Al pari di altri presidenti d’oltre Oceano, Cordiano Dagnoni si insedia oggi per un altro quadriennio alla guida della Federazione ciclistica italiana. Come vi abbiamo raccontato ieri, l’elezione non ha avuto sorprese e la superiorità del presidente è stata chiara sin dal primo turno. In qualche modo, avendolo visto accanto a figure chiave dello sport italiano come Giovanni Malagò, già dal Giro d’Onore nella sua sicurezza avevamo colto dei segni premonitori.
Ragionando a caldo e poi ancora stamattina, si rifletteva su cosa abbia favorito un candidato rispetto all’altro. Ieri si è parlato di paura del cambiamento e proprio da questo vorremmo iniziare il ragionamento, che sarà breve per lasciare spazio al ciclismo pedalato.
Quale cambiamento?
Non è stato forse segno di cambiamento aver scelto Dagnoni al precedente turno elettorale, preferendolo a Di Rocco, Isetti e Martinello? Nel 2021 Silvio, come ieri Dagnoni, ottenne la maggioranza al primo turno e fu solo per una precisa indicazione dei candidati sconfitti che non riuscì a mantenere il primato nel ballottaggio.
Ma ieri, nel testa a testa fra lui e Dagnoni, avere accanto i riferimenti della precedente gestione non può essere stato letto come una restaurazione, piuttosto che come aria di cambiamento? Il coinvolgimento di Mario Valentini, dopo le vicende che hanno portato al suo allontanamento dalla nazionale paralimpica, non potrebbe essere sembrato un ritorno al passato, da cui gli atleti fuggirono con quella lettera di sfiducia? Probabilmente sì ed è stato lo stesso Martinello a rivelarlo. E perché i delegati di Daniela Isetti, il cui programma è parso forse il più organico, non hanno ricevuto l’indicazione di confluire su di lui?
Gli impegni da prendere
Dagnoni ha davanti quattro anni per dimostrare di saper fare quello che ha ripetutamente annunciato. Finalmente avrà a disposizione un Consiglio federale che remerà nella stessa direzione e questo indubbiamente non è poco. I temi sul tavolo ci sono e sarebbe sbagliato non vederli e non raccogliere le segnalazioni di allerta sollevate dagli altri candidati. Così come sarebbe saggio accogliere alcuni correttivi contenuti nei loro programmi. Non si tratterebbe di ammetterne la superiorità o di copiare: si tratta di lavorare per il bene del ciclismo.
Reclutamento. Presenza sul territorio. Promozione sociale. Presenza nelle scuole. Sicurezza. Impiantistica. Statuto da riscrivere. Gli obiettivi sono tanto evidenti che sembra persino superfluo annotarli. Noi di bici.PRO ci saremo, osservando, raccontando, elogiando e criticando, ma sempre con spirito costruttivo. Abbiamo narrato le storie degli atleti e della loro gestione e ci siamo anche soffermati su ciò che non ci convinceva. Siamo certi che questo sport meriti il meglio e la sua ricerca dovrà orientare il lavorodi chi ieri è stato scelto dall’Assemblea. Abbiamo davanti quattro anni in cui rimettere la nave su una rotta più virtuosa. Se non dovesse accadere, le conseguenze potrebbero essere pesanti. Al pari delle responsabilità.
Qual è lo stato di salute del movimento U23 italiano? Certe lacune dipendono dalla Federazione o serve un'analisi diversa? Puntare il dito non fa crescere
FIUMICINO – Questa volta Martinello è scosso. La sconfitta ci può stare, ma erano tali i numeri di coloro che gli avevano assicurato il loro appoggio, che mandarne giù la defezione o il tradimento richiede una notevole dose di autocontrollo. Cordiano Dagnoni è stato da poco rieletto presidente della Federazione con numeri inoppugnabili, sono semmai quelli di Martinello e Isetti a sottolineare l’inatteso capovolgimento di fronte.
Il campione olimpico di Atlanta ragiona al piccolo tavolo della sala stampa, dove ci ha raggiunto per raccontare il suo punto di vista. Nella sala dell’Assemblea stanno ancora votando le ultime cariche, ma ormai è stato detto tutto.
«Delusione, chiaramente – dice – ma grande rispetto per il risultato. Delusione perché è stato fatto un lavoro importante e molto capillare sul territorio. Non si è trattato di andare a intercettare i delegati, i soggetti che contano. Sono andato a monte, quindi nelle regioni più importanti, con un lavoro che aveva l’obiettivo di responsabilizzare la società, che da queste dinamiche sono escluse a tutti gli effetti…».
Un lavoro importante?
Un lavoro importante che ha portato anche qualche risultato. Sapere che in diverse assemblee provinciali qualcuno si è alzato per chiedere ai delegati come avrebbero utilizzato la loro delega, è già un risultato. Poi speriamo che finalmente queste regole di rappresentanza vengano affrontate seriamente, lavorando per avere uno Statuto più funzionale alle esigenze di una Federazione complessa come quella ciclistica.
Ti aspettavi che già al primo turno il margine fosse così ampio?
Mi ha sorpreso molto. Al primo turno ho preso meno voti di quattro anni fa, invece ero convinto di avere un sostegno maggiore. Cosa possa essere accaduto non lo so, magari a bocce ferme ci sarà la possibilità di fare una valutazione più serena. Ho il sospetto che ci siano state alcune delegazioni che avevano garantito una certa posizione e che poi abbiano modificato il loro atteggiamento. Ci può stare, per carità, anche io ho avvicinato qualche delegato e c’è stato chi mi ha ribadito di essere su posizioni diverse dalle mie.
Ti sei pentito di aver frequentato le società e non i delegati?
No, rifarei la stessa scelta. Ho ricevuto tanta vicinanza e tanta attenzione, però evidentemente le dinamiche vanno in altre direzioni. Prendiamo l’esempio del Veneto, dove abbiamo lavorato in modo capillare e i risultati si sono visti dal punto di vista dei numeri a disposizione. Su altre regioni ho provato a fare lo stesso lavoro, però entrano in gioco dinamiche difficilmente controllabili per chi si propone. A Stefano Bandolini non davo un centesimo, invece è diventato vicepresidente vicario. Sicuramente ci sono stati molti anche che hanno lavorato contemporaneamente su più posizioni, per tenersi aperte entrambe le porte, ma anche questo ci può stare.
Puoi aver pagato la scelta di avere accanto a te Renato Di Rocco?
Da quando mi ha manifestato la volontà di lavorare insieme, mettendosi a disposizione per portare acqua (probabilmente un’operazione che non ha mai fatto in vita sua), devo riconoscere che Renato si è impegnato moltissimo. Qualsiasi cosa abbia fatto, mi ha prima chiesto il benestare. Poi c’è stato Mario Valentini, che non è un semplice delegato. E’ uno che fa rumore, alza il telefono, chiama a destra e a sinistra. I nove atleti della Lombardia, che fanno parte del settore paralimpico, avevano ricevuto dal loro presidente Ercole Spada l’indicazione di venire con noi. Invece al ballottaggio hanno cambiato idea, per la paura che tornasse in gioco proprio Valentini. Non so che danni abbia fatto Mario sul settore paralimpico francamente, ma è andata così. Non sarebbero stati quei nove voti, sarebbe comunque arrivato prima Dagnoni.
Può darsi che certe alleanze siano state per te un boomerang?
Quando ho fatto la conferenza stampa in cui presentavo la mia squadra, sapevo che nel momento in cui avessi annunciato Di Rocco, le domande sarebbero andate in quella direzione. Eppure quello di Renato è stato un percorso correttissimo. Non ho mai disconosciuto il suo peso, ma ammetto che quando ho sentito l’applauso dopo l’intervento di Marco Toni, mi è scattato un alert (nella sua dichiarazione il dirigente lombardo ha fatto riferimento a candidati alle cui spalle agisce chi ha governato la Federazione per vent’anni, ndr).
Pensavi che il ballottaggio potesse ribaltare l’esito del primo turno?
No, quando ho visto che Dagnoni è passato al primo turno con 110 voti, sono andato a fargli i complimenti e lui ha fatto gli scongiuri. Allora gli ho detto che se non avesse raccattato sei voti al ballottaggio, non avrebbe meritato la riconferma. Perché a quel punto entrano in ballo altre dinamiche. C’è chi magari al primo turno ha avuto il coraggio di votare da una parte e poi passa di là. Sono passaggi che ci stanno in un sistema come questo.
Una sconfitta che brucia più o meno della volta precedente?
Mi sorprendono i numeri, perché ho preso meno voti dell’altra volta, dopo aver avuto la possibilità di lavorare sul territorio con strumenti diversi rispetto al 2020, quando a causa del Covid non ci si poteva neanche spostare. Questa scotta un po’ di più, ma il risultato va rispettato: l’Assemblea fa le proprie scelte e quelle sono. L’impegno è stato tanto, pensavo francamente di essere riuscito ad andare un po’ più in profondità, ma evidentemente non è bastato. Ho avuto due tentativi. Se la prima volta la scelta di ricandidarsi fu una scelta automatica per le modalità con cui avevo perso, adesso è difficile immaginare di farlo ancora.
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Non è stato facile, ma anche per quest'anno il Giro d'Italia Ciclocross si svolgerà regolarmente. Organizza la Asd Romano Scotti. Colmata grazie ad altre società l'assenza di sponsor ed Enti locali. Sette date da Nord a Sud, dal Friuli alla Puglia. Ci sono quasi 3.000 praticanti in tutta Italia.
