo da fargli saltare l’intera primavera. E così ci siamo chiesti se sia possibile che a certi livelli non si riescano a gestire l’infortunio e la rieducazione con tempi certi. Lungi da noi prendere a esempio il mondo del calcio, ma certi campioni sono seguiti come meritano?

Per chiarirci le idee ci siamo rivolti a Fabrizio Borra: un vecchio amico e soprattutto un grande rieducatore di scuola americana, al cui fianco seguimmo passo dopo passo la rieducazione e la ripresa di Marco Pantani. Dato che il romagnolo lavora anche nel basket, nella Formula Uno e in parecchi altri sport, avremo l’occasione di valutare alcune abitudini del ciclismo.

La prima frattura della rotula Gilbert la subì al Tour del 2018
La prima frattura della rotula Gilbert la subì al Tour del 2018
Come si gestiscono la convalescenza e il recupero di un atleta infortunato come Gilbert?

Si fa fatica ovviamente a trovare delle regole generali. Ci sono tre punti. Il primo è stabilire cosa si possa fare durante la rieducazione. Quindi valutare la fase di riatletizzazione, cioè il passaggio dalla riabilitazione allo sport. Infine la ripresa della preparazione. Sono fasi di cui nel ciclismo si tiene poco conto. Mentre ad esempio nel calcio, sono codificate perché oltre alla capacità di correre, ad esempio, c’è da curare la rieducazione al gesto tecnico. Chi rieduca nel ciclismo dà per scontato che da un certo punto in poi sia sufficiente risalire in bicicletta. Come è successo probabilmente con Evenepoel.

Che cosa si dovrebbe fare invece?

Bisogna capire le caratteristiche specifiche dell’atleta e dello sport. Durante la rieducazione va preparata la base perché si possa tornare al gesto motorio corretto, affinché quando un giorno l’atleta tornerà in bici, possa pedalare correttamente. Ma se lo rimetto in sella e per vari motivi usa una gamba più dell’altra, si creano dei compensi che non ti puoi permettere.

Approfondiamo il gesto motorio corretto?

Il corpo ha memoria del trauma e magari anche dopo la rieducazione, qualche muscolo continua a lavorare in modo improprio. Per ricreare lo schema motorio corretto si comincia dalla rieducazione, poi c’è la delicata fase della riatletizzazione, che deve essere graduale. E nel frattempo cerco di capire dai numeri se il corpo mi sta seguendo nel percorso che ho disegnato per lui.

Nella caduta al Lombardia, Evenepoel ha riportato la frattura del bacino
Nella caduta al Lombardia, Evenepoel ha riportato la frattura del bacino
Quali numeri?

Si fanno valutazioni giù dalla bici, valutando la qualità del reclutamento neuro-muscolare e se ci sono inibizioni neuro-muscolari. Partendo da questa base, la ripresa del lavoro atletico deve essere bilanciata ed efficiente. E’ la fase in cui il rieducatore parla con il preparatore. Rialzarsi e montare in bici è nella natura del ciclista, ma c’è una finestra temporale, che nel ciclismo è il mondo di nessuno, in cui si deve fare il raccordo fra rieducazione e preparazione. Anche in bici ci sarebbe da curare il gesto tecnico, invece si fanno bastare i dati del potenziometro per valutare la spinta delle gambe e ad esempio smettono di osservare la risposta della parte superiore del corpo.

Per questo con Pantani si ricominciò a pedalare in acqua?

Esattamente ed è quello che nel nostro centro si fa ancora. Ti metto in acqua, elimino la forza di gravità e impedisco che ci creino dei compensi. Se invece riparti senza essere a posto e magari vai anche a correre, perdi ogni equilibrio. I compensi vengono portati all’estremo e anche se l’ortopedico ha fatto il miglior lavoro possibile, rischi che non sia servito a niente. Con Marco non fu possibile tornare alla perfezione solo perché la gamba era rimasta più corta di un centimetro e dovemmo studiare soluzioni alla luce di questo.

