EDITORIALE / L’esempio del tennis e i bilanci federali

27.11.2023
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Basterebbe rileggere il discorso di insediamento di Angelo Binaghi, rieletto nel settembre 2020 alla guida della sua Federazione per il sesto mandato consecutivo con il 78,81 per cento dei voti. Così forse ci si renderà conto di cosa sia successo negli ultimi anni nel mondo del tennis. E magari si capirà che probabilmente la vittoria di ieri in Coppa Davis non sia stata casuale (in apertura foto Getty Images/ITF).

«La situazione di prosperità che l’andamento di questa curva ci raffigura – diceva nel 2020, commentando l’andamento del fatturato dal 2002 – è frutto dei nostri sacrifici, della azione comune che abbiamo fatto i primi anni per risanare la Federazione, per rilanciare gli Internazionali BNL d’Italia e per rendere il tennis molto molto più popolare di prima. Ed è anche quella che ci ha permesso, anno dopo anno, di aumentare i trasferimenti verso le società e di finanziarne l’impiantistica, di portare prima il tennis italiano nelle case degli italiani con il nostro canale Supertennis. E poi per la prima volta nella storia in modo strutturale nelle scuole dell’obbligo, di lanciare il padel in Italia, e di ottenere l’organizzazione delle Next Gen a Milano e delle ATP Final a Torino.

«Ci ha permesso anche di non alzare le quote federali negli ultimi anni. E di aumentare gli investimenti nel settore tecnico ed ottenere i risultati che le nostre atlete prima e i nostri atleti poi hanno ottenuto in questi magnifici 15 anni».

Sopra, il bilancio della FITP in crescita del 389% dal 2002 al 2019. Poi il crollo Covid e la previsione fino al 2025 (fonte FITP)

L’uscita dal buio

Prima il tennis aveva conosciuto il buio, quello vero. Poche vittorie. Pochi atleti ai primi posti del ranking. La Coppa Davis che mancava dal 1976, stesso anno dalla vittoria di Panatta al Roland Garros. Leggete quell’intervento, fatto quando Sinner aveva 19 anni, perché fa capire il tipo di lavoro che si è fatto per risollevare il movimento.

Si parla delle Nitto APT Finals di Torino, assegnate per cinque anni a Torino, con la spinta del sindaco Appendino, diventate l’occasione per un’impennata del fatturato, con «la più alta sponsorizzazione che una federazione sportiva in Italia abbia mai avuto».

Si parla del ruolo illuminante delle donne nel Consiglio federale, dopo anni di soli uomini.

Poi si parla dell’essersi rivolti nel 2017 ad una società di consulenza che ha revisionato completamente la struttura della Federazione e delle sue Società controllate. Che ha imposto di cercare nuove figure manageriali come il Direttore Generale Marco Martinasso. E ha creato all’interno dei nuovi processi decisionali, tipici di una grande azienda.

Angelo Binaghi, ingegnere sardo, sta guidanto il tennis per il sesto mandato consecutivo (foto FITP)
Angelo Binaghi, ingegnere sardo, sta guidanto il tennis per il sesto mandato consecutivo (foto FITP)

Federazioni a confronto

Leggetelo. Sottolineate i punti che vi sembrano interessanti e poi metteteli a confronto con quanto ha fatto la Federazione ciclistica di Carlesso, Ceruti, Di Rocco e Dagnoni, che hanno guidato la FCI nell’identico periodo.

C’è un altro grafico in quel discorso: quello che combina il fatturato acquisito (2002-2019). Esso tiene conto dei 27 milioni di perdita causati dal Covid e vi unisce il bilancio previsionale fino al 2025, con una stima del + 759%. Si era capito che il trend fosse in crescita. Che gli investimenti nelle scuole, l’arrivo degli sponsor, il sostegno del Governo e l’arrivo di una nidiata di talenti avrebbero portato la curva a crescere ancora.

Felice Gimondi, Marco Pantani, Tour 1998
La Davis mancava dal 1976. Pantani vinse il Tour del 1998, prima di lui Gimondi nel 1965: 38 anni di attesa
Felice Gimondi, Marco Pantani, Tour 1998
La Davis mancava dal 1976. Pantani vinse il Tour del 1998, prima di lui Gimondi nel 1965: 38 anni di attesa

Qualche domanda

Come il tennis, anche il ciclismo ha i biglietti e abbiamo star della pista di livello mondiale: in che modo hanno generato ricchezza per la Federazione? Perché non c’è ancora una Sei Giorni, in cui i tifosi pagherebbero oro per vedere le sfide fra Ganna, Viviani, Milan e il resto degli specialisti?

