Groenewegen “punta” il Tour e benedice Cavendish

04.12.2023
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TORINO – Guardare avanti per tornare ad alzare le braccia come nel passato. Il Tour de France 2024 è già nei pensieri di Dylan Groenewegen, lo sprinter su cui il Team Jayco-AlUla punterà almeno per altre due stagioni, sperando di rivederlo sfrecciare come ha fatto lo scorso anno, ma non così bene nella stagione che si sta per concludere.

L’ultimo squillo alla Grande Boucle 2022 arrivò nella terza tappa in terra danese e, dando un’occhiata al prossimo percorso giallo, anche stavolta il 3 potrebbe essere il numero perfetto per graffiare l’asfalto, con l’arrivo veloce nel cuore di Torino. Proprio nel capoluogo piemontese, abbiamo incontrato il trentenne olandese, dopo che ha svolto le visite di rito all’Istituto delle Riabilitazioni Riba – Gruppo Cidimu.

Terzo al GP Van Looy, dietro Philipsen e Koioij. Nel 2023 sono venute 4 vittorie
Terzo al GP Van Looy, dietro Philipsen e Koioij. Nel 2023 sono venute 4 vittorie
Qual è il tuo bilancio del 2023?

La stagione nel complesso è andata bene, anche se forse mi sarei aspettato qualche vittoria in più. In particolare, puntavo a una tappa al Tour, che ho sfiorato in più occasioni, ma arrivarci vicino non basta, per cui ci riproverò l’anno prossimo. 

Dunque, la Grande Boucle è un’ossessione per te?

Il Tour de France è l’obiettivo primario, ma prima comincerò con l’AlUla Tour (fino a quest’anno Saudi Tour, ndr), che per ovvie ragioni è una corsa molto importante per la nostra squadra. Voglio essere in forma già dall’inizio, ma poi cercherò di essere al meglio per il 1° luglio.

Chi saranno i tuoi uomini di fiducia?

Di solito, al mio fianco, ho sempre Luka Mezgec. Poi c’è Elmar Reinders che sta facendo un ottimo lavoro, mentre quest’anno non ho potuto contare su Amund Jansen, ma sono sicuro che si è messo sotto per tornare ad andare forte e non vedo l’ora di correre di nuovo con lui, perché sono sicuro che saprà aiutarmi molto in corsa. Prezioso sarà anche l’apporto di Luke Durbridge

Groenewegen durante l’intervista con Alberto Dolfin, autore dell’articolo
Groenewegen durante l’intervista con Alberto Dolfin, autore dell’articolo
Com’è cambiata la vita degli sprinter nei grandi giri rispetto ai tempi di Cipollini in cui i treni dei velocisti la facevano da padroni?

Il ciclismo è in continua evoluzione e ora, invece di avere 6 o 7 persone a disposizione, il velocista ne ha al massimo 3 o 4 che lo possono supportare. Anche nella stagione appena conclusa, la nostra squadra si è divisa 50 e 50 tra chi supportava Simon Yates per la classifica generale e chi me per le tappe. Ma non mi lamento, perché adesso tutti corrono così.

Credi che siano diminuite le opportunità per i velocisti nei grandi giri?

No, non credo, al massimo ci sono tappe più dure o il gruppo accelera sulle salite, per cui rende la corsa più dura. Ogni anno il ciclismo si evolve e, per quanto riguarda gli sprint, all’ultimo Tour, in tanti ci hanno provato, ma l’unico che ha trovato l’equilibrio perfetto è stato Philipsen.

Tornando, invece, un po’ indietro: ci racconti qual è la relazione tra te e Fabio Jakobsen dopo quanto accaduto al Giro di Polonia 2020?

Io e Fabio non siamo mai stati amici e non lo siamo nemmeno adesso. Lui è un grande sprinter e lo considero tale, nulla più. 

La drammatica caduta che stava per costare la vita a Jakobsen al Giro di Polonia
La drammatica caduta che stava per costare la vita a Jakobsen al Giro di Polonia
Ci racconti la tua risalita in sella dopo quanto successo e tutte le critiche ricevute?

E’ stato un periodo molto lungo e duro senza corse, perché prima è arrivato il Covid e poi la squalifica per quanto successo in Polonia. Mi sono allenato e poi tenuto impegnato con la mia famiglia. In tanti mi chiedevano se mi mancassero le corse, ma la realtà è che ero molto preso dalla gravidanza di mia moglie e poi dalla nascita del primogenito Mayson, che peraltro ha avuto anche un po’ fretta di uscire allo scoperto. In quel periodo, lui è stata la mia priorità e il ciclismo è venuto dopo.

Adesso ti senti di nuovo come prima?

Sì, nell’immediato sbagliai ad andare subito al Giro d’Italia, perché non ero ancora pronto dopo tanto tempo fermo. Per fortuna, grazie anche all’addio alla Jumbo e all’approdo in questa squadra, ho ritrovato il divertimento in quello che faccio e mi sono sentito accolto in famiglia

Quando non pedali, ti piace fare qualche altro sport?

Passo molto tempo in palestra. Poi, d’inverno, mi piace andare a correre.

Come sarà sfidare per l’ultima volta Cavendish al Tour 2024?

Potete dire una corsa qualsiasi e quasi sicuramente lui l’ha vinta. Forse è il miglior sprinter di tutti i tempi e sono certo al 100 per cento del fatto che Mark ha le carte in regola per battere il record di Merckx. Avrà bisogno di un pizzico di fortuna, perché ha perso un po’ di spunto veloce rispetto agli anni d’oro, ma non conosco nessuno così scaltro nei finali di tappa. 

Ti vedremo mai in qualche classica?

Abbiamo tanti corridori in squadra che possono vincerle, come Ewan o Bling (Michael Matthews, ndr), mentre io mi sento più sprinter da grandi Giri. 

Quanti tatuaggi hai?

Ne ho tre, ciascuno con un significato ben preciso. Due sul braccio destro, a cui sono molto affezionato: uno è un leone che protegge il suo leoncino, ovvero io con Mayson, che ora ha 3 anni. Mentre l’altro è una donna con un orologio, che rappresenta il tempo e la pazienza che ci ho messo durante la lunga pausa forzata per tornare al mio livello di prima.