Quindi lo sfinimento di Gilbert?

Potrebbe essere dovuto al fatto che a un certo punto sia tornato in bici senza essere del tutto a posto. Il suo corpo ha attivato compensi che lo hanno portato a spendere troppo. Si è trasformato in una macchina che lavorava con troppi attriti. Mentre la vera cosa da fare era resettare completamente il corpo.

In California, presso il centro high-Performance di Reb Bull, Froome ha resettato il suo corpo
Per Froome in California un supplemento di rieducazione
E come si fa?

L’atleta va valutato giù dalla bici per capire se ci siano situazioni migliorabili e poi si passa a determinare la posizione più efficiente in bici. Se invece riparti, poi sposti le tacchette, aggiungi il plantare, alzi il manubrio e sposti la sella, stai sicuro che entri in un incubo. Sapete quanti corridori mi sono arrivati al termine di questo calvario?

Perché succede?

La mia percezione è che quella finestra di passaggio di cui abbiamo parlato venga sottovalutata. Gli schemi motori sono dei file preorganizzati e quando ho un infortunio, gli equilibri cambiano. Se monto in bici, sapendo che la bici ha 5 punti fissi (la sella, i 2 pedali, le due mani), costringo il corpo a raggiungerli. Ma se si lavora con un rieducatore che conosce il ciclismo, si evita di creare le memorie che provocano conseguenze difficili da superare.

In parte è successo anche a Froome, che è rimontato subito in bici, invece in California durante l’inverno alla Red Bull lo hanno resettato…

Era la cosa da fare subito. L’atleta giovane risponde più in fretta di quello meno giovane, ma il risultato si raggiunge lo stesso. E pensate che adesso la ricerca lavora sulla plasticità cerebrale proprio per valutare anche i tempi di risposta.

Vingegaard re, danese, della Coppi e Bartali

28.03.2021
4 min
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Probabilmente non se lo aspettava neanche lui di vincere due tappe e la classifica generale. Invece Jonas Vingegaard ci è riuscito ed anche bene. E forte di quei due successi e di una condotta di gara sempre di testa si è portato a casa la Settimana Internazionale Coppi e Bartali. 

Jonas Vingegaard è alto 1,75 metri per 60 chili: scalatore puro, ma anche veloce
Jonas Vingegaard è alto 1,75 metri per 60 chili: scalatore puro, ma anche veloce

Gara d’attacco

Nell’arco della settimana, il portacolori della Jumbo Visma è stato davvero il più forte. E’ uscito dai primi sei solo negli arrivi in volata, nei quali comunque è sfilato nelle prime venti posizioni, per dire quanto fosse “sul pezzo”. In più, anche se non era la corazzata che siamo abituati a vedere, la sua squadra è sempre stata compatta intorno a lui. 

Occhio però a darlo per “sconosciuto”. Jonas aveva già alzato le braccia al cielo nel WorldTour, era successo al Giro di Polonia di due anni fa ed era successo soprattutto quest’anno all’UAE Tour, quando aveva battuto nientemeno che Tadej Pogacar nel secondo arrivo in salita. Non c’è da stupirsi quindi se alla Coppi e Bartali si è portato a casa due frazioni, quella di Sogliano al Rubicone e quella di San Marino. Ricordiamo che anche se ha doti di scalatore è anche molto veloce.

Vingegaard (24 anni) in maglia di leader, tra i suoi compagni della Jumbo Visma
Vingegaard (24 anni) in maglia di leader, tra i suoi compagni della Jumbo Visma.

Mai nel panico

Magari Jonas è partito sapendo che poteva fare bene, ma forse non di vincere. La mattina del via da Riccione però, la sua bici era pronta sui rulli. Voleva scaldarsi e quindi nulla era lasciato al caso.

