DSM, leadout e niente pista, quante novità per Barbieri…

22.10.2024
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Una delle atlete italiane che si è meglio comportata in questa stagione è stata Rachele Barbieri. L’emiliana si è distinta per la sua costanza di rendimento, per i numerosi piazzamenti nelle prime dieci e per le belle volate tirate alla compagna Charlotte Kool.

Barbieri ha archiviato la sua prima stagione con la DSM-Firmenich, una stagione foriera di grosse novità: il team stesso, il ruolo di leadout, l’abbandono della pista. Scopriamo dunque con lei come è andata. Prima però vi diamo un dato che la dice lunga: 49 giorni di corsa, contro i 34 dell’anno passato. Sette corse a tappe (tutte lunghe), contro le cinque del 2023.

Baloise Ladies Tour: volata della prima tappa. A destra, Barbieri in testa per la compagna Kool
Baloise Ladies Tour: volata della prima tappa. A destra, Barbieri in testa per la compagna Kool
Primo anno in DSM, come è andata, Rachele?

E’ stato un bell’anno, un anno soddisfacente. Mi sono messa alla prova in un ruolo che non ero abituata a fare, quello del leadout, quando invece fino all’anno prima ero io la velocista. Però ho imparato tanto.

Da Liv a DSM: altri metodi, immaginiamo…

Questa è una squadra nella quale si analizzano tanto le corse, prima e dopo. Si arriva alle gare preparati. E questo mi piace. Dico sempre: «Ad averla trovata prima una squadra così». Le giovani possono imparare, crescere e diventare brave ad avere una visione di corsa. Per me questo è l’aspetto più evidente della DSM-Firmenich. Così come il fatto che ognuna in gara ha il suo ruolo ben preciso. E questo contribuisce a farci dare il 110 per cento in ogni corsa. Non capita mai di arrivare che qualcuna fa quello che vuole.

Quando hai deciso di passare in questa squadra sapevi che c’era la Kool ovviamente: dovevi dunque fare solo la leadout o potevi avere anche i tuoi spazi? 

Sì, sì… quando ho firmato gli accordi erano questi: io sarei entrata in squadra per fare la leadout a Charlotte. Mi è stato detto bene fin da subito. Venivo da una squadra un po’ più piccola, nella quale ho sempre fatto io le volate, ma quando c’è meno organizzazione spesso il risultato pieno non viene. E fa rabbia. Questo mi ha portato ad essere molto convinta di voler investire su me stessa, di specializzarmi in questo ruolo e di farlo con l’idea di crescere. Ho 27 anni e per questo ciclismo inizio ad essere un po’ vecchietta.

Dai, vecchietta no. Matura!

Resto convinta che è l’età giusta per specializzarsi e per crescere definitivamente. Poi si vedrà negli anni dove potrò arrivare. Quando ho avuto le mie opportunità, all UAE Tour e a Drenthe ho fatto bene. Negli Emirati ho fatto seconda dietro a Wiebes, l’atleta più forte e difficile da battere. E a Drenthe ho fatto terza. Riesco pertanto a mantenere un buon livello da velocista. Quando ho l’opportunità di potermi giocare le mie carte sono pronta. E questo mi rende orgogliosa.

L’inserimento di Rachele Barbieri nella DSM-Firmenich è andato alla grande. Il suo contratto arriva fino al 2026
L’inserimento di Rachele Barbieri nella DSM-Firmenich è andato alla grande. Il suo contratto arriva fino al 2026
Il ruolo di leadout è nuovo per te, c’è qualcuno dei colleghi uomini o extra team che ti ha dato qualche consiglio su come fare questo ruolo?

No e neanche al di fuori. Come ho detto facciamo tanta analisi con il team. C’è molto scambio d’informazioni. La stessa Charlotte mi ha insegnato tanto, idem Georgi Pfeiffer, che è più esperta. Sono io che faccio mille domande. Mi sembra sempre che gli altri ne sappiano di più! Anche se poi quando sei in gara certe cose ce l’hai nell’istinto.

Dentro di te quindi come hai approcciato questa nuova avventura?

Come un anno di passaggio. Sono cambiate tante cose per me, anche il discorso di non fare più la pista comunque è stato un grosso cambiamento. Ho cambiato anche il preparatore… per questo dico che è stato un anno di passaggio. Mi serviva del tempo per capire come il mio fisico e la mia testa si sarebbero adattati. Spero dal prossimo anno di fare un salto di qualità anche nelle gare un pochino più impegnative.

Prima, Rachele, hai detto che è stato un anno per imparare, ed effettivamente qualcosa da migliorare c’è. Tu e Kool siete una coppia che funziona bene, ma c’è anche qualcosa da mettere a punto. In cosa dovete migliorare?