Gli azzurri si sono mostrati uniti, ma con poche gambe e alla fine gli altri sono andati più forte. I crampi di Bettiol. E la scelta di non correre il Tour
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FIUMICINO – Cordiano Dagnoni sarà per altri quattro anni il presidente della Federazione ciclistica italiana. Così ha stabilito il ballottaggio. Al lombardo sono andati 138 voti, pari al 59,74 per cento. Lo sfidante Martinello si è fermato a quota 99, il 39,83 per cento. Gli elettori di Daniela Isetti, che al primo turno aveva raccolto 43 voti, sono stati l’ago della bilancia.
«Speravo di avere già la maggioranza al primo turno – dice Dagnoni – invece per usare un termine calcistico, ho preso il palo e non ho fatto goal. Tutto sommato però è ancora più gratificante vincere al secondo turno con un consenso ancora maggiore. Significa che chi aveva sposato una candidata, poi si è rivolto a me. Per cui va bene così, è durata solo un pochino di più.
«E’ stata una campagna meno velenosa della volta precedente, soprattutto da parte di Martinello. Quattro anni fa probabilmente sul piano della comuncazione era assistito da qualcuno che aveva toni più aggressivi. Questa volta, pur manifestando sempre la sua parte critica nei confronti dell’operato della Federazione, è stato molto più soft. Daniela Isetti invece si è mantenuta sempre sobria, come nel suo stile».
Apertura alle 7,30
La sveglia all’alba. Le operazioni di accredito sono state anticipate alle 7,30, la hall dell’Hotel Hilton a due passi dall’aeroporto è silenziosa. Un sottile brusio di sottofondo proviene dai capannelli di addetti ai lavori che aspettano la giornata campale. Un grosso display scandisce la registrazione dei delegati che voteranno il presidente della Federazione ciclistica italiana. I candidati sono tre, con Daniela Isetti e Silvio Martinello a sfidare Cordiano Dagnoni, che ha guidato il ciclismo nelle ultime tre stagioni.
Le considerazioni si susseguono, ma sono tutti concordi nel dire che il prossimo quadriennio dovrà segnare una svolta: il ciclismo italiano non ha più bonus da giocare. Quel che colpisce, nel frattempo, è rendersi conto che l’assemblea è popolata da anni dalle stesse facce. Oltre questo non ci è dato di vedere: la stampa ha a sua disposizione una stanza con una connessione internet e un monitor che mostra – quando funziona – le operazioni preliminari e poi quelle di voto.
Il presidente dell’Assemblea è stata Silvia Salis, vicepresidente vicario del CONILa stampa è in una sala a parte e segue le operazioni di voto attraverso uno schermo
Botte e risposte
Gli interventi dei tre candidati durano dieci minuti ciascuno e fra le righe si coglie la tensione che neppure si cerca di stemperare. Il debutto spetta per sorteggio a Martinello. Dice di aver posto subito la sua candidatura: nonostante una carriera passata spesso a ruota, dice, questa volta ha preferito prendere un po’ di vento. Fa un cenno alla vicenda delle provvigioni irlandesi che ha portato alle dimissioni Norma Gimondi, non invitata all’assemblea. Poi aggiunge che i numeri dimostrano la sofferenza dell’attività di base e che per questo bisognerebbe stare accanto alle società e fare in modo che i Comitati regionali siano soggetti più efficienti.
Dagnoni risponde punto su punto. Dice che per la storia dell’Irlanda sono stati indagati e prosciolti in ogni sede giudicante. Dice che Norma Gimondi non è stata invitata perché non aveva il titolo per esserci. Il presidente uscente ha già raccontato il suo programma nel fare la relazione di fine mandato e mostra grande sicurezza. La perfetta introduzione per Daniela Isetti, che invoca una Federazione più vicina alla base e parla di storia e pari opportunità, rievocando i nomi di Alfredo Martini e Alfonsina Strada.
Dieci minuti per Martinello, il primo a intervenireE dopo la replica di Dagnoni, ci sono i dieci minuti di Daniela IsettiDieci minuti per Martinello, il primo a intervenireE dopo la replica di Dagnoni, ci sono i dieci minuti di Daniela Isetti
Dagnoni presidente
Il tempo per tre interventi – da parte di Salvatore Bianco, Claudio Santi e Marco Toni – e poi si può votare. La spiegazione è chiara: avviene tutto in digitale e la votazione comincia. Il risultato del primo turno vede Dagnoni con 110 voti, Martinello con 77, Isetti con 43. C’è circa mezz’ora per l’avvio del ballottaggio, come annuncia Silvia Salis: la presidente dell’assemblea. E’ da poco passato mezzogiorno quando lo spoglio del ballottaggio proclama la vittoria di Dagnoni.
«Sono stati quattro anni molto impegnativi – prosegue Dagnoni – ma quando si vuole cambiare, bisogna anche rischiare. Per cui si è sbagliato anche qualcosa, si è fatto qualche passo falso, ma restare nella zona di comfort e non fare nulla era troppo facile. La Federazione non aveva bisogno di questo, per cui sono veramente grato per la fiducia che mi è stata rinnovata. Credo che la continuità sia la strada migliore per raccogliere i migliori frutti nei prossimi quattro anni. Su due piedi direi che per la parte tecnica, bisogna continuare sulla strada che abbiamo intrapreso. I risultati si sono visti da subito per cui non si abbassa l’asticella e si continua in quel senso.
«Per il resto, ci sono da affrontare altri settori più delicati, come quella della sicurezza che è legata all’impiantistica. Per cui il mio grido di allarme è sempre rivolto alle Amministrazioni che devono investire in infrastrutture e impiantistica, per fare sì che il nostro sport possa essere praticato in ambienti protetti e sicuri».
Il nuovo Consiglio federale. Da sinistra: Saia, Ragosta, Acquasanta, Checchin, Metti, Vietri, Puccetti, Confalonieri. Sotto, Dagnoni e Cornegliani (foto FCI)Il nuovo Consiglio federale: Saia, Ragosta, Acquasanta, Checchin (foto FCI)Si porsegue con Dagnoni e accanto a lui Cornegliani. Sopra Metti, Bandolin, Vietri (foto FCI)Ancora Vietri, Puccetti e Maria Giulia Confalonieri (foto FCI)
Il nodo dei cittì
I temi sul tavolo sono tanti, ma è evidente che Dagnoni non voglia entrare troppo nello specifico, non sapendo ancora quale sarà la composizione del prossimo Consiglio federale.
«Le cose che vanno bene – prosegue – bisogna lasciarle stare e credo siano state tante. Ci sono stati passi falsi. Come mi hanno sempre insegnato, un leader deve fare tanti errori, l’importante è che non faccia gli stessi. Per cui cercherò di fare tesoro dell’esperienza di questi quattro anni e le metterò a frutto. Non ho mai pensato di non ricandidarmi. Ha prevalso lo spirito dell’atleta, per cui la grinta c’è sempre stata. Ci sono stati invece dei momenti di tensione, dovuti anche a un Consiglio federale molto disomogeneo, in quanto rappresentanza di tre fazioni diverse. Molto spesso ci siamo trovati in posizioni di disequilibrio. Spero e auspico di avere un Consiglio più coeso e omogeneo, per lavorare in modo più sereno.
«Proprio per questo è ancora presto per parlare dei nomi dei commissari tecnici. Ho incontrato Bennati pochi giorni fa. Si mantiene un buon rapporto, ma ovviamente vediamo come saranno distribuite le varie deleghe all’interno del Consiglio. E poi ci saranno caselle da sistemare, come quella del CT dei professionisti, quello delle donne e quello della pista disabile. Ho detto a Silvano Perusini, come a Bennati, che le porte non sono chiuse».
Dagnoni presidente della Federazione: la proclamazione è appena avvenuta (foto FCI)Dagnoni presidente della Federazione: la proclamazione è appena avvenuta (foto FCI)
La Federazione che verrà
Per parlare del resto ci sarà tempo, così come ci sarà da parlare con Martinello per capire che cosa a suo avviso non abbia funzionato. Il rischio c’era. Il padovano ha incontrato le società, Dagnoni intanto incontrava i delegati che poi avrebbero votato. Questo ci ha ricordato una battuta di Giancarlo Ceruti, che sfidato da Francesco Moser nel 2001, vinse e fece un commento di grande realismo politico: «Moser si è fatto fotografare con tante gente, ma tutta gente che non votava».
«In questo quadriennio – chiude il neo presidente della Federazione – mi sento più sicuro anche nell’aver imparato tante dinamiche gestionali all’interno di una Federazione che credo sia una veramente delle più complesse per il numero di discipline e specialità. Comunque una Federazione che ha bisogno davvero di essere riportata a livello che merita».
Lo scorso 20 dicembre, a Milano, in occasione del consueto Giro d’Onore, si è aggiunto un nuovo capitolo a una partnership importante ed oramai storica che incarna la passione e l’orgoglio per lo sport italiano. Castelli e la Federazione Ciclistica Italiana hanno difatti annunciato il rinnovo del loro reciproco legame tecnico per altri quattro anni, ufficializzando che il celebre logo dello scorpione continuerà a vestire tutte le Nazionali azzurre fino al 2028.
