Sabatini e il GS Stabbia, ritorno (e ripartenza) dalle origini

19.03.2024
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«I miei metodi di allenamento sono moderni, ma per certi approcci sono all’antica. Non puoi fare il corridore, inseguire il sogno – perché di sogno si tratta – se poi fai tardi la sera, esci, mangi male. Certe regole valgono sempre. Specialmente oggi che la categoria juniores è la più importante», parole di Fabio Sabatini, parole da direttore sportivo.

L’ex professionista è infatti un diesse del GS Stabbia – Iperfinish, squadra juniores toscana. Appena smesso di correre, lo avevamo incontrato nello staff della Cofidis. Poi però sono cambiate alcune regole UCI e Fabio non ha potuto proseguire subito la carriera di direttore sportivo nel team professionistico.

«Qui – racconta Sabatini – ho tanti ricordi. Ci sono le persone che mi vogliono bene, mi hanno messo in bici e mi hanno consentito di fare 16 anni da pro’. Se dovessi scegliere un ricordo solo non saprei, ma certo mi vengono in mente i tanti momenti in cui alle corse o in bici c’era anche mio padre, Loretto».

I ragazzi del GS Stabia: Picchianti, Matteoli, Del Fiorentino, Martinelli, Giusti, Simonetti e Simoni
I ragazzi del GS Stabia: Picchianti, Matteoli, Del Fiorentino, Martinelli, Giusti, Simonetti e Simoni
Fabio, raccontaci come è andata?

E’ andata che dallo scorso inverno avevo iniziato a collaborare con il Valdinievole, la squadra dove sono cresciuto. Già gli ero vicino quando avevo appena smesso di correre. Poi alle parole a me piace dare un seguito con i fatti e così ho deciso di fare un passo in più e quindi di dare una mano concretamente. Ci siamo fusi anche con il GS Stabbia. Parlando con il presidente mi sono convinto. Mi diceva: «Dai, Fabio, vieni: ci dai una mano! Non ti impegnerà tanto…». Poi però quando fai una cosa, la fai per bene ed ora eccomi qui a tempo pieno.

Chi è il presidente?

Luciano Benvenuti. Una brava persona davvero. Un super appassionato di ciclismo: oggi è in pensione, ma è sempre molto attivo.

Quando hai iniziato in modo pratico?

Con i ragazzi ho iniziato la preparazione a gennaio. Li seguo io nei programmi, ma come dicevo non si tratta solo di tabelle. Andare in bici lo devi sentire dentro, serve subito la mentalità giusta. La categoria juniores è oggi la più importante per certi aspetti sulla via del professionismo: rapporti liberi, preparazione… 

Un allenamento settimanale in comune, poi tutti con le tabelle e il controllo da remoto a casa
Un allenamento settimanale in comune, poi tutti con le tabelle e il controllo da remoto a casa
Di certo è una categoria delicata…

Certe attitudini e certi sacrifici, se li fai adesso poi te li ritrovi. Tanti ragazzi lo capiscono, altri no. Se hai qualità e le vuoi tirare fuori devi fare così. Sono due anni e ne trarrai beneficio al terzo, sulla via di quel sogno che dicevo.

Com’è dunque la tua settimana dei tuoi ragazzi?

In base alla scuola, cerchiamo di fare un allenamento a settimana tutti insieme. Poi in estate magari ne faremo due o anche dei piccoli ritiri. I ragazzi hanno il power meter e le tabelle e poi verifico quanto hanno fatto.

Si allenano tutti i giorni?

Sì, tutti i giorni con uno di recupero totale. Di solito si corre la domenica. Lunedì scarico. Martedì allenamento e mercoledì la distanza tutti insieme. Il riposo totale di solito è il giovedì. Al sabato fanno la sgambata. Io consiglio il riposo assoluto, ma se un ragazzo vuole proprio uscire, non glielo nego. Però un’ora o 45 minuti nei quali ti fermi sudato al bar a cosa servono? Meglio un riposo totale, che tra l’altro è un giorno di allenamento a tutti gli effetti.

Fabio hai corso tanti anni nel WorldTour e come i ragazzi che alleni sei stato uno juniores: quanto è cambiata questa categoria rispetto ai tuoi tempi?

Moltissimo. E’ tutto diverso, a partire dai rapporti. Io ero figlio del 52×14, da quell’epoca c’è una differenza come il giorno e la notte. In gara, nello sviluppo, nella preparazione… E’ cambiato anche il fatto che all’epoca noi italiani eravamo i primi o comunque sul podio per quel che riguarda l’evoluzione. Oggi invece inseguiamo sempre. Nei rapporti liberi ci siamo arrivati dopo. E anche tra i pro’, basta vedere la camera ipobarica… 

La squadra GS Stabbia vanta 50 anni di attività. Oltre a Sabatini nello staff tecnico ci sono Michele Corradini ed Etelbo Arzilli (foto @asia.photoss_)
La squadra GS Stabbia vanta 50 anni di attività. Oltre a Sabatini nello staff tecnico ci sono Michele Corradini ed Etelbo Arzilli (foto @asia.photoss_)
E i ragazzi, sono diversi?

Sicuramente sono più avanti tecnicamente, ma tra i social e la tv sono anche più ammaliati dalle immagini. Vedono la televisione e vogliono copiare i pro’ in tutto e per tutto. Ma ci sono dei gradini da salire se vogliono realizzare il loro sogno. Ed è quello che gli dico sempre: non basta imitare.

E tu Fabio? Questa categoria è una scuola anche per te?

Ad ottobre farò il corso da direttore sportivo per i pro’, poi vediamo. A me questa categoria piace. Mi diverte, mi stimola. E magari ci sarà anche l’idea di allargarsi con questi colori.

Ultima domanda: da quanti corridori è composto il GS Stabbia di Fabio Sabatini?

Siamo partiti con 10 ragazzi e poi due hanno smesso, quindi siamo in otto. Quello più in vista è Francesco Matteoli, un primo anno. Lui è nel giro della nazionale della pista. Quest’inverno ci ha dato un bel da fare con l’avanti e indietro fra Montecatini e Montichiari. Poi un giorno lo hanno investito. Si è rotto la clavicola ed è fermo. Per fortuna si trattava di una frattura composta e i tempi di recupero sono brevi. E ancora, ne abbiamo un altro con la mononucleosi, uno che è caduto e si è fatto male ad un gomito.