Premesso che ogni volata ha la sua storia, a mio parere abbiamo trovato molto velocemente il feeling. Charlotte si è fidata tanto di me e quindi è stato tutto semplice. Ma per questo è stato importante avere davanti a me Pfeiffer Georgi. Lei era la sua vecchia leadout e oggi è una guida abile ed esperta. Pfeiffer spesso e volentieri è stata davanti a me. Poi è capitato che provando tattiche diverse qualcosa non sia filato perfettamente. Ma dovendo sfidare la velocista più forte, ci sta che si provi qualcosa di diverso, che si provi ad inventare qualcosa. Mi rendo conto che dalla tv le volate sembrano tutte uguali, ma in realtà non è così.

Certo, magari anticipate, ritardate, o tu fai un buco…

Per esempio, a De Panne ma anche in altre gare, abbiamo dimostrato che quando vogliamo fare il treno e partiamo noi dalla testa, il treno funziona. Siamo veloci, riusciamo a stare davanti e mettiamo Charlotte nella posizione migliore per fare la volata. Poi, ripeto, ci troviamo contro un’atleta fortissima come la Wiebes e ci sta anche che se lasci la tua compagna in posizione perfetta non si riesca a vincere. Però questo non vuol dire che fai le cose fatte male o, al contrario, che se vinci non ci sia niente da migliorare.

Nel periodo delle classiche del Nord, Barbieri vive in Olanda in un appartamento messole a disposizione dal team (foto @tornanti_cc)
Nel periodo delle classiche del Nord, Barbieri vive in Olanda in un appartamento messole a disposizione dal team (foto @tornanti_cc)
Rachele, hai parlato di nuova preparazione e nuovo preparatore. Per questo ruolo di leadout hai fatto qualcosa di specifico?

Ho cambiato completamente il modo di allenarmi e non solo per il ruolo di leadout. Prima facendo pista mi servivano cose un po’ diverse. Andando in pista, anche due volte a settimana, su strada lavoravo in modo diverso. Dovevo adattare il lavoro della strada a quello della pista. Adesso che la mia priorità è la strada ho molto più spazio per poter fare magari dei veri blocchi di lavoro in determinati periodi, o semplicemente fare più distanze, più lavori specifici.

E senti la differenza?

Ad inizio anno un po’ ho faticato. Ho avuto anche un problema alla schiena al primo ritiro e questo ha rallentato un po’ la mia preparazione. Poi però sono riuscita ad essere abbastanza costante, specie dall’italiano in poi. Sicuramente ho finito meglio di come ho iniziato, quindi spero che questo mi porti alla prossima stagione in condizioni migliori.

E infatti stavamo per dire che forse il vero cambiamento di questa rivoluzione lo noterai il prossimo anno. Dopo un vero riposo e una lunga stagione su strada con tante gare a tappe…

Esattamente. E poi non è da sottovalutare anche il fatto che il mio preparatore, essendo nuovo, aveva necessità di conoscermi prima di farmi fare determinati carichi. Un esempio semplice: con due allenamenti in pista già partivo con due allenamenti in meno su strada. Per una pistard come me aver fatto tante gare a tappe si è fatto sentire sicuramente, ma mi ha anche aiutato tanto. E infatti anche per questo sono contenta per l’off-season, ma ammetto anche che non vedo l’ora di iniziare la prossima stagione per mettermi alla prova.

Sei passata da una squadra olandese… a una squadra olandese. Che differenze ci sono? Parliamo anche di differenze concrete, come la casa, la sede del team…

Abbiamo la possibilità di vivere tutto l’anno in Olanda: ogni ragazza ha un appartamento a Sittard, vicino alla sede della squadra. Però io non vivo lì perché sono contenta di stare in Italia, anche per il clima. Ci resto fissa solo nel periodo delle classiche: è molto comodo e mi evita di fare avanti e indietro. Per il resto cosa dire: mi sono trovata molto bene anche in Liv, avevo un bellissimo rapporto con loro ed è stato anche difficile venire via. Mi sentivo a casa. Ma il progetto della DSM mi piaceva, volevo provare questa avventura. La DSM, essendo una squadra sia maschile che femminile, addirittura anche con il devo team, è molto più grande. Anche solo l’organizzazione dello staff è diversa. Prima c’era un rapporto po’ più familiare, di qua c’è più un sistema. Questa è la differenza più grande, poi in realtà il gruppo lo fanno gli atleti.

Colpo imprevisto alla solita storia: arrivo in parata, Bardet in giallo

29.06.2024
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RIMINI – Allora le storie impreviste in questo ciclismo di super calcoli e di fenomeni possono ancora accadere. Allora è ancora possibile uscire fuori dalle righe. Poco dopo, ecco le parole di Romain Bardet: «Nel ciclismo accadono ancora momenti inaspettati». Pensieri che si abbracciano dunque.