Negli ultimi anni, Castelli ha accompagnato la Nazionale nei momenti più gloriosi, contribuendo a scrivere pagine memorabili della storia del ciclismo italiano. Tra i successi più importanti si annoverano l’oro olimpico di Elia Viviani nell’omnium maschile a Rio 2016 e i trionfi mondiali del 2021 nelle Fiandre, con Filippo Ganna nella cronometro maschile elite ed Elisa Balsamo nella prova in linea femminile. Anche le competizioni su pista hanno regalato grandi emozioni: l’inseguimento a squadre ha conquistato l’oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020, mentre la madison femminile ha visto Chiara Consonni e Vittoria Guazzini salire sul gradino più alto del podio olimpico a Parigi 2024.
Castelli continuerà a vestire la nazionale italiana fino al 2028Tanti i successi raccolti insieme, in particolare su pistaCastelli continuerà a vestire la nazionale italiana fino al 2028Tanti i successi raccolti insieme, in particolare su pista
Una passione condivisa
«Quando pensiamo all’Italia del ciclismo – ha dichiarato Alessio Cremonese, CEO di Manifattura Valcismon – pensiamo a Castelli. Rappresentare il nostro Paese è per noi motivo di grande gioia. Questa partnership non è solo una questione di marchio o innovazione, ma è alimentata dalla passione per lo sport italiano. Il nostro obiettivo è continuare a vedere gli italiani vestiti in azzurro, celebrare nuovi successi e portare l’Italia sul tetto del mondo, innovando costantemente il futuro del ciclismo».
«Siamo orgogliosi di proseguire la collaborazione con un marchio che rappresenta l’eccellenza del ciclismo italiano – ha ribattuto il Presidente dell Federazione Ciclistica Italiana Cordiano Dagnoni – e questo rinnovo è il frutto di una fiducia reciproca e di un impegno condiviso per portare la Nazionale a nuovi traguardi. Con Castelli condividiamo la passione per lo sport e l’attenzione all’innovazione e alla sostenibilità, elementi fondamentali per il futuro del ciclismo azzurro».
Steve Smith, Brand Manager CastelliSteve Smith, Brand Manager Castelli
Tecnica e sostenibilità
Sul fronte dell’abbigliamento, Castelli conferma il proprio ruolo di riferimento per quanto riguarda l’innovazione. Gli atleti azzurri continueranno a indossare capi di punta della collezione, come la maglia Aero Race 8S, il body Sanremo S Speed Suit e la giacca Gabba R, progettati per garantire aerodinamicità, leggerezza e massimo comfort sia in gara che in allenamento. L’impegno verso la sostenibilità rappresenta un ulteriore pilastro della collaborazione: molti capi Castelli sono difatti realizzati con tessuti in fibre riciclate ad alte prestazioni, dimostrando che performance e rispetto per l’ambiente possono ben coesistere.
Con questa visione condivisa, Castelli e la Federazione Ciclistica Italiana guardano al futuro, pronte a scrivere nuove pagine di successo per il ciclismo italiano, oltre ad ispirare le prossime generazioni di campioni.
Se all’elezione del prossimo presidente federale si procedesse per titoli, Daniela Isetti partirebbe con una dotazione di primissimo piano. E’ stata per due mandati vicepresidente della Federciclismo. Oggi è consigliere Uci, ma anche assessore alla Promozione del benessere della persona con deleghe al Welfare, allo Sport e agli Eventi del Comune di Salsomaggiore Terme. Ha fatto parte del Consiglio Nazionale del CONI e ne è vicepresidente in Emilia Romagna. E’ stata lei, con il Centro Studi, a gettare le basi dell’attuale Team Performance della Federazione. Fa parte della UCI Woman’s Commission. E’ stata Assessore allo Sport, cultura, eventi, politiche giovanili del Comune di Salsomaggiore Terme, la sua città. Il suo punto debole, che tale non dovrebbe essere, è il fatto di essere donna, nello sport italiano che professa la parità eppure ha eletto due sole donne ai vertici di federazioni nazionali.
Sembrava che le elezioni del 2021 avrebbero fatto della Federciclismo il pilota del cambiamento: si disse che il presidente uscente Di Rocco la avesse individuata come suo successore. Invece quei voti si spostarono verso l’attuale presidente Dagnoni. Si disse nella confusione di quei giorni che pur di non far vincere Martinello, Di Rocco avesse preferito sostenere il dirigente lombardo, che poi lo tagliò fuori dalla Federazione. Comunque sia, dopo il primo tentativo del 2021, Isetti si candida nuovamente e nuovamente ha le idee molto chiare. Il suo programma, estremamente dettagliato, ha una visione sferica del ciclismo. Lo analizza infatti a 360 gradi e con grande profondità.
Dagnoni, Isetti, Di Rocco, Martinello: i 4 candidati del 2021. Di Rocco avrà un ruolo anche questa volta? (foto Fci)Dagnoni, Isetti, Di Rocco, Martinello: i 4 candidati del 2021. Di Rocco avrà un ruolo anche questa volta? (foto Fci)
Come già chiesto a Silvio Martinello, qual è la fotografia del ciclismo italiano secondo Daniela Isetti?
C’è bisogno di una riflessione profonda per arrivare a una modalità che finora non abbiamo ancora esplorato, nel rispetto della nostra storia e delle società. Abbiamo bisogno di recuperare il contatto con la base, perché il ciclismo ha perso terreno. In Italia è diverso rispetto ad altre Nazioni. Si parla tanto della Slovenia che ha così poche società e sforna quei campioni. Io credo che averne tante come da noi sia invece un patrimonio. Intorno alla bicicletta sta nascendo un movimento sociale fortissimo, le nostre società devono interagire maggiormente con le Amministrazioni, non solo per l’aspetto agonistico che pure resta centrale. Conosco l’attività delle società di base. Vedo quali difficoltà ci sono e anche quali sono le ricette che in alcune zone le rendono vincenti.
Perché il ciclismo ha perso terreno?
Le società soffrono per la riforma che le riguarda direttamente. Non tutti erano e sono ancora pronti per affrontare la riforma del primo luglio 2023. E trovo che già in questo la Federazione, attraverso i comitati provinciali e regionali, dovrebbe attivare dei servizi di appoggio e consulenza per chi fa attività e ha problematiche di tipo amministrativo. Detto questo, si vede una certa spaccatura fra l’attività giovanile e quella agonistica. La prima si fa bene sfruttando la possibilità di parchi chiusi e un ambiente sicuro. In quest’ottica, vedo davvero di buon occhio il progetto Bici in Comune, lanciato da ANCI, Ministero dello Sport e Sport e Salute.
Bici in Comune è stato siglato dall’onorevole Pella, il ministro dello sport Abodi e Mezzaroma di Sport e SaluteBici in Comune è stato siglato dall’onorevole Pella, il ministro dello sport Abodi e Mezzaroma di Sport e Salute
Perché?
Perché dà la possibilità di incentivare la mobilità ciclabile e l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto sostenibile. Riqualificare e garantire la sicurezza delle piste ciclabili esistenti. Finanziare progetti relativi all’organizzazione di eventi aggregativo-sportivi ciclistici e di attività cicloturistiche (le candidature per i Comuni saranno aperte fino alle 12 del prossimo 13 gennaio, ndr). E’ uno strumento che spero possano abbracciare in tanti.
Mentre le categorie agonistiche?
Salendo di livello si assiste al depauperamento dovuto alle difficoltà di reclutamento dei ragazzi da parte delle società, per non parlare di tutta la discussione in atto su juniores e under 23. Serve riattivare un discorso di filiera per recuperare numeri e attività. Viste le recenti sentenze in tema sicurezza, le società che organizzano hanno ben più di una preoccupazione e la Federazione deve stargli acanto per evitare che cessino l’attività.
Il Team Performance guidato da Bragato nasce dal Centro Studi voluto da Daniela IsettiIl Team Performance guidato da Bragato nasce dal Centro Studi voluto da Daniela Isetti
Idee molto chiare sulla base: riparte tutto da lì?
Sono anche molto legata all’alto livello. Il Centro Studi che adesso si chiama Team Performance nasce dal mio incarico precedente in Federazione, ma è chiaro che la ricostruzione deve partire dal basso. E’ stato fatto tanto, ma è evidente che non sia sufficiente, perché siamo di fronte a una riforma epocale. Le società sportive hanno un valore sociale riconosciuto da Sport e Salute (la società dello Stato che si occupa dello sviluppo dello Sport in Italia, ndr). L’attività sportiva è stata inserita nella Costituzione, per cui abbiamo davanti una prateria di iniziative possibili. Serve che la FCI sia più capillare per dare modo a tutti di lavorare in serenità. Se perdiamo il presidio del territorio, non lo recuperiamo più. Per questo dico che una Federazione ambiziosa deve saper coltivare i rapporti con le Istituzioni.
Tutto questo potrebbe infrangersi contro lo statuto federale che per molti aspetti è limitativo.
Lo statuto e la sua riforma sono forse fra i pochi punti che nel mio programma sono stati messi in grassetto. Abbiamo regolamenti da riscrivere, non sono più attuali: sono troppo complicati e poco chiari, fatti in modo che per ogni decisione sia possibile un’alternativa di segno opposto. E’ fondamentale riscriverli e farlo con un lavoro corale, ma anche con una buona dose di professionismo, per non scrivere nuovamente un documento che lasci spazio a interpretazioni. La democrazia deve essere accessibile per tutti e ogni determinazione che sarà presa dovrà essere chiara e leggibile.
