Dal Tour de Suisse un Ayuso formato gigante

21.06.2023
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Il recente Tour de Suisse ha segnato un altro tassello in quanto a ricambio generazionale. Se Remco Evenepoel è ormai un “veterano”, Mattias Skjelmose, il vincitore, e Juan Ayuso, secondo, sono ancora dei novellini.

In particolare Ayuso è un classe 2002. Juan non lo scopriamo adesso. Lo abbiamo seguito da vicino nel Giro U23 del 2021 e lo scorso anno si è preso il podio della Vuelta. Però stavolta il corridore della UAE Emirates  entra di fatto tra i giganti. E’ stato l’unico a vincere due tappe. A sfiorare il successo finale dopo una giornata di “crisi” e, soprattutto, a battere Remco a crono.

La grinta di Ayuso (classe 2002) sull’arrivo di La Punt, dopo aver staccato tutti sull’Albula
La grinta di Ayuso (classe 2002) sull’arrivo di La Punt, dopo aver staccato tutti sull’Albula

Ayuso il meticoloso

Una prestazione così non poteva certo passare inosservata. Viene da chiedersi dove potrà arrivare già quest’anno il talento spagnolo. Che nel lungo periodo andrà lontano… beh, quello si sa già! 

«Sapevamo che Juan stesse bene – commenta Fabrizio Guidi, che lo ha diretto dall’ammiraglia in Svizzera – che andava forte. Oggi gli strumenti ci dicono molto, ma da qui a vincere una tappa di montagna e una crono… non era semplice. E poi non contano solo i numeri.

«Di questo ragazzo mi è piaciuta e mi piace la meticolosità. Juan è attento ai dettagli in qualsiasi cosa faccia: dagli allenamenti alla strategia in corsa fino ai materiali. E poi ama la vita da atleta. Correre gli piace».

Che sia un… animale da gara ce lo aveva detto in tempi non sospetti anche Gianluca Valoti, suo diesse alla  Colpack Ballan: «Fermarlo a volte è impossibile». 

Hirschi in testa a tirare e Ayuso in coda, verso Leukerbad. Quel giorno lo spagnolo ha pagato oltre 50″ (abbuoni inclusi) a Remco e Skjelmose
Hirschi in testa a tirare e Ayuso in coda, verso Leukerbad. Quel giorno lo spagnolo ha pagato oltre 50″ (abbuoni inclusi) a Remco e Skjelmose

Tre momenti chiave

Evidentemente nell’era dei fenomeni bisogna inserire di diritto anche Ayuso. «Fa parte – dice Guidi – di quella schiera di giovani che si presentano alla scena dei pro’ già pronti. Acquisiscono esperienza in modo più rapido. E in questo Juan è una spugna.

«Per esempio nel giorno della sua “crisi” (terza tappa, ndr), quando ha avuto freddo in discesa. Ha capito molte cose, soprattutto l’importanza della squadra, dei compagni. Quel giorno fu Hirschi a salvarlo. Poi ha recuperato bene nel finale, ma è stata comunque una lezione importante. E quando dico lezione non intendo punizione, ma apprendimento. Perché poi certe esperienze è bene viverle da pro’. Uno come lui, da dilettante, prende e vince con 10 minuti. Se ha problemi, recupera. Tra i pro’ no, non è così».

Per Guidi, il giorno della crisi è uno dei tre momenti chiave dello Svizzera di Ayuso, insieme alla vittoria di tappa e quella finale della crono.

Fabrizio insiste sul fatto che Ayuso abbia corso pochissimo quest’anno. E questo ha complicato le cose. Per certi aspetti al via dello Svizzera era sin troppo fresco. Prima della corsa elvetica, lo spagnolo aveva preso parte solo al Romandia, tra l’altro sempre in Svizzera. E anche in quel caso era riuscito a dare una zampata, proprio nella crono. Stavolta però il livello era ben più alto.

Nella crono finale Juan ha staccato Remco di 8″ e di 9″ Skjelmose
Nella crono finale Juan ha staccato Remco di 8″ e di 9″ Skjelmose

Doti di recupero

«Il fatto che Juan abbia gareggiato poco lo ha fatto arrivare al via del Tour de Suisse con poco rodaggio. Gli sono mancati quei primi 2-3 giorni. Ed è lì che abbiamo perso la corsa. Il quarto giorno, quando ha pagato dazio, è stata una conseguenza del grande dispendio energetico del giorno precedente.