Insomma avete già dato! Siete in credito con la fortuna…

Esatto! E’ quello che gli ripeto. La ruota gira e nei momenti più difficili si risale.

Cavendish, resta solo Roma. Intanto Sabatini racconta…

25.05.2023
5 min
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Se ne va uno degli ultimi “mammasantissima” del ciclismo, esponente di spicco di quell’epoca delle due ruote immediatamente precedente a quella attuale dei fenomeni che vincono dappertutto. Marc Cavendish (in apertura col dottor Magni, dopo la tappa di Caorle in cui non ha brillato) era uno di quelli specializzati, un maestro delle volate che nel corso del Giro d’Italia ha deciso di annunciare l’addio a fine stagione, non senza commozione.

A 38 anni, in coincidenza con il suo compleanno, il britannico chiude una carriera che lo ha visto protagonista per oltre tre lustri. Tanti gli avversari affrontati e battuti, tanti i compagni di viaggio diventati poi rivali o viceversa. Fra questi uno che i velocisti li conosce bene, li ha pilotati quasi tutti. Fabio Sabatini è stato il suo “pesce pilota” per poco, ma ha condiviso anni e anni di volate e lo conosce come pochi.

L’annuncio del ritiro nel giorno di riposo, insieme alla sua famiglia (foto Astana Qazaqstan Team)
L’annuncio del ritiro nel giorno di riposo, insieme alla sua famiglia (foto Astana Qazaqstan Team)

L’ex corridore di Pescia, dopo aver lavorato fino allo scorso anno alla Cofidis, si è preso un periodo di pausa, tornando in Toscana a dedicarsi ai più giovani nel team dei suoi inizi: «Sto studiando per prendere il diploma di terzo livello come diesse, senza di quello non vai da nessuna parte, poi tornerò nel giro, per ora sto a guardare e restituisco ai più giovani un po’ di quel che ho avuto».

Quanto tempo hai condiviso con Cavendish?

Siamo stati compagni nella Quick Step nel 2015, solo un anno perché poi lui andò via, ma abbiamo condiviso volate ed esperienze per un decennio abbondante. Io ero al primo anno in quel team e allora non ero ancora ultimo uomo per le volate, il suo fidato compagno era l’australiano Renshaw e io ero colui che doveva lanciare la coppia fino all’ultimo chilometro.

Sabatini e Cavendish, per tanti anni hanno condiviso gli sprint, quasi sempre con maglie diverse
Sabatini e Cavendish, per tanti anni hanno condiviso gli sprint, quasi sempre con maglie diverse
Che velocista è?

Nervoso. E’ nel suo carattere, molto diverso ad esempio da Viviani e Kittel. E’ sempre stato così, il più nervoso di tutti, esigentissimo, tutto doveva filare liscio. Si faceva sentire eccome, ma lavorandoci insieme si capiva presto che era il suo modo di fare. Appena tagliato il traguardo tutto svaniva: se aveva vinto baci e abbracci, se perdeva non c’erano recriminazioni, a meno di errori marchiani. Era il suo modo per cercare sempre la perfezione.

Com’è in corsa, anche prima di entrare nelle fasi decisive prima della volata?

Sempre molto attento a tutto quel che succede. Rispetto a tanti altri velocisti, Mark ha qualcosa che non tutti hanno, la capacità di potersi giocare la vittoria anche su percorsi che proprio per velocisti non sono. Si è visto anche in questo Giro, nella tappa di Viareggio. Davanti erano rimasti una cinquantina, ma lui c’era. Sapendo questo, chi corre con lui sa di dover lavorare molto, per cercare di preservarlo e non fargli fare tanta fatica, farlo risparmiare nelle tappe dove può dire la sua oppure aiutarlo quando la salita è davvero troppa.

Il britannico ha assommato la bellezza di 161 vittorie in carriera
Il britannico ha assommato la bellezza di 161 vittorie in carriera
C’è una volata condivisa da compagni che ti è rimasta impressa?

Sì, l’ultima del Tour de San Luis in Argentina. Io ero appena entrato nel team e in squadra non c’era Renshaw che aveva scelto il Tour Down Under che si correva nella sua Australia. Toccava quindi a me pilotarlo. Era un arrivo particolare, in leggera discesa al termine di uno stradone lungo. Io dovevo guidarlo dallo striscione dell’ultimo chilometro fino ai 350 metri, quando mi scansai vidi che avevamo toccato una velocità folle. Lui sconfisse Gaviria e Mareczko, la cosa che mi colpì è che era andato tutto esattamente come era stato stabilito a tavolino e Mark me lo fece notare, contento del mio lavoro.

Sei rimasto colpito dalle sue lacrime nell’annuncio del ritiro?

Lo conosco, so che è un animo sensibile e sapevo che non sarebbe riuscito a dire addio senza piangere e sarà così anche quando a fine anno chiuderà anche nell’atto pratico. D’altronde si è reso conto che ormai a 38 anni ha l’età giusta, è come se trascini un carro pieno di buoi. Ormai già a 32 anni ti dicono che un contratto biennale te lo puoi scordare, che si va avanti stagione per stagione, mentre si pensa già a chi prenderà il tuo posto. E’ un ciclismo per giovani e lui si rende conto che non è più quello di prima.

Il ricordo di Sabatini, ultimo uomo nella vittoria di Cavendish a San Luis 2015
Il ricordo di Sabatini, ultimo uomo nella vittoria di Cavendish a San Luis 2015
Come lo collochi in un’ideale classifica fra i velocisti che hai incontrato?

E’ al primo posto insieme a Kittel, con la differenza però che Mark è durato di più e che aveva dalla sua anche un po’ di resistenza in più sui tracciati mossi. Al tedesco la salita faceva male solo a guardarla… E’ un grande che se ne va, oltretutto portandosi dietro un curriculum enorme, tra titolo mondiale, classiche e un fiume di vittorie di tappa nei grandi giri.

Secondo te Cavendish può essere un buon insegnante?

Sicuramente, ha proprio l’indole del trasmettere la sua sapienza agli altri. Faceva così anche quando arrivai alla Quick Step, è uno che ha la pazienza di mettersi lì a spiegare, ha voglia di parlare con i più giovani. Non è uno di quelli che se la tira, è abituato a condividere e potrà essere prezioso in questo, sicuramente resterà nell’ambiente.

Caro Sabatini, ma davvero Jakobsen è così veloce?

