Covid? Non è mai sparito del tutto, la parola d’ordine è precauzione

28.06.2024
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Il Covid-19 non ha abbandonato il gruppo e la nostra vita di tutti i giorni. L’ultimo caso è quello di Sepp Kuss, il vincitore dell’ultima Vuelta Espana e fido scudiero di Vingegaard non sarà al via del Tour de France. Una perdita importante per la Visma Lease a Bike in vista della battaglia che la attende sulle strade della Grande Boucle. Ieri durante la conferenza stampa alla vigilia del Tour, Evenepoel si è presentato con la mascherina, mentre Pogacar ha raccontato di averlo preso di recente. Ma come viene approcciato ora il Covid dai medici dei vari team? Ne parliamo con Emilio Magni, dottore dell’Astana Qazaqstan Team.

«Da questa primavera – spiega subito – ci sono stati dei casi, in aumento rispetto ai mesi precedenti. Anche noi in squadra abbiamo avuto dei corridori positivi, ma è una storia difficile dalla quale venire fuori. La sintomatologia è meno importante rispetto al periodo pandemico, praticamente è assimilabile ad un’influenza. Il problema è che gli atleti di alto livello devono stare bene per svolgere la loro attività, quindi anche una normale influenza diventa destabilizzante».

Sepp Kuss ha annunciato la sua mancata partecipazione al Tour causa Covid postando questa foto sui social (foto Instagram)
Sepp Kuss ha annunciato la sua mancata partecipazione al Tour causa Covid postando questa foto sui social (foto Instagram)
Però si fanno ancora i test per distinguere il Covid da un’influenza.

Sì, perché è giusto capire di cosa si tratta. Le conseguenze a livello sportivo non sono state importanti, ma ogni squadra ha un alto numero di atleti e devono essere monitorati e tutelati. 

Una delle conseguenza più gravi furono i vari casi di miocarditi e pericarditi che si manifestarono nei soggetti positivi…

Non furono tanti a livello numerico, chiaro che anche un solo caso fa drizzare le antenne a noi medici. Quindi poi sono stati inseriti diversi test a livello cardiologico per controllare lo stato di salute prima di far riprendere all’atleta la sua attività. 

I test sono attendibili?

La fortuna dei test per individuare una positività da Covid-19 è che sono facili da effettuare e direi anche che sono affidabili, soprattutto rispetto all’inizio. 

Evenepoel con la mascherina alla conferenza stampa di ieri al Tour: «Meglio non correre rischi»
Evenepoel con la mascherina alla conferenza stampa di ieri al Tour: «Meglio non correre rischi»
In che senso?

Che nei primi anni (2020 e 2021, ndr) c’erano molti casi di false positività e negatività. Quindi atleti che risultavano negativi dopo qualche ora erano invece positivi e viceversa. Adesso è tutto più lineare, ad una positività anche leggera segue una conferma nel giro di poche ore.

Quindi si fanno più test?

Una volta effettuato il primo e rilevata la positività se ne effettua un altro poche ore dopo. Il corridore viene messo a riposo e nel corso dei giorni in cui è a casa ripete il test in autonomia ogni due o tre giorni, fino alla negativizzazione. 

Il protocollo prevede ancora lunghi stop? 

No siamo nel corso di cinque o sei giorni di fermo dall’attività sportiva. Una volta negativo il corridore viene sottoposto ai test cardiaci che dicevamo prima. Questi sono: elettrocardiogramma a riposo, sotto sforzo e ecocolordoppler cardiaco. Sono gli stessi esami che si effettuavano nel programma “return to play”. 

Gaudu ha corso il Delfinato sotto tono e ne è uscito con il Covid, ma sarà comunque al via del Tour
Gaudu ha corso il Delfinato sotto tono e ne è uscito con il Covid, ma sarà comunque al via del Tour
Se l’atleta li supera?

Semplice, torna in mano ai preparatori e rincomincia con il piano di allenamento. 

Pensa che la non partecipazione di Kuss al Tour de France sia corretta?

Sì, non c’era altra via. A parte che avrebbe dovuto negativizzarsi, ma comunque a pochi giorni dal via del Tour non ci sarebbe stato modo di fare i test cardiaci necessari. E’ più un discorso di precauzione e di tutela, prima dell’atleta stesso e poi dei compagni. 

L’aumento dei casi in gruppo a cosa è dovuto?

Semplicemente ad un abbassamento, naturale, delle misure difensive che si adoperavano in tempi di pandemia. Banalmente non utilizziamo più le mascherine o comunque frequentiamo posti molto affollati.

Per il dottor Magni siamo lontani dal ritorno di protocolli rigidi come nel periodo di pandemia
Per il dottor Magni siamo lontani dal ritorno di protocolli rigidi come nel periodo di pandemia
C’è il rischio del ritorno delle mascherine e della famosa bolla?

Non direi. Anche perché non avrebbe molto senso. Se si tornasse ad utilizzare le mascherine in squadra questa misura cadrebbe nel momento in cui si è a contatto con la gente. Dovremmo tornare alla bolla, ma penso sia impossibile, noi come squadra cercheremo di fare maggiore attenzione. E’ un discorso legato al fatto che se un atleta si ammala poi il rischio è che contagi la squadra e che ci si ritiri dalla corsa. 

Quindi per il Tour avete precauzioni particolari?

Siccome è una corsa che attira tanta gente e avremo degli eventi con ospiti interni alla squadra chiederemo dei test negativi. Se qualcuno dovesse arrivare senza mi preoccuperò io di farglielo.

Perché la tosse dopo gli arrivi più duri? Risponde il dottor Magni

23.05.2024
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SANTA CRISTINA GARDENA – In previsione di quanto sarebbe successo di lì a poco sul Brocon e ricordando quanto visto sul traguardo del Mottolino a Livigno, abbiamo chiesto al dottor Magni, medico della Astana Qazaqstan, per quale motivo dopo gli arrivi più violenti i corridori abbiano sempre accessi di tosse. Arrivavano tossendo, si fermavano e andavano a avanti fino a che il respiro tornava normale. Non solo quelli ammalati, che non farebbero notizia, ma anche gli altri. Persino il vincitore di tappa Pogacar è arrivato dai suoi massaggiatori dando un paio di colpi. Quale nesso c’è fra lo sforzo e la tosse?