Isetti ha seguito le Olimpiadi di Parigi. Qui con Fiona MayIsetti ha seguito le Olimpiadi di Parigi. Qui con Fiona May
Sta reclamando maggiore trasparenza?
La trasparenza è parte del mio programma. Se tutti hanno accesso alle informazioni e alle decisioni, si può avere una vera crescita.
Servirà trasparenza anche nella prossima Assemblea federale?
Me lo auguro, visto che io per prima sono stata vittima di una serie di giochi non proprio chiarissimi. Spero che il 19 gennaio ci siano rapporti diversi, perché certe manovre si riflettono direttamente sul movimento. Spero ci sia maggiore maturità da parte dei candidati e degli elettori, perché la scelta sia basata su motivazioni oggettive e non su conveniente personali. E spero ancheche le scelte non avvengano per le promesse ricevute, ma sulla base degli obiettivi. Le promesse non portano lontano e un Consiglio federale composto da troppe anime non consentirà di lavorare in modo costante. Si finirebbe col perdere la maggior parte del tempo e delle risorse in dinamiche di politica interna, perdendo efficacia nella propria azione.
Michael Antonelli è morto nel dicembre 2020, dopo l’incidente alla Firenze-Viareggio 2018Michael Antonelli è morto nel dicembre 2020, dopo l’incidente alla Firenze-Viareggio 2018
Ci sono fronti di vera urgenza?
Ci sono situazioni su cui bisogna intervenire rapidamente. Una su tutte è la sicurezza stradale di tutti i giorni e subito dopo ci sono le problematiche legate alla sicurezza in gara. Vanno affrontate entrambe in maniera urgente, per evitare che le strade siano sempre meno sicure e che le società, a fronte delle ultime sentenze (il riferimento è alla sentenza per la morte di Michael Antonelli, sulla quale la corte ha stabililto che si poteva evitare segnalando la pericolosità della curva in cui cadde, ndr), preferiscano tirare i remi in barca. Poi ci sarà da capire dall’interno le dinamiche del bilancio federale e capire quali siano davvero i margini di manovra.
Si lamenta da più parti l’assenza dell’Italia dai tavoli internazionali su cui le riforme vengono scritte.
Non è una riflessione sbagliata. L’Italia ha Enrico Della Casa che molto probabilmente verrà rieletto alla guida del ciclismo europeo. Io sono in UCI, ma senza il supporto della Federazione. Se avessi dietro una Federazione forte, anche i rapporti in seno all’UCI potrebbero cambiare, ma così finora non è stato. Ci sarebbe la possibilità di fare di più. Per ora un motivo di soddisfazione è aver accompagnato Treviso al riconoscimento di UCI Bike City Label, assegnato in occasione dei mondiali di Zurigo alla città veneta come pure a Tokyo. Prima in Italia c’era solo la Val di Sole. Le città inserite in questo speciale elenco sono ora 29 e sono state inserite per la loro determinazione nel puntare sulla bicicletta come modalità di trasporto e mobilità alternativi. Dimostra che se vogliamo, possiamo lavorare bene anche all’interno dell’UCI. Ma serve la presenza di una FCI forte che ci creda e finora non c’è stata.
In tema di presenza italiana ai vertici internazionali, Della Casa, a sinistra, ha ottime chance di essere rieletto alla guida della UECIn tema di presenza italiana ai vertici internazionali, Della Casa, a sinistra, ha ottime chance di essere rieletto alla UEC
Ci interessa molto la sua visione di insieme, che parte dalla base, include il legame con il territorio e sale fino al vertice.
Dobbiamo rimettere in moto questo tipo di volano, per essere proattivi rispetto alle politiche locali, che possono dare una spinta diversa e creare condizioni favorevoli per le società di base. Nel mio programma si lavora per questo, creando però anche un ponte fra il vertice e la base, coinvolgendo lo sport dei grandi con quello dei piccoli in modo che anche loro si sentano parte della stessa grande famiglia. Come ciclismo abbiamo una storia meravigliosa, che è la storia del Paese, di cui non dobbiamo dimenticarci. Tuttavia dobbiamo fortemente attualizzarla.
PADOVA – Quasi Natale, un mese alle elezioni federali di Roma. Tre anni fa Martinello fu sconfitto da Cordiano Dagnoni per lo spostamento di voti durante il secondo turno di votazioni e già allora si ripromise di tornare. Che cosa è cambiato in lui nel frattempo? E che cosa è cambiato nel ciclismo italiano? Partiamo da qui, dal chiedergli la fotografia, secondo lui, del nostro movimento.
Martinello ha 61 anni. Da corridore è stato un grande pistard e un ottimo velocista. In pista ha vinto un oro e un bronzo alle Olimpiadi e cinque titoli mondiali. Da quando nel 2000 smise di correre ha aperto la sua palestra a Tencarola, alle porte di Padova, ed è stato opinionista televisivo e ora radiofonico in RAI.
Martinello sicuro: l’Italia ha raggiunto livelli di eccellenza in ambito maschile e femminileMartinello sicuro: l’Italia ha raggiunto livelli di eccellenza in ambito maschile e femminile
Che cosa ti sembra del ciclismo italiano oggi?
In alcuni settori, pensiamo alla pista, abbiamo un movimento di vertice molto importante. Siamo a tutti gli effetti un riferimento a livello internazionale, in ambito maschile e femminile. Nel settore endurance sono stati fatti dei progressi come pure nel settore velocità dove si è iniziato a lavorare, dato che per tanti anni non si era fatto nulla. I progressi ci sono stati, c’è un margine ancora ampio per arrivare ai massimi livelli che sarà colmabile solo ed esclusivamente con un progetto serio. E’ un ciclismo che in ambito professionistico ha delle eccellenze. Poi però c’è una base in grande sofferenza. Alcune categorie, la juniores, la under 23 e l’ambito continental, ci vedono ai margini del contesto internazionale. Abbiamo impiegato del tempo a capire la riforma entrata in vigore a metà degli anni 90, siamo in grave ritardo ed è un movimento che sotto questo punto di vista sta soffrendo molto.
Si potrebbe obiettare che negli juniores si sta tornando a vincere anche su strada.
Quando si parla di malessere e criticità del nostro ciclismo, di solito a chi lo gestisce salta la mosca al naso. Non sto negando i risultati che ci sono stati, fermo restando che bisognerebbe avere l’umiltà, la capacità e la razionalità di leggerli e interpretarli. Sottolineare certi numeri torna utile al megafono della propaganda, me ne rendo conto. E a quel punto, non serve neanche andare a vedere che il numero dei tesserati e delle società è in calo ed è un dato incontestabile. Si capisce che nel medio-lungo periodo, questo creerà delle gravissime difficoltà.
E cosa si fa?
Si può decidere di lasciare andare la barca o si decide di intervenire con politiche di attenzione. La Federazione ha il compito di creare le condizioni per arginare questa tendenza e poi per cercare di invertirla. Dovrebbe creare i presupposti – dal punto di vista economico, delle normative e della promozione – perché il movimento torni a crescere. Un serio piano di promozione, che magari parta dalle scuole, aiuterebbe le società nel reclutare gli atleti. Nei giovanissimi abbiamo dei bei numeri, negli esordienti si comincia a soffrire. Quando cominciano le categorie agonistiche, il ciclismo su strada soffre vari problemi, fra cui la sicurezza. Per fortuna ci sono tante altre discipline anche più accattivanti. Pensiamo al fuoristrada, per fare un esempio.
Trofeo Ekoi Body Energie a Villafranca di Verona, partenza degli esordienti: la categoria che registra i primi cali (photors.it)Trofeo Ekoi Body Energie a Villafranca di Verona, partenza degli esordienti: la categoria che registra i primi cali (photors.it)
Non credi che l’attuale Federazione stia facendo qualcosa del genere?
Per natura non sono un pessimista, però vedo la mancanza di visione e di una certa intraprendenza anche nel cercare di battere strade nuove. Serve il coraggio di andare in nuove direzioni, che non vuol dire rottamare il passato. Ma bisogna prendere atto che il mondo sta cambiando e dobbiamo adattarci, mettendo in atto delle tutele per questi ragazzi, a fronte di un movimento che va a intercettare l’eccellenza in età sempre più giovanile. Ne stiamo bruciando tanti, sia perché magari non hanno la capacità di rispettare le attese, ma soprattutto dal punto di vista psicologico. Le pressioni cui sono sottoposti in età ancora non matura a un certo punto li porta a fermarsi. E questo è un problema che non riguarda solo noi, ma il movimento internazionale.
I tesseramenti in calo riducono anche la base da cui vengono fuori i talenti?
Non c’è dubbio, è riconosciuto da chiunque si occupi di statistiche. Dobbiamo fare attenzione a questa base che si sta assottigliando e che ci obbliga a guardare con attenzione a un futuro non più lontanissimo. Sono problemi che stiamo già toccando con mano e che saranno sempre più reali e presenti. Aggiungiamo il calo demografico e il fatto che al momento di scegliere, le famiglie hanno decine di opportunità con cui il ciclismo deve mettersi in concorrenza. Pertanto dobbiamo anche modificare il nostro approccio, senza sbandierare in modo eccessivo la fatica che spaventa le persone. Non è un caso che il settore del fuoristrada abbia numericamente un riscontro maggiore, perché ha un approccio più divertente che aiuta a reclutare i ragazzini, oltre a poter togliere dal discorso i problemi legati al traffico.
