Flavio Astolfi: un ragazzino italiano che cresce nel ciclismo del Nord

04.06.2025
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E’ il 2020, anno del Covid, quando la famiglia Astolfi lascia Lariano, paesino poco a sud di Roma, e sale verso il cuore d’Europa. Papà Claudio, meccanico, accetta un lavoro in Lussemburgo, dove la nonna materna vive da vent’anni. Flavio ha appena concluso la terza media, il fratellino lo segue: 800 chilometri e un passaporto doppio li separano dalla vecchia vita.

Sulle strade del Granducato lussemburghese ha trovato sicurezza, una scuola che rispetta lo sport e weekend di corse fra Belgio, Germania, Francia e Lussemburgo stesso. Oggi, a neanche 18 anni, corre per la formazione olandese JEGG-DJR Academy, team juniores collegato alla Visma-Lease a Bike.

Flavio è nel pieno del “ciclismo del Nord”: vento, muri e pavé lo stanno formando in un certo modo. Il resto lo fa la passione di una vera e propria dinastia laziale che la bici ce l’ha nel sangue.

Flavio Astolfi (18 anni a dicembre) ormai si è integrato pienamente nella vita del Nord Europa
Flavio Astolfi (18 anni a dicembre) ormai si è integrato pienamente nella vita del Nord Europa
Il ciclismo, Flavio, è sempre stato importante nella tua famiglia. Da quando sei in Lussemburgo, hai continuato ad andare in bici o hai cominciato lì?

Ho continuato, perché mio nonno correva da dilettante. Poi mio papà è stato professionista. Anche mia zia, la sorella di papà, correva.

E tu quando hai iniziato?

Ho iniziato da G3. Prima giocavo a calcio e ho fatto nuoto. Poi una giorno c’era una gara di bici a Velletri, a sei chilometri da Lariano. Ricordo che era giugno. Mio papà, che conosceva l’organizzatore, mi ha fatto provare. Ho fatto qualche uscita e poi quella prima gara. Mi è piaciuto subito. Da lì ho fatto tutte le categorie. Ho sempre praticato anche mountain bike e ciclocross. Ciclismo a 360 gradi.

Raccontaci la tua vita ciclistica da lussemburghese…

Per ora vado ancora a scuola, che qui finisce a luglio. E’ un po’ più lunga. Di solito sto a scuola fino a tardi, poi vado in bici. Ora che le giornate sono lunghe va meglio, d’inverno faccio un po’ fatica. Non ho permessi speciali, ma con l’orario che ho riesco bene ad allenarmi.

Che scuola fai?

Un liceo ad indirizzo economico-commerciale. Non so bene quale sia l’equivalente italiano.

Flavio si sente più uno scalatore… ma non puro
Flavio si sente più uno scalatore… ma non puro
Come funziona con le gare? Il Lussemburgo non offre un calendario vastissimo, immaginiamo…

Questo era un problema più quando ero piccolo. Qui fanno gare nazionali, ma non sono tante: cinque, sei, massimo sette in tutta la stagione. Troppo piccolo il Lussemburgo. Però in Belgio si corre quando vuoi: venerdì, sabato, domenica. Quando ero allievo andavo spesso in Francia o in Belgio. Ora corro soprattutto in Belgio. Se c’è una gara qui in Lussemburgo magari la faccio, ma più come allenamento.

Come lavorate in squadra?

Da quando sono in questa squadra lavoriamo in blocchi di allenamento e di gare. Due settimane di allenamento, tre settimane di gare, poi di nuovo allenamento. E’ già uno schema simile al sistema dei professionisti.

Che differenze hai trovato tra le corse in Belgio e in Francia?

Si notano già da junior. In Belgio le gare sono nervosissime, devi essere pronto a dare spallate con i gomiti. In Francia magari sono più tranquille. In Italia non corro da un po’: l’ultima è stata l’Eroica Juniores l’anno scorso. Poi dipende dal livello.

A proposito di Belgio, cosa ci racconti del Fiandre Juniores?

Una bellissima esperienza. Presentazione sul palco come i professionisti. Gente ovunque, come fosse uno stadio. Purtroppo quest’anno non era lo stesso giorno dei pro’. La Roubaix Juniores invece sì, e lì c’era già il pubblico del mattino. Ma anche al Fiandre è assurdo: tutte squadre che arrivano da team WorldTour. E questo attira la gente.

Muri e pavé: si impara a starci sopra o bisogna essere portati?

Secondo me un po’ e un po’. C’è gente a cui viene facile. Ho compagni che si posizionano davanti in automatico. A me serve qualche gara per abituarmi, però miglioro di volta in volta. Alcuni ci nascono proprio. Però per me ci si può lavorare.