Di recente RCS Sport ha siglato un’intesa con l’ANCI e alla base ci sarebbe anche un contributo pubblico per la valorizzazione sostenibile del territorio e la diffusione della cultura sportiva giovanile: non potevano essere fondi interessanti per la FCI?

Potrebbero i rappresentanti della nostra Federazione mostrarci la stessa curva del bilancio federale?

Hanno pensato di ristrutturarsi e di interpellare professionisti in ambito marketing capaci di intercettare risorse vere?

Abbiamo un Consiglio federale qualificato per gestire il momento?

Abbiamo organizzato un mondiale a Imola e a breve la partenza del Tour: in che misura si è lavorato e si lavorerà per trarne profitto? 

Non si vuole qui dire che tutto questo non sia stato fatto, ma che di certo non è stato comunicato come si dovrebbe. Se il ciclismo sta avviando una gestione simile a quella del tennis, saremo i primi a celebrarlo con tutti gli onori.

La FCI sfrutterà a dovere la partenza del Tour dall’Italia per promuovere il ciclismo?
La FCI sfrutterà a dovere la partenza del Tour dall’Italia per promuovere il ciclismo?

L’albero di Ground Zero

Qualche giorno fa, commentando un post su Facebook, Beppe Da Milano ha posto una domanda: «Che cosa ne sarà delle piccole società dilettantistiche?».

Caro Beppe, la domanda va posta a chi finora ha gestito e continua a gestire il ciclismo come se fossimo ancora negli anni Novanta. Stando alla gestione attuale, ci sarebbe da dire che non hanno futuro. Potrebbero diventare l’interfaccia del ciclismo, qualora il ciclismo entrasse nelle scuole? Potrebbero, ma qualcuno sta lavorando al progetto?

La rinascita non può essere legata al caso. Magari sbocceranno anche un altro Pantani e pure un altro Nibali, fioriti in un ciclismo italiano che aveva un’organizzazione di assoluto primo piano. Potrebbero nascere anche oggi, come l’albero sopravvissuto alle macerie dell’11 settembre che ora è il simbolo della rinascita di Ground Zero. Se però intorno non si crea un ambiente favorevole, come garantiremo la continuità?

Gimondi, a 50 anni dal mondiale una storia di storie

03.09.2023
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SEDRINA – Domenica 2 settembre 1973, a Barcellona splende un sole che benedice 83 corridori, pronti a partire per il mondiale di ciclismo che si disputa nel complicato percorso del Montjuic. In casa Belgio il capitano è Eddy Merckx, ma il giovane Freddy Maertens scalpita. In casa Spagna c’è Luis Ocaña. In casa Italia invece, il ct Defilippis ha cucito una nazionale su misura per Felice Gimondi. Anche su casa Gimondi ovvero Almè, alle porte della Val Brembana, la giornata è un po’ più che settembrina: sole, caldo, gioia. Ma soprattutto: attesa. Primo: perché la signora Gimondi, Tiziana, porta in grembo la secondogenita, Federica pronta a venire al mondo. Secondo: perché Gimondi ha preparato al meglio quel mondiale. In casa lo sanno. La piccola Norma, primogenita, è in un’età in cui riesce appena a capire.

«L’avvicinamento alla gara – spiega – era un percorso in cui la famiglia subiva la tensione di papà, ma con il pieno rispetto per il suo lavoro. Non dovevamo dargli pensieri e stare attenti all’alimentazione».

Qui Gimondi sul Montjuic durante i campionati del mondo del 1973: ecco il gruppetto che si giocò l’iride
Qui Gimondi sul Montjuic durante i campionati del mondo del 1973: ecco il gruppetto che si giocò l’iride

Il circuito del Montjuc

Poi, la partenza con la nazionale e la cornetta del telefono come unico gancio per sentire ogni sera il papà, il marito Felice «che era nevrile in quelle ore, perchè sentiva le corse», aggiunge Norma. Il campionato del mondo scatta alle 11. La corsa si anima grazie ad una fuga nutrita di corridori di buon calibro, tra cui c’è anche Battaglin. Il tentativo però sfuma. A due giri dal termine, sullo strappo che precede il passaggio al Montjuic, Merckx scatta.

Ildo Serantoni, il biografo di Felice Gimondi, già illustre firma della Gazzetta dello Sport, ci porta direttamente in corsa.

«Felice – ci confida – raccontava che corse quella gara con l’obiettivo di stare dietro a Merckx nella speranza di arrivare con lui almeno all’arrivo, ma sapendo che prima o poi lo avrebbe battuto».