La Federazione ha creato una super struttura per le nazionali e la sensazione è che la maggior parte delle risorse sia stata messa lì.
Questo tipo di assetto è lo stesso che avevo indicato nel mio programma di quattro anni fa. Di fatto lo hanno riproposto e realizzato. L’alto livello della struttura non dipende dal fatto che viaggino o meno col pullman, quello è relativo. Tutto ciò che è stato costruito intorno alle squadre nazionali nasce anche da scelte del passato, lo stesso Davide Cassani andava in questa direzione. Pertanto quello è un aspetto assolutamente da consolidare. Semmai mi sarei aspettato che le esperienze tecnico-scientifiche raccolte fossero trasmesse anche in basso, invece il Team Performance è un club chiuso, da cui non trapela nulla come per il rischio di spionaggio industriale. Sarebbe importante invece che questo lavoro, tra l’altro molto efficace, potesse essere veicolato anche alla base.
I bike park del fuoristrada rendono, come conferma Martinello, il ciclismo divertente e anche più sicuroI bike park del fuoristrada rendono, come conferma Martinello, il ciclismo divertente e anche più sicuro
Si torna sempre a parlare della base…
Io credo che la vera priorità sia quella, anche economicamente. Le medaglie sono importanti e credo di parlare con cognizione di causa, visto che so cosa c’è dietro alla conquista di una medaglia, ma le medaglie vanno pesate. Quindi concentriamoci ed inseguiamo quelle che servono, ma per il resto dedichiamoci a sostenere la base che è la priorità del futuro prossimo. Serve gente qualificata anche nel Consiglio federale. Non dimentichiamo che lo Statuto ci impone di lavorare alla composizione di una squadra di qualità e di competenza certificata. Perché è vero che il presidente Dagnoni qualche problema l’ha avuto e ha trasmesso qualche segnale di inadeguatezza, ma purtroppo per lui non era accompagnato da una squadra in grado di aiutarlo a commettere meno errori. E allora una cosa ve la dico: il 10 gennaio sarà indetta una conferenza stampa anche per presentare la mia squadra.
Da chi sarà composta?
Proporrò soggetti di chiara e certificata competenza, perché io non ho nessuna intenzione di circondarmi di persone che mi diano le pacche sulle spalle e mi dicano quanto sono bravo. Io ho bisogno di gente che ascolterò con grande attenzione, che rompa molto le scatole. Sul tavolo ci sono dei problemi enormi e mi piacerebbe che si trovassero le soluzioni, non per la gloria di Silvio Martinello, ma per l’interesse del ciclismo italiano.
Che cosa hai imparato dalle elezioni precedenti?
Mi sono portato via gli errori che ho commesso, non ho problemi a riconoscerli. Furono un’assemblea e una campagna particolari, condizionate dall’emergenza sanitaria in cui eravamo coinvolti. Arrivai con grande determinazione e non feci la necessaria attenzione a non scivolare nei tranelli che nel frattempo erano stati tesi, rispondendo punto su punto ad ogni provocazione. Questo ha consentito a qualcuno di veicolare il messaggio che io fossi un soggetto autoritario, egocentrico, ancora con il numero sulla schiena.
Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, ratificato dal Coni solo pochi giorni fa (foto FCI)Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, ratificato dal Coni solo pochi giorni fa (foto FCI)
In che senso?
Nel senso che mi sentissi ancora corridore e fossi ancora lì a sgomitare. Nulla di tutto questo, ho il mio carattere, certamente, ma sono uno a cui piace molto ascoltare. Prendo decisioni, ma dopo aver valutato e analizzato. Credo che questi messaggi abbiano fatto presa e condizionato il voto di alcuni presenti nell’assemblea, dove solo pochi prendono decisioni per un movimento invece molto complesso. Eppure ritengo quel primo turno fu molto soddisfacente, nonostante i tanti condizionamenti che ci sono stati. Mi ha permesso di capire che un’ampia parte del movimento credesse e ancora crede nella necessità di voltare pagina.
Che cosa è successo negli ultimi tre anni?
Sono passati a vuoto. Sarebbero stati l’occasione per fare scelte ragionate, che ora dovranno essere necessariamente coraggiose, perché il tempo non è tantissimo. Scelte condivise, soprattutto. Il Consiglio federale, se sarò investito di questa responsabilità, verrà chiamato a un lavoro importante. Colgo l’occasione per ripetere che sarà utilizzato solo ed esclusivamente il criterio della competenza. Ci saranno commissioni snelle, composte da soggetti competenti per la materia specifica. La nostra Federazione è molto complessa, io ho il mio percorso personale che spazia fra la pista e la strada e non mi permetto nemmeno di ragionare su altre discipline che non sono in grado di affrontare con la competenza necessaria.
Hai parlato dello statuto: non si era detto che riscriverlo fosse una necessità?
Tre anni fa tutti i candidati ne avevano proposto la modifica. Solo uno ha avuto la possibilità di farlo, ma ha spiegato la scelta di non farlo con due motivazioni inconsistenti. La prima pare sia stato il fattore economico. Ha parlato di 400 mila euro per organizzare un’assemblea straordinaria, mi chiedo se volesse organizzarla in resort esclusivo. Un’assemblea ha dei costi, ma francamente ritengo che siano ben al di sotto di quella cifra. La seconda giustificazione invece mi sembra molto grave e certifica, a mio avviso, l’inadeguata della guida federale.
Le precedenti elezioni federali videro in lizza Dagnoni, Isetti, Di Rocco, Martinello (foto Fci)Le precedenti elezioni federali videro in lizza Dagnoni, Isetti, Di Rocco, Martinello (foto Fci)
Quale è stata?
Dato che dalla scorsa assemblea il movimento è uscito con una divisione piuttosto netta tra le fazioni di Dagnoni, Isetti e Martinello, il presidente ha dichiarato che non sarebbe stato certo di poter portare in assemblea straordinaria lo statuto che aveva in mente lui. Domanda: lo statuto è lo strumento di cui il movimento deve dotarsi per essere più funzionale alle proprie esigenze oppure viene realizzato per le esigenze di una sola parte? Nella commissione che lavorerà al nuovo statuto, a parte i nomi di saggi che tutti conosciamo e che possono lavorare ad uno strumento così delicato, vorrei gli uomini e le donne indicati dai singoli candidati. Deve essere lo strumento della Federazione, non di Dagnoni, di Martinello o di chiunque sarà.
Perché è necessario cambiare lo statuto?
La composizione del Consiglio federale è anche un esercizio di equilibri geografici territoriali e le dinamiche assembleari possono risultare un limite. La Federazione ha bisogno di un nuovo strumento di rappresentanza, per cui entro la fine del 2026 sarà indetta un’assemblea straordinaria per il nuovo statuto. Bisogna dare voce alle società, c’è poco da fare e questo è un impegno chee mi sento di prendere.
Tu hai girato parecchio, che cosa hai visto sul territorio?
Ho voluto incontrare le società, non per caso. I miei competitor invece si stanno dedicando a incontrare i delegati. Sono quelli che votano, per carità, il ragionamento non fa una piega. Ma io fin dal momento in cui ho ufficializzato la mia candidatura, ancora nello scorso mese di giugno, ho parlato di scelte responsabili e consapevoli. Significa che le nostre società, che sono la spina dorsale del movimento, in realtà vengono considerate un problema. Non vengono tenute in considerazione nell’Assemblea nazionale, dove sono presenti tramite i delegati eletti nelle provinciali. Il fatto di girare per esempio in Veneto, Friuli, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio è servito, per spiegare alle società i punti fondamentali del mio programma. Sono stati momenti utilissimi, ho un quaderno alto così, perché c’è voglia di confronto. Fare scelte consapevoli significa che le società hanno il diritto di chiedere ai delegati quale sarà il loro voto, cosa che poi è accaduta di molte assemblee provinciali. Aggiungo un dettaglio…
Martinello ha girato l’Italia, come si può notare dagli appuntamenti sul suo sito, incontrando le societàMartinello ha girato l’Italia, come si può notare dagli appuntamenti sul suo sito, incontrando le società
Quale?
Questo tanto girare, ribadisco un dettaglio non banale, io l’ho fatto a spese di Silvio Martinello. Sono consapevole che in assemblea un delegato possa cambiare opinione venti volte, ma nell’attesa di avere un nuovo statuto che permetta alle società di esprimere la propria preferenza anche a livello nazionale, è giusto pretendere che i delegati rispondano del loro voto.
Il presidente Dagnoni ha detto di aver fatto molto per agevolare le società.
Io ho percepito una lontananza siderale. Non dimentico che siamo un popolo che si lamenta molto ed è abituato a scaricare le responsabilità sugli altri, però c’è una grande distanza, certificata dai comportamenti di questa Federazione. Vogliamo parlare di trasparenza? Vogliamo parlare di coinvolgimento? Basta leggere i comunicati ufficiali dopo i Consigli federali. Nessuno di noi sa cosa effettivamente viene deciso. Nel momento in cui, ai primi di giugno, il Consiglio federale ha certificato il bilancio del 2023, che poi è stato certificato dal CONI qualche settimana fa, nel comunicato pubblicato sul sito federale se ne dava un minimo cenno e si parlava invece del nuovo accordo con Infront. Si costruiscono comunicati ad arte per distogliere l’attenzione dai veri problemi. Il confronto e la trasparenza sono fondamentali in una macchina complessa come la Federazione, anche per legittimare chi è stato investito dalla responsabilità di guidarla. Tutto questo c’è stato pochissimo nei primi mesi, mentre è completamente scomparso dopo le nostre vicende dell’estate del 2022.