Flavio (a destra) con suo fratello Lorenzo (più piccolo): entrambi sono stati campioni nazionali lussemburghesi
Flavio (a destra) con suo fratello Lorenzo (più piccolo): entrambi sono stati campioni nazionali lussemburghesi
Ci sono analogie tra il pavé della Roubaix e quello del Fiandre?

La Roubaix è una cosa a parte. Vedi quando inizia il tratto di pavé ma… tutta la pressione nei 10 chilometri prima è folle. Anche al Fiandre c’è tensione, ma lì i muri li senti più sulle gambe, perché li fai uno dietro l’altro a tutta. Dopo un po’ arrivi stanco, quindi posizionarsi diventa “più facile”. Alla Roubaix invece conta tantissimo essere davanti.

Al Fiandre il posizionamento è importante, ma non decisivo?

Esatto, devi saper prendere i muri davanti, ma se non hai le gambe dopo due-tre volte finisce lì.

Quale ti è piaciuta di più: Fiandre o Roubaix?

Quest’anno il Fiandre. Alla Roubaix ho avuto sfortuna: ero nel gruppo davanti, poi ho forato, sono caduto due volte, ho cambiato bici e alla fine gara finita. Il Fiandre era più avanti nella stagione, ero più abituato. Gara dopo gara miglioro sempre nel restare davanti.

E’ proprio importante starci su quei percorsi, eh?

Sì, bisogna farli e rifarli. Le gare da junior sono di 130 chilometri, ma si va a tutta dall’inizio. Il posizionamento è tutto.

L’emozione di stare sul palco dei grandi al Fiandre
L’emozione di stare sul palco dei grandi al Fiandre
Sei giovanissimo, ma che tipo di corridore pensi di essere?

Domanda difficile. Se me l’aveste fatta qualche anno fa, avrei detto scalatore. Ora non lo so. Qui non ci sono grandi salite. Mi vedo ancora come uno scalatore, ma non puro. Tipo un Alaphilippe.

Dove ti alleni?

Abito nel sud del Lussemburgo, a 5 chilometri dalla capitale. Però ho tante zone vallonate verso il confine francese. Le strade sono buone.

Quante ore ti alleni durante la preparazione?

In media 14 ore a settimana. Se faccio più volume, anche 15-16, ma è più raro. E’ la media stabilita a inizio anno col preparatore, che lavora nel team WorldTour.

Gliel’hai insegnato ai tuoi compagni a fare la pasta?

Ci vediamo poco, ma una volta al ritiro, nella “casa Visma” in Olanda, ho fatto la pasta al salmone e ancora me lo ricordano. Per loro era tanta roba. Alla fine l’italianità viene sempre fuori…

Astolfi, il Lussemburgo e due figli che sanno già volare

12.10.2024
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Davanti al pullman dell’Italia ai mondiali di Zurigo, durante la prova su strada degli juniores, abbiamo incrociato uno sguardo che non vedevamo da tanto. E abbiamo così scoperto che Claudio Astolfi, professionista dal 2001 al 2005, da circa cinque anni vive in Lussemburgo. A dire il vero per capirlo sarebbe bastato leggere con più attenzione l’elenco dei partenti per accorgersi che uno dei due atleti lussemburghesi al via si chiamava Flavio e portava il suo cognome.

Quando di lui si è accorto Manuel Quinziato, di un anno più giovane, è andato dritto a salutarlo. Poi, avvicinandosi, il bolzanino ha ricordato che il romano fosse un mito nelle categorie giovanili. Astolfi infatti aveva vinto il Giro della Lunigiana, come Pogacar ed Evenepoel, e nello stesso anno era arrivato terzo al mondiale. La carriera purtroppo è durata poco a causa del diabete. Ma la sua storia di italiano con la valigia ci è parsa interessante. E così siamo andati oltre.

Davide Balboni, Claudio Astolfi, terzo mondiali juniores, Novo Mesto 1996
Bronzo ai mondiali juniores del 1996 a Novo Mesto: Claudio Astolfi e il cittì di allora Davide Balboni
Davide Balboni, Claudio Astolfi, terzo mondiali juniores, Novo Mesto 1996
Bronzo ai mondiali juniores del 1996 a Novo Mesto: Claudio Astolfi e il cittì di allora Davide Balboni
Cosa ci fai in Lussemburgo?

Già appena sposato e dopo aver smesso, mi era venuta l’idea di spostarmi. Mia suocera è italiana e viveva in Lussemburgo da anni. Però ugualmente ho provato prima con il mio negozio di biciclette a Lariano. Sono andato avanti per 12-13 anni, però non è mai partito del tutto. E così cinque anni fa ci siamo trasferiti, soprattutto per offrire qualcosa di più ai ragazzi. Flavio e Lorenzo fanno il liceo e parlano tre lingue (in apertura, foto di famiglia con la moglie Chiara, ndr).