«Una delle cause – spiega Magni alla vigilia della tappa – è lo sforzo. L’arrivo in salita ovviamente sottopone il sistema cardiorespiratorio a uno stress notevole, quindi c’è una reazione anche dei recettori bronchiali. In altre occasioni invece può capitare anche per la colonna d’aria fredda che entra all’interno dell’organismo, dove c’è una temperatura molto più alta. Questo shock termico, subito dall’epitelio tracheobronchiale, stimola i recettori della tosse e quindi il fenomeno si verifica».

Dopo il traguardo del Mottolino, anche Pogacar ha dato due colpi di tosse
Dopo il traguardo del Mottolino, anche Pogacar ha dato due colpi di tosse
Le due cause possono sommarsi in caso di sforzo molto violento?

Sì, la tosse è la conseguenza dello sforzo molto violento. Il tutto sarebbe quasi eliminato o comunque attutito, infatti, se uno potesse respirare con il naso, dove l’aria si riscalda e si umidifica prima di arrivare ai bronchi. Tuttavia durante uno sforzo, l’atleta respira a bocca aperta e quindi la colonna d’aria fredda arriva direttamente nel primo tratto delle vie respiratorie e le irrita.

Quei colpi di tosse possono essere dannosi o si tratta di episodi momentanei?

Dipende. Se da lì poi si innesca un fenomeno infettivo, le cose potrebbero cambiare. A livello delle nostre prime vie aeree ci sono normalmente batteri, germi, virus, nei confronti dei quali l’organismo stabilisce un certo tipo di equilibrio. Quando si sta bene non viene fuori nulla, ma nelle situazioni al limite può darsi che l’aria batterica o virale prenda il sopravvento e a quel punto l’atleta si ritrova con una bella tracheite. Noi ad esempio abbiamo un paio di casi…

Respirare a bocca aperta porta nel corpo colonne di aria fredda e batteri: lui è Benjamin Thomas verso Fano
Respirare a bocca aperta porta nel corpo colonne di aria fredda e batteri: lui è Benjamin Thomas verso Fano

Fra i ritiri di questo Giro, più di un corridore infatti lamentava tracheiti e infezioni delle vie respiratorie. Un nome su tutti è quello di Benjamin Thomas, corridore della Cofidis, che è andato avanti per giorni a tossire e proprio nella tappa di Monte Pana, quelle alla vigilia di questa intervista, ha alzato bandiera bianca.

Cadute, ferite, infezioni: un cerotto spesso non basta

01.03.2024
5 min
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Chi corre in bici purtroppo si è trovato spesso a fare i conti con escoriazioni e ferite. Il questo periodo di strade bagnate e fondi sconnessi, fra strade bianche e pavé, le cadute sono all’ordine del giorno. L’asfalto è il nemico numero uno dei ciclisti e quando si cade, uscirne illesi è un utopia a cui nessuno davvero crede. Un pericolo da non sottovalutare quando si parla di abrasioni sono le infezioni. Una condizione che può colpire tutti, dai pro’ ai ciclisti occasionali.

Infezioni che possono essere figli di una sottovalutazione dell’entità, un errato trattamento oppure nessuno di questi. Le infezioni a volte possono farsi strada anche tra pomate e antibiotici. Per fare luce su questo pericolo, che purtroppo può far parte della vita di chi va in bici, abbiamo chiesto lumi al dottor Emilio Magni del team Astana Qazaqstan

Le cadute portano spesso a ferite ed escoriazioni
Le cadute portano spesso a ferite ed escoriazioni
Dopo traumi e cadute c’è il rischio da parte degli atleti di incorrere in infezioni?

Sì, direi che è il pericolo maggiore dal momento in cui avviene appunto un’abrasione, una ferita lacero contusa. Insomma tutto quello che comporta una soluzione di continuo della cute che è il nostro rivestimento e che quando è integra offre un ostacolo agli agenti infettanti. Quando invece, appunto per un motivo traumatico, avviene una interruzione della sua continuità, si apre un varco dall’esterno verso l’interno del nostro organismo. Quindi il pericolo più importante è proprio quello che si vada incontro a un processo di infezione.

In che modo si può sviluppare, qual’è l’iter che causa l’infezione?

L’iter, appunto è questa interruzione di continuità della cute e insieme la presenza di germi che sono nell’aria e a maggior ragione nel suolo. I germi sono ubiquitari e quindi possono impiantarsi nella ferita e questo è il primo pericolo da scongiurare. Purtroppo non sempre ci si riesce, però con un comportamento corretto e dei protocolli abbastanza semplici ma da attuare con grande attenzione, si cerca di ridurre la possibilità che la ferita possa infettarsi.

Le medicazioni si possono portare per giorni durante le settimane di corsa
Le medicazioni si possono portare per giorni durante le settimane di corsa
Quali sono questi questi protocolli?

Ci vuole un’attenzione quasi maniacale nei confronti delle ferite, soprattutto nei primi giorni, quando il pericolo dell’infezione si può subdolamente concretizzare. Anche se inizialmente la ferita non è oggetto di infezione, lo può diventare nel giro delle 48/72 ore successive al trauma. Per cui è proprio lì che bisogna agire. I protocolli da seguire sono quelli di osservare la ferita due volte al giorno. Si deve mettere in atto una somministrazione molto accurata di disinfettanti simili a quelli che si usano come preparazione nelle sale operatorie. Quindi il lavaggio della ferita, una disinfezione molto accurata e poi l’applicazione di creme, di trattamenti locali a base di antibiotici. Io cerco sempre di variare queste somministrazione nel giro di 2 o 3 giorni, proprio per ampliare un po’ lo spettro d’azione e cercare di coprire il più possibile l’incognita di vari germi che potrebbero essere interessati a infettare la ferita.

Se si dovesse sottovalutare questa condizione a cosa si va incontro?

Si va incontro a un’infezione o una suppurazione della ferita, si mettono in atto dei processi infettivi che possono portare alla formazione di pus. Non è altro che un liquido, che dimostra che i germi stanno infettando la ferita.

Si parla mai di setticemia in questi casi?

La setticemia è un passo oltre che va sicuramente scongiurato. Questa condizione corrisponde a un’infezione a livello generale dell’organismo. Vuol dire che la ferita non è stata ben trattata e ha dato origine a una quantità di infezione notevole. Il pus viene riassorbito a livello del sangue e poi, trasportato dal sangue stesso, può arrivare anche a organi importanti per la nostra sopravvivenza. E’ un caso molto raro che può mettere a rischio anche l’incolumità dell’individuo.

Arti superiori e inferiori sono i più predisposti
Arti superiori e inferiori sono i più predisposti
Per quanto riguarda le infezioni, ci sono delle parti più esposte del corpo?