«Poi le cose sono cambiate. E’ scattato il campione che è in lui. Ha preso il ritmo gara, sono emerse le sue enormi doti di recupero e ha fatto quel che ha fatto. Questo vuol dire che hai un motore grosso così, altrimenti ti affossi».

Sull’Albula, Juan ha fatto un numero da capogiro. Ha staccato tutti, Remco e company inclusi. Una vittoria di forza e tenacia. Una vittoria da campione nel Dna. Come a dire: “Ieri le ho prese? Bene, oggi vi faccio vedere io”. Non tutti sono in grado di ragionare così.

«E anche la crono finale – prosegue Guidi – quegli otto secondi di vantaggio su Evenepoel sembrano pochi. In realtà c’è dentro un mondo. Non c’è solo un mare di watt, c’è anche la capacità di saper soffrire». E una grande attenzione verso questa disciplina che da quest’anno regna in UAE Emirates.

Aver battuto Remco a crono lancia Ayuso tra i super di questa era
Aver battuto Remco a crono lancia Ayuso tra i super di questa era

Favola Tour?

Ayuso sta benone dunque. I malanni sembrano del tutto alle spalle. E adesso dove potrà arrivare? Dovrebbe fare la Vuelta, ma in teoria c’è il Tour che chiama. Parte dalla Spagna e sembra fatto apposta per una nuova favola, una favola stile Pogacar. Juan potrebbe starci bene nella formazione per la Grande Boucle.

«Ci starebbe bene: e come fai a dire di no? Fisicamente Juan sarebbe pronto, è chiaro. Ma poi ci sono altre dinamiche di squadra, altri programmi. Ed è giovane».

E’ giovane: anche il suo compagno Pogacar era giovane quando fu buttato nella mischia del Tour (che vinse) dopo il podio della Vuelta l’autunno precedente. Semmai Pogacar all’epoca non aveva in squadra… Pogacar, un campione di tale peso che giustamente catalizza ogni attenzione.

Ma questo è un altro discorso. Quel che conta è che Ayuso sta mostrando chi è tra i professionisti, con la stessa grinta con cui attaccava strade ed avversari tra gli under 23. E quella vittoria a crono su Evenepoel non è cosa da poco.

«Anche in questo caso – conclude Guidi – un particolare che mi è piaciuto di Ayuso è che non è stato tanto lì a dire: “Ho vinto la crono su Evenepoel”, il quale comunque veniva dalle sue vicissitudini del Giro d’Italia, quanto piuttosto si è chiesto: “Dove ho perso il Giro di Svizzera? Dove posso fare meglio?“. Poi è chiaro, magari dentro di sé era contento, ma fin lì non ci leggo!».

Guidi: come si corre la Tirreno senza il capitano?

12.03.2023
4 min
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Nella tappa che ha portato al secondo squillo di Roglic alla Tirreno-Adriatico, sulle rampe di Sassotetto, la UAE Emirates ha portato tre corridori tra i primi quindici nella classifica generale. Nella Corsa dei due Mari, per la prima volta da due anni a questa parte, il team emiratino sta correndo senza Pogacar. Lo sloveno è volato in Francia alla Parigi-Nizza, dimostrando di avere già preso ottimamente le misure (ha già vinto due tappe ed è leader della generale, ndr). 

Quando il giovane fenomeno non c’è, in UAE Emirates cambiano gli equilibri o così sembra a chi guarda le corse da fuori. Con Fabrizio Guidi, diesse del team in ammiraglia in questi giorni, entriamo nel merito della Tirreno-Adriatico.

Il piano alla partenza della tappa di Sassotetto era di far attaccare Yates, tutto annullato causa maltempo
Il piano alla partenza della tappa di Sassotetto era di far attaccare Yates, tutto annullato causa maltempo
Come cambiano le scelte quando manca Pogacar?

Dipende dal percorso – replica Guidi – e dal tipo di gara: se in linea oppure a tappe. Generalmente è difficile presentarsi al via con un solo leader nel momento in cui manca Tadej. 

Non si corre più per uno che è già una grande differenza…

Certo, viene difficile correre per uno quando hai più corridori validi e tutti allo stesso livello di classifica. Noi qui alla Tirreno avevamo Almeida (in apertura, ndr), McNulty e Yates tutti davanti in classifica e pronti a giocarsi le proprie carte.

Il percorso gioca un ruolo chiave nella scelta del leader?

Da quello dipende praticamente tutto, ma non determina nulla. Le cose in corsa possono sempre cambiare, prima di sacrificare un uomo ci si pensa sempre due volte. Alla fine, anche se Yates è rimasto attardato già dalla cronometro iniziale di Camaiore, mica lo abbiamo messo a lavorare. Anzi, un corridore del genere in quella posizione di classifica può fare molto comodo.