12.01.2023
6 min
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Fabio Sabatini ne ha scortati di velocisti nella sua carriera. E tutti i più forti… e se un Fabio Jakobsen dichiara di essere l’uomo più veloce del mondo la cosa non può cadere a terra.

Vi riportiamo la frase dello sprinter della Soudal-Quick Step. «Se penso di essere l’uomo più veloce del mondo? Se guardi alla punta massima di velocità non tanti riescono a passarmi quando parto. E’ quello per cui mi alleno e per questo posso dire che hai ragione. Per contro, magari non sono il velocista più forte del mondo, visto che devo sempre lottare col tempo massimo. Funziona così: se vuoi essere il più veloce, devi soffrire in salita. E al Tour sono tutti così al massimo che ogni cosa è amplificata. Ma io sono fatto così e non voglio cambiare. Non per ora, almeno…».

Fabio Sabatini (classe 1985) è diventato pro’ nel 2006 alla Milram ed ha chiuso nel 2021 alla Cofidis
Fabio Sabatini (classe 1985) è diventato pro’ nel 2006 alla Milram ed ha chiuso nel 2021 alla Cofidis
Fabio, è vero dunque che Jakobsen è l’uomo più veloce del pianeta?

Sì, ci può stare, può essere vero. Però è anche vero che è stato battuto. Sulla carta, chiaramente, è uno dei velocisti più forti e attualmente credo anche il più puro. Se la gioca con Groenewegen.

Quindi sei d’accordo anche quando dice di essere il più puro attualmente?

Sì, se c’è una salitella, se non si stacca, rischia di arrivare allo sprint con “una gamba su e una gamba giù” e può essere battuto.

E per te che ne hai visti e scortati parecchi chi è stato il più veloce e il più puro?

Marcel Kittel – risponde Sabatini senza indugio – sono stato con lui alla Quick Step per due anni ed era effettivamente velocissimo.

Pensavamo più ad un vecchio McEwen, un Ewan, allo sprinter “piccolo” che ti salta negli ultimi 30 metri. Si dice che le punte maggiori di velocità le abbiano loro…

Un conto è uscire all’ultimo secondo e un conto è essere il più veloce. Un velocista come Jakobsen che fa in pieno 200-210 metri di volata e vince con una bici di vantaggio per me è il più forte. Se poi lui partendo così viene saltato nel finale perché c’è vento contro, ci sta che uno come Ewan possa saltarlo negli ultimi metri, ma non è detto che sia più veloce.

Kittel era un mostro di potenza. Era davvero difficile saltarlo una volta usciti dalla sua scia
Kittel era un mostro di potenza. Era davvero difficile saltarlo una volta usciti dalla sua scia
Insomma la velocità della volata non aumenta fino alla fine e chi salta, lo fa perché chi era davanti è “calato”…

In una volata ci sono tantissimi fattori da valutare, tante cose in ballo… E non si può dare un giudizio unico. Certo è che dopo quel che gli è successo per me Jakobsen che è tornato al suo livello è ancora più forte.

Hai scortato tanti campioni: Viviani, Cavendish, Kittel, Gaviria

Io sono passato con Petacchi, ma forse andiamo troppo indietro con il tempo. A lanciarmi in modo definitivo nel mio ruolo di apripista è stato proprio Kittel. Però credo che Cav sia il più forte, specie dopo quel che ha fatto al Tour 2021, vincendo quattro tappe e la maglia verde. Se avesse un treno come aveva alla Quick Step sono sicuro che vincerebbe ancora lui. Però gli ci servirebbe il treno…

E Viviani?

Lui forse è più un Caleb Ewan, se ce lo hai a ruota uno come lui è un problema perché ha il picco da pistard e infatti il 70% delle volate in cui lo scortavo io lo portavo “veramente corto” (vicino alla linea d’arrivo, ndr). Perché se si partiva lunghi chi gli era a ruota poteva saltarlo, in quanto il suo picco poi andava a calare. Se un Kittel lo lasciavo ai 210-220 metri, Viviani lo lasciavo ai 170-150.

Petacchi contro Cavendish, un duello fra titani. Per superare AleJet nel finale è servito un astro nascente come l’inglese
Petacchi contro Cavendish, un duello fra titani. Per superare AleJet nel finale è servito un astro nascente come l’inglese
Facciamo un gioco di fantaciclismo. Prendi tutti i velocisti con cui ti sei incontrato in carriera e supponiamo che tutti siano all’apice della carriera. Chi è il più forte?

Eh – ci pensa un po’ Sabatini – se devo fare una classifica metto primo il Peta! Alessandro quando partiva era impressionante e aveva una volata veramente lunga. Lui forse non aveva il picco più alto ma ti faceva 1.500 watt per 30”-40” e con questi valori fai una differenza pazzesca. Lui, non credo di averlo mai lasciato al di sotto dei 200 metri. Lui e Kittel fanno parte di quegli sprinter che quando li lasci e sei già lanciatissimo aumentano ancora la velocità. Poi alla pari metto Cavendish e Viviani. Gente così con un treno è davvero pericolosa!

Viste le esigenze dei percorsi attuali (con più dislivello), secondo te limitano il potenziale degli sprinter proprio nelle volate?

Certo che li limitano e lo si vede anche dalle squadre che si fanno ormai per i grandi Giri. Difficilmente una WorldTour, a meno che non sia una “novellina”, porta il velocista o il treno per il velocista. Al massimo un uomo o due gli mettono vicino. Anche perché che garanzie può dare uno sprinter? Oggi c’è sempre una salitella prima dell’arrivo. E se la supera arriva stanco in volata. Ma questo dipende anche dai punteggi dell’UCI.

Vai avanti…

Finché non cambieranno del tutto – so che sono stati ritoccati per fortuna – sarà sempre così. Meglio fare un decimo nella generale che vincere diverse tappe. Guardiamo la Vuelta di quest’anno. Ma voi lo portereste un velocista? La prima tappa è una cronosquadre, nella seconda c’è una salitella nel finale e alla terza si arriva già ai 2.000 metri di Andorra. Tante volte lo sprinter ha bisogno delle prime tappe per carburare, così rischia di finire fuori tempo massimo.