Poi dalla penultima frazione le cose sono cambiate del tutto per lui. Verso San Marino non ha corso solo per la tappa, anzi… Come lui stesso ha ammesso teneva sott’occhio l’inglesino della Ineos Grenadiers, Hayter, per il discorso degli abbuoni, e il neozelandese Schultz, della BikeExchange.

«Ho fatto uno sprint lunghissimo – aveva detto Vingegaard, dopo la frazione sanmarinese – Ad un tratto ho quasi chiuso gli occhi perché la linea d’arrivo non arrivava mai. Ma una volta presi quei secondi di abbuono sapevo che potevo stare più tranquillo in vista dell’ultima tappa (cioè quella di ieri, ndr). A quel punto avrei fatto di tutto per vincere la corsa».

Una delle qualità di Vingegaard, dice il suo direttore sportivo, Sierk Jan de Haan, è che Jonas non va mai nel panico. Durante questa Coppie e Bartali un paio di volte è stato attaccato e non subito è riuscito a stare davanti. Lui però si è guardato intorno, ha visto quali altri uomini di classifica potevano avere il suo stesso interesse e ha chiuso con loro o sfruttando il loro lavoro.

A Forlì festeggia Honorè ma dietro esulta anche Vingegaard: la generale è sua!
A Forlì festeggia Honorè ma dietro esulta anche Vingegaard: la generale è sua!

Tappa a te, classifica a me

E forse la tappa più bella è stata proprio l’ultima, quella in cui si è sentito un vero grande. Insieme al connazionale Mikkel Frolich Honoré sono fuggiti a dieci chilometri dal traguardo. Magari si sono dati anche un’occhiata d’intesa e come succede nella più classica tradizione ciclistica, sull’arrivo di Forlì Jonas ha lasciato la tappa al connazionale della Deceuninck-Quick Step. Come davvero usano fare i grandi e come magari gli è stato suggerito dall’ammiraglia per non… scivolare come Roglic alla Parigi-Nizza. Ma crediamo poco a questa seconda ipotesi, in quanto la gara finiva sul quel traguardo.

«No, nessun accordo  – ha lasciato intendere Honorè dopo l’arrivo. Anzi, siamo partiti cercando di vincere la corsa». La Deceuninck infatti ha cercato di fare gioco di squadra, isolando Vingegaard. I suoi compagni infatti erano davvero molto giovani. Pensate che il più vecchio della Jumbo presente nelle corsa romagnola era proprio il danese, con i suoi 24 anni, gli altri avevano dai 19 ai 21 anni.

Forte di questa condizione la Jumbo porterà Vingegaard prima ai Paesi Baschi e poi nelle Ardenne, gare in cui sarà al fianco di Roglic. Poi si vedrà se sarà della partita anche al Giro d’Italia, quasi sicuramente sarà alla Vuelta. Ma da qui a fine estate ce ne passa… Intanto Jonas si gode la sua bottiglia di spumante.

Fabrizio Borra, Fernando Alonso 2012 (foto Motori Online)

Borra, l’angelo custode di Moschetti

28.11.2020
4 min
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Fabrizio Borra saltò fuori nel mondo del ciclismo tra il 1995 e il 1996. Caschetto nero, slang mezzo americano sull’accento romagnolo, raffiche di mille parole al secondo. Ma soprattutto mise le mani su quello che un tempo era insieme un amico ferito e il messia del ciclismo italiano: Marco Pantani nei mesi successivi all’incidente di Torino. I pomeriggi con loro nel vecchio centro di Forlì a fare rieducazione in acqua riempivano gli occhi. E anche se quelle immagini sono rimaste negli archivi di un tempo, nulla potrà portarsi via il ricordo e il rapporto costruito negli anni.

L’uomo delle stelle

Da allora Borra è diventato una sorta di salvatore degli atleti feriti e intanto si dedicava alla preparazione fisica di Jovanotti, prima dei concerti, e allo stato di forma di Fernando Alonso, quando lo spagnolo era ancora un riferimento in Formula Uno (i due sono insieme nella foto d’apertura di Motori Online). Rimase persino… impigliato nella squadra che Alonso avrebbe voluto fare con Paolo Bettini, ma questa è un’altra storia.

Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020
Matteo Moschetti un caffè nel giorno di riposo della Vuelta a Vitoria
Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020
Moschetti, un caffè alla Vuelta nel giorno di riposo

Arriva Moschetti

Più recentemente di Borra abbiamo parlato con Matteo Moschetti, reduce a sua volta dalla frattura dell’acetabolo del femore destro rimediata il 7 febbraio all’Etoile de Besseges. E quando, riferendosi sua rieducazione, Fabrizio ha detto che non fosse niente di troppo complesso per un ciclista, ci è venuta voglia di chiamarlo.

«A livello clinico ero guarito – aveva detto Moschetti – però mi mancava la condizione per tutte quelle settimane immobile. Non ho dolori, manca un po’ di forza e ho la sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affatichi più del sinistro».

Comanda la testa

Borra va subito al sodo. Per cui dopo averci raccontato l’evoluzione nel mondo della riabilitazione, con gli europei che hanno superato i maestri americani, spiega perché a Moschetti è andata tutto sommato bene.

«Quando si subisce una frattura come quella – dice – e poi si riprende, il rischio è uno solo: che il corpo netta in atto quelle famose compensazioni che lo spingono a sostenere con la parte sana il carico di quella ferita. La sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affaticasse più dell’altra deriva proprio da questo. Non si tratta di un fatto ortopedico, perché nel frattempo la scienza è andata avanti a studiare certi fenomeni. Ed è venuto fuori, come si era sempre intuito, che il vero problema sia a livello del cervello. Banalizzando, è la testa che determina certe compensazioni. Per cui quello che si è fatto con Matteo è stato essenzialmente impedire al suo cervello di farci lo scherzetto».

Centro Phisiology Fabrizio Borra Forlì
La piscina del centro di Borra a Forlì che si chiama entro Fisiology
Centro Phisiology Fabrizio Borra Forlì
La piscina del centro di Forlì

Tempi eroici

La rilettura dell’intervista di Moschetti assume ora un altra sfumatura. Soprattutto laddove il milanese parla delle attenzioni osservate alla Vuelta, nel fare stretching per curare il bilanciamento fra destra e sinistra. Prima di finire fuori tempo massimo per pochi secondi Villanueva de Valdegovia, settima tappa.

Borra sorride, perché quel tipo di lavoro glielo ha suggerito lui, non potendo completare il lavoro in palestra.

«E’ stato però buono poterlo seguire dall’inizio – riprende – perché di fatto è arrivato che non camminava. E’ salito sui rulli e poi è tornato a pedalare sotto stretto controllo. Intanto era quasi marzo e l’Italia iniziava a chiudere. Un mio amico gli aveva prestato un piccolo appartamento vicino al Centro e mio figlio e mia moglie lo accompagnavano avanti e indietro e anche a fare la spesa. E’ un peccato non essere riusciti a finire il lavoro perché a un certo punto è dovuto andare a casa, ma credo che averlo preso prima che quegli adattamenti si verificassero ha permesso di abbreviare la sua ripresa. Quello che gli è mancato è stato semmai un problema di preparazione, ma l’attenzione al fatto che restasse simmetrico gli ha permesso di rientrare. Ormai rispetto a tante tematiche siamo super avanti. Il lavoro con Marco, la stessa attenzione a evitare posture scorrette, il lavoro in acqua… mi rendo conto che eravamo davvero dei pionieri. Oggi quello che una volta si faceva in modo quasi empirico è molto più schematizzabile. Per questo ho parlato di un infortunio serio ma non impossibile da gestire.

Dopo l’ultimo controllo di una decina di giorni fa, ci ha scritto Moschetti: Borra gli ha detto che è dritto e pronto a iniziare il lavoro invernale. E allora che l’inverno abbia inizio…