Questo dipende molto dal tipo di attività che viene svolta. Per il ciclista, si sa, le parti più esposte sono quelle degli arti inferiori e degli arti superiori. Soprattutto a livello dell’anca, del ginocchio, della caviglia, dei malleoli che sono le parti più sporgenti. A livello dell’alto superiore, spalla, gomito, mano perché viene appoggiata come mezzo di difesa quando si cade.

C’è il rischio che nonostante si prendano tutte le precauzioni del caso, si possa comunque incorrere in infezioni, anche non così gravi, che però si protraggano nel tempo? 

Sì, nonostante l’attenzione, alcune ferite comportano la perdita di sostanza. Parliamo di ferite più profonde, che vanno a interessare i tessuti sottostanti la cute, pertanto diventa più difficile combattere la presenza dei microrganismi. Per cui purtroppo ci sono casistiche che si protraggono nel tempo: dipende appunto dall’entità della ferita.

Vale a dire?

Se si ha una semplice escoriazione, nel giro di qualche giorno si risolve. Se sono ferite, come ho detto, anche più importanti, più vaste e più profonde, è ovvio che il lavoro sia maggiore. Ricordo di casi di ragazzi caduti la prima o la seconda tappa di un grande Giro, che si sono dovuti sottoporre a medicazioni due volte al giorno per tutti i 20 giorni della corsa.

Le Samyn, De Lie cade e riparte. Dopo l’arrivo i medici hanno preso subito in mano la situazione
Le Samyn, De Lie cade e riparte. Dopo l’arrivo i medici hanno preso subito in mano la situazione
In questi casi il ciclista percepisce una debilitazione generale che si potrae?

Quando le ferite sono vaste e si parla quindi di perdita di sostanza, vengono interessati gli strati superficiali dei muscoli e fuoriescono sostanze che dovrebbero svolgere ben altra funzione. Anche sul piano generale l’atleta ne può risentire. Poi c’è tutta la problematica legata alla posturologia, nel senso che quando c’è una ferita, spesso e volentieri c’è anche una contusione. Quindi vuol dire che l’organismo e la postura dell’atleta ne risentono. L’organismo infatti mette in atto anche delle posizioni antalgiche per difendersi dal dolore, che poi vanno a riflettersi anche su una postura scorretta sulla bici.

Freddo estremo e Val di Sole in vista: cosa succede al fisico?

07.12.2023
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Andreas Leknessund che si allena a -24°, David Gaudu che corre sotto la neve, Simon Pellaud che va in mtb in un freddo e innevato mattino svizzero: cosa succede al fisico quando si fanno sforzi con temperature magari non estreme come quelle del norvegese, ma comunque piuttosto basse? A cosa vanno incontro i ciclocrossisti che domenica saranno impegnati a Vermiglio?

Negli scorsi anni siamo stati nel catino della Val di Sole che ospita la Coppa del Mondo di cross e in effetti i tratti ad ombra in particolare erano davvero freddi. Lì, la temperatura restava ben al di sotto dello zero. E quando atleti e ad atlete ci sfrecciavano vicino fumavano dalla bocca e persino dalla schiena.

Quando Nibali trionfò sulle Tre Cime sotto la neve, a seguirlo c’era il dottor Magni
Quando Nibali trionfò sulle Tre Cime sotto la neve, a seguirlo c’era il dottor Magni

Circolazione inibita

Una situazione non facile che il dottor Emilio Magni ci aiuta ad inquadrare. Il medico in forza all’Astana-Qazaqstan di esperienza, anche in caso di temperature molto fredde, ne ha da vendere. Cosa si devono dunque attendere i crossisti in Val di Sole?

«In questa situazione – dice Magni – si verificano le condizioni estreme e il primo effetto del freddo è la vasocostrizione. Si riduce il calibro delle arterie e come conseguenza c’è meno apporto sanguigno, specie nelle zone periferiche. Per questo, molto più di altre volte, è molto importante effettuare un buon riscaldamento».

In pratica mani e piedi, ma in misura minore anche naso, orecchie, guance… tendono a non avere una completa irrorazione. E senza irrorazione si raffreddano anche più velocemente e, nei casi estremi, si rischia il congelamento. Chiaramente, qui parliamo per teoria, non siamo dispersi ai Poli o in cima ad una vetta himalayana, ma il concetto è quello.

Riscaldamento, abbigliamento e bevande calde aiutano a mantenere sui 37°C la temperatura corporea. Che poi è lo stesso identico concetto, ma a parti inverse, dei gilet di ghiaccio, delle bevande fresche e delle calze di ghiaccio in estate.

I polmoni bruciano

In questo quadro la prima parte dell’organismo che paga dazio sono le vie respiratorie. Basti pensare che sotto a -20 gradi la Fis, la federazione internazionale dello sci, blocca le gare di sci di fondo: un rischio per la salute. Una volta si diceva: «Fa talmente freddo che l’aria brucia i polmoni», una frase che, come tutti i detti, si basa sull’esperienza, ma rende bene l’idea.

«Questa – prosegue Magni – è un’espressione popolare, ma il senso c’è. Nel caso degli atleti, quando si è sotto sforzo e si respira con la bocca aperta si inala una colonna d’aria fredda, molto, molto più bassa della temperatura del corpo. Un’aria che va direttamente nella trachea e nei bronchi sottoponendo le vie respiratorie ad un forte stress termico. Questo ne altera l’equilibrio dei batteri, riduce le difese. E i microrganismi che entrano o che abbiamo in bocca possono avere la meglio su questo equilibrio e possono insorgere infezioni o stati infiammatori».

Da qui bronchiti, polmoniti e altri problemi alle vie alte, come le definisce il dotto Magni. E’ questo comparto del corpo quindi il primo a pagare dazio in caso di freddo estremo.

Lo scorso anno a Vermiglio, Gioele Bertolini in ricognizione utilizzava guanti e copriscarpe riscaldati con un dispositivo elettronico
Lo scorso anno a Vermiglio, Gioele Bertolini in ricognizione utilizzava guanti e copriscarpe riscaldati con un dispositivo elettronico

Muscoli che stress

Ma non sono solo le vie alte, anche i muscoli non se la passano meglio. Essere abituati a certe temperature di certo aiuta, ma non basta ai fini della prestazione. Tempo fa Paolo Salvoldelli ci disse che al di sotto dei cinque gradi i muscoli non rendevano al meglio.