Jakobsen con Merlier (a sinistra). Da quest’anno i due corrono insieme. Per Sabatini, Jakobsen di fatto avrà un “rivale” in casa
Jakobsen con Merlier (a sinistra). Da quest’anno i due corrono insieme. Jakobsen di fatto avrà un “rivale” in casa
Torniamo a noi. Merlier ha il potenziale per impensierire Jakobsen? Alla fine è una nuova leva che arriva nella squadra dove tutti migliorano…

Sono stato sei anni in quel gruppo e vige la filosofia che va avanti “chi va più forte”. Lefevere non guarda in faccia nessuno. Sono molto d’accordo quando avete scritto che la squadra del Tour verrà decisa poche settimane prima della corsa. E’ verissimo, posso garantirlo. E se Merlier dovesse vincere le corse in quel periodo e Jakobsen dovesse perderne qualcuna state certi che in Francia portano Merlier. Se Jakobsen vuol restare alla Soudal-Quick Step deve sapere che Lefevere avrà sempre almeno due velocisti. Insomma un “problema” ce lo avrà sempre.

In quella classifica dei velocisti di prima, dove collocheresti Jakobsen?

Tra Petacchi e Kittel. Fabio è davvero potente. In una volata regolare, quando Morkov si sposta è difficile che qualcuno riesca a passarlo. Quando è successo è perché ci sono state dinamiche particolari.

Sabatini: anche in ammiraglia, non passa il mal di gambe

22.03.2022
5 min
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Sabatini è salito in ammiraglia. Di correre non aveva più voglia, era chiaro. Lo scorso anno, in un video dal Giro di Polonia, era parso chiaro che il suo viaggio nel ciclismo fosse bello e finito. Però non si chiude una porta così importante e semplicemente si cambia strada. Così, quando Cedric Vasseur ha iniziato a parlargli di un nuovo ruolo alla Cofidis, il toscano si è affrettato a prendere i primi due livelli, programmando il terzo nella prossima estate.

«Dopo la Sanremo – sorride – ho mal di gambe, soprattutto quella della frizione. Però ammetto che mi ha fatto strano arrivare in Riviera dal Turchino e vederli passare sulla Cipressa mi ha emozionato».

Fabio è un toscano atipico. La battuta pronta non manca, ma di base è un po’ brontolo anche lui come Noè. Non è mai stato (non troppo, almeno) di quelli che ti dava la risposta comoda. Pane al pane, vino al vino. E alla fine con questo modo di fare e di essere, si è ricavato il rispetto del gruppo, dei suoi capitani e dei suoi tecnici.

Al Polonia si era capito che la carriera di Sabatini come atleta fosse agli sgoccioli
Al Polonia si era capito che la carriera di Sabatini come atleta fosse agli sgoccioli
Come sei arrivato all’ammiraglia?

Il ruolo è sempre stato nell’aria. Ho parlato con Vasseur. Ho preso la tessera per poter salire in macchina. Mi hanno provato alla Tirreno per vedere come fossi e devo essergli piaciuto, visto che mi hanno chiesto di andare alla Sanremo e poi al Giro.

Il tuo ruolo è stato delineato?

Mi hanno preso per impostare i finali in volata. Sono andato a vedere gli arrivi e poi via radio trasmettevo le mie osservazioni ai direttori in corsa. Un ruolo importante, che non tutte le squadre ancora hanno capito. Ad esempio ho potuto dire che il ponticello verso l’arrivo di Terni sarebbe stato pericoloso e se restavi indietro, non rimontavi. Quando correvo con Petacchi, mandavamo in avanscoperta Andrea Agostini, che avendo corso, sapeva cosa guardare.

Ti piace?

Molto, è quello che avevo chiesto e che speravo di poter fare.

Alla Quick Step è stato anche l’ultimo uomo di Kittel. Qui nel 2017
Alla Quick Step è stato anche l’ultimo uomo di Kittel. Qui nel 2017
Hai anche interagito con i corridori?

Nelle riunioni, Roberto Damiani mi chiedeva di parlare, anche se io non volevo farlo per non entrare nei ruoli di altri. Però chiedeva il mio parere su come sarebbe potuta andare la corsa e io a quel punto rispondevo.

C’è un tecnico cui pensi di ispirarti?

Sono uno che sente tanto la corsa. Quando siamo arrivati terzi a Bellante con Lafay, avrei spaccato la macchina da quanto mi ero esaltato. Mi ispiro a direttori come Bramati, mi è piaciuto molto lavorare con Zanatta e poi con Damiani. La mia paura semmai è salire in macchina…

In che senso?

Il corridore prende cento volte più rischi di un direttore sportivo, perché la bici ha due ruotine sottili e la macchina ne ha quattro. Ma fare la discesa in mezzo ai corridori che ti passano a destra e sinistra, magari giù dal Carpegna che fuori c’erano due gradi sotto zero… Credo di non aver mai sudato tanto come quel giorno.

Nel magico 2018 di Viviani, qui alla Vuelta, lo zampino di Fabio
Nel magico 2018 di Viviani, qui alla Vuelta, lo zampino di Fabio
Ti sei mai pentito di aver smesso?

Dopo la Sanremo, mi sono detto: «Meno male che ho smesso!». Erano anni che non si faceva la Cipressa forte a quel modo. Prima le squadre venivano alla Sanremo col velocista, c’erano sempre gli attacchi e poi era tutto un inseguire. Oggi è battaglia continua. Credo di aver smesso proprio nel momento giusto. Ho smesso sereno e mi dispiace ad esempio per Visconti, che lo ha fatto con un po’ di magone. Gli ho mandato un messaggio. Io ho deciso di chiudere, quando ho capito che il mio livello era calante, quando ho capito che non avrei potuto più fare il mio lavoro.

Si dice che il direttore sceso da poco di sella capisce meglio i corridori di oggi…

E’ vero, il ciclismo è tanto diverso rispetto a 20 anni fa. Riusciamo a capire il perché di certe risposte, anche quando il corridore non ti dice la verità e vedi quel che c’è dietro. Inoltre il livello di corsa ora è così alto e la vita è così esigente che se non l’hai provato sulla pelle, fai fatica a capirlo.

Sei stato ultimo uomo di Kittel e Viviani, cosa ti pare di Cimolai e Consonni che ti troverai a guidare?