Ildo Serantoni e Norma Gimondi, il biografo e la figlia di Felice, scomparso nel 2019
Ildo Serantoni e Norma Gimondi, il biografo e la figlia di Felice, scomparso nel 2019

Avversari e preghiere

Eddy su quello strappo non riesce a fare il vuoto. Davanti si forma il poker d’assi: Merckx, Maertens, Gimondi e Ocaña.

«A quel punto – prosegue Serantoni tramandando le memoria di Gimondi Felice nota che “il Cannibale” e Maertens si parlano e capisce che sarà Merckx a fare la volata. Si ripete una volta di più: sto attaccato finché riesco».

A casa Gimondi, intanto, la squadra è quella delle grandi occasioni. Sul divano posizionato in mansarda, la tensione è alle stelle.

«Ricordo – dice Norma – che c’eravamo: io, mia mamma, nonno Mosè, nonna Angela e la mia bisnonna Natalina».

La telecronaca si mescola con le preghiere dei Gimondi, assai devoti. «Pregavano, pregavano», ripete Norma. Il mondiale si gioca in volata. Sul rettilineo finale si presentano: Maertens, Gimondi, Merckx e Ocaña. A casa Gimondi regna il silenzio. Tiziana, col pancione, si alza e si nasconde dietro ad una colonna della mansarda. Non vuole guardare e prega. Pater, Ave e Gloria.

«Mica perchè speravo vincesse – racconta – ma perché avevo paura che cadesse. E non guardai».

Questo il monumento scoperto ieri a Sedrina alla presenza di Tiziana Gimondi
Questo il monumento scoperto ieri a Sedrina alla presenza di Tiziana Gimondi

A ruota di Maertens

Serantoni ci porta negli ultimi 200 metri: «Felice si mette dietro a Maertens che fa lo sforzo massimo per il suo capitano. Ad un certo punto si sposta, Gimondi aspetta Merckx, che però non arriva. Capisce che quello è il suo momento, si alza sui pedali e lancia lo sprint. Si accorge che Eddy non arriva. Se ne accorge anche Maertens, che riprende a pestare sui pedali per contendere a Gimondi l’iride».

Il cuore, a casa Gimondi, sobbalza. Le preghiere di Tiziana si intensificano. Pater, Ave, Gloria. Maertens e Gimondi sono affiancati a poche decine di metri dalla linea. Serantoni: «Gimondi allarga il gomito per difendersi dall’attacco del belga. Mi confidò che tra sé e sé aveva pensato in quel secondo di tempo, in bergamasco stretto: “Se ol pasà fò ergü, al fenese sö in tribuna” (se qualcuno mi vuole passare, lo spedisco in tribuna)».

Tiziana Gimondi ha diviso la vita con Felice. Ci ha raccontato i suoi aneddoti su quel mondiale di 50 anni fa
Tiziana Gimondi ha diviso la vita con Felice. Ci ha raccontato i suoi aneddoti su quel mondiale di 50 anni fa

La maglia iridata

Gimondi vince il duello di corpo e gambe e conquista il mondiale. Secondo Maertens, terzo Ocaña, quarto Merckx che si pianta. Norma: «Ricordo un boato e poi ci trovammo tutta la Val Brembana fuori casa».

Tiziana termina le preghiere. Suo marito non è caduto. Poi, il ritorno in patria. Norma: «Ricordo papà che teneva la maglia bianca iridata toccandola con delicatezza come fosse la cosa più preziosa al mondo. Poi la posarono su di me per qualche fotografia».

Per Tiziana, il post vittoria fu semplicemente: «Eh… bello». Bergamo, a 50 anni da quel giorno, ha dedicato al suo Felice Gimondi una due giorni di eventi per celebrare lui e quella giornata. E’ stata svelata una scultura dedicata al campione di Sedrina che tra qualche mese troverà posto in un luogo del centro città ancora non rivelato. Serantoni: «Felice si è portato fino alla fine un grande cruccio, quello di non essere riuscito a sdebitarsi abbastanza con i suoi gregari e con la sua famiglia».

Il 2 settembre del 1973, Felice Gimondi diventa campione del mondo davanti a Ocaña e Maertens (foto L’Equipe)
Il 2 settembre del 1973, Felice Gimondi diventa campione del mondo davanti a Ocaña e Maertens (foto L’Equipe)

Norma: «Qualche mese prima che morisse, chiesi a mio papà come avrebbe voluto essere ricordato dalla gente. Mi rispose che avrebbe voluto essere ricordato come un uomo onesto». A giudicare dall’affetto che la gente gli ha tributato ci prendiamo l’onere di dire a Felice: «Missione compiuta». Il sigillo lo mette la moglie Tiziana: «La prima qualità di mio marito? La dolcezza».