«A livello muscolare – spiega Magni – con temperature molto basse si ha quella che è chiamata rigidità muscolare. Questa si lega al discorso di prima relativo alla microcircolazione. Piedi, gambe, braccia… hanno meno apporto sanguigno, non lavorano in condizioni buone. Con il freddo estremo s’innescano dei processi di sopravvivenza. In pratica l’organismo pensa a mantenersi in vita e a salvaguardare gli organi vitali: cuore, cervello, fegato… quindi concentra la maggior parte del sangue in quelle zone. Prima siamo essere umani e poi atleti».

«Quindi il muscolo si ritrova con meno sangue, è meno reattivo e, cosa affatto non secondaria, è che avendo anche meno sangue fa anche più fatica a smaltire le tossine».

In tutto ciò aumenta anche il consumo calorico. L’integrazione va gestita con attenzione ma, almeno nel contesto del ciclocross in Val di Sole, questo non è un problema enorme, visto che parliamo di uno sforzo la cui durata è di un’ora.

Lo scorso anno, tecnici e atleti, ci dissero che mediamente s’ingerivano un centinaio di calorie in più rispetto allo standard, proprio in virtù di una termoregolazione più dispendiosa. E in tal senso anche l’abbigliamento può aiutare.

Difese basse: dopo l’arrivo, il corpo è davvero più esposto?

19.09.2023
4 min
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Le mantelline dopo l’arrivo. Gli asciugamani da mettere intorno al collo. Le bevande giuste. Le fasi post gara sono delicate per quel che concerne il recupero e parallelamente non intaccare ulteriormente le difese immunitarie.

E proprio di difese immunitarie, un capitolo vasto e neanche così semplice, parliamo con il dottor Emilio Magni, in forza all’Astana-Qazaqstan.

Da sempre le difese immunitarie sono sinonimo di buona salute, quando queste sono alte, ma non sempre è così. Specie per un atleta.

Il tricolore Velasco con il dottor Magni. Le fasi post sforzo sono le più delicate per non ammalarsi
Il tricolore Velasco con il dottor Magni. Le fasi post sforzo sono le più delicate per non ammalarsi
Dottor Magni, qualche giorno fa Nibali parlando della debacle e rinascita di Evenepoel ci diceva di come il belga possa aver pagato anche il più piccolo particolare. E raccontava di come spesso dopo le tappe faceva una doccia per non esporsi ai malanni…

Le considerazioni di Vincenzo sono giuste, tuttavia non le abbinerei al discorso di Evenepoel, quello è stato più un caso di un giorno. Le difese immunitarie non vanno su e giù in 24 ore, ma hanno bisogno di processi più lunghi. Se dovesse esserci un deficit immunitario te ne rendi conto nel corso della terza settimana, per dire… O quando sei a casa avverti sensazioni poco piacevoli. Ma servono almeno due settimane, specie poi in organismi allenati come quelli dei corridori.

Cosa sono le difese immunitarie?

E’ il corredo anticorpale che ognuno di noi ha in dote. Sono gli anticorpi, sentinelle che vigilano su virus e batteri. Più queste sentinelle sono numerose e attive, cioè pronte a “sparare” al nemico,  e più questo sistema è valido.

Ma biologicamente cosa sono?

Sono proteine, precisamente immunoglobuline. Globuline, proteine. E immuno, che appunto proteggono. Sono prodotte dai linfociti, che sono un tipo di globuli bianchi.

Calde o fredde (a seconda delle situazioni) le docce post gara sul bus sono importanti per la termoregolazione e favorire il recupero
Calde o fredde (a seconda delle situazioni) le docce post gara sul bus sono importanti per la termoregolazione e favorire il recupero
Si abbassano le difese immunitarie dopo la gara?

In generale no. E’ nell’insieme che si abbassano. Bisogna uscire dal concetto di “acceso – spento”. Con il susseguirsi di sforzi e stress si produce meno immunoglobulina. Se tu parti con 100, per dire, e ti ritrovi a 50 nel corso delle tappe lasci la porta aperta a virus e batteri che hanno vita facile per attecchire.

Ma il discorso della doccia calda con Nibali non cozza con il tema dei bagni di ghiaccio di cui tanto si parla?

Il discorso è che se per 4-5 ore in gara hai preso freddo è giusto riportare l’organismo a temperature più consone e vicine ai 37 gradi centigradi del corpo e ripristinare le condizioni di partenza. Ma vale anche il contrario. Se nelle tappe del Tour per esempio hai pedalato per quattro ore a 40 gradi ecco che cerchi di rinfrescare il tuo corpo. Con la doccia si cerca appunto di ridurre uno stress, di agevolare il recupero. Ma non è questo che fa aumentare o diminuire le difese immunitarie. Contano molto di più alimentazione, stile di vita, sonno… quest’ultimo è importantissimo.

Quindi c’è questa finestra di “maggiore vulnerabilità” dopo una gara? In cui si è più esposti ad ammalarsi?

Certo che c’è. E gli sforzi ripetuti di una corsa a tappe ogni giorno ti fanno perdere un gradino nell’insieme delle tue difese immunitarie. Dalle 2 alle 5 ore dopo lo sforzo, c’è questa finestra di fragilità, chiamiamola così. E se tu sei sceso di questo scalino sei più vulnerabile, basta che prendi aria e sei più esposto ad un virus.

Frutta e verdura contengono molte vitamine A, C, E. Il latte quella D
Frutta e verdura contengono molte vitamine A, C, E. Il latte quella D
E perché in quella fascia oraria?

Perché l’organismo è dedito al recupero. Il nostro corpo è intelligente e sa riconoscere le priorità. Sa cosa è più importante in quel momento: se deve recuperare a livello cardiaco, celebrale (per le energie nervose spese), respiratorio… Quindi dà più attenzione a quegli aspetti e meno alla difesa da agenti patogeni esterni.

E sul fronte dell’alimentazione? Una volta le mamme davano le famose spremute d’arancio per prendere le vitamine. Chiaramente quei tempi sono passati, ma è segno che anche l’alimentazione incide. E’ così?

Le vitamine nell’insieme dell’alimentazione servono. Ma queste vanno di pari passo con uno stile alimentare sano. E si presuppone che un ciclista lo osservi. Nello specifico le vitamine A, C, E e D sono quelle che contribuiscono maggiormente alle difese immunitarie. Aiutano a rialzare tali difese se sono basse e a mantenerle se sono alte. Lasciatemi insistere però sul discorso del sonno: è importantissimo ed è importante sia in quantità che in qualità.  