Cimo l’ho visto bene a San Benedetto, fa la vita al 100 per cento e, avendo corso con lui, lo conosco davvero bene. Conso l’ho conosciuto da un paio di anni. Sono forti, ma ancora gli manca quel picchetto in più che ti permette di vincere. Puoi trovarlo oppure no, può dipendere dalla preparazione o dalla propria natura. Tanti corridori, non parlo specificamente per loro, devono capire che è un lavoro e che ci sono altri ruoli oltre a quello del velocista. Si lavora per guadagnare e si prende di più lanciando il velocista che vince, piuttosto che facendo continui piazzamenti. Per carità però, sono scelte personali…

Cimolai e Consonni sono nella stagione delle conferme: Sabatini su questo è molto netto
Cimolai e Consonni sono nella stagione delle conferme: Sabatini su questo è molto netto
Consonni è giovane…

Ed è ancora alla ricerca della strada. Prima è stato accanto ad Elia (Viviani, ndr), ora finalmente è leader e ha il tempo necessario per capire.

Vai ancora in bici?

Volevo oggi, ma era il giorno libero di mia moglie e siamo andati fuori a pranzo. Però 3-4 volte a settimana continuerò ad andarci. Mi serve per stare bene, non certo per staccare qualcuno…

Sabatini 2021

Professor Sabatini, ci spieghi l’ultimo uomo…

12.10.2021
5 min
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A 36 anni, Fabio Sabatini dice basta, chiudendo una carriera da pro’ durata ben 16 anni. Se si guarda il suo palmarés, i numeri dicono che non c’è neanche una vittoria, ma i numeri talvolta mentono, perché i successi del toscano sono stati tantissimi. Sono le vittorie dei suoi capitani, dei velocisti che hanno dopo anno ha lanciato verso il traguardo, diventando quello che, insieme al danese Morkov, è considerato il più grande “ultimo uomo” della storia recente del ciclismo. Tante volte ha tagliato il traguardo alzando le braccia, perché quei successi erano anche suoi.

La sua figura nel gruppo mancherà e nel ripercorrere la sua storia si capisce come attraverso di lui il ruolo di ultimo uomo sia diventato un cardine delle volate, ma anche qualcosa che la frenesia del ciclismo attuale sta divorando, come tanto altro, nella ricerca spasmodica del campione giovane, del nuovo Pogacar o Evenepoel, dimenticando che questo sport è fatto di tante altre cose.

Iniziamo dalla Milram…

La nostra chiacchierata parte dall’ormai lontano 2006 e dal suo approdo alla Milram, team Professional nel quale Sabatini si ritrovò con un particolare vicino di casa, Alessandro Petacchi: «Lui è di Montecatini Terme, io sono a Camaiore, eravamo a un tiro di schioppo così ci allenavamo insieme. Con lui ho iniziato la gavetta e con Ongarato, Sacchi, Velo, Zabel costruimmo uno dei primi grandi treni per le volate. Al tempo io ero per così dire il primo vagone, ma imparai tantissimo, poco alla volta, gara dopo gara. Capii che le volate sono un meccanismo delicatissimo, dove ci sono mille incastri che devono funzionare».

Sabatini Petacchi
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Sabatini Petacchi
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Nessuno più di te può spiegare che cos’è essere l’ultimo uomo…

Devi capire tantissime cose, essere sempre attento: ci sono variabili che condizionano ogni volata, come dove spira il vento oppure le traiettorie scelte dal gruppo. Bisogna studiare le strade nei minimi particolari: oggi c’è Google Map, ci sono le tecnologie che aiutano, prima dovevi vederle con i tuoi occhi. Ricordo che alla Vuelta mandavamo l’addetto stampa Agostini a visionare gli ultimi chilometri, lui che era stato ciclista e ci raccontava la strada per filo e per segno, curva dopo curva, come prendere le traiettorie, dove chiudere la propria porzione e così via.

Ripercorriamo la tua carriera attraverso i velocisti che hai accompagnato. Iniziamo da Petacchi…

Alessandro è un fratello maggiore. Da lui ho imparato tantissimo, basti dire che per due anni mi ha anche ospitato a casa sua. Mi ha insegnato tantissimo, mi spiegava per filo e per segno la volata in ogni particolare. E’ stato il mentore ideale, quello che purtroppo tanti ragazzi che arrivano oggi al professionismo non vogliono più avere, non ascoltano più…

Daniele Bennati significa parlare del periodo alla Liquigas. 

Con lui ho iniziato davvero a fare l’ultimo uomo. Con il Benna la comunicazione era continua, diceva quando partire, quando aspettare e questa partecipazione era totale, mi sentivo veramente parte delle sue vittorie perché era il compimento di una volata fatta bene.

Sabatini Conti 2021
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Sabatini Conti 2021
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Poi arrivò la Cannondale e Peter Sagan…

Grande Peter, un vero funambolo. Con lui il lavoro era particolare, non serviva tanto tirargli la volata, quanto metterlo in posizione buona per partire. Capitava magari che non te lo trovavi più a ruota e dovevi andarlo a recuperare. Ma alla fine il risultato arrivava…

Hai lavorato anche per Mark Cavendish…

Non sono state molte le volate nelle quali abbiamo lavorato insieme, inoltre già allora era Morkov l’uomo deputato a tirarlo per ultimo. E’ stata però un’esperienza utile e siamo rimasto in buoni rapporti.

Poi due anni con Marcel Kittel…

Con lui si lavorava di potenza, lo portavo dai 400 ai 200 metri, ma la volata iniziava già prima dei 2 chilometri finali. Mi sono trovato bene con lui anche se il nostro era un rapporto molto professionale.

Sabatini Viviani
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
Sabatini Viviani
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
Infine è arrivato Viviani, alla Deceuninck e poi alla Cofidis.

E’ stato il compimento del mio lavoro: con Elia ci lega un’amicizia profonda, fatta di gioie e dolori, nottate a parlare, a condividere tutto. Quando stai oltre 100 giorni in giro per il mondo s’innesca un legame profondo. Le nostre volate sono sempre state meccanismi particolari, avevamo una parola concordata, quando la sentivo significava che dovevo lanciarlo a tutta velocità, oppure che si stava sganciando e andava recuperato. Per questo le sue vittorie mi hanno dato gioie enormi. 

Mettiamo tutto insieme: con che spirito chiudi?

Senza rimpianti, penso di essere stato bravo a capire che potevo sì forse vincere qualche corsa, trovare spazi diversi in piccole squadre, ma io volevo il meglio e potevo dare molto di più in quel ruolo specifico. Sono sempre rimasto con i piedi per terra, conscio del mio ruolo e contento di quel che ho fatto.

E’ una questione di approccio dei giovani?

Non solo. Tutti guardano solo i dati, quel che dicono i preparatori, che in base ad essi decidono se farti correre oppure no, ma si dimentica che la corsa ti accresce la condizione per quella successiva e che anche inconsciamente, in allenamento non darai mai quel “di più” che ti viene naturale in gara. I numeri non dicono tutto.