Montjuic, una salita storica: la “scaliamo” con Petilli

31.03.2023
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La salita con più passaggi e arrivi della storia, il Montjuic che ne conta ben 154, seguono il Col du Tourmalet con 61 e il Col d’Èze con 51. Una statistica sicuramente viziata dalla Volta Ciclista a Catalunya nonché la quarta più antica gara a tappe (1911) per professionisti, che ogni anno si conclude sulle pendici del monte catalano.

Una salita breve (2,7 km con pendenza media 4,7%) ma che ha visto passare campioni di ogni epoca e nazione e ospitato il campionato del mondo del 1973 con Felice Gimondi campione. Una lingua d’asfalto che si arrampica alla sommità posta a 173 metri d’altezza da dove è possibile guardare le bellezze a perdita d’occhio della città di Barcellona. Scopriamo questa breve ma intensa salita insieme a Simone Petilli della Intermarché Circus Wanty che l’ha da poco affrontata alla corsa catalana. 

Simone Petilli ha affrontato la salita del Montjuic quattro volte
Simone Petilli ha affrontato la salita del Montjuic quattro volte
Simone, in quale parte del mondo sei?

Sono in altura a Sierra Nevada, sono rimasto in Spagna direttamente dopo la corsa. Rimango qua due settimane e poi vado direttamente al Giro di Sicilia, successivamente ritornerò per altre due settimane in quota per finire la preparazione sperando di essere poi selezionato per il Giro d’Italia. 

Parliamo della salita del Montjuic, quante volte l’hai affrontata?

E’ la quarta volta come le mie partecipazioni al Catalunya che tutti gli anni finisce lì. 

In che tipo di tappa è inserita?

E’ una tappa impegnativa perché, nonostante sia corta, si va forte tutto il giorno e la salita è bella per il contesto e sopratutto perché c’è sempre tantissima gente, complice anche il fatto che la corsa si chiude di domenica. 

Per farci capire meglio, la paragoneresti a qualche salita nostrana?

Da paragonare è difficile, non saprei trovare un’altra salita con queste caratteristiche. Inizia abbastanza regolare, si passa sotto l’arrivo e da lì è pedalabile. Ci sono due tornanti e poi da metà spiana e scende un po’, poi inizia la parte finale che è quella più impegnativa. Si prende con un’alta velocità perché si arriva da una leggera discesina per poi immettersi sulla rampa subito dura. E’ una salita in cui bisogna soffrire. Non si fanno alte velocità nel finale perché è impossibile viste le pendenze sopra al 10%. Appena finita saper rilanciare è fondamentale. 

Qui Gimondi sul Montjuic durante i campionati del mondo del 1973
Qui Gimondi sul Montjuic durante i campionati del mondo del 1973
Ok, analizziamola meglio. Con che rapporti l’hai affrontata?

La prima parte essendo molto pedalabile si sale con il 54 e a velocità vicine ai 30 km/h. Segue la parte intermedia dove si prende ancora più velocità e infine la rampa conclusiva che si affronta con i rapporti più agili. Le velocità oscillano tra i 10 e i 15 all’ora. Noi usiamo 54-39 e 11-34. I primi giri penso di averli fatti con il 39×34 mentre gli ultimi tenevo il 30 nella parte impegnativa. 

Quanto è lunga l’ultima parte?

Saranno 500/600 metri che si riassumono in circa due minuti di sforzo molto intenso

Si guardano i dati in quei momenti?

In quelle situazioni seguo solo le sensazioni e cerco di gestirmi al meglio. Cercavo di prenderla nella migliore posizione possibile e con la maggior velocità, poi dopo si trattava di gestire. La maggior parte la facevo fuori sella perché mi trovo meglio senza guardare né dati né cardio

Ci hai detto che una fase delicata è anche quella dello scollinamento. Spiegaci…

Il punto di scollinamento ha una velocità molto bassa, sia perché è veramente dura sia perché hai dato tutto. Arrivati in cima si gira a destra c’è qualche metro di ciottolato e dopo inizia subito la discesa. Riuscire a rilanciare subito è fondamentale e si fa la differenza perché la discesa è molto veloce. L’ho provato in prima persona quando ho scollinato a pochi metri da un corridore ma essendo a tutta e senza la prontezza di rilanciare subito capitava di prendere dei metri che poi diventavano difficili da chiudere. 

