Joao Almeida è lanciato verso il Giro d’Italia. Il talento portoghese è ormai un habitué della corsa rosa e forse anche per questo motivo il pubblico italiano lo osserva sempre con affetto.
E proprio perché lo si osserva con occhio anche tecnico, è immediato rendersi conto di alcune differenze tra il Joao di oggi e quello del famoso “Giro d’autunno” del 2020.


Almeida finisseur
L’atleta della UAE Emirates sembra trasformarsi sempre di più in un corridore da corse a tappe. Non che non lo fosse già, ma alcune sue caratteristiche tecniche si stanno modificando.
Ai tempi della Quick Step, Almeida era più scattista. Quasi un finisseur. Pensiamo solo a quel Giro 2020: terzo a Tortoreto dietro Sagan. Faceva le volate al colpo di reni con Ulissi dopo una tappa di collina. Staccava gli altri big sullo strappo di San Daniele del Friuli.
Adesso invece sembra essere molto più passista. Il che è anche la sua forza. Joao non reagisce mai ad uno scatto. Centellina e “attutisce” ogni minimo cambio di ritmo e fa delle costanza una sua arma in salita. Arma che però solitamente usa per difendersi. Lui infatti è molto bravo contro il tempo e, una volta, anche nei finali nervosi.
«Quando arrivò da noi – ricorda Davide Bramati, suo ex direttore sportivo alla Quick Step – proveniva dal team di Axel Merckx ed era un po’ tutto da scoprire. Ci siamo ritrovati questo corridore forte. Ma né lui, né noi potevamo sapere che fosse da corse a tappe e già così forte.
«Quelle sue doti di scattista le intuimmo e ci lavorammo anche, se vogliamo, ma più che altro io penso fossero doti sue. Alla base non c’era un lavoro specifico. Anche perché, ripeto, era tutto da scoprire».


Almeida scalatore
In qualche modo Bramati ci riporta ad un corridore che era veloce di suo, con uno spunto legato anche alla giovane età. E’ noto che i corridori giovani sono più esplosivi di quelli più maturi.
Magari, avendo valutato il suo potenziale per i grandi Giri e puntando non poco su di lui, la UAE Emirates sta facendo lavorare Almeida in direzione delle grandi salite e delle corse a tappe, preferendo migliorare sull’endurance a scapito della velocità di punta. Magari in Quick Step, squadra storicamente votata alle corse di un giorno, si era preferito l’aspetto della brillantezza.
«Doveste parlare con il suo coach di allora (Koen Pelgrim, ndr) – riprende Bramati – ma anche con noi prestò grande attenzione alle salite e ai grandi Giri. Alla fine perse il Giro staccandosi a soli 6 chilometri dalla vetta di una scalata come lo Stelvio. E anche a Sestriere andò forte. Lo scorso anno era terzo prima di lasciare la corsa rosa per il Covid e poi è stato quinto alla Vuelta. E anche nell’ultimo Catalunya è arrivato terzo. Andava forte allora, va forte oggi».


Abbuoni preziosi
In questa analisi tecnica, soprattutto pensando ai due big che si ritroverà al Giro d’Italia, magari la sua dote di finissseur potrebbe tornargli utile per incamerare secondi qua e là, tra piccoli distacchi, abbuoni… e una buona dose di fiducia. Magari certi sforzi nelle sue gambe hanno un prezzo inferiore.
Ma Brama su questo punto non è totalmente d’accordo: «Quel giorno a San Daniele col senno del poi, quello scatto non fu la cosa migliore. Sono sforzi che comunque restano nelle gambe, specie se il giorno dopo c’è un tappone che prevede tanta salita. Ma noi all’epoca avevamo un corridore giovane, un corridore da scoprire.
«Io però non posso giudicare per l’attualità. Almeida non è più con noi da due anni e non so in UAE come lavora. Di certo, e lo ripeto, è un atleta molto forte, anche oggi che è in un’altra squadra».
Le parole di Bramati sono vere, al Catalunya Almeida è sì arrivato terzo, ma con un bel distacco (2’11”) da Evenepoel e Roglic. Entrambi sono assi sia contro il tempo che in salita e di spazio per attaccarli ce n’è poco… non solo per Almeida. E quei secondi da finisseur potrebbero costituire un buon “tesoretto”.