Sabatini 2010
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Sabatini 2010
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Come saranno le volate del futuro?

Io dico che presto i treni non ci saranno più. All’ultimo Tour io non c’ero e spesso abbiamo guardato le tappe con Cipollini, eravamo d’accordo che alla fine era tutta una confusione, molti sprint vedevano i velocisti compiere mille errori. Cavendish ha vinto tanto proprio perché aveva un treno eccezionale, ma quella gente, i Morkov o i Sabatini della situazione, chi li sostituirà? Io ad esempio ho cercato d’insegnare tanto a Simone Consonni, sarebbe un grande ultimo uomo.

In sintesi, che cosa serve per essere “l’ultimo vagone del treno”?

Innanzitutto acquisire esperienza nel corso del tempo e ne serve tanto. Quell’esperienza ti consentirà di improvvisare quando sei nella m…. perché raramente le cose vanno esattamente come vuoi e devi decidere in pochissimi secondi che cosa fare, sapendo che da te dipende la volata del compagno e la possibile vittoria.

Che cosa farà adesso Fabio Sabatini?

Non lo so, intanto penso di prendere il 1° livello a Firenze, vicino casa, per un futuro da diesse. Quel che è certo è che il ciclismo non lo lascio…

Ma che fine hanno fatto le ruote basse tra i pro’?

01.08.2021
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Probabilmente è più elevata la possibilità di vedere un ufo che un corridore professionista utilizzare delle ruote basse o per meglio dire a basso profilo. E’ un paragone un po’ forzato ma neanche tanto. Questa tipologia di ruota era la sola che c’era fino ai primi anni ’90 (lenticolare esclusa) e adesso invece è praticamente sparita.

I team le hanno in dotazione, ma non c’è corridore che le voglia. Alcuni neanche in allenamento. Come mai?

Alla base di questa sparizione c’è senza dubbio l’evoluzione dei materiali. Il carbonio, il materiale che domina al 99,9 per cento anche nelle ruote, è sempre più leggero e più performante. Questo ha ridotto moltissimo le differenza di pesa fra una ruota bassa e una alta. Quei 400 e passa grammi di differenza ormai si notevolmente ridotta (spesso meno di 200 grammi). E il peso sulla ruota conta più che su altre parti della bici. Il rapporto, secondo l’ingegner Marco Pinotti, è di uno a tre. Un etto in più sulle ruote ne vale tre sul telaio. E’ l’effetto della massa rotante ad amplificarlo.

La bici moderna: telaio e componenti “aero”, ruote alte e freni a disco
La bici moderna: telaio e componenti “aero”, ruote alte e freni a disco

Peso giù, profili su

Contestualmente sono anche aumentate le velocità medie e si è investito moltissimo sull’aerodinamica. Gli studi, anche empirici e non solo in galleria del vento, hanno mostrato come un cerchio più alto e più largo (cosa che si è potuto fare con una certa facilità con i freni a disco) penetri meglio nell’aria. Un cerchio con tali caratteristiche crea meno turbolenze. Senza contare che la ruota, nel suo complesso, è anche più comoda.

«Io – spiega proprio Pinotti – oggi non avrei dubbi. Anche a fronte di una bici che pesa un chilo di più prenderei quella con le ruote più alte. Basta una pendenza del 5,5 per cento e una velocità di 20 chilometri orari per colmare questo gap. L’alleggerimento dei materiali di fatto ha tagliato fuori queste ruote. Potrei montarle giusto in una cronoscalata, ma una crono estrema.

«Oggi si riesce a stare sui 7 chili anche con le bici con freno a disco e una ruota a profilo medio (35-40 millimetri, ndr). Con i freni tradizionali proprio non hai problemi e anzi tocchi il limite dei 6,8 chili».

E in effetti oggi è considerata bassa una ruota da 35 millimetri. Sotto non se ne vedono. Se pensiamo che Bernal ha scalato il Giau con delle Shimano Dura Ace da 60 millimetri, si capisce bene l’intero discorso. E uno scalatore come è noto non ama portarsi dei grammi in più.

Il parere dello scalatore 

E noi abbiamo chiesto allo scalatore per eccellenza, Domenico Pozzovivo. Tra i primi ad usare il profilo differenziato anteriore e posteriore: 35 millimetri davanti e 50 millimetri dietro.

«Io non uso più le ruote basse e il motivo è semplice: si è esasperato il concetto di aerodinamica e dell’efficienza a certe velocità. Alte velocità che fa soffrire il profilo basso. E poi visti i pesi che senso avrebbe mettere dei piombi alle bici come una volta e perdere in aerodinamica? E poi quando ti abitui ad una certa ruota che è reattiva e rigida non torni indietro. Per me è anche un aiuto psicologico alle alte velocità».

Pozzovivo racconta che in allenamento a volte le usa, o quelle basse, o quelle a medio profilo.

«Beh, in corsa gareggiamo su asfalti che sono perfetti o quasi, in allenamento non è così e una ruota bassa è più comoda, tanto più per me con il mio problema al braccio.

«Se le monterei in una cronoscalata estrema tipo Plan de Corones? No, perché non avrei le sensazioni che vorrei: cioè una bici rigida e reattiva. Troppo diverse le sensazioni che ho quando si spinge. Sarà che quando mi alzo sui pedali sono tutto buttato in avanti e con la ruota bassa non sento la bici al top».

Infine “Pozzo” fa un paragone interessante con il passato. Le prime ruote alte facevano una sorta di effetto pendolo. Quando ti alzavi sui pedali all’inizio la bici quasi non si muoveva lateralmente, “era dura”, poi all’improvviso “cadeva”. «Vero questa sensazione c’era, a ben ricordare. Ma con i nuovi materiali questo effetto brusco non c’è più. Il movimento è più progressivo ed equilibrato».

Il parere del passista

A fare da contraltare a Pozzovivo abbiamo coinvolto il suo opposto, Fabio Sabatini, passistone veloce dai tantissimi watt.

«Oggi fai quasi fatica a vedere le ruote a medio profilo. Hanno ormai lo stesso peso delle altre ma con un’aerodinamica più efficiente e anche una migliore scorrevolezza (dovuto anche la fatto che il mozzo è “più vicino” al cerchio, ndr).