Ancora oggi il Montjuic è decisivo per la tappa finale. Qui lo scatto di Evenepoel seguito da Roglic
Ancora oggi il Montjuic è decisivo per la tappa finale. Qui lo scatto di Evenepoel seguito da Roglic
Il manto stradale in che condizioni è?

L’asfalto è perfetto anche perché è all’interno del parco del Montjuic, ho sempre trovato delle buone condizioni. La strada è molto larga e si stringe solo nella parte conclusiva, ma comunque c’è sempre ampio spazio per passare. Stesso discorso vale per la discesa, molto ampia e veloce in particolare ci sono due curve che si fanno a piena velocità senza toccare i freni. 

La carreggiata è ampia?

Se uno ha gambe ha sempre la possibilità di recuperare anche in salita. Nel ciclismo moderno la posizione è sempre più importante. In un percorso del genere è importante stare davanti, ma giro dopo giro sono le gambe a parlare e a determinare la posizione.

Hai parlato della presenza di tanto pubblico…

Tutti gli anni c’è sempre grande tifo. Il Catalunya è una corsa importante. Finendo di domenica in un circuito che si ripete più volte, attira molti tifosi e devo ammettere che sulla parte più dura della salita c’è sempre un alto numero di tifosi che ti da una gran mano a livello emotivo e questo è sempre un piacere del ciclismo. 

Una salita storica, qui lo scalatore Luis Ocana
Una salita storica, qui lo scalatore Luis Ocana
Che cosa rappresenta per te questa salita?

E’ una salita bella da fare e che ha il suo fascino essendo la tappa finale da sempre. Vedendo anche cosa dicono i siti di ciclismo e i giornali vincere la tappa del Montjuic ha un valore un po’ particolare. Penso che nel palmares di un corridore la vittoria ad una tappa del Catalunya e una al Montjuic hanno un peso differente. Nonostante sia la stessa corsa, alzare le braccia qui regala qualcosa in più nella carriera di un corridore. 

Si adatta alle tue caratteristiche?

Non è il tipo di sforzo ideale per me. Come dicevo la parte conclusiva richiede un impegno di circa due minuti. Mi trovo meglio con sforzi più lunghi. Però mi sono sempre trovato bene in questa tappa perché arriva l’ultimo giorno e soprattuto si ripete tante volte. E’ tutta salita o discesa senza respiro, e arrivati all’ultimo giro la stanchezza e il fondo fanno la differenza

Crono finale al Tour, una storia ricca di pathos

19.03.2023
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Nel 2024 il Tour de France cambierà completamente faccia. Già è noto che gli organizzatori hanno scelto di lasciare Parigi per la conclusione della Grande Boucle, una decisione obbligata visto che pochi giorni dopo si apriranno i Giochi Olimpici, quindi non c’era materialmente la possibilità di allestire la solita kermesse agli Champs Elysees. Si correrà dal Principato di Monaco a Nizza una cronometro che chiuderà la corsa, un evento estremamente raro, che riporterà le sfide contro il tempo al loro ruolo decisivo e finale in termini di classifica. Non è stata una decisione facile, ma certamente non contrastata come quella della prima crono al Tour…

Sapete quando la sfida contro il tempo venne introdotta al Tour? Il 27 luglio 1934, ma fu una decisione dolorosa. Il patron Henry Desgrange era da anni sollecitato a inserire una prova a cronometro dal giornalista Gaston Benac, di Paris Soir. Un appassionato, tanto che si era inventato nel 1931 il Gran Prix des Nations dandogli una tale enfasi che una folla enorme si schierò ai lati delle strade per applaudire i protagonisti.

In apertura la sorpresa sul viso di LeMond, qui tutta la delusione per Fignon, ancora una volta…
In apertura la sorpresa sul viso di LeMond, qui tutta la delusione per Fignon, ancora una volta…

Lo smacco francese del 1933

Desgrange però era dubbioso, esitava, perdeva tempo. Non altrettanto avvenne in Italia dove il clamore del GP des Nations spinse la Gazzetta dello Sport a inserire nel 1933 una prova contro il tempo, riscuotendo grande successo e destando l’ira dell’organizzatore transalpino, che licenziò in tronco uno dei suoi collaboratori addossandogli la colpa e decidendo di seguire la stessa strada l’anno successivo.

Da allora le crono del Tour sono state qualcosa di fondamentale ed è curioso il fatto come quest’anno avranno un peso specifico minore rispetto al Giro perché normalmente è sempre stato il contrario. E’ piuttosto raro però il fatto che la corsa francese si concluda proprio con una crono, infatti è avvenuto solamente 9 volte.