Per Colnaghi un podio di lusso da cui ripartire

28.08.2023
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In Danimarca, Luca Colnaghi c’era già stato lo scorso anno, con un nono posto come miglior risultato. Questa volta però il PostNord Danmark Rundt gli ha dato, seppur per poco, quella risonanza di cui la sua carriera aveva bisogno. Un terzo posto di tappa dietro due autentici mostri sacri come il campione europeo Fabio Jakobsen e Mads “vincitutto” Pedersen: un podio che ha un grande valore e che può rappresentare quell’iniezione di fiducia per dare nuova spinta alla sua carriera.

Luca è al suo secondo anno alla Green Project Bardiani CSF Faizané. Era uscito dalla categoria Under 23 con grandi aspettative, come corridore capace di sorprendere, diciamo in rampa di lancio. Il risultato della volata di Bagsvaerd è il punto più alto e lo stesso lecchese ammette che è un punto di partenza, ma non molto altro.

Colnaghi affiancato a Jakobsen, uno sprint serratissimo. Il lombardo finirà terzo
Colnaghi affiancato a Jakobsen, uno sprint serratissimo. Il lombardo finirà terzo

«Sicuramente è il risultato più importante di questo biennio – afferma Colnaghi – per il fatto che davanti a me sono finiti due personaggi cardine del movimento, ma nel ciclismo se non vinci non è che poi hai fatto tanto. Conta sì, ma voglio ben altro».

In Danimarca avevi colto anche un 10° posto nella prima tappa. Quella corsa ti si addice?

Sì, lo avevo fatto anche lo scorso anno e avevo visto che è adatto per ruote veloci, ma non sono mai tappe scontate, diciamo che la volata te la devi guadagnare. E’ stato così anche quest’anno: nella prima tappa c’era pioggia e io ho sbagliato nella ricerca della posizione, altrimenti potevo finire molto più avanti. Nella seconda c’è stato un attacco ai meno 3 e ho perso l’attimo, nella terza che era la più dura sapevo di non avere una condizione sufficiente per tenere i più forti, poi c’è stato lo sprint del terzo posto.

Per Colnaghi quest’anno 8 piazzamento nei 10, un bilancio che conferma la sua costanza di rendimento
Per Colnaghi quest’anno 8 piazzamento nei 10, un bilancio che conferma la sua costanza di rendimento
Che impressione hai avuto da chi ti ha battuto?

Mi ha colpito molto Jakobsen, quando è partito mi ha praticamente lasciato sul posto… Quella volata però insegna molto, soprattutto l’importanza della posizione, del prendere la ruota giusta. Io che non sono un velocista puro mi sono trovato a lottare con i più forti, Pedersen ad esempio mi ha passato solo negli ultimi 10 metri e questo lo si deve proprio alla posizione che avevo trovato.

Come giudichi nel complesso la tua stagione?

Il bilancio nel complesso è positivo. Ho colto otto top 10, anche in prove del WorldTour o comunque spesso a confronto con squadre e corridori della massima serie, però io sono abituato a guardare il bicchiere sempre mezzo vuoto, a cercare quel che manca. Diciamo che finora mi è sempre mancato quel quid giusto per trasformare una buona gara in una vittoria. Le occasioni ci sono state, come in Slovenia quando mi è saltata la catena e abbiamo anche sbagliato strada in un giorno nel quale avevo una gamba favolosa.

Il lecchese si era messo in mostra al Giro U23 del 2020, con due vittorie in due giorni
Il lecchese si era messo in mostra al Giro U23 del 2020, con due vittorie in due giorni
Dicevi che non sei un velocista puro…

Le mie occasioni devo costruirle attraverso gare sempre un po’ mosse, nelle quali si possa scremare il gruppo al fine di ritrovarmi preferibilmente con corridori come me. Non ho la struttura possente di uno sprinter, sono 1,70 per 64 chili, robusto ma non abbastanza. Credo di dover crescere ancora molto, nel fisico, ma anche e soprattutto nell’esperienza.

Non sei più però il corridore di due anni fa che passava di categoria con tante speranze nelle tasche…

L’esperienza conta molto, aiuta nelle situazioni più diverse e il ciclismo te ne presenta sempre. Se guardo dal di fuori vedo un Luca Colnaghi più duraturo e costante nelle sue gare, con un rendimento abbastanza regolare, al quale manca ancora qualcosa per avere quelle punte necessarie per vincere.

Alla Green Project-Bardiani, Colnaghi ha trovato spazio per crescere. Resterà nel 2024?
Alla Green Project-Bardiani, Colnaghi ha trovato spazio per crescere. Resterà nel 2024?
Ti ritieni più un corridore cacciatore di tappe o uno per classiche d’un giorno?

E’ vero che guardando il mio calendario si può pensare che preferisca le tappe perché offrono più occasioni, ma io preferisco le classiche, per le mie caratteristiche sono più portato a dare tutto nelle gare secche, dove ci si gioca tutto nel giorno stesso.

Finora non hai ancora avuto occasione di cimentarti in un grande giro.

Questo è un po’ un pensiero che mi assilla, quest’anno ci tenevo a farmi trovare pronto per la corsa rosa, ma poi sono state fatte altre scelte. Per me sarebbe importante testarmi in una corsa di tre settimane perché so che ti cambia il motore, forse sarebbe quel quid di cui dicevamo prima. Il mio obiettivo per il 2024 è proprio quello, essere in gara in una prova lunga per dimostrare quel che so fare, l’età ormai è quella giusta…

Quanto sono cambiati i tempi di recupero? Spiega Guardascione

26.08.2023
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Si continua a dire che per vedere il miglior Bernal bisognerà attendere il prossimo anno, che questa stagione è fondamentale per il recupero. L’incidente che ha messo fuorigioco il colombiano, all’inizio del 2022, ha conseguenze che si protraggono ancora oggi. Bernal è tornato a correre un grande Giro solamente nel 2023, con il Tour de France (nella foto di apertura alla presentazione della 20ª tappa). A poche settimane di distanza è stata annunciata la sua partecipazione alla Vuelta, altro gradino importante verso la scalata alla sua miglior condizione. 

Dopo la caduta alla Vuelta del 1994 (a destra nel fermo immagine della volata) Cipollini recuperò in tempi record
Dopo la caduta alla Vuelta del 1994 (a destra nel fermo immagine della voltata) Cipollini recuperò in tempi record

Il punto di vista medico

Carlo Guardascione, medico del team Jayco-AlUla, è uno dei nomi più noti ed importanti del gruppo. Abbiamo deciso di chiedere a lui un parere su quelle che sono le tempistiche di recupero. Ora i tempi sembrano allungarsi e non poco, si parla sempre più di “stagione di recupero”. Anche in passato era così oppure si tratta di un cambiamento portato dal ciclismo moderno?