Come agisce un gilet di ghiaccio? Risponde il dottor Magni

29.08.2023
4 min
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Qualcuno, come in Astana-Qazaqstan, li ha utilizzati anche prima del via della cronosquadre di Barcellona alla Vuelta: parliamo dei gilet del freddo, o “iceveste” o ancora “coolingvest” per dirla con uno dei nomignoli inglesi (in apertura foto Instagram @gettysport).

Questo strumento, chiamarlo capo di abbigliamento è riduttivo, ormai è sempre più utilizzato sia perché il clima sta cambiando e si va verso periodi più roventi, sia perché di pari passo si evolve la ricerca e il fronte, anche sanitario, che c’è dietro la performance.

E battendo proprio questo aspetto, e col fatto che in Astana qualcuno come detto ha utilizzato il gilet del freddo anche durante un momento non così caldo alla Vuelta, abbiamo coinvolto il dottor Emilio Magni, che del team kazako è il medico sociale.

Alcuni team ormai se li fanno fare personalizzati. Vengono usati nel riscaldamento della crono, ma anche prima delle tappe in linea
Solitamente i gilet vengono usati nel riscaldamento della crono, ma non solo
Dottor Magni, questi gilet termici del freddo, perché si utilizzano? Tra l’altro si utilizzano non solo nei classici riscaldamenti della crono, ma anche prima del via delle tappe in linea…

La considerazione principale, se non unica, è che la contrazione muscolare è un procedimento complesso e passa attraverso diversi sistemi. Tra questi quello forse più importante è quello enzimatico. Gli enzimi sono sostanze proteiche, in questo caso actina e miosina, che contribuiscono alle reazioni biochimiche le quali danno il meglio quando la temperatura esterna del corpo va da 36 a 37 gradi. Quando questi enzimi lavorano in un ambiente più caldo la contrazione muscolare avviene, ma con un’efficacia ridotta. Ed ecco perché lo scopo di un atleta è quello di restare il più fresco possibile. O di tenere la temperatura il più vicino possibile a quella normale.

Perché, quanto si alza quando siamo sotto sforzo?

Dipende, già quella interna da sola è più alta di circa 0,5 centigradi, quando siamo sotto sforzo si arriva anche a 39°. È come avere la febbre, ma non è febbre! L’acqua in testa, il ghiaccio, la maglia aperta… sono tutti metodi per raffreddare il motore e farlo lavorare al meglio possibile onde evitare un calo della prestazione.

Arctic Heat è stato tra i primi a proporre questo tipo di gilet. Tra i pionieri del suo utilizzo c’è il biker Nino Schurter
Arctic Heat è stato tra i primi a proporre questo tipo di gilet. Tra i pionieri del suo utilizzo c’è il biker Nino Schurter
E allora dottore viene da chiedersi: ma perché fanno riscaldamento se poi si devono raffreddare?

Per attivare il muscolo allo sforzo e metterlo in una condizione circolatoria affinché possa ricevere più sangue possibile. Se poi questo riscaldamento delle gambe arriva con la temperatura corporea standard… allora è il top. Si riesce a sfruttare la massima efficienza enzimatica.

Ma il riscaldamento e questi gilet incidono anche sull’apparato cardiovascolare, respiratorio? Per esempio si vede metterli spesso anche sulle caviglie, punto importante per la pressione sanguigna.

A mio avviso no. Fanno sì che il riscaldamento sia un po’ più specifico e distrettuale, in questo caso il “distretto” delle gambe, degli arti inferiori che sono i più interessati per il ciclista. E anche le braccia restano fuori. E infatti dei gambali refrigeranti sarebbero controproducenti, andrebbero a contrastare il riscaldamento muscolare degli arti inferiori.

Domanda banale apparentemente, ma quando si indossa? In che momento?

Chiaramente quando fa caldo, alla Parigi-Nizza è molto improbabile che venga utilizzato, ma al Giro o al Tour è ormai la norma. Semmai è interessante sapere le differenze di quando lo si indossa.

Il ghiaccio sulle caviglie o dietro al collo, sono altri metodi che si utilizzano (anche in corsa), per lo stesso scopo: limitare l’accrescimento della temperatura corporea
Il ghiaccio sulle caviglie o dietro al collo, sono altri metodi che si utilizzano per lo stesso scopo: limitare l’accrescimento della temperatura corporea
Cioè?

Alcuni ragazzi preferiscono scenderci già dal bus, altri indossarlo qualche minuto dopo, anche 10′, aver iniziato il riscaldamento per sentire quella “botta” di freddo, quello shock termico che dà piacevoli sensazioni e che risveglia anche un po’.

Quando dura l’effetto di un gilet del freddo?

Dipende dai modelli e dagli usi che se ne fanno. Solitamente i nostri durano un’ora, un’ora e mezza. Ma nelle ultramaratone c’è ormai chi ci corre e durano tante ore. L’atleta così non si surriscalda. 

Come funzionano?

C’è una polvere secca che dal freezer si mette nel singolo box del gilet. Ha una temperatura prossima allo zero. E’ importante metterla sul torace perché in questo modo si riesce a coprire un buon 40 per cento dell’intero corpo: restano fuori arti e testa.

La resa di Courchevel: l’analisi del dottor Magni

27.07.2023
4 min
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“I’m gone” (sono andato/finito) così Tadej Pogacar ha alzato bandiera bianca contro Jonas Vingegaard, mentre la strada saliva sotto le sue ruote in direzione Courchevel. Una frase semplice, ma che dentro di sé racchiude tante sfumature. Lo sloveno ha tirato troppo la corda in questo Tour de France. I primi scricchiolii sono arrivati nella cronometro di Combloux, mentre il suo vaso di Pandora è stato scoperchiato definitivamente poche ore dopo

La crisi che ha colpito il due volte vincitore della Grande Boucle ci ha fatto scaturire tante domande. Abbiamo così interpellato il dottor Emilio Magni, così da avere un parere autorevole in merito. 

Con Emilio Magni, dottore dell’Astana, abbiamo analizzato la crisi di Pogacar a Courchevel
Con Emilio Magni, dottore dell’Astana, abbiamo analizzato la crisi di Pogacar a Courchevel
Dottore, cosa succede in una crisi del genere?

Questi momenti di crisi sono multifattoriali, Pogacar ha detto di aver sentito maggiormente il problema dell’alimentazione. Mangiava ma non riusciva ad integrare, ritrovandosi con le gambe vuote. Ma questo è solo un aspetto di una crisi più o meno improvvisa. 