Anquetil e Poulidor, acerrimi nemici. Il Tour del 1964 fu una sfida all’OK Corral…
Anquetil e Poulidor, acerrimi nemici. Il Tour del 1964 fu una sfida all’OK Corral…

Una sfida fatta in casa

Una scelta stranamente rara perché quando è stata presa, ha spesso regalato spettacolo, sin dalla sua prima volta. Era il 1964 e la maglia gialla era sulle spalle di Jacques Anquetil, ma il suo vantaggio era esiguo nei confronti di Raymond Poulidor, il suocero di Mathieu Van Der Poel che voleva fortemente quella maglia che non è mai riuscito a prendere. La crono finale, da Versailles a Parigi di 37,5 chilometri premiò proprio il suo nemico, pronto ad allearsi con chiunque pur di sconfiggerlo. Alla fine Anquetil vinse di 55”, uno dei distacchi più risicati al termine della corsa.

Al tempo la crono si disputava sì l’ultimo giorno, ma era una semitappa (sembra strano vedendo i chilometraggi, ma è così…) insieme a una prova in linea che solitamente si concludeva in volata. L’anno dopo la sfida da Versailles a Parigi fu l’apoteosi di Felice Gimondi che diede un altro dispiacere al popolare Poupou. Sui 38 chilometri il bergamasco, che aveva un minuto e mezzo di vantaggio ma le cui possibilità a cronometro erano sconosciute, vinse con 30” su Motta e 1’08” su Poulidor. Il pubblico francese la prese comunque bene, commosso per la delusione del beniamino di casa ma ammirato dal personaggio italiano e dalla sua signorilità.

Per Gimondi il trionfo inaspettato del 1965 sancito a cronometro (foto Getty Images)
Per Gimondi il trionfo inaspettato del 1965 sancito a cronometro (foto Getty Images)

La tripletta gialla di Merckx

Poulidor la tappa finale a cronometro la vinse nel 1967, ma non fu sufficiente per recuperare il divario dal connazionale Roger Pingeon. Fu l’ultimo caso in cui a vincere la frazione finale non fu la maglia gialla: nel 1968 trionfò l’olandese Janssen, i tre anni successivi non c’era storia vista la presenza e il dominio di Eddy Merckx. Poi la tradizione s’interruppe, fino al 1977.

Nel frattempo, dal 1975 la corsa a tappe non ci concludeva più nel tradizionale teatro del Velodromo La Cipale, ma finalmente era approdata nello scenario dei Campi Elisi. In quel 1977 si tornò alla tradizione delle due semitappe: prima una cronometro di appena 6 chilometri vinta dal tedesco Thurau, poi quella che diventerà la passerella finale con tanto di sprint. Per la cronaca il Tour lo vinse Bernard Thevenet, al suo secondo successo. Se parlaste di lui oggi agli appassionati d’oltralpe risponderebbero in coro: «Averne…».

LeMond e Fignon affiancati, al Tour del 1989. Un’edizione storica, risolta all’ultimo metro
LeMond e Fignon affiancati, al Tour del 1989. Un’edizione storica, risolta all’ultimo metro

8 secondi che cambiarono la storia

L’ultima volta della crono conclusiva è anche quella più famosa. Quella della grande beffa. Il Tour era stato incerto sin dall’inizio, innanzitutto per le peripezie del campione uscente Pedro Delgado, presentatosi in ritardo al prologo e non atteso dal suo team nella cronosquadre, accumulando oltre 7 minuti di ritardo. Intanto l’americano Greg LeMond aveva preso la maglia nella cronometro individuale della quinta tappa, utilizzando un manubrio da triathlon che aveva fatto storcere il naso a molti (salvo poi diventare di uso comune).

Il francese Fignon gli strappò il primato per 7” nella decima tappa, ma nella cronoscalata di Orcieres-Merlette l’americano tornò davanti. Sull’Alpe d’Huez il transalpino tornò in testa, nelle successive tappe le schermaglie tra i due non mancarono, con un successo in salita a testa. Risultato: ultima tappa a cronometro, 24,5 chilometri da Versailles a Parigi e 50” di bottino a favore di Fignon.