«Bisogna fare delle distinzioni – spiega Guardascione – tra traumi singoli e politraumi. Dal punto di vista medico è meglio rompersi il femore in tre punti diversi e sottoporsi ad un’operazione, piuttosto che subire un politrauma come quello di Bernal. Un incidente come il suo allunga notevolmente i tempi di recupero, perché si subiscono diversi scompensi che poi l’atleta si porta dietro una volta tornato in bici».

Nonostante il grave infortunio, Jakobsen (che vola oltre la transenna) in meno di un anno torna a correre e a vincere
Nonostante il grave infortunio, Jakobsen (che vola oltre la transenna) in meno di un anno torna a correre e a vincere

Jakobsen ed Evenepoel

Uno degli incidenti più recenti, accaduti in corsa, che è rimasto maggiormente nella memoria dei tifosi, è quello di Jakobsen al Tour de Pologne del 2020. L’altro è la caduta di Evenepoel al Giro di Lombardia dello stesso anno. 

«Jakobsen – dice Guardascione – ha subito un trauma facciale spaventoso, ma una volta sistemato è riuscito a tornare in sella in tempi davvero brevi. Per quanto brutto e doloroso possa essere un trauma come quello di Jakobsen o dello stesso Evenepoel sono più “semplici” da far rientrare. Tant’è che entrambi, nel giro di un anno, anche qualcosa meno, sono tornati alle corse e a vincere. Nel subire un trauma come la frattura del bacino (nel caso di Evenepoel, ndr) entra in campo anche l’aspetto psicologico. Sai che per guarire da una frattura del genere hai bisogno di 5 mesi e ti dai un obiettivo in termini di tempo.

«In un caso come quello di Bernal – riprende – l’obiettivo principale era rimettere in piedi la persona prima del corridore. Non ci si è dati dei tempi di recupero, perché i traumi erano talmente tanti che non si potevano ipotizzare delle tempistiche».

Evenepoel, dopo la frattura del bacino al Lombardia, tornerà in gruppo direttamente al Giro del 2021, quasi un anno dopo
Evenepoel, dopo la frattura del bacino al Lombardia, tornerà in gruppo direttamente al Giro del 2021

Tutto estremizzato

Nel ciclismo moderno, però, è tutto estremizzato, nel bene e nel male. Le terapie di guarigione e recupero permettono di riprendersi in maniera completa. Tuttavia le prestazioni, in gara, sono talmente elevate che bisogna essere al top per pensare di essere competitivi

«Un conto è voler tornare competitivo – ci dice nuovamente Guardascione – un conto è tornare a pedalare in gruppo. Se si vuole vincere non basta essere al 95 o al 99 per cento. Nel ciclismo moderno devi essere perfetto se vuoi provare a vincere, dieci anni fa non era così. Non c’era questa estremizzazione della performance, siamo come in Formula 1. E per raggiungere la perfezione ci vuole tempo, quindi non si allungano i periodi di recupero, ma quelli per tornare competitivi. Una frattura si cura sempre in 2 mesi, ma per tornare in gruppo con l’ambizione di vincere si deve lavorare tanto. Lo si vede da anni, in gara vai solo se sei perfetto, con i numeri giusti. Non esiste che si vada alle corse con la gamba da “costruire”. Soprattutto dopo un infortunio».

A Philipsen il primo sprint e ora mirino sulla “verde”

03.07.2023
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Prima volata, vince Philipsen e Van der Poel lo pilota da vero mago. Giusto pochi giorni fa Petacchi lo aveva inserito fra i velocisti più completi e per questo vicini alla maglia verde. A ben guardare lo scorso anno Jasper fu secondo, sia pure distaccato di un monte di punti da Van Aert. Sarà nuovamente il Wout nazionale l’uomo da battere o davvero se ne andrà quando sua moglie darà al mondo il secondo figlio? E se rimarrà, potrà correre libero come nel 2022?

«Sono molto contento della prestazione della squadra – ha detto Philipsen dopo l’arrivo – Jonas Rickaert e Mathieu Van der Poel hanno fatto un lavoro fantastico. E’ fantastico avere qualcuno come Mathieu come ultimo uomo. Se ha spazio per andare, nessuno può passarlo. Vincere la prima volata è sempre più difficile, sono molto contento di esserci riuscito. Ma spero che ne seguiranno altre e ovviamente anche la maglia verde resta un obiettivo».

Ancora una volta, super lavoro di Van der Poel, come ultimo uomo e pilota nella mischia
Ancora una volta, super lavoro di Van der Poel, come ultimo uomo e pilota nella mischia

Processo di crescita

E’ felice come una Pasqua per la vittoria appena ottenuta e ancor più felice di aver scongiurato il rischio che la Giuria gliela togliesse per il cambio di direzione: era lui davanti, nessuna infrazione. Al confronto, infatti, Van Aert ha fatto meno storie oggi che dopo la tappa di ieri. Si è limitato a spiegare di essersi trovato chiuso e di confidare nella valutazione della Giuria. Della maglia verde non ha parlato.

«Mi sono allenato tanto in salita – dice Philipsen – di conseguenza le mie condizioni generali sono migliorate. Me ne ero già accorto alla Sanremo. Di solito sul Poggio mi si spegneva la luce, questa volta l’ho passato bene. I dati parlano di quasi 30 watt in più: la differenza tra vincere o perdere. Non diventerò mai un Van Aert o un Van der Poel, ma forse loro non hanno il mio sprint. Divento più forte ogni anno. Non enormi passi in avanti, ma piccoli e costanti. Ho 25 anni, credo che il meglio debba ancora venire».

Carcassonne, 15ª tappa dell’ultimo Tour, Philipsen infilza Van Aert allo sprint
Carcassonne, 15ª tappa dell’ultimo Tour, Philipsen infilza Van Aert allo sprint
Strano che anche Van der Poel non voglia lottare per la maglia verde…

Non credo abbia voglia di dedicarsi ogni giorno a quel tipo di obiettivo. La squadra ci ha fatto correre molto insieme, per farci diventare compatibili e credo che questo Tour lo dimostrerà.

Come si fa a diventare compatibili se entrambi volete sempre vincere?

Abbiamo viaggiato spesso insieme e ci siamo conosciuti meglio. E’ un tipo divertente, siamo diventati amici. Prendiamo entrambi sul serio il lavoro che facciamo, ma quando si va d’accordo, tutto fila via più liscio.