«Da passista poi non mi è mai capitato di rimpiangere quelle a basso profilo. Pensate che io non le uso neanche in allenamento. Un po’ lo ammetto anche per un fatto estetico! Ma soprattutto perché devo abituarmi a fare le volate e a spingere forti in certi momenti, quindi preferisco farlo con un determinato set che poi “riconosco” in gara. Senza contare che ti ci abitui nelle discese, fatto non secondario. Perché comunque quelle con il profilo alto sono un po’ più “complicate” da gestire. Quelle basse sicuramente pieghi di più… ma tanto non le usi».

Sabatini ricorda quando “il Nieri”, come dice lui da buon toscano, saldava i raggi delle ruote a basso profilo che erano destinate alla Parigi-Roubaix, proprio per renderle più rigide e al tempo stesso più robuste. Ma con l’alto profilo non si rischia un “eccesso di rigidità”, almeno per le corse sul pavè?

«No, io credo che a fare la differenza sia il copertone e non il cerchio. E oggi con una copertura da da 28 millimetri non hai problemi. Poi con l’arrivo del disco il basso profilo è scomparso del tutto, almeno per noi pro’ Le ultime che ho usato sono state le Mavic Ksyrium ai tempi della Liquigas e comunque erano già un po’ profilate, 32 millimetri. Sono passati 10 anni da allora. E poco dopo, in Quick Step, Specialized ci spingeva ad usare quelle con profili più alti».

Peter il guastatore, scruta il cielo e vive alla giornata

10.05.2021
3 min
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Piove forte su Biella, le previsioni questa volta l’hanno detta giusta e anche i piani dei velocisti rischiano di saltare in aria. I corridori hanno una gran fretta di firmare e tornare sul pullman, per coprirsi meglio, prendere un caffè che li scaldi e per aspettare all’asciutto i minuti che mancano alla partenza. Furtivo come un cecchino e silenzioso come uno che non vuole farsi notare, Peter Sagan attraversa il raduno di partenza con lo sguardo lucidissimo.

Partenza bagnata da Biella, Ganna in prima fila
Partenza bagnata da Biella, Ganna in prima fila

Il campione slovacco fa buon viso nell’ultima stagione con la Bora-Hansgrohe e mentre c’è chi si guarda intorno per lui, il suo scopo è quello di tornare a vincere. I rapporti con Ralph Denk, il manager della squadra, non sono più dei migliori, al punto che l’altro si è tolto lo sfizio di rilasciare interviste in cui ha detto di non immaginare un futuro per Peter nella sua squadra.

Profezia Viviani

Ieri Viviani è stato piuttosto chiaro: se piove, cambia tutto. Perché gente come Ulissi e come Sagan faranno di tutto per far fuori i velocisti. Ulissi contro Sagan, come l’anno scorso ad Agrigento, anche se laggiù quel giorno c’era il sole.

L’idillio tra Peter e Ralf Denk è finito da un pezzo, si aspetta solo il nuovo anno…
L’idillio tra Peter e Ralf Denk è finito da un pezzo, si aspetta solo il nuovo anno…

«Tutti se lo aspettano – dice Peter – e allora vediamo come si mette la gara. Io sto bene. Il tempo è brutto per tutti, non mi posso lamentare. Credo che ci sono tante aspettative e per me il tempo non fa differenza. E poi adesso piove, magari all’arrivo migliorerà. Vedremo».

Un anno strano

La sensazione è che Peter abbia deciso di selezionare meglio le tappe cui puntare. Continuerà a buttarsi nelle volate, ma l’idea è quella di andare in caccia di traguardi più duri, come l’anno scorso a Tortoreto.

«Mi sembra ieri che sia finito il Giro 2020 – accenna un sorriso – e siamo di nuovo qui. Sono venuto per vincere qualche tappa e provare a conquistare anche la maglia ciclamino. L’inizio di stagione è stato difficile per il Covid. Ho fatto il massimo per essere pronto alle classiche, ma quando hanno cancellato la Roubaix, ho deciso di prepararmi bene per il Giro ed essere competitivo. La vittoria al Romandia è stata un bel segnale.

Nella crono di Torino, Peter ha fatto lo stesso tempo di Nibali
Nella crono di Torino, Peter ha fatto lo stesso tempo di Nibali

«L’importante sarà stare bene e vedremo giorno per giorno. Ieri è venuto un quinto posto in una tappa molto veloce, un buon risultato. Non sono un velocista, sono felice perché ho capito che la condizione c’è. E sono felice anche perché non sono caduto o qualcosa di peggio».

Poi si avvia. La tappa è appena partita. Ci sono da fare 190 chilometri fino a Canale e a partire dal chilometro 114 si comincerà a salire. L’aria è frizzante, ci sono 16 gradi. Appuntamento al traguardo, partiamo anche noi.

Il treno accelera e intanto Consonni fa per due

10.05.2021
3 min
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Eppure ieri qualcosa nel treno di Viviani non ha funzionato. Ci sta, alla prima volata e soprattutto con quella curva ai due chilometri e mezzo dalla fine che ha rimescolato parecchi mazzi di carte. Quello della Uae Team Emirates e probabilmente quello della Cofidis. Perché non c’era Sabatini a tirare la volata di Viviani e ha dovuto farlo Consonni? Simone rilegge lo sprint e il suo bilancio è tutto sommato positivo, come quando dal primo esame ti aspetti di capire se sia tutto sbagliato oppure ci sia una base su cui costruire. E la base giusta nella squadra francese finalmente l’hanno trovata. Al punto che se dovessero venire dei buoni risultati, non è più così scontato, come invece è parso a lungo, che la collaborazione con il gruppo Viviani non possa continuare.

Elia Viviani, SImone Consonni, mondiali Berlino 2020
Consonni e Viviani divideranno anche l’avventura olimpica, la loro intesa è cruciale
Elia Viviani, SImone Consonni, mondiali Berlino 2020
Consonni e Viviani divideranno anche l’avventura olimpica, la loro intesa è cruciale
Che volata è stata la prima a Novara?

E’ stata bella caotica, diciamo. Ci sono state parecchie manovre da assassini, però è normale. Hanno tutti la gamba fresca. Noi siamo stati davanti, ce l’abbiamo fatta, anche se probabilmente ho esagerato. Ho rimontato veramente parecchie posizioni al chilometro ed Elia sicuramente ha sentito questa accelerazione. Però dai, ci siamo, stiamo tutti bene quindi si può solo migliorare.

Come mai non c’era anche Sabatini nel finale?