L’altimetria già diffusa del percorso finale del 2024, 35 chilometri non senza difficoltà
L’altimetria già diffusa del percorso finale del 2024, 35 chilometri non senza difficoltà

E ora si ricomincia…

La distanza appariva ridotta pur in presenza della superiorità dell’americano, ma LeMond nell’occasione tirò fuori dal cilindro una prestazione spaventosa, alla media di 54,545, la più alta mai registrata fino allora. Fignon aveva resistito con le unghie e con i denti, ma alla fine perse di 8”. Ancora una volta la crono finale gli era stata fatale, come al Giro nel 1984, di fronte a Francesco Moser. Da allora, forse anche per il grande dolore che i francesi avevano provato, la crono tornò alla sua collocazione del sabato, lasciando spazio al carosello finale sulle strade della capitale. Ma nel 2024 non sarà così…

Il saluto ad Adorni, l’airone di Parma

29.12.2022
4 min
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PARMA – Non sappiamo realmente che rapporto avesse Vittorio Adorni con la morte. Quando festeggiò i suoi 80 anni disse che aveva appena tagliato un “traguardo volante” senza accorgersi di aver raggiunto quella età con un lunghissimo sprint.

Sappiamo però che profondo rapporto avesse stretto con tante, tantissime persone. Tifosi, ex colleghi e dirigenti. Tuttavia la sua famiglia ha giustamente preferito celebrare un funerale in forma strettamente privata. Come se quasi volesse godersi, insieme agli amici più cari, quell’ultimissimo momento con Vittorio che, per un motivo di lavoro o l’altro, era sempre stato costretto a sacrificare più del dovuto la moglie Vitaliana e i suoi affetti. Già, perché lui fino ad un anno fa era ancora in pista come un ragazzino. Dagli impegni al Giro d’Italia come consulente e uomo immagine di Rcs Sport alle riunioni ad Aigle per l’UCI per cui dal 2001 al 2012 guidò il Consiglio del Ciclismo Professionistico (in apertura foto parma.repubblica).

La sagacia di Vittorio

La lucidità di pensiero ed espressione di Adorni è sempre stata la dote principale che lo ha accompagnato sia in sella che giù dalla bici. Forse era la qualità che ha sempre sperato di conservare anche se lui è sempre stato bravo ed attento a tenerla particolarmente allenata. Chi lo ha frequentato bene, specialmente negli ultimi anni, dice che quando si sfiorava l’argomento della morte tra una chiacchiera e l’altra, lui facesse un simpatico gesto scaramantico. Un po’ come quando da corridore qualcuno gli avesse presagito una eventuale crisi in una tappa al Giro, la sua casa. Tutte situazioni in linea con la sua celebre e raffinata ironia, figlia di una generazione di uomini, ancor prima che campioni, che fatichiamo a ritrovare.

Tantissime le interviste e le presenze in Tv. Adorni è stato anche Assessore allo Sport del comune di Parma
Tantissime le interviste e le presenze in Tv. Adorni è stato anche Assessore allo Sport del comune di Parma

L’omaggio finale

Nel giorno del suo ultimo saluto, mentre osservavamo la commozione di tanta gente, compreso il chierichetto suo storico tifoso, ce lo siamo immaginato mentre riceve gli applausi lungo l’asse decumano che separa il quartiere di San Lazzaro a Parma, nel quale Vittorio era nato il 14 novembre 1937, alla chiesa di San Sepolcro vicina al cuore cittadino. Tre chilometri, praticamente una distanza da crono-prologo, un tipo di tappa che ai suoi tempi non esisteva e che fece solo rarissime volte, come nella sua unica partecipazione alla Vuelta del 1968 (chiusa al quinto posto), anno divenuto poi leggendario col mondiale di Imola.

Gimondi e Adorni hanno raccontato pagine di grandissimo ciclismo mondiale
Gimondi e Adorni hanno raccontato pagine di grandissimo ciclismo mondiale

Gli amici ciclisti

Ad accoglierlo su questo traguardo finale alcune persone non potevano proprio mancare. Perché Adorni ha saputo essere trasversale. Tra tutti citiamo ne citiamo due. Romano Prodi, che nel 1955 fu uno dei suoi primi avversari da allievo (all’epoca la categoria juniores non esisteva) nella crono-scalata Reggio Emilia-Casina vinta da Vittorio. E Davide Boifava, amico di vecchia data e che era nato il suo stesso giorno. Infatti ogni 14 novembre Adorni ci teneva a fare gli auguri a voce ad altri suoi colleghi con cui condivideva il compleanno. Bernard Hinault, Vincenzo Nibali ed anche il pistard Koichi Nakano. «Beh, a lui glieli ho sempre mandati virtualmente perché il giapponese faccio fatica a parlarlo» ripeteva scherzosamente.

Conoscendo la sua ironia, probabilmente ora Vittorio Adorni starà già facendo qualche battuta con i suoi tanti amici-avversari. Solo per nominarne alcuni, da Anquetil a Poulidor, da Gimondi a Baldini, l’ultimo per il quale due settimane fa ci aveva tenuto a raccontarci il suo ricordo.