Alla Tirreno, Mathieu ha lavorato per te in entrambi gli sprint che hai vinto e oggi è successo anche al Tour.

L’ho già detto: è stato un grande valore aggiunto. Mathieu può tirare molto più a lungo di altri, ma dobbiamo ancora capire come fare e valutare il rischio delle varie situazioni. So che posso vincere anche da solo.

Prima tappa al Giro del Belgio: Philipsen batte Jakobsen e dietro Van der Poel esulta
Prima tappa al Giro del Belgio: Philipsen batte Jakobsen e dietro Van der Poel esulta
Secondo Petacchi, fra te e la maglia verde c’è comunque Van Aert.

Tutto dipende da lui. Può conquistare tanti punti lungo la strada scattando e infilandosi nelle fughe. Se invece dovrà correre più coperto, allora le mie possibilità aumenteranno. Però entreranno in ballo anche gli altri velocisti, per cui sarà decisivo vincere tappe. Gli sprint intermedi peseranno meno e se perdi punti in una volata per la vittoria, le differenze saranno più marcate.

Un velocista è in grado di dire quale posizione occupa nella scala gerarchica dello sprint? 

Se non sbaglio quest’anno sono stato battuto in volata solo due volte, da Jakobsen (alla Tirreno-Adriatico e al Giro del Belgio, ndr). In entrambe le occasioni però sono arrivato secondo. Sei volate le ho vinte, ho iniziato a concentrarmi molto sui dettagli. Penso di essere più maturo e anche un po’ più forte. Nel Tour del 2021 ho conquistato sei podi e nemmeno una vittoria. Lo scorso anno, tre podi e due vittorie fra cui Parigi. Voglio di più.

Pochi scontri diretti con Cavendish. Sul podio della Scheldeprijs, con loro due c’è anche Welsford
Pochi scontri diretti con Cavendish. Sul podio della Scheldeprijs, con loro due c’è anche Welsford
Avrai fra i piedi Cavendish che insegue il record di Merckx, cosa ne pensi?

Di certo non gli farò regali. Mi ha colpito molto che dopo un Giro d’Italia così duro, soprattutto mentalmente, sia riuscito a vincere l’ultima tappa. Se batte il record, sarà tutto merito suo, ma non sarà facile.

A volte ti hanno accostato a lui per manovre un po’ rischiose in volata.

Non è più così e soprattutto non ho mai oltrepassato un limite. Andavo meno forte e dovevo approfittare degli altri per salvarmi dal vento e scalare posizioni. Da ragazzo capita di sbagliare, la regola è imparare dagli errori. Adesso arrivo più fresco ai finali, quindi mi riesce più facile prendere correttamente posizione e quindi rischio meno.

E’ vero che non ti piace studiare i tuoi dati e li lasci agli altri?

Molto vero. Preferisco restare concentrato e se poi qualcosa va male, meglio guardare il filmato, capire perché e andare avanti. Mi fido del programma e dei piani della squadra. Lascio i dati agli allenatori e faccio affidamento sul mio istinto.

E’ vero che hai in testa anche il mondiale di Glasgow?

Per me è presto parlare di classiche come il Fiandre, perché è troppo duro. Però sono arrivato secondo alla Roubaix, quindi questo mondiale diventa interessante. Ne ho già parlato con Sven Vanthourenhout, il tecnico della nostra nazionale. Potrei nascondermi un po’ in gruppo lasciando che Van Aert ed Evenepoel corrano in modo più offensivo. Io potrei fare il parafulmine, casomai si arrivasse allo sprint. Dipende dai programmi della nazionale e anche da come supererò il Tour. Fra sei o sette tappe magari ne sapremo qualcosa di più.

Caccia alla maglia verde: Petacchi scopre le carte

01.07.2023
4 min
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Parte oggi da Bilbao la 110ª edizione del Tour de France, tra tutte le domande che ci accompagneranno fino a Parigi c’è anche quella che riguarda la maglia verde. L’anno scorso la vinse Van Aert con bel 194 punti di vantaggio su Philipsen. Chi riuscirà a vincerla? Sarà ancora terreno di caccia per il belga (in apertura sul podio di Parigi nel 2022) oppure tornerà sulle spalle di un velocista? 

Ne parliamo con Alessandro Petacchi, ultimo italiano a vincere la maglia verde, nel 2010. L’ex velocista, seguirà questo Tour da casa e poi volerà a Glasgow per commentare i mondiali con la RAI. 

Cavendish nel 2021 non partiva favorito, ma ha vinto la maglia verde: occhio a sottovalutare “Cannonball”
Cavendish nel 2021 non partiva favorito, ma ha vinto la maglia verde: occhio a sottovalutare “Cannonball”

Ricordi “verdi”

«Da quel Tour del 2010 – racconta Petacchi – è passato qualche anno, ma i ricordi si fanno più vivi quando si avvicina la Grande Boucle. Negli ultimi anni ho fatto anche le ricognizioni e mi è capitato di passare per certi posti e città dalle quali ero passato anche in quell’anno. Salire sul podio degli Champs Elysées ha un fascino incredibile, ti lascia un qualcosa dentro di indescrivibile. Quel podio rimane il più particolare del mondo ciclistico, rivivere ricordi e foto è sempre bellissimo».

Petacchi conquistò la maglia verde nel Tour del 2020, lottando sino in fondo con Cavendish
Petacchi conquistò la maglia verde nel Tour del 2020, lottando sino in fondo con Cavendish
In quel Tour lottasti per la maglia verde con Cavendish, che oggi sarà al via di Bilbao…

Ricordo bene la tappa di Parigi, io ero in maglia verde, ma dovevo stare attento, perché a Cavendish bastavano pochi punti per superarmi. E’ stata una giornata difficile, dove però sono riuscito a fare una bella volata: ho perso, ma ho mantenuto la maglia verde.

Quest’anno Cavendish potrà lottare per la maglia verde?

Non è il primo favorito, lo metterei tra quelli con quattro stelle. Lui arriva al Tour con l’obiettivo della 35ª vittoria: per superare Merckx, gli basta una sola vittoria. Ora ci sono tanti velocisti giovani e forti, ma lui è sempre in grado di tirare fuori il coniglio dal cilindro. Basti pensare al 2021, arrivava senza grandi ambizioni, ha vinto quattro tappe e la maglia verde. 

Il percorso quest’anno sorride un po’ più ai velocisti?

Le possibilità sono più alte di vedere un velocista puro in maglia verde a Parigi. Tuttavia la condizione deve essere più che al massimo. Ovvio che chi va al Tour sta bene, ma a volte non basta nemmeno questo. 