Un arrivo in parata a Rimini, con due corridori della Dsm-Firmenich, Romain Bardet e Frank Van de Broek, non lo avrebbe potuto immaginare neanche lo scrittore più fantasioso del mondo.

Il Tour de France si apre così con un fantastico colpo all’insolita storia. La suspence è stata diversa. Si è accesa proprio nel finale. 

A Rimini Bardet e Van den Broek arrivano insieme. Il vecchio elogia il giovane e dopo 11 Tour indossa la maglia gialla per la prima volta
A Rimini Bardet e Van den Broek arrivano insieme. Il vecchio elogia il giovane e dopo 11 Tour indossa la maglia gialla per la prima volta

Spingere, spingere

Si è accesa solo nel finale perché tutti li davano per spacciati. «Li prendono». «Non arriveranno mai». Si sentiva dire sul lungomare di Rimini. In questa luce piatta tutti avevano gli occhi stretti a scrutare gli schermi sui bus, sugli smartphone o sul traguardo. 

«A 400 metri mi sono voltato ancora una volta. E ho visto che c’era ancora un po’ margine», racconta Bardet di giallo vestito per la prima volta in carriera. «Ho pensato che si poteva fare per davvero. Poi la linea d’arrivo, vicino a Van der Broek, al suo primo Tour. Era nervoso e per questo non stava bene nei giorni scorsi. Un’emozione incredibile».

Tra i protagonisti della fuga di giornata anche Matej Mohoric
Tra i protagonisti della fuga di giornata anche Matej Mohoric

Pazzia francese…

Ma questo è solo il finale. Quando ad una quarantina di chilometri dall’arrivo, verso San Marino esce dal gruppo Bardet, sembra un’altra azione alla francese: bella sì, ma poco sensata. O almeno più adatta alle gare di Coppa di Francia che non al Tour. 

E sembrava poco sensata anche perché il compagno, Van den Broek, si era defilato dagli altri due fuggitivi per attenderlo. In quel momento era un autogol pazzesco. Abrahamsen e Madouas andavano forte. E invece…

«Frank era davanti – ha proseguito Bardet – era molto forte oggi. Mi sono detto: “Cercherò di riprenderlo, anche se ci dovessi mettere 20 minuti”. Poi una volta davanti è stato un inferno. Una vera lotta al fronte». 

Una lotta che i due Dsm-Firmenich accettano eccome. Verso Montemaggio scappano via. Dietro, l’assalto della UAE Emirates rientra e così il gruppo piomba a due minuti.

E qui inizia un’altra corsa. La solita corsa, quella dei fuggitivi contro il gruppo. Perché se non tira Pogacar, tira la EF Education-Easy Post di Bettiol. 

Sul Barbotto la UAE Emirates prende in mano la corsa. Poi si sposta e Bardet spicca il volo
Sul Barbotto la UAE Emirates prende in mano la corsa. Poi si sposta e Bardet spicca il volo

Spingere ancora

«Non ce la fanno. Un minuto e mezzo a 16 chilometri è poco», dice il pubblico sempre con gli occhi stretti.

«Pensavo che ci avrebbero ripreso in pianura – ha detto ancora Bardet – dalla macchina ci dicevano di spingere. Che il gruppo andava forte. Ma che potevamo insistere». Rapporto lungo per Bardet, come da tradizione del resto. Gambe che frullavano per il ragazzino. I due compagni sono compatti, stretti. Sembrano una cosa sola che fende il vento.

Il distacco cala ancora. Dietro ora spinge con violenza la Lidl-Trek. E’ dal Giro d’Italia che li vediamo in questa situazione. Sembra vagamente di ritornare alla tappa di Napoli. Solo che stavolta l’Alaphilippe e il Narvaez della situazione sono insieme. E i 40 metri che mancarono proprio a Narvaez avanzano invece a Bardet e Van den Broek.

Bardet e Van den Broek in fuga. «Era previsto di correre all’attacco in questo inizio Tour», ha detto il giovane olandese
Bardet e Van den Broek in fuga. «Era previsto di correre all’attacco in questo inizio Tour», ha detto il giovane olandese

Ecco il gruppo

Ultimo chilometro. Ancora 9”. «Allez, allez les gars», forza ragazzi, urla nelle radioline la macchina della Dsm-Firmenich ed è lì che poi si volta Bardet e si accorge che forse ce la possono fare.

Van der Broek esegue alla lettera le consegne del capitano. Consegne ad intuito. I due non si sono quasi mai parlati, come ha confermato poi uno sfinito, quanto felice, Van den Broek dopo l’arrivo. Il giovane olandese, spinge e resta vicino anche nei cambi. I loro gomiti si sfiorano.