In che senso più o meno?

Queste situazioni derivano da uno stato di affaticamento acuto. Si tratta di una risposta adattiva dell’organismo, il quale prende provvedimenti per salvaguardarsi. E’ un allarme per far sì che la situazione non peggiori ulteriormente. 

Cosa succede?

La prestazione si abbassa, il corpo riduce le prestazioni, in medicina si chiama meccanismo omeostatico. E’ la tendenza dell’organismo a mantenere le condizioni di partenza. 

Nonostante la grande prova, i primi segnali di cedimento sono arrivati nella cronometro di Combloux, lo sloveno ha pagato 1’38”
Nonostante la grande prova, i primi segnali di cedimento sono arrivati nella cronometro di Combloux, lo sloveno ha pagato 1’38”
Una causa potrebbe essere la preparazione non adeguata?

Come detto è una situazione multifattoriale, la preparazione non adeguata potrebbe essere una causa. Un altro fattore importante è il carico di prestazione che nel caso di Pogacar, magari, è stato eccessivo. Lo sloveno potrebbe averne risentito dal punto di vista muscolare, metabolico ed energetico. 

O ancora?

Un’altra causa si può trovare nell’insufficiente tempo di recupero. Quest’ultima causa in particolare impedisce al muscolo di ristabilire il livello di glicogeno, che è la sua benzina principale. A volte non bastano 24 ore, i ciclisti non hanno nemmeno quelle, visto che finiscono la tappa alle 18 e ripartono alle 12 del giorno dopo. 

Quindi la mancanza di una gara di avvicinamento, come il Delfinato, è un fattore?

Ci vuole una base di preparazione così che l’organismo si possa abituare ed incrementare la performance. Ci sono anche altri “campanelli” d’allarme. 

La maglia gialla se ne va, Pogacar arranca: il vaso di Pandora è stato scoperchiato
La maglia gialla se ne va, Pogacar arranca: il vaso di Pandora è stato scoperchiato
Quali?

Dal punto di vista sintomatologico vi sono dei segnali soggettivi come: la perdita di forza, di resistenza, il mal di gambe e dolori muscolari. Sono tutte cose che l’atleta avverte e che possono portare anche a dei sintomi mentali: difficoltà di concentrazione, mancanza di appetito e condizioni di sonno peggiori. 

Anche se poi nella tappa di Le Markstein Pogacar ha vinto, come lo spiega?

Si tratta di un corridore di qualità assoluta. Anche in una situazione di crisi mantiene delle prestazioni alte, anche più elevate di altri atleti che in realtà sono in forma. Pogacar ha fatto uno sforzo di testa, a mio modo di vedere. Le Markstein era l’ultima tappa, ha dato tutto, considerando che Vingegaard aveva un vantaggio rassicurante. 

Ci sono anche dei dati oggettivi che possono anticipare queste crisi?

Assolutamente. Uno di questi è la frequenza cardiaca a riposo, la quale quando si è stanchi tende ad essere più alta. Un esempio: se un atleta a riposo, appena sveglio, ha 40 battiti, magari passa a 48. La cosa si trasferisce anche una volta in sella, ma al contrario. Si riscontra una difficoltà ad aumentare la frequenza cardiaca sotto sforzo. Questo perché il muscolo rende di meno, dando meno forza, di conseguenza il cuore non sale di frequenza. C’è anche da considerare la variabilità cardiaca.

Pogacar si è allenato molto in altura, sono mancati i giorni di corsa persi a causa dell’infortunio? (foto Matteo Secci)
Pogacar si è allenato in altura, sono mancati i giorni di corsa persi a causa dell’infortunio? (foto Matteo Secci)
Ovvero?

La variabilità cardiaca offre ottimi riscontri dal punto di vista del recupero. Praticamente si controlla la variabilità tra un battito e l’altro. Dovete sapere che i battiti non sono ugualmente distanti a livello di tempo l’uno dall’altro, il tempo cambia. Ad esempio: una volta passano 1,2 secondi, quello dopo 0,8 e così via. Se la variabilità è alta vuol dire che il cuore è reattivo e “brillante”. 

Lo staff della UAE Emirates, con grande probabilità, era a conoscenza di questi dati…

Penso proprio di sì. Però a volte i dati si prendono ed analizzano, senza parlarne al corridore, per non condizionarlo psicologicamente.

Colpaccio Asgreen, ma al Tour si parla dei controlli sul bus

20.07.2023
5 min
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Da manuale del ciclismo. Chi apprezza le finezze tecnico/tattiche di questo sport, non può non essere rimasto ammaliato dalla tappa di oggi. A Bourg en Bresse ha vinto Kasper Asgreen. Il danese della Soudal-Quick Step insieme ai compagni di fuga Victor Campenearts, Pascal Eenkhoorn e Jonas Abrahamsen è stato autore di una lunga azione da mangiarsi le unghie. Quattro passisti che hanno venduto cara la pelle. E il gruppo lo sapeva, tanto è vero che non ha mai lasciato loro troppo spazio. 

Le squadre hanno consumato tanti uomini per rincorrerli e nel frattempo Alaphilippe, compagno di Asgreen, rompeva i cambi in gruppo. I due Lotto-Dstiny hanno puntato su un uomo, Eenkhoorn, e Campenaert ha tirato la volata. Okay hanno perso, ma la fuga è arrivata. Tecnicamente è a nostro avviso il gesto più bello di questo Tour dopo la stoccata di Lafay a San Sebastian.

Questione controlli

Ma se a Bourg e Bresse si gioiva per Asgreen, a tenere banco al Tour de France quest’oggi è stata la notizia che riguardava i controlli a sorpresa fatti alla Jumbo-Visma e alla UAE Emirates al via ieri da Saint Gervais. A dare questa notizia è stato il media olandese WielerFlits.

Questo controllo, eseguito letteralmente dietro il palco del foglio firma, sui bus dei rispettivi team, ha creato stupore, perché probabilmente e fortunatamente a certe notizie non eravamo più abituati.

Perché dunque questi controlli antidoping? Subito è stato puntato il dito sulle prestazioni di Tadej Pogacar e soprattutto di Jonas Vingegaard. Sono stati controllati i due capitani e tutti i loro compagni.

I team hanno detto che questi controlli sono ben accetti, se servono ad allontanare i sospetti. Li hanno recepiti di buon grado, respingendo giustamente al mittente ogni tipo d’insinuazione più o meno velata che fosse. Lo stesso Vingegaard è stato preso d’assalto durante le conferenze stampa.