Jakobsen è il velocista più forte secondo Petacchi, ma in salita soffre tanto, in foto a Peyragudes quando si è salvato per una manciata di secondi
Jakobsen è il velocista più forte, ma in salita soffre, qui a Peyragudes quando si è salvato per una manciata di secondi
Il tour favorito chi è?

Dipende dagli obiettivi suoi e della squadra, ma su tutti direi Van Aert. Può vincere o comunque fare punti nelle volate di gruppo. E potrebbe anche mettere in piedi un numero come quello dello scorso anno a Calais… Però c’è un’incognita…

Quale?

La squadra. Vingegaard corre per vincere il Tour e dovranno supportarlo al meglio, lo stesso Van Aert dovrà mettersi al suo servizio. Lo ha fatto anche lo scorso anno, però non è sempre semplice gestirsi. Sicuramente il belga va forte ovunque, anche in salita, ma in alcune tappe i velocisti potrebbero tirare il fiato e recuperare, mentre lui lavorerà per la squadra. 

Passiamo ai velocisti, chi vedi tra i favoriti per la maglia verde?

Philipsen è il più gettonato, considerando il supporto che avrà da Van Der Poel. Avere un corridore del suo calibro come “pesce pilota” può far uscire qualcosa di bello. 

Philipsen ha vinto due tappe l’anno scorso, tra cui la più ambita: quella degli Champs Elysées
Philipsen ha vinto due tappe l’anno scorso, tra cui la più ambita: quella degli Champs Elysées
Altri?

Il velocista più forte del mondo: Jakobsen. Se è in forma ha davvero un qualcosa di incredibile. Nel suo caso la squadra lavorerà tutta per lui, quindi godrà di un bel supporto. Anche se c’è da dire che lui in montagna soffre tantissimo, basti ricordare la tappa di Peyragudes quando si è salvato per dieci secondi dal tempo massimo. Poi ci sarebbe Groenewegen, anche lui velocista puro. 

E’ un Tour che parte subito molto duro.

Le prime tappe saranno importanti, soprattutto la prima e la seconda. Il percorso non si addice ai velocisti e se un uomo come Van Aert dovesse già prendere la maglia verde potrebbe essere difficile tirargliela via.

De Lie, giovane guascone al vaglio di “mastro” Guarnieri

23.02.2023
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Tra i protagonisti assoluti dell’avvio di stagione c’è sicuramente Arnaud De Lie, che in 7 giorni di gara ha collezionato tre vittorie e un secondo posto. Non si può certo dire che sia stata una sorpresa, visto il roboante 2022 del ventenne di Libramont, vincitore di ben 9 corse. Un velocista di primissimo piano e, vedendo i suoi successi, molti si sono chiesti a chi possa essere assimilato.

L’esperto Thomas De Gendt, suo compagno alla Lotto Dstny, ha parlato di De Lie come di un nuovo Sagan, innanzitutto per quello spirito sbarazzino in bicicletta, quella voglia innata di divertirsi, riprendendo di fatto un concetto molto in voga in questo ciclismo, stante anche le dichiarazioni in tal senso di Pogacar, del suo vedere il ciclismo come un gioco in cui vincere sempre.

Primo anno per Guarnieri alla Lotto Dstny. In Spagna la scoperta di De Lie
Primo anno per Guarnieri alla Lotto Dstny. In Spagna la scoperta di De Lie

Tecnicamente il paragone è proponibile o ce ne sono altri più definiti? Chi meglio di Jacopo Guarnieri, da quest’anno suo nuovo compagno di squadra, poteva dare una risposta, considerando la sua lunga militanza al fianco di tanti grandi velocisti, a cominciare proprio da Sagan?

«Con Peter abbiamo corso insieme nei miei due anni finali alla Liquigas (2010-2011, ndr). Le parole di Thomas non sono sbagliate, Arnaud ha un approccio molto “free” con la bici, vive tutto con spensieratezza, non sente pressioni. Se tecnicamente sono due corridori molto diversi considerando la potenza straripante di Peter, come modo di vivere la loro attività sono molto assimilabili».

Sagan, al suo ultimo anno su strada. De Lie ricorda molto lo slovacco ai suoi inizi
Sagan, al suo ultimo anno su strada. De Lie ricorda molto lo slovacco ai suoi inizi
Tu approdi quest’anno alla Lotto Dstny, venendo da anni al fianco di un altro Arnaud, Demare. Qui trovi dei punti di contatto?

Nei due vedo la stessa voglia di lottare, il carattere tipicamente vincente, di colui che vuole arrivare a tutti i costi al risultato spendendo tutto se stesso. Diciamo che entrambi godono nel correre. De Lie forse è più poliedrico per certi versi, non è un velocista puro, ma rispetto al francese ha una maggior resistenza su alcuni strappi, quindi il suo ventaglio di possibilità come percorsi è più ampio. C’è però una differenza sostanziale…

Quale?

De Lie non ha mai fatto un grande Giro e questo cambia molto nella vita di un velocista. Rappresenta un banco di prova, un bagaglio di esperienze enorme, che spesso cambia la vita. Il susseguirsi delle tappe influisce, fa perdere l’esplosività che è una sua caratteristica, per questo sarà importante cimentarsi in una gara di tre settimane. Noi parliamo di un corridore ventenne che deve fare ancora tante esperienze: io ho corso con lui nelle due gare a Mallorca, ho visto di che cosa è capace, ma chiaramente è un corridore che deve anche maturare.

Per il belga subito 3 vittorie, 2 all’Etoile de Besseges dopo la Clasica Comunitat Valenciana
Per il belga subito 3 vittorie, 2 all’Etoile de Besseges dopo la Clasica Comunitat Valenciana
C’è qualcosa che non ti convince?

No, assolutamente, ma è chiaro che Arnaud ha bisogno di crescere, soprattutto di affrontare nuove esperienze, di correre gare diverse da quelle nelle quali si è cimentato lo scorso anno privilegiando, giustamente, il calendario belga. De Lie ha l’esuberanza tipica della sua età, attacca sempre, anche quando potrebbe risparmiare energie in vista della volata finale. E’ quel pizzico di malizia che si acquisisce solo con l’esperienza.

Tu avrai a che fare con lui e con Ewan, due velocisti molto diversi.