Ieri, sui muri marchigiani, McNulty ha pagato dazio perdendo 52″ da primi e scivolando fuori dai dieci in classifica generale
Ieri, sui muri marchigiani, McNulty ha pagato dazio perdendo 52″ da primi
In che senso?

Prendete come esempio la frazione di Sassotetto. Nella riunione sul bus, prima della partenza, l’idea era quella di prendere la salita forte e mettere in difficoltà gli avversari. Volevamo provare a giocare la carta Yates, lui aveva voglia di muoversi da lontano per cercare di recuperare il distacco. 

Come sarebbe cambiata la corsa per voi?

Nel momento in cui hai un uomo davanti, dietro non tiri e se va da solo fa il suo ritmo e sta agli altri lavorare. Se qualcuno lo avesse seguito, ci saremmo trovati comunque in una situazione di vantaggio, perché Yates non avrebbe tirato perché dietro aveva il “leader”. Mentre, in gruppo non avremmo di certo incentivato la rincorsa ad un nostro corridore. 

Però, prima o poi ci si potrebbe trovare a rincorrere…

In quel caso il protocollo è chiaro, si inizia a tirare dal corridore più lontano in classifica. I ragazzi lo sanno come funziona, sono le corse. 

Le ottime qualità di Almeida a cronometro lo rendono un corridore più completo e competitivo rispetto agli altri compagni
Le ottime qualità di Almeida a cronometro lo rendono un corridore più completo e competitivo
Meglio un leader solo o più?

Quando c’è Pogacar è tutto più semplice, lui è talmente forte che non c’è mai il dubbio. La squadra è lì per lui e si usano tutte le forze per aiutarlo. Allo stesso modo, però, nelle corse dove c’è lui la squadra passa molto più tempo a gestire la corsa in testa al gruppo. Non sempre, certo, ma tendenzialmente è così. 

Quando non c’è si usa più tattica, giusto?

Sì, ci si ritrova in situazioni dove la comunicazione tra compagni diventa fondamentale. Per tornare all’arrivo di Sassotetto, il vento impediva un qualsiasi attacco da lontano. Chi usciva rimbalzava su raffiche di vento fortissime e tornava in gruppo, prendere in mano la corsa oggi avrebbe significato lavorare per gli altri. 

Tu con l’assenza di Pogacar preferiresti avere un leader solo lo stesso o meglio avere più frecce al proprio arco?

Più frecce, mi piacciono le cose quando si fanno complicate. La nostra fortuna è anche quella di avere tanti corridori forti su terreni diversi. Almeida, per esempio, a crono ha una marcia in più. In una corsa a tappe non potremmo metterlo a lavorare per uno dei suoi compagni il giorno prima di una cronometro importante, dove potrebbe fare la differenza. 

Laigueglia, dominio UAE… Seppur con qualche “errorino”

02.03.2022
6 min
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Fra i “tre litiganti” il quarto gode. E fortunatamente per il UAE Team Emirates il quarto, Jan Polanc, era uno di loro. Oggi è andata proprio così al Trofeo Laigueglia. Dominio netto, nel risultato e nell’andamento della corsa, da parte della squadra di Mauro Gianetti. 

Sono i suoi ragazzi, guidati in gruppo da Diego Ulissi e Davide Formolo, a fare la corsa. Anche quando mancava tanto all’arrivo sono stati loro (e la Ineos-Grenadiers) a chiudere. E sempre loro, a ripetizione, sullo strappo e nella discesa di Colla Micheri hanno fatto il resto.

Polanc (classe 1992) festeggia sull’arrivo di Laigueglia. Alle sue spalle lo sprint dei compagni che vedrà secondo Ayuso e terzo Covi
Polanc (classe 1992) festeggia sull’arrivo di Laigueglia. Alle sue spalle, secondo Ayuso e terzo Covi

Stoccata da manuale

Una corsa preparata al dettaglio dal loro diesse Fabrizio Guidi. C’era lui a dirigere l’orchestra dall’ammiraglia, a gestire quel nervosismo nel finale con Alessandro Covi e Juan Ayuso che tenevano a bada un bellissimo Lorenzo Rota. Alessandro e Juan si parlavano, si guardavano, spesso hanno hanno fatto anche delle finte con la radiolina per farci cascare Rota ma niente.