Il dottore dell’Astana-Qazaqstan, Emilio Magni
Il dottore dell’Astana-Qazaqstan, Emilio Magni

Parola all’esperto

Quello su cui ci preme fare chiarezza però è capire tecnicamente cosa sia successo. E perché si sia verificata una situazione simile. E per farlo ci siamo rivolti al medico di un team WorldTour, il dottor Emilio Magni, in forza all’Astana-Qazaqstan .

Ci si è chiesto se i team in questo Tour abbiano dovuto firmare un accordo particolare, a prescindere dal fatto che appartengano o meno al MPCC (Movimento per un Ciclismo Credibile).

«E’ possibile – spiega il dottor Magni – che ci siano questo tipo di controlli. Non so chi li abbia effettuati, se la Nado, la Wada, ma il regolamento prevede che i corridori possano essere controllati. Sono in ambito di una competizione ed è pertanto legittimo effettuarli. L’appartenere o meno all’MPCC non centra nulla».

Questo ente ha più un valore divulgativo, di letteratura scientifica. Vuol mettere a disposizione dell’UCI i dati dei controlli fatti, le variazioni del passaporto biologico nell’arco dell’anno e rifiutano ogni forma di cortisone, anche quello a scopo terapeutico. 

Pogacar esce dal bus, la sua squadra si è detta contenta per il controllo (foto Instagram – UAE Emirates)
Pogacar esce dal bus, la sua squadra si è detta contenta per il controllo (foto Instagram – UAE Emirates)

Due ore

Jumbo-Visma e UAE Emirates non hanno aderito all’MPCC, come tanti altri team WorldTour del resto (lo hanno fatto soltanto in nove). Ma questo non vuol dire assolutamente nulla sulla loro lealtà, sia chiaro. Quello che stupisce è che questi controlli siano stati effettuati a distanza di un paio d’ore da altri controlli effettuati agli stessi team in albergo prima di venire alla partenza.

«Questa situazione – prosegue Magni – si era già verificata qualche anno fa. Addirittura in due mattine consecutive: controlli al risveglio e poi sul bus un paio di ore dopo. Questo per scongiurare che qualcuno, sentendosi “libero” dai controlli mattutini, potesse assumere qualcosa prima della partenza.

«In effetti era un po’ di tempo che non si verificava una situazione così, ma meglio un controllo in più che uno in meno. In questo modo chi viene testato può dimostrare di essere nel giusto e fugare ogni dubbio. E chi segue questi atleti (i tifosi, ndr) ha fiducia nei loro confronti».

In realtà un caso simile, di controlli sul bus a ridosso del via, era accaduto anche lo scorso anno al Giro d’Italia. Questi controlli avevano coinvolto un altro team WorldTour, ma la motivazione era prettamente logistica, se così possiamo dire. In pratica i controllori si erano presentati tardi in hotel e quindi avevano eseguito il prelievo sul bus.

La Jumbo-Visma ha respinto ogni accusa di doping, parlando del grande lavoro svolto (da mesi) per questo Tour preparato in ogni minimo dettaglio
La Jumbo-Visma ha respinto ogni accusa di doping, parlando del grande lavoro svolto (da mesi) per questo Tour preparato in ogni minimo dettaglio

Due tipi di test

Un altro aspetto che fa riflettere riguarda la maglia gialla. In 48 ore Vingegaard ha subito quattro controlli sangue-urine. Non poco.

«Ci sono due tipi di controlli – spiega Magni – quello per il passaporto biologico e quello antidoping. Il primo va a cercare il numero dei globuli rossi, dei reticolociti e altri parametri che indicano il “consumo” di sangue. L’altro le sostanze illecite. Sono metodologie differenti che possono persino avvenire nello stesso momento. Non troppo tempo fa mi è capitato di avere quattro controlli: due ragazzi per il passaporto biologico e due per l’antidoping.

«Per fortuna che i prelievi di sangue, che possono arrivare anche a 15 cc, non influiscono sulla salute e sulle prestazione dell’atleta. Il corpo umano ha 5 litri di sangue, quindi parliamo dello “zero virgola”… Vingegaard non è stato danneggiato insomma».

Primo giorno di riposo. Il medico e il Covid di Remco

15.05.2023
6 min
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REGGIO EMILIA – Covid, protagonista in questo giorno di riposo al Giro d’Italia. La notizia di Remco Evenepoel (foto Wout Beel in apertura), arrivata ieri sera dopo le 22,30, ha sconquassato la corsa rosa e dato un pugno forte al ciclismo. Dopo quello con Pogacar alla Liegi, perdiamo un altro duello. Si chiude il sipario dunque per Evenepoel. Il lupetto in rosa resta da solo sul bus della squadra belga.

Ma oltre la delusione, e se vogliamo anche la rabbia, questo discorso va approfondito. E noi lo abbiamo fatto con il dottor Emilio Magni, medico in forza all’Astana Qazaqstan. Di fronte a queste situazioni si alza un vespaio. Un vespaio le cui tante tesi spesso non si basano su fondamenta solide. E per questo diventano polemiche da bar.

E’ vero: il Giro perde parecchio. C’è delusione. E’ stato il sentimento comune che in questa giornata abbiamo saggiato nei vari hotel visitati, su tutti quello della Soudal-Quick Step chiaramente, e non si può che prenderne atto. Però si può cercare di capire meglio come stanno le cose. Perché c’è un Covid per tutti e un Covid per gli atleti.

Il dottore dell’Astana-Qazaqstan, Emilio Magni…
Il dottore dell’Astana-Qazaqstan, Emilio Magni…
Dottor Magni, il Covid ancora gira a quanto pare…

Sì, gira nel nostro mondo e anche in quello delle persone normali. La situazione pertanto è da monitorare con attenzione pur sapendo che la pandemia, almeno in termini numerici, si è esaurita e la sintomatologia ora è abbastanza controllabile. 

E allora perché si fermano i corridori?

Perché la tutela della salute dei ragazzi resta primaria e prendere delle precauzioni è una cosa doverosa da parte nostra.