Cosa successe?
Si sono sentiti accerchiati per una vicenda che non è mai stata spiegata del tutto, quella dei contributi irlandesi, e si conoscerà solo ed esclusivamente nel momento in cui qualcuno andrà ad aprire quei cassetti. Per l’opinione pubblica magari è una vicenda chiusa, ma non lo è per chi ha sempre mantenuto l’attenzione sul caso. E si tratta della conferma che lo stesso Consiglio federale non fosse informato di quelle scelte. I componenti hanno dovuto firmare una dichiarazione di riservatezza. Potevano essere tutti più coraggiosi e pretendere di sapere, come Norma Gimondi, invece sono rimasti tutti buoni al loro posto.
Le dimissioni di Norma Gimondi (qui con Giovanni Malagò) sono rimaste una pagina critica nella gestione federaleLe dimissioni di Norma Gimondi (qui con Giovanni Malagò) sono rimaste una pagina critica nella gestione federale
Ritroveremo nella contesa elettorale con ruoli diversi anche personaggi come l’ex presidente Di Rocco e Lino Secchi, candidato alla presidenza.
A Secchi ho fatto una corte spietata, mi sarebbe piaciuto averlo a disposizione. Lino è stato il riferimento di tanti presidenti regionali per la sua esperienza, la sua capacità di dialogo e la sua conoscenza. Nel momento in cui mi ha comunicato la scelta di candidarsi, gli ho augurato buona fortuna. Quanto a Di Rocco, ci siamo dati qualche sportellata, però è impossibile non riconoscere il suo profilo dirigenziale. Un dirigente di alte qualità che potrebbe aiutare molto a portare avanti le nostre istanze sui tavoli internazionali. Le nostre e quelle di altri movimenti nazionali, come quello spagnolo che è pure in grande sofferenza. Se avessi vinto quattro anni fa, non mi sarei privato della sua esperienza e certo non avrei mai pensato a un suo allontanamento con le modalità con cui è avvenuto. Non credo che rottamare persone valide sia una strada da seguire, cosa ben diversa invece è pretendere di avere solo persone competenti. Il fatto che chi vince prende tutto e chi non vince è fuori dai giochi è stata una scelta che ci ha impoverito.
Perché ti sei ricandidato?
Con il nuovo statuto dovremo cercare maggiori collegialità e condivisione. Non ho altri obiettivi, tutelerei meglio i miei interessi personali continuando a occuparmene. Nella vita mi sono realizzato, anche nel post carriera. Grazie al cielo e sempre grazie al ciclismo, conduco una vita dignitosa, ma è arrivato il momento in cui voglio restituire qualcosa. Mettere la mia esperienza a disposizione dei tanti che mi hanno spinto in questa direzione e sono riusciti a convincermi che io possa dare qualcosa. Ebbene, Se posso dare qualcosa, io ci sono. Se invece dobbiamo andare avanti in modo che nulla cambi, allora non è una cosa che mi interessa.
Grazie al Team Bike Terenzi, torna il Gp della Liberazione a Roma. L'ultima volta vinse Fedeli. Percorso classico di Caracalla. Apertura a junior e allievi
MILANO – Il Giro d’Onore della Federazione ciclistica italiana diventa la celebrazione del quadriennio appena concluso. La sede è istituzionale come più non si potrebbe: l’Auditorium Testori presso la sede della Regione Lombardia, nella Piazza Città di Lombardia in cui per le Feste è stata montata una pista di pattinaggio su ghiaccio che ribolle di ragazze e ragazzi.
«Il Giro d’Onore – dice Dagnoni dal palco – è l’evento ormai imperdibile per tutti gli atleti, i tecnici e tutti i nostri operatori. Ma anche per tutti gli appassionati che possono vedere proprio in questa occasione il meglio del nostro ciclismo. Direi che vedere atleti, atlete, tecnici tutti orgogliosi di poter celebrare, festeggiare i successi di un’annata fantastica come questa è anche per me motivo di grande orgoglio. Il 2024 è stato un anno fantastico perché chiude un quadriennio, ma è stato anche un anno olimpico. Un anno che ci ha regalato grandi soddisfazioni sia alle Olimpiadi che alle Paralimpiadi. E’ un 2024 che con queste 105 medaglie fa chiudere un quadriennio a 454 medaglie, che è un risultato importante. E’ il 60 per cento del quadriennio precedente che già era stato un buon anno. Mi dicono spesso che sono un presidente fortunato, però io la prendo anche volentieri: forse tra un bravo presidente e uno fortunato rende di più quello fortunato».
Il presidente della Federazione è rimasto sul palco per tutto il tempo, raccontando, premiando, ridendo. Nella platea dell’Auditorium si ripete il consueto sfarzo di grandi campioni: le assenze giustificate sono quelle degli atleti ancora impegnati nelle gare del cross e nei ritiri con i rispettivi team. A Vittoria Guazzini viene consegnato il Collare d’Oro del CONI per la madison olimpica in coppia con Chiara Consonni. La toscana infatti era ancora in ritiro con la FDJ Suez quando a Roma si è svolta la prestigiosa cerimonia.
Il presidente Dagnoni ha raccontato il suo quadriennio alla vigilia del Giro d’Onore in una conferenza stampaIl presidente Dagnoni ha raccontato il suo quadriennio alla vigilia del Giro d’Onore in una conferenza stampa
Amico Malagò
Prima della festa, nella sala stampa all’undicesimo piano, il presidente della Federazione Dagnoni ha raccontato i suoi numeri e fatto il punto della gestione. Al suo fianco Federica Picchi, il Sottosegretario regionale con delega alla Sport e Giovani, e Giovanni Malagò, presidente del CONI.
La conta delle medaglie è stata, come prevedibile e come probabilmente avrebbero fatto tutti, il punto d’avvio del discorso. I numeri sono notevoli, il ciclismo è una fucina di titoli. Il 10 per cento delle medaglie di Parigi 2024 è venuto dai nostri ragazzi e il siparietto fra i due presidenti è probabilmente qualcosa di già visto, ma se qualcuno non vi ha mai assistito, lascia il segno. Colpisce anche la battuta del presidente federale lombardo, nella sede lombarda che parlando col massimo dirigente dello sport nazionale fa la battuta che alle prossime elezioni sarebbe un peccato non vincesse un candidato lombardo, essendo lui il solo. Malagò che ride avallandolo fa uno strano effetto. Avrebbe potuto opporre le mani e dire: chiunque vincerà avrà il nostro appoggio e sarà l’espressione della base. Invece, coinvolto dal clima di festa e battute, si presta non si sa quanto inconsapevolmente allo spot elettorale.
«Qualità delle medaglie – ha chiosato Malagò – la loro percentuale, anche rispetto al record di quelle vinte non solo alle Olimpiadi. Però il ciclismo al di là di tutto è la storia del Paese e questo è qualcosa che onestamente non gli toglierà nessuno. E soprattutto continua ad esserlo e secondo me lo sarà per sempre».
Malagò non ha mai fatto mancare la sua vicinanza a Dagnoni, neppure nelle fasi più complesseMalagò non ha mai fatto mancare la sua vicinanza a Dagnoni, neppure nelle fasi più complesse
Conti che scottano
L’attività di vertice ha raggiunto livelli di assoluta eccellenza. La struttura costruita da Amadio e intorno ad Amadio gira come una squadra WorldTour. I cospicui investimenti e l’applicazione del Team Performance di Diego Bragato a tutte le discipline sta facendo rinascere il gruppo della velocità su pista, ha dato un bel boost alla mountain bike, al paraciclismo e al ciclocross. La selezione dei talenti dal basso porta nel giro della nazionale i talenti più dotati ed è innegabile che l’attività juniores riorganizzata da Dino Salvoldi negli ultimi tre anni abbia portato a un deciso cambio di passo.
Dagnoni sa quali insidie potrebbero celarsi sul suo cammino e tira fuori per primo la questione della perdita nel bilancio 2023: dati resi ufficiali due settimane fa, con un ritardo a dir poco insolito. Il patrimonio netto federale è passato dai 6.386.155,48 euro del 2021, ai 5.518.764,57 del 2022 per scendere ai 4.415.701,78 di fine 2023. Il presidente se la gioca da politico e spiega la perdita di esercizio di 3.106.062 con una semplicità disarmante, che per certi versi è anche vera.
Il tesoretto del 2020
La Federazione si è ritrovata con un tesoretto in mano alla fine del 2020, quando il Covid ha impedito lo svolgersi di tanta attività, ma non il rilascio dei finanziamenti pubblici. Avendo soldi da spendere, perché non usarli?
Sui conti del 2024, Dagnoni fa sapere che il bilancio si chiuderà con un lieve utile: dato su cui sapremo qualcosa semmai alla fine del prossimo anno. Ma la domanda è un’altra: ora che quel tesoretto non c’è più, come faremo a preparare le prossime Olimpiadi?