I due restano uniti. Il contachilometri non scende sotto i 45-50 all’ora, il vento è anche contro. Vanno forte dunque. Negli ultimi metri si concedono persino il lusso di alzare le braccia al cielo.

Adesso Rimini, che attendeva Pogacar, come al Giro, tifa per loro. Li accoglie con un boato di sorpresa seguito però da un grande applauso. Un applauso sincero. D’istinto. E’ vero dunque: la storia a volte va come non ci si aspetta.

Un abbraccio corale e Bardet coccola Van den Broek, che prende la maglia bianca di miglior giovane
Un abbraccio corale e Bardet coccola Van den Broek, che prende la maglia bianca di miglior giovane

Sogno giallo

«Questa è una vittoria di squadra – ha ribadito Bardet – non solo per come abbiamo corso con Van den Broek, ma anche per come tutti noi abbiamo gestito questa gara. Ero davanti per pedalare in sicurezza. Se terrò questa maglia fino in Francia? Sono partito in questo Tour per dare il 100 per cento ogni giorno. Chiaro che sarebbe bello. Ma oggi ho pedalato come fosse una classica (ricordiamo che Bardet ad aprile è arrivato secondo alla Liegi, ndr) e non potrà essere sempre così». 

In cuor suo Romain ci pensa a portarla almeno oltre il Monginevro, quando la Grande Boucle entrerà nella sua terra.

«Non dover lottare per la generale mi toglie un’enorme pressione. Sono finalmente me stesso. Non conoscevo il percorso, ma ho giocato d’istinto. Indossare la maglia gialla è sempre stato un obiettivo della mia carriera. Ci ho anche pianto. Troppe volte ci sono andato vicino per non pensarci. Oggi però questo sogno si è realizzato ed è stupendo».

Proprio prima del Tour, Romain ha detto che smetterà il prossimo anno. Appenderà la bici al chiodo dopo il Giro d’Italia, vuole una tappa nella corsa rosa. In Italia ha vinto… “peccato” per lui che fosse il Tour! Ma va bene così.

Nalini e Team Equa uniti dal Ciclismo Paralimpico

21.05.2024
3 min
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Il marchio Nalini è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo grazie alla sua lunga storia, ma soprattutto per la qualità di ogni singolo capo che ogni giorno viene prodotto a Castel d’Ario, località in provincia di Mantova, dove ha sede l’azienda. Una qualità confermata anche dalla rinnovata partnership con la DSM – Firmenich, formazione del circuito World Tour impegnata in questi giorni sulle strade del Giro d’Italia.

Nalini è partner ufficiale della Squadra Paralimpica Team Equa
Nalini è partner ufficiale della Squadra Paralimpica Team Equa

Ecco il Ciclismo Paralimpico

Allo sviluppo e alla produzione di nuovi capi di abbigliamento si accompagna ogni giorno un’attività finalizzata alla messa in campo di progetti e collaborazioni che non si limitano al solo ambito prettamente sportivo. Da qui nasce la partnership con il Team Equa, società della provincia di Pavia.

Stiamo parlando di un team che può essere tranquillamente considerato il vero riferimento del settore del Ciclismo Paralimpico grazie agli straordinari risultati fin qui ottenuti. Negli 11 anni di attività gli atleti del Team Equa hanno conquistato 8 medaglie ai Giochi Paralimpici, 19 titoli di campione del mondo, 7 titoli di campione europeo e 20 vittorie nelle prove di Coppa del mondo.

Ci sono anche tante altre realtà che supportano gli atleti del team Equa
Ci sono anche tante altre realtà che supportano gli atleti del team Equa

L’importanza dell’inclusività

La scelta da parte di Nalini di essere partner di un team di prestigio impegnato nel mondo del Ciclismo Paralimpico è perfettamente spiegata da Giuseppe Bovo, direttore generale dell’azienda mantovana. 

«Accanto alle sponsorizzazioni dei Pro Team – ha commentato Bovo – riteniamo altrettanto importante sostenere eventi, squadre e iniziative di ciclismo dove vincono l’inclusività e il più autentico spirito sportivo. Vogliamo portare più persone possibili a scoprire e a vivere con pienezza e soddisfazione il ciclismo e lo facciamo affiancandoci a chi interpreta e condivide con noi questo obiettivo. Dal primo di gennaio Nalini veste il team Equa in qualità di sponsor tecnico. Per noi è un privilegio poter collaborare con Ana Maria Vitelaru (atleta della nazionale di Ciclismo Paralimpico, Handbike cat. WH5 ndr) e con tutti gli atleti del Team, portando avanti insieme a loro un forte messaggio di incoraggiamento a vivere lo sport come leva per superare i propri limiti».