Ad un certo punto, Covi è in testa dopo lo scatto. Rota lo rintuzza. Covi si volta e fa probabilmente finta di parlare alla radiolina, Ayuso si lascia sfilare 5 metri e scatta a tutta per cercare di passarli al doppio. Ma niente da fare. Rota è ancora lì. Piva ce lo aveva detto: «Quest’anno mi aspetto molto da questo ragazzo. Lo scorso anno ha perso San Sebastian per una sfortuna».

Rota è lì, ma lì ci sono anche gli inseguitori. E che inseguitori: Carlos Rodriguez, in primis, e appunto Polanc. Loro a dispetto dei tre davanti su Capo Mele vanno regolari in salita e regolari in discesa. Piombano sul terzetto allo scoccare del triangolo rosso in fondo allo strappo. Senza fermarsi Polanc tira dritto. Si porta dietro la velocità della discesa. Rodriguez tentenna un decimo di troppo. Gli altri si aprono. Gara finita.

Bravissimo Rota. Il corridore della Intermarché Wanty Gobert ha collaborato sin troppo con Ayuso e Covi
Bravissimo Rota. Il corridore della Intermarché Wanty Gobert ha collaborato sin troppo con Covi e Ayuso

Rota c’è…

«Avevo paura di perdere il podio – ci ha detto Rota a mente fredda – come poi è stato. Sono stato onesto con Covi e Ayuso. Ho tirato, pensando ci fosse un tacito accordo, per arrivare a giocarcela allo sprint… anche se in quella situazione era quasi impossibile vincere per me. Che dire: se invece di scattarci in faccia avessimo fatto come dicevo io, saremmo arrivati. Invece nell’ultimo chilometro ci siamo ritrovati fermi in mezzo alla strada e noi che siamo stati i protagonisti della corsa non abbiamo vinto».

«Voglio ringraziare la mia squadra per il gran lavoro svolto e il nostro capitano, Bakelands, che ha fatto un’azione stupenda e ha portato via il gruppetto dei venti. Per il resto, sono soddisfatto della mia condizione. Vengo dall’altura, nelle prime due corse in Francia ho sofferto un po’, ma sento che va sempre meglio. E per questo sono fiducioso… per me e per la squadra che sta andando fortissimo».

Il Trofeo Laigueglia era alla sua 59ª edizione: 202 chilometri e appena meno di 3.000 metri di dislivello
Il Trofeo Laigueglia era alla sua 59ª edizione: 202 chilometri e appena meno di 3.000 metri di dislivello

Perfetti ma non troppo

Una corsa davvero intensa, una corsa che a tratti è sembrata una partita di scacchi. Quel voltarsi continuo, il tirare di Rota. Il distacco che era buono ma non rassicurante, come poi si è dimostrato…  Ma in tutto ciò, il direttore sportivo della UAE Team Emirates fa un’analisi più che intelligente. Non si lascia trasportare dal risultato, anche se chiaramente è contentissimo.

«Farà un po’ ridere – spiega Guidi – perché avendo fatto primo, secondo e terzo non è facile da dire, eppure non siamo stati perfetti. Abbiamo fatto qualche “errorino”, ma i ragazzi sono giovani e ci sta.

«Ayuso continuava a spingere forte perché voleva staccarlo (il riferimento è a Rota, ndr) pensava di farlo e di arrivare in due. Alla fine sapevano che erano più veloci in volata, ma sapete com’è: non si sa mai. Meglio evitarla, specie quando si può.

«Polanc è andato d’istinto. Veniva da dietro e ha tirato dritto. Ma il bello è questo. Non si corre col computer in mano, decidono i corridori. Io posso dargli qualche informazione ma poi la corsa ce la devono avere in testa loro».

Fare tripletta e non essere perfetti. Perché? Perché anziché tirare forte forse era meglio scattare: prima uno e poi l’altro. E infatti, riprende Guidi:«Cosa gli dicevo dalla macchina? Di attaccare! Ma ripeto: sono giovani. L’importante è che anche situazioni apparentemente perfette come questa, diventino occasioni su cui riflettere. Perché non sempre poi le cose vanno così bene. Spesso sono i dettagli che fanno la differenza».

«La cosa buona veramente di oggi è che i ragazzi hanno parlato molto fra loro. E su un percorso così tortuoso, con l’ammiraglia dietro, è importante. Loro devono essere in grado di prendere iniziative, di decidere. Cosa si dicevano? Aumenta, rallenta, mi muovo io, ti muovi te… Ed è tutto qui quel che serve: unità di squadra e comunicazione».