Viene in soccorso Infront. Il contratto firmato per i prossimi sei anni dovrebbe garantire 10 milioni l’anno a favore della Federazione. Il capitolo bilancio si è chiuso con toni accigliati e il senso di aver sfilato un’arma dalle mani dei rivali alle prossime elezioni.
Ganna ha parlato di quanto dato alla nazionale, ribadendo il suo massimo impegno nonostante sia mancato l’oroGanna, Lamon, Consonni e Viviani: quanto oro in quella fila…Azzurri in platea. Consonni, Alzini e Guazzini, scambi di opinioni dopo i primi ritiriGanna ha parlato di quanto dato alla nazionale, ribadendo il suo massimo impegno nonostante sia mancato l’oroGanna, Lamon, Consonni e Viviani: quanto oro in quella fila…Azzurri in platea. Consonni, Alzini e Guazzini, scambi di opinioni dopo i primi ritiri
La difesa che manca
Una conferenza stampa come questa non può bastare per raccontare quattro anni vissuti su scossoni per certi versi inediti, né la platea dei colleghi appare più di tanto agguerrita. Del resto la presenza del massimo vertice del CONI e la benedizione della Regione Lombardia fa pensare che si tratti piuttosto di una celebrazione. E quel po’ di cenere che Dagnoni si sparge sul capo è stata gestita con sapienza. Restano i dubbi sull’attività federale sui territori. Ma anche in questo caso, il tema viene affrontato e liquidato snocciolando numeri e con una piccola e bonaria autocritica.
Vengono dati nuovamente dei numeri. Un milione di euro per i comitati regionali, in base ai progetti presentati. Circa due milioni di sconti per il dimezzamento dei costi di affiliazione. Circa mezzo milione per facilitare l’organizzazione di gare nel 2023. Una convenzione con Anas che ha permesso di organizzare 126 gare in più. 700 mila euro per l’attività dei centri della pista. Valore della produzione aumentato del 10 per cento rispetto al quadriennio precedente, la raccolta sponsor del 50 per cento, mentre l’incidenza dell’attività sul bilancio federale è del 70 per cento.
La bonaria autocritica riguarda una mancanza: abbiamo dato soldi in base ai progetti, ma non abbiamo verificato che poi siano stati affidati alle società. Come dire: la distanza siderale che le società percepiscono rispetto a Roma non dipende da Roma, semmai dai comitati provinciali e quelli regionali.
Bernard e Plebani, bronzo olimpico nell’inseguimento: il ct della medaglia non è più in nazionaleBernard e Plebani, bronzo olimpico nell’inseguimento: il ct della medaglia non è più in nazionale
La deriva inarrestabile
Restano sul tappeto i dubbi sull’effettiva parità fra uomini e donne. Sulle squadre under 23 che chiudono i battenti. Sulla tendenza degli juniores di andare all’estero nei devo team del WorldTour. E soprattutto un senso di impotenza di fronte alle stesse questioni. Il mondo è cambiato. Nessuno può impedire questa deriva. Non ci sono rimedi possibili. A gestire il ciclismo giovanile italiano, almeno per ciò che esula dall’attività federale, sono i procuratori che distribuiscono talenti per il mondo. Quanti tornano indietro, sconfitti a vent’anni, vengono definiti non idonei per fare i corridori.
E noi che probabilmente veniamo davvero da un’altra epoca, pensiamo certamente che il mondo sia cambiato, ma che sarebbe anche il caso di tentare una difesa prima di alzare le braccia nel segno della resa. A 18 anni non si è maturi per un simile salto, non bastano i watt. Siamo sicuri di questo passo che fra dieci anni ci saranno ancora juniores da lanciare sul tetto del mondo?
I tecnici della federazione presenti ieri a Milano, compresi quelli che per vari motivi non ci saranno più dal 2025I tecnici presenti ieri a Milano, compresi quelli che per vari motivi non ci saranno più dal 2025
Quattro Ct in meno
Lasciamo la chiusa a Elia Viviani, l’uomo delle medaglie nelle ultime tre Olimpiadi. Colui che a partire dal 2019 ha sacrificato alla pista la sua carriera su strada e sta ancora cercando una sistemazione per l’ultimo anno di una carriera eccezionale.
«Io penso che il ciclismo, come tutti gli sport – dice dal palco il veronese – stia andando in una direzione dove i giovani sono importantissimi. La Federazione sa che dalla categoria juniores a quella under 23 si decide il futuro di una persona, oltre che dell’atleta. Io spero solo che possiamo essere di esempio e sono certo che continueremo ad esserlo, perché i ragazzi sono ancora super motivati. Mancano quattro anni da qui a Los Angeles, ma alla fine volano sempre. E spero che il gruppo che ha lavorato fino a Parigi venga preso da esempio. Gli ultimi anni sono stati la dimostrazione che si può fare la multidisciplina e raggiungere grandi risultati. Arriviamo da tre cicli olimpici di grandi soddisfazioni e per questo l’asticella è sempre più alta. Sarà compito della Federazione e dei tecnici preparati, perché gli atleti avranno sempre voglia di fare bene».
Annotiamo però, andando via da Milano, che il gruppo dei tecnici dell’ultimo quadriennio si è assottigliato. A causa di scelte personali, bocciature dal Consiglio federale e scelte federali, i settori della pista paralimpica, della BMX, della strada uomini e donne sono scoperti. Da gennaio non ci saranno più Perusini, Lupi, Bennati(in più di un’intervista il presidente della Federazione ha detto che se sarà rieletto, tornerà a confrontarsi con il toscano, che sarà confermato se si lavorerà in continuità) e Sangalli. Ieri mattina, prima del Giro d’Onore è svolta una riunione dei commissari tecnici confermati per darsi i saluti di fine anno e impostare i primi appuntamenti del 2025, fra Coppe del mondo e mondiale di cross e gli europei su pista di febbraio.
Paolo Sangalli è il nuovo tecnico della nazionale donne su strada: juniores ed elite. Le sue idee e il suo metodo di lavoro. Nel mirino europei e mondiali
Davide Toneatti sarà promosso nella Astana Qazaqstan Team nel WorldTour. La vittoria di aprile e i piazzamenti di tutto l’anno hanno persuaso Vinokourov a dare fiducia al friulano, figlio della multidisciplina, che a 23 anni metterà il naso nel ciclismo dei grandissimi. La notizia è sicuramente positiva perché porta un altro azzurro di talento a giocare la sua carta in una squadra che dal 2025 sarà la più italiana di tutte, con corridori come Ulissi, Bettiol, Conci, Scaroni, Masnada, Fortunato, Malucelli, Ballerini, Velasco, Romele e Kajamini.
Quello che si può notare è che Toneatti taglierà definitivamente i ponti con il ciclocross, come già accaduto nel recente passato (al momento di salire di livello) con De Pretto, Olivo e Masciarelli. Non è detto che questo per lui sia una privazione: magari ne aveva le tasche piene e non vede l’ora di concentrarsi soltanto sulla strada. La stessa cosa tuttavia si è verificata con Silvia Persico e in parte con Federica Venturelli, frenata peraltro anche dal recupero da un infortunio. La multidisciplina è passata di moda? Oppure va bene finché l’atleta è giovane e poi bisogna scegliere? Oppure, ancora, la seconda specialità è una sorta di gabbia da cui il corridore non riesce a liberarsi se non quando diventa grande?
Fra le vittorie nel cross di Toneatti spiccano un tricolore e il mondiale nella staffettaFra le vittorie nel cross di Toneatti spiccano un tricolore e il mondiale nella staffetta
Strada e pista
Ha retto finora l’abbinamento fra strada e pista. Abbiamo letto nell’intervista a Luca Guercilena che, al momento di firmare con la Lidl-Trek, Milan ha inserito la clausola pista, peraltro ben accetta da parte del team. Un discorso simile ha funzionato alla Ineos Grenadiers con Ganna e Viviani, ma è stata evidente la disparità di trattamento fra i due. Il piemontese ha potuto seguire un bel calendario su strada, mentre Elia si è dovuto accontentare di quel che capitava.
E’ stato però chiaro che tutti, dal giorno dopo Olimpiadi e mondiali, sono stati richiamati in servizio. Soprattutto all’indomani di Parigi, questa necessità ha reso difficile la vita agli atleti che avrebbero avuto bisogno di recuperare e invece si sono ritrovati subito in gruppo.
Milan, Consonni e Ganna: tre stradisti… concessi dal WorldTour alla pistaMilan, Consonni e Ganna: tre stradisti… concessi dal WorldTour alla pista
Programmi e sponsor
Ciò che risulta evidente dalle dichiarazioni di Patrick Lefevere e in qualche misura dello stesso Guercilena è che la multidisciplina non abbia interessi commerciali per le squadre che pagano gli atleti. Nel cross se non altro possono correre con la bici e i materiali del team, con l’eccezione dell’abbigliamento che sarà quello della nazionale. Su pista invece, anche la bici è federale e piuttosto che celebrare la vittoria di un competitor, non si celebra il campione. Il prossimo azzurro che dovrà gestire la doppia attività sarà Stefano Viezzi, che da gennaio sarà al devo team della Alpecin-Deceuninck.