Da sinistra Claudio Mantovani, titolare di MOA Sport, proprietaria del brand Nalini, Ana Maria Vitelaru e Ercole Spada
Da sinistra Claudio Mantovani, titolare di MOA Sport, proprietaria del brand Nalini, Ana Maria Vitelaru e Ercole Spada

Già in gara

La prima “prova sul campo” delle divise Nalini è avvenuta lo scorso aprile in occasione della gara Internazionale di Marina di Massa, dove gli atleti del Team Equa hanno indossato i nuovi capi di abbigliamento, realizzati su misura, partendo dalle specifiche esigenze di ciascun atleta.

Questa partnership rappresenta per Nalini anche un particolare banco di prova per lo studio e la progettazione di materiali sempre più performanti da utilizzare nello sviluppo di capi di abbigliamento da competizione.

Nalini

Team Equa

Assalto francese. Paret-Peintre sogna. Bardet fa spallucce

14.05.2024
5 min
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CUSANO MUTRI – Succede che ad una dozzina o poco più di chilometri dall’arrivo Valentin Paret-Peintre e Romain Bardet si parlino. In francese ovviamente. Sono a ruota di Andrea Bagioli. Davanti c’è Jan Tratnik che continua a guadagnare.

Un segno. È il momento. I due scappano. E l’affondo è buono. Ora o mai più, altrimenti lo sloveno avrebbe guadagnato troppo.
Rapporto lungo per il corridore della Decathlon-AG2R La Mondiale, lunghissimo per quello della DSM-Firmenich. Sono due scalatori, se lo possono permettere.

Valentin Paret-Peintre (classe 2001) e Romain Bardet (1990) cercano di rintuzzare Tratnik
Valentin Paret-Peintre (classe 2001) e Romain Bardet (1990) cercano di rintuzzare Tratnik

Francesi all’attacco

Il più giovane dei francesi sembra più brillante. È pimpante sui pedali. L’altro giorno eravamo stati in fuga con lui verso Prato di Tivo. Nell’ammiraglia, il suo diesse Cyril Dessel approvava quell’attacco sul Gran Sasso.
«Bene, gli dà fiducia», diceva. Poi man mano che la UAE Emirates tirava, il gruppo dei big si assottigliava e lui era ancora lì, un po’ si stupiva. Forse neanche lui immaginava che il più piccolo dei Paret-Peintre stesse così bene.

«E’ stato stupendo – dice con un filo di emozione e occhi sinceri Valentin – è incredibile. La mia prima vittoria da professionista ed è una tappa in un grande Giro. Tra l’altro con un grande campione come Romain. Dall’ammiraglia mi dicevano di tenere d’occhio lui (come a Prati di Tivo, ndr)».

Ai -3 km dall’arrivo Valentin parte secco. Riprende e stacca Tratnik. Dopo quello di Thomas è il secondo successo francese in questo Giro
Ai -3 km dall’arrivo Valentin parte secco. Riprende e stacca Tratnik. Dopo quello di Thomas è il secondo successo francese in questo Giro

Dessel stratega

Oggi di nuovo in fuga, stavolta Valentin Paret-Peintre ha fatto centro. Gestito ancora magistralmente da Dessel, che gli spiegava il finale e gli immediati chilometri con precisione.

«Cyril – riprende Valentin – mi ripeteva di stare tranquillo, che la salita era lunga, che mi dovevo gestire. Però mi ha detto anche che gli ultimi tre chilometri erano i più duri. Ho capito che quello era il momento. Dovevo approfittare di quelle pendenze. E dopo che sono partito mi incitava. Mi diceva: “Vai, è il tuo momento”. “Ce la puoi fare”».

Campione in crescita

Valentin Paret-Peintre è il figlio di una nuova generazione di ciclisti cresciuti in casa. Non solo la Groupama-FDj in Francia lavora bene, anche la Decathlon-Ag2R La Mondiale, specie con gli juniores, vanta un bel vivaio. E Valentin, come suo fratello Aurelien, è un campioncino costruito in casa. E i suoi margini sono ampi.

«L’obiettivo era quello di andare in fuga – ha detto Paret-Peintre – sapevo che si poteva vincere, ma non era facile. Soprattutto nella prima parte con tutta quella pianura. E infatti mi hanno aiutato molto Touzé e Tronchon: mi hanno consentito di risparmiare molte energie. Ma tutta la squadra ha fatto un grande lavoro. La salita lunga, la fuga giusta, i compagni, le gambe buone… era questione di tante cose che si allineassero».

«Davvero sono felice. Ho preparato bene questo Giro d’Italia, ho fatto per la prima volta in carriera un ritiro in quota. Ho alzato il mio livello. Non so se in futuro vorrò puntare alla generale. Vedremo. Mi piace andare in fuga. So che ogni anno voglio puntare forte su uno dei tre grandi Giri: una volta il Giro, una il Tour, una Vuelta e poi ricominciare».