Fabrizio Guidi è arrivato lo scorso anno al UAE Team Emirates
Fabrizio Guidi è arrivato lo scorso anno al UAE Team Emirates

Vigilia proficua

«Ieri – racconta con passione Guidi – avevamo provato il percorso. Conoscere le strade su una gara del genere è importante. Eravamo partiti dallo strappettino del circuito (Colla Micheri, ndr) e poi avevamo fatto il giro grande con il Testico e tutto il falsopiano in cima. Lassù i ragazzi si sono fermati e hanno deciso la tattica. Ma un conto è deciderla da fermi e un conto è farla in corsa».

«Oggi Ulissi, che era il più esperto, ha dato il via a questa tattica. Dopo il primo passaggio sul Testico è venuto all’ammiraglia e mi ha detto: Fabrizio, è il primo giro e già siamo rimasti in 40, andiamo via come abbiamo detto ieri. E infatti al secondo passaggio hanno fatto il forcing verso la cima. Una volta in pianura ci eravamo tenuti due uomini, Suter e Oliveira, per non far rientrare nessuno. A quel punto ci hanno aiutato anche altre squadre e la corsa è andata».

Non sempre capita di vedere una tripletta nel ciclismo. La prima che viene in mente è quella della Mapei alla Roubaix del 1996
Non sempre capita di vedere una tripletta nel ciclismo. La prima che viene in mente è quella della Mapei alla Roubaix del 1996

Stato di grazia

Unità di squadra e comunicazione. E’ anche questo, secondo Guidi, uno dei motivi per cui la UAE sta crescendo così tanto e sta vincendo molto. Dall’inizio della stagione già in parecchi hanno gioito: McNulty, Covi, Gaviria, Pogacar e ieri Trentin…

«In UAE si respira un bell’ambiente. Abbiamo fatto già tante gare e alla base c’è lo spirito di vincere della squadra. La voglia di vincere di Mauro (Gianetti, ndr) e la programmazione sempre ben ponderata di Matxin. C’è molta collaborazione fra tutti.

«Anche tra noi diesse. Io per esempio oggi ero collegato con un diesse a casa che vedeva la tv e mi confrontavo con lui. E con questo spirito stiamo crescendo ancora. Poi chiaramente per vincere servono i corridori buoni e con le gambe».

Fabrizio Guidi 2014

Guidi scarta il dono e inizia un nuovo viaggio

31.12.2020
5 min
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Fabrizio Guidi, così dice lui per spiegare, è come il bimbo sotto l’albero di Natale che ha adocchiato il pacco più bello. La notizia che dal 2021 il toscano sarà uno dei direttori sportive della Uae Team Emirates è arrivata il 15 dicembre tramite un magro comunicato stampa, in cui se ne elogiava la professionalità. Il ciclismo non è come il calcio: quando si sposta un tecnico, celebrazioni se ne fanno il giusto, come se le sole cose che contino siano gli sponsor e i campioni. Però parlando con Alberto Bettiol pochi giorni dopo, era emerso quanto sia importante il rapporto che lega il campione al direttore sportivo e come per colmare il vuoto non basti scrivere un altro nome nella casella. Forse se il ciclismo imparasse a valorizzare tutti gli attori che ne compongono la scena, darebbe di sé l’immagine che merita. Ma questa è un’altra storia…

Fabrizio Guidi, Vuelta 1998
Alla Vuelta del 1998, Guidi in maglia Polti vince tre tappe e la classifica a punti
Fabrizio Guidi, Vuelta 1998
Alla Vuelta 1998, 3 tappe e classifica a punti

Bettiol se la caverà

Da quando si è sposato con Caroline, Fabrizio vive in Svizzera, a Muensingen vicino Berna. Ha due figli: Elia di 20 anni, Estelle di 17. Per Natale è stato quattro giorni in Toscana, in piena zona rossa. Dal prossimo anno, si diceva, lascia la Ef Pro Cycling e dopo un po’ che parla, ti rendi conto di quanto sia diventato grande il ragazzino che vedemmo passare professionista nel 1995, poi solcare il mondo attraverso nove squadre diverse, con 46 vittorie e una laurea in Scienze Giuridiche, facoltà di Giurisprudenza, con una tesi in diritto penale sulla “giustizia riparativa”.