Va lassù e ce lo aveva fatto capire sin dalla Coppa del mondo di Benidorm dello scorso gennaio perché affascinato dalle imprese di Mathieu Van der Poel cui in parte somiglia. Forse in Belgio gli lasceranno spazio per il ciclocross: finché si è nei team di sviluppo non ha senso costringerli a scegliere. Poi, se e quando verrà il momento di passare professionista, si vedrà il livello raggiunto e si faranno valutazioni insieme, senza preclusioni a priori.
Cross e strada: multidisciplina che funziona. A gennaio Viezzi ha vinto il mondiale juniores a Tabor. Dal 2025 passa alla AlpecinCross e strada: multidisciplina che funziona. A gennaio Viezzi ha vinto il mondiale juniores a Tabor. Dal 2025 passa alla Alpecin
Il ruolo della Federazione
Come fa un ragazzo a inserire qualsiasi clausola se il suo potere contrattuale è ancora esiguo? Non deve essere lui a farlo, ma probabilmente il suo procuratore o la Federazione per cui è un elemento di grande interesse, soprattutto nella prospettiva dell’ingresso del cross nel programma olimpico. E’ vero che alla fine comanda la volontà dell’atleta, ma se in alcuni casi la rinuncia è un’imposizione, allora forse l’intervento federale potrebbe aiutare parecchio. Qui si parla di medaglie olimpiche, mondiali ed europee, non di sfide regionali.
L’alternativa è che la multidisciplina, in questo caso il cross, in Italia diventi una prerogativa giovanile, che ci vedrà brillare sempre meno nelle categorie elite. Bisognerà solo abituarsi al prurito di veder sparire i talenti su cui si potrebbe costruire tanto e che invece, per scelta o necessità, prenderanno strade diverse.
ZURIGO (Svizzera) – Francesco De Gregori ha disegnato dell’Italia un ritratto più efficace di tanti editoriali, articoli e approfondimenti. Parla di Italia derubata e colpita al cuore. Assassinata dai giornali e dal cemento. L’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare. L’Italia metà dovere e metà fortuna. E anche L’Italia con le bandiere e nuda come sempre. L’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, ma che resiste. Camminando verso il primo espresso del giorno prima di lasciare la Svizzera, che stamattina si è svegliata nuovamente con le strade bagnate, pensiamo che gli stessi versi potrebbero descrivere anche l’Italia del pedale, quella vista ieri e più in genere nei mondiali di Zurigo.
L’Italia derubata dei suoi talenti nel nome dei soldi. Che paga gli errori del passato e le campagne di informazione che ne fanno tuttora un punto debole. L’Italia che si affida all’estro di pochi, coprendo spesso l’incapacità di progettare il futuro. L’Italia con le bandiere quando conviene e con i social quando la vittoria sfugge. E comunque l’Italia che resiste, perché ogni volta che vediamo una maglia azzurra – popolo di tifosi e forse non di sportivi – siamo incapaci di non tifare.
Il primo strappo del circuito preso d’assalto dai tifosi: il percorso di Zurigo era duro e veloce, obbligatorio stare davantiIl primo strappo del circuito preso d’assalto dai tifosi: il percorso di Zurigo era duro e veloce, obbligatorio stare davanti
Blackout ai meno 65
Il mondiale di ieri ha fotografato un modo di essere e una serie di spiegazioni che non bastano per raccontare come mai i nostri siano spariti dalla corsa negli ultimi 65 chilometri. Forse sono mancate le gambe, come ha detto Bennati. Forse è mancata lucidità, come appare sempre di più ragionandoci sopra. Ma forse è mancata anche la rabbia.
L’obiettivo era correre davanti, restare concentrati per evitare di inseguire. Quando Pogacar ha attaccato, il solo ad accorgersene è stato Bagioli, che è partito seguendo l’istinto, senza rendersi conto di andare incontro a fine sicura. Gliene facciamo una colpa? Andrea arriva da un periodo non facile e avere l’istinto di rispondere a quell’attacco era il segnale di cui forse aveva bisogno. Anche se probabilmente, come tanti gli hanno detto, si è trattato oggettivamente di una mossa suicida.
Non si può puntare più di tanto il dito su Tiberi, portato perché facesse esperienza e non miracoli. Chiaro che le attese fossero elevate almeno quanto il suo distacco al traguardo, ma il primo mondiale e la seconda corsa in linea di stagione sono bocconi da masticare con attenzione. Bennati lo ha portato anche in vista del prossimo mondiale in Rwanda che chiamerà allo scoperto gli uomini dei Giri. Lo stesso Antonio ha ammesso che la Bahrain Victorious vuole fare di lui un uomo da corse a tappe, ma perché escluderlo a priori dalle classiche?
Cattaneo era da solo nella prima fuga importante, su cui si sono riportati Tratnik e PogacarBagioli ha seguito Pogacar: ha seguito l’istinto, è stato un gesto incauto e sicuramente anche una grande lezioneCiccone ha provato un paio di scatti molto forti, che lo hanno svuotatoCattaneo era da solo nella prima fuga importante, su cui si sono riportati Tratnik e PogacarBagioli ha seguito Pogacar: ha seguitlo l’istinto, è stato un gesto incauto e sicuramente anche una grande lezioneCiccone ha provato un paio di scatti molto forti, che lo hanno svuotato
La testa e le gambe
Mathieu Van der Poel ha usato la testa. E al di là dell’aver pensato che Pogacar si stesse suicidando, ha ritenuto più opportuno non seguirlo. Per non finire come lui fuori dai giochi o più in generale per non bruciare le sue chance di centrare una medaglia su un percorso che sembrava escluderlo da ogni gioco. L’olandese è venuto al mondiale con un obiettivo chiaro: conquistare una medaglia. Sapeva che non avrebbe vinto, ma che una medaglia sarebbe stata lo stimolo per prepararsi e stringere i denti. Con quale obiettivo sono venuti gli azzurri a Zurigo?
Bennati ha parlato della volontà di fare una corsa dignitosaper rispetto dei tifosi e dell’Italia. E allora viene da chiedersi se non sarebbe stato più saggio lasciar andare il re del mondo, concedendo ad altri l’onore di inseguirlo e cercando di rimanere nel gruppetto che si è giocato le medaglie alle sue spalle. Ma questo lo fai se davvero stai davanti, concentrato e pronto a entrare nelle azioni. Se sei capace di prendere decisioni, senza che qualcuno te le suggerisca. Perché in una corsa senza radio, non si può aspettare un giro per arrivare al box e avere indicazioni. Per certi versi è davvero sembrato di vedere la corsa degli juniores agli europei di Hasselt, al termine della quale il cittì Salvoldi esplosecondannando il loro modo di correre attendista tutto italiano.
Il gruppo alle spalle di Pogacar: il nostro obiettivo poteva essere farne parte?Il gruppo alle spalle di Pogacar: il nostro obiettivo poteva essere farne parte?
La lezione di Aleotti
Verrebbe da dire, cercando un facile alibi, che i nostri sono talmente poco abituati a correre da leader, che nella prima occasione in cui possono, non sanno come fare. Potrebbe essere una tesi sostenibile, seppure la storia racconti di corridori che nelle rare occasioni di libertà hanno lasciato il segno. Che non significa per forza vincere, ma correre in modo aggressivo, rimarcando la propria presenza.
Ci viene da fare l’esempio dell’unico corridore rimasto fuori dalla selezione azzurra. Non significa necessariamente che avrebbe fatto meglio, il finale non sarebbe cambiato, ma forse ci avrebbe provato. Stiamo parlando di Giovanni Aleotti. La Red Bull-Bora lo ha preso per farne un leader, ma in attesa che diventi grande, lo ha messo accanto ai capitani. Il suo Giro accanto a Martinez e la Vuelta accanto a Roglic sono stati da incorniciare. Eppure in una delle poche corse in cui ha avuto libertà, il Giro di Slovenia, l’emiliano ha vinto. Se vuoi spazio, devi prenderlo quando te lo danno. Altrimenti se lo prende un altro.
Cornegliani, Vitelaru, Mazzone: una foto che sintetizza bene le 14 medaglie di paraciclismo ed handbike a ZurigoCornegliani, Vitelaru, Mazzone: una foto che sintetizza bene le 14 medaglie di paraciclismo ed handbike a Zurigo
Un travaso di grinta
Ieri questo non è successo. Sono stati apprezzabili (sia pure tardivi) i tentativi di Ciccone, che forse avrebbe avuto le gambe per restare in quel famoso gruppo alle spalle dell’imprendibile sloveno. Sul percorso così veloce e duro, in cui nessuno è mai riuscito a guadagnare più di pochi spiccioli, i 45 secondi del suo vantaggio erano pesanti come minuti a palate.
Ce ne andiamo da Zurigo con gli occhi pieni di Pogacar e con l’angoscia per la morte di Muriel Furrer. Con le medaglie della crono. L’oro strepitoso di Lorenzo Finn e il bronzo indomito di Elisa Longo Borghini. Con i passaggi a vuoto degli U23 che ricordano quelli dei pro’. E con le belle vittorie e le medaglie del paraciclismo. E forse verrebbe da suggerire alla Federazione di organizzare un ritiro che metta insieme ciclisti, paraciclisti ed handbiker. Forse confrontarsi, ascoltare e capire potrebbe favorire il travaso della grinta che ieri in alcuni potrebbe essere mancata. Perché ne siamo certi: la nostra Italia vale più di così.