Hai fatto come Simone Masciarelli, migrato in Belgio per il figlio Lorenzo e ora tornato in Italia?

No, il ciclismo non c’entra. Mi trovo abbastanza bene, viviamo in un paesino a sei chilometri dalla città. Lavoro in un grande store di bici e ho dovuto imparare il francese. I ragazzi intanto studiano e corrono. Flavio, il grande, fino al secondo anno da allievo era tesserato con una squadra di Aprilia e poteva ugualmente fare i campionati nazionali del Lussemburgo perché bastava la residenza. Poi da junior serviva la nazionalità e così l’anno scorso ha preso la doppia cittadinanza. Ora corre nella squadra juniores della Visma-Lease a Bike.

Come c’è arrivato?

Vivendo in Lussemburgo, da allievo correva spesso in Germania e anche in Belgio. Al primo anno ha vinto 7 corse, al secondo 9. E’ arrivato sesto alla Coppa d’Oro, poi ha vinto il campionato lussemburghese crono e strada. E loro si sono interessati. Lui è contentissimo. Hanno lo stesso equipaggiamento della WorldTour, anche il trolley e gli zainetti. A inizio anno hanno fatto un training camp a Benicasim e sono stati per qualche giorno con la WorldTour e con la squadra delle donne. E il bello è che non gli mettono pressione.

Tu sei stato junior quasi trent’anni fa, che differenze vedi?

E’ cambiato tutto, a partire dal misuratore di potenza che ormai hanno anche da allievi, fino alla nutrizione. Io mi allenavo con mio padre dietro che a un certo punto suonava il clacson e significava che dovevo partire. Eppure alla Visma, sta vivendo il ciclismo con meno stress che in Italia. Non corrono tutte le domeniche da febbraio a ottobre come da noi. Magari fa una corsa a tappe di quattro giorni, poi recupera a casa e studia e si allena. Quest’anno è stato sfortunato. All’Eroica è caduto ed ha avuto qualche problema all’anca. Poi ha preso la mononucleosi e lo stesso ha fatto l’europeo e il mondiale. Ma con la condizione che aveva e il tempaccio, a Zurigo si è fermato prima…

Flavio si sente italiano o lussemburghese?

Italiano. Lo dice sempre che il cuore è italiano, però intanto si trova bene anche nella nazionale di quassù, perché il coordinatore Frank Schleck è in gamba. Dispiace che in Italia non sia stato convocato per fare i test che di solito fanno gli juniores, evidentemente è giusto che faccia la sua strada in Lussemburgo. Ha fatto un cambio di nazionalità, può farne un altro e poi basta. E intanto aspettiamo che arrivi il piccolo, Lorenzo, che è tremendo…

Tremendo?

Quest’anno ha fatto 16 gare e le ha vinte tutte e 16. E’ esordiente di secondo anno, ma una squadra WorldTour belga già ha mandato avanti un osservatore. In Belgio ha vinto tre gare, una con tre minuti sul secondo, che per gli esordienti non è poco. Però ho pregato tutti di lasciarlo in pace. Fino agli allievi, come ho fatto con Flavio, lo seguirò io. Poi negli juniores è giusto che abbia i suoi allenatori.

E tu vai ancora in bici?

Quest’anno m’è ripresa la voglia (ride, ndr). Dato che qui d’estate fa buio più tardi, dopo il lavoro ho cominciato a fare due ore tutti i giorni. E poi mi sono messo a fare delle garette. Quelle coi master le ho vinte tutte. Poi sono passato a quelle con gli elite, i corridori veri. E ho fatto due volte decimo assoluto e una volta nono. Considerato che ho 46 anni, non vado così male.

Pensi mai che la tua carriera sarebbe potuta durare di più?

Purtroppo in quegli anni col problema che avevo non si andava lontano. Non è come ora che addirittura c’è la Novo Nordisk e ci sono gli strumenti che ti permettono di convivere col diabete. Allora si trattava di fermarsi e fare un’iniezione. E dopo i 200 chilometri era davvero impossibile andare avanti.

Lorenzo e Flavio Astolfi, sono stati entrambi campioni nazionali lussemburghesi
Lorenzo e Flavio Astolfi, sono stati entrambi campioni nazionali lussemburghesi
I tuoi figli sanno qualcosa del papà corridore?

Non mi hanno visto, ma si sono documentati. E poi quassù il ciclismo è popolare, qualcuno deve avergli detto che il padre era forte. Hanno visto che ho vinto il Lunigiana e si sono resi conto che tanto scarso non ero. Quinziato poi l’ho incontrato nuovamente all’aeroporto e mi ha detto le stesse cose. E’ bello ritrovarsi ancora in mezzo qualche volta, è bello che qualcuno si ricordi…