«Con la Ef Pro Cycling – dice – sono stati sei anni belli, passati bene. Poi il Covid, le incertezze, l’attesa di risposte… Se nel frattempo hai delle opportunità importanti, che fai? Per un anno ci siamo portati dietro delle difficoltà, credo come tutti. Quello che è successo al Giro, il fatto che la squadra pensasse di chiuderlo prima e io abbia detto di voler continuare, non ha inciso nella scelta. Certo la comunicazione non è andata come doveva. Io ho detto quello che pensavo e non è stato l’ideale, ma dopo tanti anni non può essere questo che mette in crisi un rapporto di fiducia. Il problema è stato da un lato l’incertezza e dall’altro l’occasione che si è presentata. Non me ne sono andato sbattendo la porta. Quanto a Bettiol… Alberto è maturato tanto, non è più spaesato come all’inizio. E’ responsabile, non l’ho abbandonato in un cesto come qualcuno fa coi bimbi – ride alla battuta – sa camminare da solo».

Il gruppo vince

La Uae Team Emirates sta spingendo forte sul gas e dopo un 2020 di vittorie, ha intrapreso una campagna di rinforzi che ha visto anche l’arrivo di Fabio Baldato sul fronte dei tecnici e un mercato potente quanto agli atleti, con Trentin e Majka come punte di diamante e insieme lo scouting di talenti giovani come lo spagnolo Juan Ayuso, piazzato per ora al Team Colpack.

Fabrizio Guidi, Alberto Contador, Tirreno-Adriatico 2013
Dopo il debutto alla Nippo, dal 2011 al 2014 è con Riis e Contador alla Saxo Bank
Fabrizio Guidi, Alberto Contador, Tirreno-Adriatico 2013
Dal 2011 al 2014 con Riis e Contador alla Saxo Bank

«Se guardo al futuro e ai corridori che ci sono – riprende Guidi – vedo margine e un progetto, che anche a me offre delle prospettive. Sono orgoglioso che mi abbiano chiamato. Con Gianetti ho diviso anche la camera ai tempi del Team Coast. Ha idee innovative, ci scambiavamo messaggi da tempo e l’ultimo è stato decisivo. Arrivo adesso, sono l’ultimo. E’ presto per dire cosa farò, ne parleremo in ritiro. Nelle squadre si ottiene il massimo se si lavora in gruppo, se la comunicazione funziona e i corridori capiscono di avere dietro una società forte. Se nascono i gruppetti, è la fine. Conosco tanti direttori di quel gruppo, sono 11 anni che siamo sulle stesse strade. Baldato, Marzano, Pedrazzini, Mori… c’è tanta Italia, anche se l’idea è renderla sempre più internazionale. E per diventare una squadra forte, si deve andare in questa direzione».

Lingue e culture

L’ideale per uno che parla quattro lingue e ha corso in team italiani, francesi, tedeschi, americani, svizzeri, danesi e sudafricani e che da direttore si è fatto le ossa nella Saxo Bank di Bjarne Riis e poi alla Ef Pro Cycling di Jonathan Vaughters. E a pensarci bene, non è solo per la lingua: il dialogo fra direttore e corridore deve arrivare a un livello molto più profondo.

«Ho esperienza in questo senso – spiega – perché l’ho imparato durante la mia carriera di corridore. Se riesci a comunicare nella sua lingua, il corridore si apre, nasce l’empatia e lui di colpo è disposto a ricevere i consigli. Sei stato corridore, sai quali tasti toccare. Come quando tiri di sciabola e fai centro: quello che hai infilzato se ne accorge, lo sente e il messaggio arriva. E non è solo la lingua, giusto. Se conosci le varie culture, sai anche come è cresciuto il ragazzo che hai di fronte. Sai a cosa è abituato uno cresciuto in Francia, di quali informazioni dettagliate sul percorso ha bisogno il belga, sai come prendere l’italiano, sai di quale clima psicologico ha bisogno il colombiano. Sai a cosa sono abituati, sai che ci sono mentalità diverse e di quali input hanno bisogno per ambientarsi. Mi sono fatto anche questa formazione e ci riesci solo quando esci dall’Italia. Alla Francaise des Jeux ero l’unico italiano e ho sempre corso in team che erano crogiuoli di nazionalità diverse».

Davide Formolo, Cristian Salvato, Fabrizio Guidi, Giro d'Italia 2015
Nel 2015 inizia l’avventura con Vaughters alla Cannondale, con Formolo che vince a La Spezia. Fra i due c’è Cristian Salvato
Davide Formolo, Cristian Salvato, Fabrizio Guidi, Giro d'Italia 2015
Nel 2015 alla Cannondale e Formolo vince a La Spezia

La sfida del tempo

E al contrario di quello che abbiamo raccolto in precedenti interviste, parlando del tempo che passa e porta via le abitudini più radicate, il suo atteggiamento è quello curioso che si dovrebbe avere davanti alla grammatica di una nuova lingua.

