Tra i ragazzi di Villa che stanno lavorando per le Olimpiadi c’è anche Stefano Moro. Non ci sono solo i “titolari” del quartetto. Per puntare ai grandi obiettivi serve un gruppo di lavoro allargato, specie per la pista italiana i cui interpreti fanno la spola con la strada.
E perché il lavoro sia all’altezza servono elementi che assicurino ottime prestazioni, che siano affidabili e che vadano forte… in allenamento e anche in gara.
Un gruppo fortissimo
A questo preambolo risponde appieno Moro, appunto.
«Per fare parte del gruppo olimpico e stare al passo di quei campioni devo migliorare continuamente – spiega il lombardo – altrimenti rischio di essere fuori. Però è bello perché stare a contatto con loro significa imparare e crescere sia fisicamente che mentalmente, nel senso che non si può lasciare nulla al caso, che devi sbagliare il meno possibile. E non è facile farlo con costanza».
Stefano vive a Fontanella, in provincia di Bergamo. Ormai fa la spola tra casa sua e Montichiari, dove si reca non meno di una volta a settimana.
«O anche tre volte – riprende – quando Villa decide di fare i ritiri. Quello del cittì è un grande gruppo ed è bello farne parte. Non sarò a Tokyo, ma tifo per loro con tutto me stesso affinché possano vincere una medaglia. Ho partecipato alla qualificazione olimpica prendendo parte ad alcune gare di Coppa del mondo e so quanto hanno dato, quanto se la sono sudata e quanto hanno sofferto che le Olimpiadi siano slittate di un anno. Dopo quel tempo stellare che hanno fatto al mondiale, non è stato facile rimandare tutto. E’ grazie a loro se la pista è tornata di moda».
Obiettivo: corpo militare
In apertura dicevamo forte in allenamento e in gara. Moro lo scorso autunno si è ritrovato catapultato agli europei. Nazionale decimata dal Covid e all’improvviso eccolo sfrecciare in gara a Plovdiv. Essere sempre pronti significa questo. E infatti in Bulgaria il portacolori della Biesse Arvedi si è ben comportato, tanto da riuscire a conquistare due medaglie: l’argento nell’inseguimento a squadre e il bronzo nella madison con Francesco Lamon. Un risultato inaspettato per Stefano che però, come dice lui stesso, gli ha dato grande fiducia.
«So che posso avere un futuro su pista. Ormai ho deciso: è questo il mio obiettivo principale. L’ho detto a me stesso nel 2019, al quarto anno da under. Non che la strada non mi piaccia, ma per caratteristiche fisiche e per passione, preferisco la pista. Inoltre spero di poter entrare in un corpo militare, ma per farlo servono medaglie e convocazioni in eventi internazionali».
Come detto Moro non fa parte delle primissime schiere, ma essendo un classe 1997 può pensare anche a Parigi 2024. «Le Olimpiadi sono il sogno di ogni atleta, specie per uno che corre in pista. Io voglio concentrami sul mio futuro sul parquet».
Madison, cuore e adrenalina
Passione vera quindi per Moro quella della pista. Tutto nasce quando da bambino salì in bici ed iniziò girando in una pista vicino Crema. Voleva imitare il fratello.
«La passione ce l’ha trasmessa mio papà, Primo, che adesso purtroppo non c’è più. Lui era un amatore», racconta Moro.
Da esordiente Stefano calca le sponde del velodromo di Dalmine e da allievo ecco i primi risultati (un titolo italiano). Quando diventa juniores, Villa lo inserisce nel suo gruppo, dal quale di fatto non è più uscito.
«Alla fine contano i risultati dice Moro – Su pista ne ho ottenuti di più. Su strada ho anche vinto qualche gara, ma un po’ d’infortuni e caratteristiche fisiche più adatte al parquet mi hanno indotto verso la pista. La disciplina che preferisco è la Madison. Non so perché. Ma dal momento che parti vai a “cento all’ora” col pieno di energie e di adrenalina, solo sul finire quando senti le gambe che fanno “crack” la stessa adrenalina scema un po’. Ho corso spesso con Plebani e Giordani e agli Europei con Lamon».
«Il momento del cambio è delicato, per farlo bene devi provarlo e riprovarlo, come nel basket il gesto del polso, e non sarà mai perfetto. Agli Europei in Bulgaria, Lamon (con lui nella foto di apertura, ndr) all’ultimo cambio mi ha urlato perché ho cambiato a 100 metri dall’arrivo, cosa che non si fa. Quegli urli sono gli unici momenti in cui si “parla”, altrimenti ci si capisce al volo. Se si parla è perché si è commesso un errore. Anche questo è il bello di questa disciplina».