Romain Bardet all’arrivo di Bocca di Selva. Ha incassato 29″ da Valentin Paret-Peintre
Romain Bardet all’arrivo di Bocca di Selva. Ha incassato 29″ da Valentin Paret-Peintre

Ecco Bardet

Se Valentin Paret-Peintre è preso in carica dai ragazzi del podio, Romain Bardet può far scorrere la sua bici verso il massaggiatore, che lo attende con indumenti caldi ed asciutti e il bibitone per il recupero.

Magro, anzi magrissimo: le sue costole sembrano quasi corpi esterni, Bardet si cambia con calma

E’ dispiaciuto ma non deluso. «Ho cercato di anticipare – ha detto Bardet – perché non stavo benissimo. Anzi, non avevo belle sensazioni alle gambe. Ma questo succede dopo il giorno di riposo, specie quando l’età avanza».

Aurelien completa la festa di famiglia Paret-Peintre. Stacca il drappello dei big, arriva quinto e festeggia per la vittoria del fratello
Aurelien completa la festa di famiglia Paret-Peintre. Stacca il drappello dei big, arriva quinto e festeggia per la vittoria del fratello

Parole da saggio

Intanto sfila Aurelien Paret-Peintre, fratello maggiore di Valentin ed ex compagno di Romain. I due si abbracciano.

Un sorriso e Bardet riattacca: «Vero, ci siamo parlati con Valentin. Volevamo capire come stesse davvero Bagioli. Gli ho detto che dovevamo andare perché perché Tratink aveva un bel vantaggio. Bisognava fare un buon ritmo. Abbiamo collaborato bene. Sapevo che gli ultimi chilometri sarebbero stati difficili per me, come detto le sensazioni non erano positive. Complimenti a Valentin, ha giocato bene le sue tappe».

Infine prima di congedarci, a Bardet viene fatto notare che in classifica generale ha recuperato un bel po’ (ora è 7° a 4’57”). Ma lui fa spallucce. Glissa del tutto. Dice che non ne sa nulla. Scaramanzia? O dubbio eterno degli uomini da corse a tappe se mollare o tenere duro? E’ chiaro che se tiene duro i pretendenti al podio e alle posizioni di vertice non gli lasceranno spazio. Come si è visto oggi con l’inseguimento della Bahrain-Victorious.

Bardet vuole una tappa al Giro per chiudere il cerchio

30.01.2024
4 min
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Il primo corridore a mettere nel sacco le vittorie di tappa in tutti e tre grandi Giri fu un italiano. E che italiano: Fiorenzo Magni. Era il 29 aprile del 1955 e sfrecciando per primo sull’arrivo di Barcellona (era una cronometro) Magni diede vita a questa particolare classifica. Dopo 69 anni ci sono riusciti altri 106 atleti oltre a lui. Il 108° vorrebbe essere Romain Bardet.

Il francese della DSM-Firmenich è di fronte ad un bivio però. All’Equipe, nelle settimane passate, in diverse occasioni ha parlato del suo futuro. Quello prossimo e quello più a lungo termine. Ma il tutto con un obiettivo ben chiaro: vincere una tappa al Giro d’Italia appunto.

Giro 2022, sul Blockhaus arriva secondo alle spalle di Hindely e davanti a Carapaz e Landa. E’ il suo miglior piazzamento nella corsa rosa
Giro 2022, sul Blockhaus arriva 2° dopo Hindely, Carapaz e Landa. E’ il suo miglior piazzamento nella corsa rosa

Giro e Tour

Bardet è rimasto folgorato dal Giro. Non lo ha mai negato. Certo, non è al livello di Pinot, ma la corsa rosa gli piace eccome. Nel sacco ha solo due partecipazioni: il Giro lo ha “scoperto” a 31 anni.

Due anni fa era messo davvero bene prima che una caduta lo tagliasse fuori dai giochi. Forse è stata l’ultima vera volta che lo abbiamo visto lottare per le generale. 

Per quest’anno dunque Bardet di sicuro sarà al Giro d’Italia: «Voglio provare ad entrare nel club di coloro che sono riusciti a vincere le tappe in tutti e tre i grandi Giri e a me manca una vittoria nella corsa italiana».

Il suo cammino verso la corsa rosa passa per il debutto stagionale nelle corse francesi, il UAE Tour, la Parigi-Nizza e il Tour of the Alps.