«Sono diventato direttore sportivo WorldTour con Riis – dice – e campioni come Contador. Ma non c’è solo il campione. Quando finisci di correre e cambi lavoro, smetti di pensare a te stesso e ti concentri sugli altri. Cerchi soluzioni, attingendo a quello che serve, a quello che hai. Come se avessimo ciascuno un barile pieno delle esperienze fatte e dovessimo cercarci dentro gli strumenti con cui affrontare il mondo che cambia, facendo sintesi. I corridori che arrivano adesso crescono nel mondo dei social, noi più grandi non possiamo buttare tutto pretendendo di rimanere legati a com’era prima. Sarà che ho un figlio di 20 anni che va all’università di Zurigo. Questi cambiamenti sono un’opportunità, il modo di restare giovani. E’ un nuovo registro di comunicazione, se vuoi anche una sfida. Se ti fermi smetti di imparare. E’ Natale, ho davanti il primo ritiro, faccio il lavoro che mi piace. Sapete una cosa? Sono proprio contento».

Alberto Bettiol, Giro delle Fiandre 2020

E Bettiol apre lo scrigno dei ricordi belli

24.12.2020
6 min
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Natale con i tuoi, così quelli di Lugano hanno caricato famiglie e biciclette sulle auto e sono discesi verso le case di origine, Bettiol fra loro.

«Sono in piena ripresa – dice il toscano della Ef Pro Cycling – perché ho avuto un po’ di febbre un paio di settimane fa, quindi mi sono fermato e ora sono ripartito alla grande, perché ho già perso un bel po’ di giorni. Ma non so ancora quando comincerò a correre. Certezze ce ne sono poche. Il primo periodo vero però dovrà essere quello dalle Strade Bianche in poi…».

Alberto Bettiol, mondiali Imola 2020
Alberto Bettiol ai mondiali Imola 2020 chiusi in 18ª posizione
Bettiol ai mondiali di Imola, 18° al traguardo
Però intanto comincerai senza Fabrizio Guidi, passato alla Uae Emirates…

E per me è stato un colpo. Eravamo arrivati insieme in America a fine 2014. E’ toscano, ha fatto il mio stesso percorso da corridore, da Massini a Balducci. Quando era in Toscana, passava a vedermi sul Serra, la sua salita. Ci si scambiava un’idea, mi vedeva dal vivo invece di guardare i file. Facevamo insieme Strade Bianche, Tirreno e Sanremo, preparando le classiche. Mi dava consigli e ne dava a Klier e Wegelius che sono i direttori per il Nord. L’anno che ho vinto il Fiandre lui l’aveva visto subito. Non entro nel merito delle scelte, non le ho volute nemmeno sapere. 

Quando l’hai saputo?

Non tanto tempo fa. Me lo ha voluto anticipare di persona come si fa tra persone serie, perché sapeva che una notizia del genere mi avrebbe un po’ stranito.

Che cosa vuoi dal 2021?

Conferme. Per me ogni anno deve essere un andare avanti, migliorarsi. Ovviamente vincere, in qualunque mese, qualunque tipo di corsa. Continuare a stare bene fisicamente e psicologicamente. Preparare una gara, arrivarci in forma, interpretarla bene tatticamente.

La stagione di Bettiol era ripresa con un ottimo 4° posto alla Strade Bianche
Quarto alla Strade Bianche, prima gara post lockdown
E’ difficile trovare la condizione?

In termini di concentrazione, devi lavorare su te stesso e l’approccio alle gare. Per la condizione atletica, ci sono tante cose che si devono incastrare. Se mi venisse a marzo la febbre dei giorni scorsi, sarebbe un problema. Servono fortuna, continuità di allenamento e di prestazione. Io non ci metto tanto a Trovarla. Madre Natura mi ha dato questa dote, non ho bisogno di tanti chilometri e giorni di gara. Non a caso, alle Strade Bianche quest’anno sono andato forte (4°, ndr), venendo da poco o niente. Solo con un bel blocco di allenamento a Livigno. Poi ovviamente bisogna dare continuità. Per trovare la forma, quella bella, ci vogliono le gare.

Hai più avuto la gamba del Fiandre 2019?