Moltissimo. Ewan non vuole essere sempre portato in prima posizione, rispetto a com’ero abituato sarà un cambio notevole, infatti sono contento d’iniziare a correre con lui. Tornando ad Arnaud, devo dire che faccio un po’ fatica a considerarlo un velocista puro. Io lo vedo come un “Boonen in evoluzione”, nel senso che col passare del tempo e l’affinarsi delle esperienze, potrà essere davvero un corridore da classiche, considerando appunto le sue capacità anche su certi tipi di salite.

Jakobsen è pronto a ricevere la sfida del belga. Domenica lo scontro a Kuurne
Jakobsen è pronto a ricevere la sfida del belga. Domenica lo scontro a Kuurne
Molto diverso quindi da sprinter come Jakobsen o Groenewegen…

Enormemente. Mi incuriosisce molto lo scontro previsto per domenica alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Jakobsen ha certamente punte di velocità maggiori, De Lie ha dalla sua non solo la forma, ma anche la forza pura. Potrebbe anche trovare una soluzione prima per staccare il pericoloso rivale. Per Groenewegen vale lo stesso discorso, anzi l’olandese ha nelle salite un po’ il suo punto debole.

Dall’alto della tua esperienza, che cosa ti senti allora di consigliargli?

Di andare un po’ più calmo, imparare a gestire le sue energie e a correre al risparmio, attaccare quando davvero serve e ci sono possibilità che l’azione sortisca effetti. Deve correre più di rimessa, fidandosi anche del lavoro di squadra. All’Etoile de Besseges ad esempio il team lo ha aiutato molto, riportandolo dentro dopo un momento di difficoltà. In questo ho notato un grande spirito, che convince sempre più che la scelta fatta da me sia stata quella giusta.

Bouhanni, altra caduta. Ora il nemico è la paura

05.02.2023
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Di nuovo sull’asfalto, un volo a 70 all’ora. Nacer Bouhanni era appena alla seconda corsa dopo la rovinosa caduta al Giro di Turchia del 2022, quando a causa di uno spettatore in mezzo alla strada aveva rischiato di rimanere tetraplegico. E ora nel secondo giorno di Mallorca, sulle strade del Trofeo Palma, mentre era intrappolato a centro gruppo, due corridori si sono toccati dietro di lui e uno di loro si è schiantato contro la sua ruota posteriore. L’uomo del Team Arkea-Samsic è volato dall’altra parte della strada. Stordito. Ferito. Con un trauma cranico, un grosso ematoma al costato e abrasioni a non finire.

Per un momento si è temuto che la sua carriera sarebbe finita lì, tanta è stata la paura. Invece Bouhanni si è dato una scossa. Gli esiti degli esami hanno escluso fratture e gli hanno restituito morale. Il casco Ekoi ha fatto più che bene il suo dovere, tanto che non è stato neppure avviato il protocollo per la commozione cerebrale. Resta ora da combattere contro l’insicurezza: il vero punto debole in questa fase così complicata della sua carriera.

La caduta del Trofeo Palma ha fatto ripiombare Bouhanni e la squadra nelle paure già provate nel 2022 (immagini TV)
La caduta del Trofeo Palma ha fatto ripiombare Bouhanni e la squadra nelle paure già provate nel 2022 (immagini TV)

Giusto nelle settimane precedenti, il francese aveva ribadito il suo entusiasmo e la sua impazienza di rientrare in corsa, nove mesi dopo la caduta in Turchia e la relativa frattura di una vertebra. E ora si è ritrovato di colpo a fare i conti con la paura.

Come Jakobsen

Il mestiere del velocista non è semplice e la componente psicologica è spesso quella decisiva. Ultimamente è capitato più volte di ragionare sulla situazione di Jakobsen, che a sua volta rischiò la pelle al Tour de Pologne del 2021. E l’olandese, che di quel volo tremendo porta ancora i segni sul volto, domenica scorsa ha rischiato nuovamente di franare durante l’ultima volata alla Vuelta a San Juan, quando uno spettatore, sporgendosi troppo, lo ha colpito al volto con un cellulare.

«Davvero il mestiere del velocista non è dei più facili – ha detto all’Equipe Emmanuel Hubert, il team manager della squadra di Bouhanni – ma io credo in una buona stella che metterà tutto a posto. Se Nacer riuscirà ad essere al via del Tour de France, vincerà. Per il momento è stato necessario un ritorno graduale agli allenamenti, in attesa che giunga alla fine dei suoi guai».

La caduta nella 2ª tappa al Presidential Tour of Turkey 2022 era stata provocata da un pedone (foto Instagram)
La caduta nella 2ª tappa del Turchia 2022 era stata provocata da un pedone (foto Instagram)

I ricordi più lucidi

In questi pochi giorni nuovamente all’ospedale, il francese ha avuto il tempo per ricordare le sensazioni tremende dell’anno scorso, rimettendo in ordine le sue sensazioni.

«C’è stato davvero il rischio di tetraplegia – ha raccontato – ho immaginato di trovarmi su una sedia a rotelle. Non volevo più andare in bicicletta, pensavo solo a guarire, a poter girare la testa, a camminare, ai gesti di tutti i giorni. Quell’uomo me lo sono rivisto davanti almeno un milione di volte. Camminava in mezzo alla strada e l’ho colpito a 60 all’ora. Ricordo tutto e questo potrebbe anche non essere un bene. La curva, il lungomare, il rilancio. Questo spettatore girava da un po’, il primo del gruppo lo ha visto, ma quando sei tra le ruote non puoi fare molto. Mi è finito addosso, l’ho visto quando ero a un metro da lui. Ho avuto solo il riflesso di abbassare la testa e il casco lo ha colpito. Da lì ho conosciuto un dolore per me totalmente nuovo, come se qualcuno mi piantasse un chiodo nel collo al minimo movimento».

Bouhanni ha svolto il recupero dall’incidente del 2022 nella Clinica Bizet di Parigi con il dottor Georges Naim Abi Lahoud (foto Instagram)
Bouhanni con il dottor Georges Naim Abi Lahoud della clinica Bizet di Parigi, dove è stato curato nel 2022 (foto Instagram)

Prigioniero del gruppo

La sensazione di essere intrappolato al centro del gruppo è la stessa raccontata in relazione alla caduta di Mallorca. E quel senso di impotenza è la causa delle preoccupazioni del team e se ne andrà, sperano i suoi tecnici, quando Nacer riuscirà a ripartire nel modo giusto.