Di tappe adatte a lui ce ne sono parecchie al Giro. Già ad Oropa, Romain potrebbe mettere il sigillo. Ma forse la salita piemontese arriva un po’ troppo presto. Sia perché c’è di mezzo anche la maglia rosa e magari Pogacar e colleghi potrebbero voler “fare la tappa”. Sia perché immaginare una fuga da lontano con Bardet dentro è difficile. E’ pur sempre Bardet e lasciargli spazio potrebbe essere pericoloso. Romain è uno che tiene.

Il confronto generazionale è sempre più forte. Ma Bardet tiene botta: eccolo con Evenepoel all’ultima Vuelta
Il confronto generazionale è sempre più forte. Ma Bardet tiene botta: eccolo con Evenepoel all’ultima Vuelta

Estate decisiva

E poi c’è il futuro a lungo termine. Bardet è uno dei prodotti della classe 1990, bella e dannata. Tanto talentuosa quanto delicata. Il tempo passa e il francese va per i 34 anni e in questo ciclismo restare al vertice è sempre più dura. Uno suo ritiro non sarebbe impensabile.

Bardet a fine anno sarà senza contratto. Continuare o meno è solo una decisione sua. Anche se la DSM-Firmenich non lo tenesse, le squadre francesi specie quelle non WorldTour farebbero la fila per prenderlo. Classe, professionalità e un nome che non lascia mai indifferenti.

«Per ora – ha detto Bardet – non voglio pensarci troppo. Voglio concentrarmi sul Giro. Poi a metà stagione, magari prima del Tour de France dirò cosa farò. E lo dirò soprattutto a me stesso. Se capirò che sono ancora competitivo. Se capirò che questa vita, che da qui a fine maggio mi vedrà a casa sì e no 20 giorni, mi andrà ancora bene. Se devo continuare, voglio farlo per lasciare un segno e non per fare la comparsa».

E magari c’è da capire ancora se questo è davvero ancora il ciclismo di Bardet. In tempi non sospetti aveva lasciato intendere che questo sport sta diventando sempre più come la Formula1, in cui vince chi ha i tecnici migliori e non il bravo pilota. Lui aveva parlato di “ciclismo della scienza e dei preparatori”.

E’ il 2012 e un giovane Bardet esordisce con la maglia dell’Ag2R. Da allora ha messo nel sacco 10 vittorie tra cui 3 tappe al Tour e una alla Vuelta
E’ il 2012 e un giovane Bardet esordisce con la Ag2R. Da allora ha messo nel sacco 10 vittorie

Quale futuro?

La DSM-Firmenich sembra propensa ad un prolungamento di contratto. Almeno sono queste le informazioni che trapelano. Da quest’anno poi Bardet ha anche il supporto del connazionale Barguil. E magari questo potrebbe essere un incentivo a continuare in questa squadra.

«Vengo da una stagione – ha detto il francese – in cui le cose non sono andate benissimo. Mi sono sempre trovato in una situazione poco chiara e ciò non mi induce a continuare. Per questo voglio decidere con calma e al momento opportuno». 

Prima però c’è il Giro e un successo di tappa potrebbe essere decisivo per il suo futuro. Se dovesse riuscirci, poi al Tour potrebbe prendersi la sua “passerella”.

«Il Giro – ha detto Bardet ad Eurosport – l’ho fatto solo due volte e l’ho completato una. Come detto, quest’anno vorrei vincere una tappa e magari arrivare nei primi cinque». 

Dainese: la vittoria nata sui monti, tra App e tempo massimo

17.09.2023
6 min
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Spalle abbassate come il Cavendish dei tempi migliori, potenza esplosiva e anche una grande lucidità tattica… C’era tutto questo nella volata vittoriosa di Alberto Dainese a Iscar, due giorni fa alla Vuelta (in apertura foto @cyclingimages).

Questa volta il treno della sua Dsm-firmenich ha funzionato benone e tutto è andato secondo programma. Per Dainese si tratta del terzo successo stagionale. Un successo nato non solo sul rettilineo finale, ma anche nei giorni precedenti. Ecco dunque la doppia analisi della sua volata: quella ad Iscar vera e propria e quella iniziata nei giorni prima e passata per le alture dell’Asturia.

Decentrato sulla destra, Dainese schiacciato e a testa bassa precede Ganna (sulla sinistra)
Dainese schiacciato conquista l’arrivo di Iscar
Alberto, un grande sprint, e una posizione che davvero ricordava Cav…

Eh – sorride – ma non ero poi neanche così aerodinamico. Mi sentivo bene e finalmente tutto è filato liscio, anche rispetto alle altre due volate precedenti.

Raccontaci come è andata.

Siamo rimasti compatti. I ragazzi hanno svolto un bel lavoro, non che nei due sprint precedenti non lo avessero fatto, ma come detto stavolta non ci sono stati problemi… almeno per noi. I corridori della Alpecin-Deceunick fanno sempre qualcosa di strano. A Iscar uno di loro si è voltato quando andavamo a 65 all’ora è finito in terra e con lui tanti altri. Ma dico io: certe cose te le insegnano da allievo, come si fa a commettere ancora certi errori. Ed è già la seconda volta.