Lei con Ciccone, ha saggiato per primo gli effetti del rientro post Covid. Un rientro forse un po’ troppo veloce, ma all’epoca non si sapeva molto…

Esatto all’epoca era una situazione nuova che ci trovò tutti impreparati, anche noi medici. Mi ricordo di Ciccone, era l’estate del 2020, quindi all’inizio del Covid e lui ebbe dei problemi di salute abbastanza importanti. Poi, nel mondo agonistico pur nel rispetto dei parametri clinici, si cerca sempre di non perdere tempo, di velocizzare il tutto. Poi però ci siamo dovuti scontrare con le conseguenze che il Covid ha apportato sul piano della performance. Un prezzo alto è stato pagato… da tanti ragazzi.

Sul pullman della Soudal-Quick Step rimane il lupetto rosa: Remco è andato via
Sul pullman della Soudal-Quick Step rimane il lupetto rosa: Remco è andato via
E questo è il quid più grande: il prezzo e la performance. Stiamo vivendo il caso di Evenepoel. Nei due giorni prima del ritiro non era al top, anche se sostanzialmente stava bene, ma lo si ferma perché poi non si hanno certezze sulla salute. E’ così?

In alcuni casi si tratta anche di un eccesso di prudenza, però, come dicono i medici: meglio eccedere che non essere poi in difetto. Per quanto riguarda la tutela della salute del ragazzo, anche se non conosco eventuali sintomi, resta sempre il discorso di un contatto virale e i casi del passato ci hanno dimostrato che le localizzazioni virali poi possono colpire anche organi vitali importanti che a loro volta possono dare conseguenze anche gravi. Come miocarditi, problemi cardiorespiratori…

Voi avete in casa l’esempio di Garofoli

La miocardite inizialmente spaventava veramente. Poi per fortuna i dati hanno ridimensionato un po’ questo problema. Ho parlato con tanti colleghi che fanno la risonanza miocardica, l’unico vero esame che riesce a individuare eventuali focolai di infiammazione miocardica, e anche loro hanno detto che effettivamente questo pericolo esiste, ma non è numericamente importante. Tuttavia anche di fronte a un caso devi prendere le precauzioni. Se poi non ti va bene?

Il tifoso, e anche noi, ci poniamo delle domande. Perché Remco si ferma e Aysuo invece termina la Vuelta da positivo al Covid?

Cosa dire: sono anche dei regolamenti interni. Magari in quella squadra ci sono protocolli stabiliti da tempo nel caso in cui si verifichi qualche positività al virus e vengono prese determinate decisioni. Da un punto di vista medico però questo aspetto interessa poco e in tal senso capisco benissimo i colleghi della Soudal-Quick Step che hanno preso la difficile decisione di mandarlo a casa. Io avrei fatto la stessa cosa.

Già a Fossombrone, qui sulla salita dei Cappuccini, Evenepoel (in maglia iridata) non era al meglio. Il Covid cominciava a fare effetto
Già a Fossombrone, qui sulla salita dei Cappuccini, Evenepoel (in maglia iridata) non era al meglio. Il Covid cominciava a fare effetto
Perché allora gli sport, tipo il calcio, non fanno tamponi o comunque non hanno più positivi al Covid?

Sono due realtà completamente diverse.

Quando dice due realtà, intende anche due sforzi differenti?

Sì, due sforzi, ma anche due mondi differenti, con due approcci diversi anche a livello di cultura, di provvedimenti da prendere. Io non ho esperienza nel calcio e non ci voglio mettere bocca, ma so quel che succede nel ciclismo. E credo che nel nostro mondo ci si stia muovendo bene. Certo, dispiace perdere una maglia rosa. Dispiace per i colleghi, per il corridore, per lo spettacolo. Mandare a casa una maglia rosa, che tra l’altro ha vinto la tappa il giorno stesso, sembra un ossimoro, una cosa contraria a sé stessa. Però se faccio un discorso esclusivamente medico sposo, come ripeto, la decisone dei colleghi belgi.

Cosa può portare dunque il Covid in un ragazzo, un atleta intendiamo, anche se non ha grossi sintomi?

Lo spauracchio principale è questa localizzazione miocardica del virus. Poi, ma è un ambito meno importante per me – medico – che devo salvaguardare la saluta del corridore, c’è sempre una riduzione della performance. Viene meno il recupero tra uno sforzo e l’altro, sia tra una tappa e la successiva, ma anche all’interno della stessa giornata.

In casa Soudal-Quick Step ci hanno detto che uno dei motivi che ha spinto i dottori a fare il tampone a Remco ieri sera sia stato il fatto che non sia riuscito ad esprimere i suoi valori durante la crono. Visto che anche il giorno prima a Fossombrone aveva scricchiolato, hanno fatto due più due…

Tanti ragazzi, anche nostri, che hanno preso il Covid, pur stando bene hanno riferito per mesi e mesi che dopo un paio di sforzi intensi, come succede durante una corsa, hanno faticato veramente tanto fino all’arrivo. Non riuscivano a recuperare sul momento e a tornare sui loro livelli nel lungo periodo.

Verso le 12 i compagni di Remco si apprestano ad uscire. Hanno avuto la notizia durante la cena di ieri sera. Il morale? Bassino…
Verso le 12 i compagni di Remco si apprestano ad uscire. Hanno avuto la notizia durante la cena di ieri sera. Il morale? Bassino…
Il Covid, o comunque i suoi strascichi, sono anche il motivo per cui i corridori si ammalano più spesso?

Sì, ma facciamo chiarezza. Per quanto riguarda il discorso dell’influenza nella sua forma classica, il fatto di essere stati un paio d’anni con le mascherine ha ridotto notevolmente i casi, perché il virus trovava questa barriera che negli anni precedenti non c’era. In più chi ha avuto il Covid sicuramente ha un’alterazione del patrimonio immunocompetente. Quindi si può anche pensare che i successivi problemi di salute si possano imputare ad un deficit immunitario conseguente al Covid.

E’ possibile standardizzare e quindi ipotizzare un recupero? Oppure ogni soggetto ha sue tempistiche?

Difficile da dire. Per il momento stiamo ancora raccogliendo i dati. Nel nostro piccolo, nella nostra squadra, abbiamo notato che è un discorso soggettivo. Per dire, c’è chi addirittura sul piano della prestazione, e non della salute sia chiaro, ha perso un anno. E chi invece dopo un paio di mesi già aveva di nuovo ottime sensazioni ed esprimeva oggettivamente delle prestazioni decorose.

Quindi se Evenepoel fra una settimana dovesse stare bene, potrebbe puntare al Tour de France?

Tra una settimana non lo so, ma se i sintomi non sono forti, non mi sentirei di escluderlo. Poi starà al suo staff medico valutarlo di settimana in settimana.