«Alla ripresa dalla caduta del 2022 – ha ricordato Bouhanni – sembravo paranoico. Ogni volta che passavo davanti a un’auto o a un camion, guardavo la velocità e mi chiedevo cosa sarebbe successo se mi avesse colpito. Ero ancora sotto shock, ma dopo un po’ mi sono imposto di smettere di pensarci. Il ciclismo è uno sport rischioso, ne ho parlato con mia moglie. Lei sa che è quello che amo, quindi ritrovarmi a non fare niente dall’oggi al domani non sarebbe stata la soluzione giusta. Se mi fossi arreso, sarebbe stato un fallimento».

Bouhanni è rientrato in corsa il 26 gennaio al Trofeo Ses Salinas: tre giorni dopo, ecco la nuova caduta
Bouhanni è rientrato in corsa il 26 gennaio al Trofeo Ses Salinas: tre giorni dopo, ecco la nuova caduta

L’istinto del pugile

Così Bouhanni si è rialzato e così si alzerà nuovamente anche questa volta. La sua precedente carriera da pugile gli ha insegnato a cadere e risollevarsi. Il recupero a livello fisico è quasi completo, gli resta un fastidio al collo e alla schiena dopo quattro ore di bici e per questo la nuova caduta potrebbe aver rallentato il processo. Ora resta di fare i conti con la paura, con una certezza confessata a bassa voce dal diretto interessato.

«Se torno è perché credo di poterlo fare. Se sarò nel gruppo lanciato verso lo sprint, non mi tirerò indietro. Ma se riuscirò a vincere, sarà un’impresa».

Bis di Welsford, corsa a Lopez, Jakobsen rischia grosso

30.01.2023
6 min
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A San Juan, per l’ultima tappa della Vuelta, sono scese in strada centinaia di migliaia di persone. Qualcosa di impensabile, se non per palcoscenici come il Giro d’Italia oppure il Tour nelle loro terre più calde. Lungo il circuito di 16 chilometri, non un solo metro è parso scoperto di pubblico e alla fine la vittoria è andata nuovamente a Sam Welsford su Jakobsen e Nizzolo. E se nella prima tappa aveva avuto paura, questa volta all’olandese è andata bene. Per questo quando si dirigeva verso il podio aveva lo sguardo scosso.

«Era già stato super speciale – racconta Welsford – aver vinto ieri e mi aveva dato grande motivazione. Oggi avevo grande fiducia e questo secondo successo mi fa credere nel processo che ho iniziato qui e andrà avanti per il seguito della stagione. I risultati in pista sono stati un’esperienza importante per arrivare a questo livello. La squadra mi ha aiutato molto per tutta la settimana. Siamo stati circondati da una folla incredibile, non riuscivo ad ascoltare quello che dicevano i miei compagni.

«Spero di tornare qui il prossimo anno e che questa sia una delle tante vittorie che verranno ancora. In volata eravamo velocissimi, Fabio ha provato a inserirsi fra le barriere ed è stato colpito da un telefono. Ho visto il replay. Spero che stia bene, ha rischiato davvero di cadere. A volte bisogna capire da fuori che quando si arriva così vicini ai corridori, bisogna stare attenti alla loro incolumità».

Prima del via, un corridoio di applausi per Maxi Richeze, commosso all’addio
Prima del via, un corridoio di applausi per Maxi Richeze, commosso all’addio

Pericolo scampato

Jakobsen ha provato a infilarsi sulla destra dell’australiano, dimostrando di aver ben recuperato psicologicamente da quanto gli accadde al Polonia. Ma proprio nel momento in cui si è infilato nei pochi centimetri fra Nizzolo e la transenna, lo ha colpito al capo il telefonino di un tifoso che si sporgeva per fotografarlo.

Il telefono è volato via e con esso gli occhiali di Jakobsen, ma lo sbandamento della ruota anteriore dell’olandese stava per costargli caro. Se non avesse corretto la traiettoria con uno scarto, Jakobsen avrebbe sollevato con la ruota il pannello pubblicitario legato alla transenna e le conseguenze sarebbero potute essere gravissime.

Nizzolo, il rapporto giusto

Nuovamente terzo, come dopo la prima tappa, Nizzolo saluta il nuovo podio con più consapevolezza. Se il primo giorno infatti si trovò a sprintare con un rapporto troppo corto, pagando il cambio di ritmo di Bennett, questa volta il milanese ha provato ad anticipare la volata partendo lunghissimo.

«Ho avuto una sensazione buona – spiega – ma la volata è stata un po’ strana per me, nel senso che non sono le volate che mi piacciono. Non è stata molto tecnica. Però ho trovato il varco per uscire, anche se un po’ lontano dall’arrivo. Ci ho provato e comunque aver fatto una volata così lunga è sintomo che la condizione è abbastanza buona. Un podio che mi motiva, diverso dal primo. Col rapporto che avevo, la settimana scorsa avevo poche chance. Oggi invece ho fatto una volata di testa, che comunque è sempre bello. Poi, chiaro, venire rimontato sul più bello non è simpatico.

«Visto quanta gente? Dicevo ai miei compagni che nel 2018 vinsi questa tappa in uno scenario praticamente uguale e fu un’emozione incredibile. Perché insomma, avere questa gente non è consueto, quindi è bellissimo. Li ringrazio tutti».

Nizzolo ha provato la volata di testa, ma è stato rimontato da Welsford e Jakobsen
Nizzolo ha provato la volata di testa, ma è stato rimontato da Welsford e Jakobsen

Fra Lopez e Tarozzi

La Vuelta a San Juan 2023 se l’è presa Miguel Angel Lopez, grazie all’impresa all’Alto del Colorado, con il nostro Tarozzi che si è aggiudicato la maglia del Gran Premio della Montagna, grazie alla condotta sbarazzina e cocciuta.

«Sono molto contento di questa squadra – dice Lopez – ringrazio tutti per il loro lavoro ogni giorno, spero che questa vittoria sia una bella ricompensa. Voglio anche congratularmi con l’organizzazione per questa bellissima gara, penso che la gente si sia davvero divertita. Porto a casa questa vittoria e inizio l’anno molto motivato. Devo ringraziare Medellin per questa opportunità che mi hanno dato per mostrare le mie qualità, abbiamo dimostrato di essere la squadra migliore. Tutti hanno visto quanto siamo uniti. Questa vittoria mi rende molto felice e soprattutto la voglio dedicare alla mia famiglia, a mia moglie e ai miei figli che sono la cosa più importante. Sono sempre lì, nel bene e nel male».