Gimondi Camp, un’estate diversa in sella alla bicicletta

27.04.2022
4 min
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Felice Gimondi era convinto che il futuro fosse davvero dei giovani, a patto che venissero trasferiti loro i sani principi del vivere nella società. E pensava anche che buona parte di questi potessero sorgere facendo sport, anzi: andando in bicicletta.

Norma Gimondi, figlia del campione bergamasco, porta nel cuore ancora oggi questi insegnamenti, negli occhi ha la luce quando parla di ciclismo e quando parla di ciclismo giovanile, fa venire voglia di prendere i propri figli e metterli in sella.

La locandina dei Gimondi Camp ripercorre la carriera di Felice e ne fa una bandiera
La locandina dei Gimondi Camp ripercorre la carriera di Felice e ne fa una bandiera

Gimondi Camp

Un impegno coi giovani che papà Felice ha concretizzato fondando ormai vent’anni fa la scuola di Mtb dedicata ai bambini dai 5 ai 12 anni, a Sombreno, frazione del comune di Paladina, hinterland di Bergamo. Norma, invece, concretizzerà quest’anno la sua volontà con i Gimondi Camp estivi. Quattro appuntamenti tra giugno e luglio che si svolgeranno in quattro comuni lombardi. Due nella bergamasca, Almenno S.Salvatore (13-18 giugno) e Cene (4-9 luglio); uno nel milanese, a Cassano d’Adda (11-16 luglio) e uno nel bresciano, a Cortefranca (27 giugno-2 luglio).

Nel 1998 Pantani interruppe il record di Gimondi, come ultimo vincitore italiano della maglia gialla (1965)
Nel 1998 Pantani interruppe il record di Gimondi, come ultimo vincitore italiano della maglia gialla (1965)

«L’intento – ha detto la vice presidente della Federazione ciclistica italiana – è quello di trasmettere ai più piccoli la passione per lo sport, per la natura e per l’aria aperta, in un momento in cui questa generazione è stata particolarmente toccata dalla pandemia e dalle chiusure che ha dovuto subire. Vorrei riuscire a fare tutto quello che ha fatto mio padre con me. Lo sport aiuta sempre, aiuta ad affrontare la vita, le difficoltà che si incontrano quotidianamente con una forma mentis secondo me vincente. Mio padre riteneva il ciclismo una passione oltre che un lavoro».

Programma e Kit

Il programma, da lunedì a venerdì: dalle 8 alle 12 attività mattutina, quindi pranzo e attività ricreativa, dalle 15 alle 18,30 attività pomeridiana. Ad ogni iscritto verrà consegnato un kit che comprende casco, maglia e pantaloncino tecnico da ciclismo, t-shirt da riposo, cappellino, borraccia, salvietta, zainetto, tessera mini biker/promozione giovanile e assicurazione infortuni. La quota di iscrizione è di 270 euro. Per partecipare, scrivere a iscrizioni@gimondicamp.it oppure telefonare al 389/5682002.

Alla Gimondi Bike dello scorso anno, Norma premia i bambini in gara (foto Facebook)
Alla Gimondi Bike dello scorso anno, Norma premia i bambini in gara (foto Facebook)

Educazione stradale

Un camp fatto sì di divertimento e allenamento, ma soprattutto di formazione: «All’interno dei Gimondi Camp – spiega Norma Gimondi – avremo dei corsi di formazione guidati dalla vicequestore di Bergamo, Mirella Pontiggia, per insegnare ai bimbi il codice della strada in modo semplice ma efficace. Vogliamo insegnarli le regole, la segnaletica stradale. Genitori, non inculcate un sentimento di paura ai bimbi. Andare in bicicletta li aiuterà a vivere meglio, a confrontarsi meglio con gli altri e anche con se stessi ed educhiamoli anche all’educazione stradale».

La Scuola MTB Felice Gimondi è già una realtà da quasi vent’anni (foto Facebook)
La Scuola MTB Felice Gimondi è già una realtà da quasi vent’anni (foto Facebook)

Dare la scossa

Per il ruolo che ricopre a livello federale, Gimondi non può che dare uno sguardo anche all’intero movimento nazionale.

«Posso dire – spiega – che i numeri sono interessanti a livello di tesserati. Anche dopo la pandemia non sono scesi. Abbiamo però la fascia proprio dai 5 ai 12 anni che passa troppo tempo davanti alla tv, ai videogiochi o agli altri dispositivi elettronici e non si approccia allo sport e alla natura. Noi vogliamo coinvolgerli. Andando avanti così però, tra 10-15 anni si spera di trovare un nuovo Nibali».