Per un po’ siamo stati tutti insieme, poi onestamente in quel marasma si è rimescolato tutto. Nel casino dell’ultimo chilometro ci siamo un po’ tutti persi di vista. Dopo l’ultima curva, ho aspettato il chilometro. Ho visto che Elia mi ha preso la ruota e quindi ho fatto questa passata per portarlo al miglior posto in avanti. Insomma, ci sono dei bei velocisti ed è buono e bello essere lì davanti.

Tu come stai?

Ho avuto 2-3 giorni non troppo belli prima di venire qua. Nel senso che è arrivata tutta insieme la stanchezza, probabilmente dovuta anche all’altura e tutto il lavoro che si è accumulato. Così ho mollato, mi sono scaricato un po’ e ora sto bene.

Simone ha vissuto una primavera travagliata, ma ora è tornato a un buonissimo livello
Simone ha vissuto una primavera travagliata, ma ora è tornato a un buonissimo livello
Siete riusciti a provare un po’ il treno?

In corsa è un’altra cosa. In allenamento è difficile provarlo, perché mancano le dinamiche. Si può provare ad accelerare con calma, però la verità è che nel finale per portare il velocista davanti, fai un bel po’ di volate prima di lanciarlo. Quindi certe cose sono difficili da provare. Però è importante avere affiatamento anche fuori corsa.

Forse Novara con quelle curve non era l’arrivo giusto per debuttare col treno?

Diciamo che qualsiasi arrivo non è adatto (ride, ndr), perché sicuramente sportellate varie ci saranno sempre. Però, dai, ci siamo come squadra. Si prospetta un bel Giro…

Parigi-Nizza 2021, 5a tappa, Sam Bennett

Sabatini: «La forza di Bennett? All’80% è il treno»

11.03.2021
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Parliamo di sprint e sprinter. Ieri, un po’ a sorpresa, alla Tirreno ha vinto Van Aert che è veloce, ma non è un velocista puro, mentre alla Parigi-Nizza continua a far faville Sam Bennett, anche oggi sul traguardo di Bollene (foto di apertura). Dopo la maglia verde vinta lo scorso anno al Tour de France, l’irlandese sembra aver trovato grande sicurezza. Quest’anno ha già messo nel sacco tre vittorie. Come mai questa supremazia? Cerchiamo di fare il punto con chi le volate le vive da dentro, Fabio Sabatini (foto in apertura).

Fabio Sabatini, uomo cruciale nel treno di Viviani alla Cofidis
Fabio Sabatini, uomo cruciale nel treno di Viviani alla Cofidis

Morkov eccezionale

«In effetti – spiega Sabatini – Sam è impressionante. Perché? Perché ha il treno e finché ha questo credo sarà dura per tutti. Bennet ha Morkov che lo porta sempre lì e… non c’è niente da fare per gli altri. Non è una questione di potenza del corridore, che comunque è potente, ma del treno appunto. L’80% delle sue vittorie dipendono dalla squadra».

Alla fine passano gli anni, cambiano gli interpreti e se vogliamo anche i treni, ma l’apripista resta fondamentale. Morkov, Richeze, Guarnieri, sono importantissimi ed è quel che forse manca a Caleb Ewan, lo sprinter più puro insieme a Demare. Ieri il folletto australiano non era messo male, ma il suo compagno si è spostato quasi senza dirglielo e per di più mentre la sua velocità non era in fase ascendente. Come si è spostato, Ewan ha preso aria e dall’elicottero si è visto come abbia perso due metri presa stante. A quel punto Caleb si è schiacciato sulla bici, ha rimontato, ma ormai era tardi.

Tour de France 2020, POitiers, Peter Sagan (SVK - Bora - Hansgrohe) - Wout Van Aert (BEL - Team Jumbo - Visma) - Sam Bennett (IRL - Deceuninck - Quick Step) - Caleb Ewan (AUS - Lotto Soudal)
Ewan (Lotto) è il velocista con lo spunto veloce più alto
Tour de France 2020, POitiers, Peter Sagan (SVK - Bora - Hansgrohe) - Wout Van Aert (BEL - Team Jumbo - Visma) - Sam Bennett (IRL - Deceuninck - Quick Step) - Caleb Ewan (AUS - Lotto Soudal)
Ewan (Lotto) è il velocista con lo spunto veloce più alto

E il treno Cofidis?

Parlando di treno, Sabatini lancia indirettamente un altro spunto di riflessione: la Cofidis a che punto è? Come è messa con Viviani, tanto più se si considera che Consonni è out per infortunio e che il suo rientro non è previsto a breve?

«Noi – riprende il toscano – dobbiamo ancora correggere tante cose del nostro treno e speriamo di riuscirci presto. Riguardo all’assenza di Consonni che dire… Noi gli uomini li abbiamo, semmai come ho detto c’è da correggere alcuni, tanti, errori che possono essere piccoli ma nel finale in volata possono diventare enormi. Un esempio? Non si può partire con il treno ai meno 9 chilometri, come ieri. Dovevamo partire ai meno tre… questo era il programma».

Quando si sentono commenti del genere si può capire quanto sia complicato gestire certe situazioni in corsa. Sembra facile dire che si inizia ai meno tre. Poi la realtà, la frenesia del gruppo, la tensione sono tutt’altra cosa. E per questo motivo quando Sabatini dice che il treno conta per l’80% ha ragione.

Viviani secondo nella sesta tappa dell’UAE Tour, primo Bennett (e dietro Morkov esulta)
Sesta tappa dell’UAE Tour, primo Bennett (dietro Morkov esulta)

Sabatini apripista 

Sabatini l’ultimo uomo lo sa fare. E’ un ruolo che ha svolto per anni. Adesso è un po’ che non lo fa più, ma è qualcosa che si ha dentro oppure serve del tempo per rispolverare certe attitudini?

«Sono automatismi che si hanno dentro – conclude Sabatini – poi io ed Elia che facciamo le volate da tanti anni. Eravamo abituati ad avere il nostro treno. Ora c’è da buttarsi un po’ nella mischia e non è facile».

Il toscano però non si perde d’animo. Sa cosa deve fare e dove andare a parare: ha la personalità e l’esperienza per riordinare le cose in Cofidis. Gli serve solo qualche corsa per prendere le misure e, chiaramente, anche un Viviani che batta un colpo forte. Sin qui Elia ha colto un secondo posto all’UAE Tour proprio dietro a Bennet.