Sul podio finale, Lopez precede Higuita e Ganna, fortissimo in salita
Sul podio finale, Lopez precede Higuita e Ganna, fortissimo in salita

Per il colombiano e per il romagnolo della Green Project-Bardiani-Faizanè si tratta di una partita vinta. Il primo ha voluto dimostrare qualcosa a se stesso e all’Astana e ora bisognerà aspettare per capire come finirà la sua storia. Intanto il Team Medellin prepara le valigie per inviti già ricevuti in Europa. Invece Tarozzi deve riprendersi dall’infortunio del 2022 e aspetta solo di raccontare tutto il lavoro che gli è costato arrivare fin qui.

La serata si accende di luci, colori e fuochi di artificio. Sul maxischermo del palco scorrono i messaggi registrati nei giorni scorsi, con cui i corridori salutano Maximiliano Richeze. Stasera si farà festa all’Hotel Del Bono, su cui converranno tutte le squadre, poi sarà tempo di impacchettare bici, sogni e speranze e di far rotta verso l’inverno europeo. La Vuelta a San Juan chiude la parentesi delle prime corse al caldo, fra breve tutti i corridori torneranno a sfidarsi sulle rotte europee.

Dalla paura alla vittoria, stavolta spunta Jakobsen

24.01.2023
5 min
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Seconda volata alla Vuelta a San Juan e questa volta vince Jakobsen che batte Gaviria. Sono partiti da Valle Fertil e sono arrivati a Jachal dopo 201,1 chilometri, attraverso lande spelacchiate, senza un alito di vento né segnale per i cellulari. Giusto a un certo punto, presso un gruppo sparuto di case, un cartello avvisava che lì si poteva telefonare. Fuga ripresa e poi arrivo in volata.

Vanno così forte che quando passano sull’arrivo non osano neppure alzare le braccia dal manubrio e vanno a fermarsi in fondo alla strada, dove l’asfalto finisce e i massaggiatori li aspettano. Rispetto alle facce rabbiose di ieri, il finale ha ben altro sapore. Solo Jakobsen ha esultato, staccando appena il pugno.

«Ieri ho avuto paura – dice – non volevo cadere. Siamo solo all’inizio di stagione, ma ci sono nove squadre WorldTour e tutti gli sprinter migliori. Andiamo velocissimi, siamo ai livelli di un Tour de France».

Riunione nella notte

Ride Fabio, che si sta riprendendo quel che la caduta del Polonia stava per portargli via. E forse per questo ieri dopo la tappa nella sua squadra erano tutti furibondi. Al punto da pretendere giustizia e correttivi.

«Ieri il finale era molto pericoloso – racconta – per questo la notte scorsa abbiamo parlato con gli organizzatori e ci hanno promesso che oggi sarebbe stato meglio e così è stato. Non ci sono ricette particolari per avere più sicurezza.

«Sarebbe bello che non ci fossero persone nel percorso su cui corriamo, mentre ieri addirittura lo attraversavano. Il gruppo è qualcosa di strano che passa sulle strade ad alta velocità, abbiamo bisogno di poliziotti e transenne che ci guidino. Ieri ho scelto il lato più sicuro per non cadere, ma ho sbagliato strada e perso Lampaert e Morkov. Non volevo cadere, siamo qui per preparare la stagione e vorrei riportare la pelle a casa».

Un treno fantastico

Lo disse a Popsaland, nel corso della presentazione della Soudal-Quick Step: se riesco a lanciarmi nel modo giusto, sono l’uomo più veloce del mondo. E oggi in qualche modo ne ha offerto la prova, anche se Gaviria alle sue spalle è parso in crescita.

«Il nostro treno – spiega l’olandese campione d’Europa – ha iniziato a lavorare al chilometro zero, con Jan Hirt e Pieter Serry che ha fatto la maggior parte del lavoro, tenendo la fuga sotto controllo. E’ una fortuna avere al mio fianco gente così esperta. Poi Remco è passato davanti ai 3 chilometri dall’arrivo ed è stato un onore vedere la maglia iridata sacrificarsi per me. Ha una classe immensa. Ha portato da solo Lampaert e Morkov al finale e quei due sono la combinazione migliore, perché mi hanno lanciato con la velocità giusta. Quando le cose vanno così diventa tutto facile, un po’ meno che dirlo (ride, ndr). Io avevo buone gambe e ho fatto il resto».

A chi si chiede come mai in quella squadra si vinca così tanto in volata, basterà rileggere i nomi e il palmares dei corridori impegnati in questo piccolo sprint argentino.

Morkov e Lampaert hanno pilotato e lanciato Jakobsen nell’ultimo chilometro
Morkov e Lampaert hanno pilotato e lanciato Jakobsen nell’ultimo chilometro

Gaviria di ritorno

Si diceva di Gaviria, che è motivato, magro, sorridente, leggero di spirito e già perfettamente a suo agio con la nuova bicicletta.

«Sono contento per il rendimento della squadra – dice il colombiano – che si è messa a mia disposizione. Stiamo vivendo un cambiamento, a partire da Unzue. Non ho chiaramente un treno a mia disposizione, ma oggi tutti hanno lavorato sodo per prendere la fuga e questo per me è stato importante, perché mi ha fatto sentire la loro fiducia.

«E’ stato uno sprint complicato, ma credo di aver preso la posizione più conveniente. E’ stata una volata veloce, ma non è stata la mia migliore degli ultimi due anni. Se lo fosse stata, avrei vinto…».

Dopo l’arrivo, parlando con Amadio, Fernando raccontava la volata e il suo sorriso lasciava capire che le sensazioni giuste siano ormai sulla via del ritorno.

Alle spalle del podio, Gaviria spiega ad Amadio le dinamiche del finale
Alle spalle del podio, Gaviria spiega ad Amadio le dinamiche del finale

Ogni vittoria è grande

Jakobsen sorride, la paura di ieri è svanita: la vittoria è un balsamo benefico. La maglia di campione europeo rischiara la penombra del tendone sotto cui si svolge la conferenza stampa.

«Mi piace pedalare – dice – mi piace correre. E’ il lavoro dei miei sogni. Due anni fa in quella caduta ho rischiato di perdere tutto e quello che ho vissuto non lo auguro a nessuno. E’ bello essere qui, fare sprint è quel che mi riesce meglio. Ogni volta che vinco dopo quella caduta, per me è qualcosa di speciale».

La tappa è finita, la gente non accenna a sfollare, in questa provincia argentina che si specchia quasi nel Cile. Oltre le Ande che riempiono l’orizzonte, c’è il mare. E’ bello pensare che là in cima, da qualche parte, ci sia un condor che getta lo sguardo verso il Pacifico.