Secondo me, sì. Proprio al Fiandre, ad esempio, non ero meno di allora. Anche alla Liegi, nonostante i problemi intestinali. Al mondiale, troppo duro per me, vedendo altri colleghi che hanno mollato prima di me. La Gand lo ha dimostrato (4°, ndr). Al Fiandre non mi hanno staccato in salita ma in un tratto tecnico in discesa, però era anche 30 chilometri meno. Ma quel giorno lì, l’anno scorso al Fiandre, fu più un discorso di testa. Conta la forza, ma conta anche la libertà mentale. Arrivare lì spensierato, buttare il cappello per aria, come si dice noi qua. L’Alberto Bettiol del 2019 non aveva niente da perdere. Ora è cambiata un po’ la musica, fortunatamente.

Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Sul pullman della Ef Pro Cycling, Bettiol con Vaughters e Modolo, dopo il Fiandre 2019
Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Con Vaughters sul pullman dopo il Fiandre 2019
Allenarsi da solo oppure in gruppo?

Per me sono importanti la banda di Lugano e quella toscana. Ieri mi sono allenato con Sbaragli e Sabatini, anche con Visconti. E’ meglio uscire in compagnia, con dei professionisti però. Si parte insieme o ci si incontra, su ogni salita ognuno fa il suo lavoro, ci si aspetta in cima, ci si ferma al bar, fai il medio… Ieri abbiamo preso 3 ore e mezza di acqua. Probabilmente da solo ne avrei fatta una e sarei tornato a casa. Con loro, ridendo e scherzando, siamo arrivati in fondo. Io non ho la forza mentale di partire e fare il lavoro in ogni condizione. Con gli amici, con i compagni di allenamento viene più facile

Avrai sempre qualcuno accanto?

Non diventerò mai autonomo, avrò sempre bisogno di persone a fianco. Adesso ho Gabriele Balducci (suo diesse da U23 alla Mastromarco, ndr) e Leonardo Piepoli. Leonardo puramente per l’aspetto della preparazione e un po’ anche psicologico, perché alla fine siamo sempre noi con i nostri problemi. Gabriele è la persona per quando sono in Toscana, che mi sa vedere, mi conosce in bicicletta come pochissimi altri. Con Leonardo s’è creato questo triangolo che funziona bene. Sono molto fortunato. Prima c’era anche Mauro Battaglini, riduttivo definirlo il mio procuratore, che purtroppo non c’è più (si è spento il 5 settembre 2020, dopo una lunga malattia, ndr).

Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
La Ef Pro Cycling usa ruote Vision: ecco Bettiol con Claudio Marra festeggiando il Fiandre
Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
Nella sede di Vision, Bettiol con Marra, a fine 2019
Perché riduttivo?

Perché mi ha lasciato una quantità di cose, di insegnamenti, di lezioni di vita, di stile… Era una delle persone più vanitose che abbia conosciuto sulla faccia della terra (ride, ndr). Gli ultimi periodi non ha mai voluto che io andassi a fargli visita, a casa o in ospedale, perché probabilmente si vergognava, per il suo pudore. Una persona tutta d’un pezzo, una persona d’altri tempi. Il più bel ricordo è quando è voluto venire l’anno scorso in Canada, alle due gare di Toronto e Montreal, perché non le aveva mai viste e mi aveva detto che prima di andare in pensione voleva fare tutte le gare del WorldTour.

Come andò?

Probabilmente lui si sentiva già dentro qualcosa e senza dirmi niente ha fissato gli stessi voli che avevo io. Mi ricordo proprio il viaggio di ritorno da Montreal, di notte. Io ero stanco, ma non abbiamo mai dormito perché mi ha raccontato tutta la sua vita. Per me, questo è un bel ricordo. Gli ultimi mesi ha sofferto tanto. Poi quella telefonata di sua moglie…

Carlo Franceschi, Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco corre con bici Cannondale. Qui con Franceschi e Balducci
Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco di Balducci corre con Cannondale
L’hai saputo così?

Aveva lasciato cinque numeri di telefono da avvisare. Mauro era un calcolatore, niente lo sorprendeva. Lui calcolava tutto e ha calcolato anche cosa dovevano fare sua moglie e suo figlio nel giorno in cui sarebbe morto. Per me rimarrà per sempre come un babbo. Pinuccia è molto brava. Per il Covid non l’ho potuta rivedere, non sono andato a trovarlo al cimitero, ma farò tutto (la voce si inceppa, ndr). Mauro era uno dei pilastri che sorreggeva la mia casa. E quando si butta giù un pilastro, la casa ovviamente non crolla perché ci sono gli altri due o tre. Però la botta si è sentita.

A gennaio sul Teide?

Con Keukeleire e un massaggiatore. Ormai sono un belga adottato. Si va dal 15 gennaio al 2 febbraio. Poi andrò a correre, non lo so ancora dove…

Buon Natale, ragazzo…

Buon Natale a tutti voi!