E invece la volata vera e propria come è stata?

Tutto sommato è stata una tappa facile, ma non del tutto, almeno nel finale. Infatti c’era vento. Dalla tv non si vedeva, sembrava che stessimo passeggiando, ma in realtà nell’ultima ora siamo andati sempre a 60 all’ora. Noi questa volta abbiamo anche un po’ seguito i Jumbo-Visma e siamo riusciti a stare coperti. I ragazzi sono riusciti a fare quello che gli ho chiesto. E così siamo usciti forte per davvero dall’ultima curva. Io ero volutamente un pelo dietro perché c’era del vento contro. Volevo restare coperto fino alla fine. Quando sono uscito di ruota avevo una grande velocità.

Appena arriva il primo, Dainese grazie ad una App sul computerino sa quanto è il tempo massimo e si regola col passo
Appena arriva il primo Dainese grazie ad una App sul computerino sa quanto è il tempo massimo e si regola col passo
“I ragazzi hanno fatto quello che gli avevo chiesto”: parole importanti, da leader…

Quando le cose vanno bene sembra sempre che uno abbia la situazione sotto controllo su ogni cosa. Noi non siamo un team specializzato per le volate, ma siamo riusciti comunque a fare un buon lavoro. Qui in Spagna siamo due uomini veloci e sei scalatori in pratica. Non gli si può chiedere tantissimo. Ma il compito prefissato è stato fatto bene.

Abbiamo raccontato l’aspetto della volata vero e proprio, Alberto. Ma come ci sei arrivato dopo tutte quelle montagne? Immaginiamo che la gestione non sia stata banale in vista di quello sprint…

No, anzi… Io ho perso quell’orgoglio di tenere duro per fare cinquantesimo che c’era qualche tempo fa. Vedo gente più “finita” di me che tiene duro, spreca energie senza motivo… per arrivare 10′ prima al traguardo. Io provo a risparmiare più energie possibile in determinate tappe. Cerco il gruppetto.

Come fai a risparmiare più energie? Per esempio qualche giorno fa Cimolai ci ha detto cose interessanti in merito al velocista sulle salite di questa Vuelta…

Non appena ci dicono che il primo è arrivato, sul Wahoo (il computerino, ndr) spingo il bottoncino e la App mi dice quanto è il tempo massimo. In base a quello mi regolo. Se so che ho 30′, cerco di arrivare per i 28′. E questa tattica paga molto secondo me. Io e “Cimo” per esempio riusciamo a farla molto bene (non a caso sono terzultimo e penultimo nella generale, ndr). E magari siamo più pronti nei giorni che sono adatti a noi.

Il tempo massimo quindi è fondamentale, anche per il passo vero e proprio. Riesci a far scendere i watt?

Sì, solitamente scendono. In certi casi anche un bel po’. Prendiamo l’esempio di La Cruz de Linares dell’altro giorno. Quando sono arrivati eravamo ai 6 chilometri dal traguardo. Più o meno sappiamo quanto s’impiega su quelle pendenze per fare un chilometro e così mi sono regolato per arrivare entro i limiti. Ho rallentato sempre di più. Insomma non tengo duro più del previsto. Altri vedo che stanno nel gruppetto e poi fanno forte l’ultima.

Gettare un occhio sul computerino è dunque importante in queste tappe. La vittoria di una volata passa anche da qui
Gettare un occhio sul computerino è dunque importante in queste tappe. La vittoria di una volata passa anche da qui
In effetti con la App del tempo massimo, gestirsi è più “facile”…

A volte è più dura. Nella tappa del Tourmalet per esempio la Alpecin (la squadra di Groves, votata tutta per lui, ndr) aveva sbagliato i calcoli. Ha iniziato ad andare pianissimo un po’ troppo presto e così ci siamo ritrovati a fare gli ultimi 4 chilometri del Tourmalet a tutta per rientrare nel tempo massimo.

Facciamo un’ipotesi di numeri: tu sali a 400 watt alla soglia (per dire), quanto scendono durante la gestione dello sforzo per arrivare al traguardo nel tempo limite?

Un numero preciso è difficile da dare, varia in base al tempo che manca, alla distanza, alla pendenza… Mediamente direi che si scende a 250 watt. Per fortuna oggi abbiamo il 36×34 che ti consente quasi di andare “a piedi” quando serve. Una volta sarebbe stato più complicato.

Come individui il momento di mollare?

Si tende a tenere duro nella prima salita. Poi è chiaro che se si mettono per mezz’ora a 6 watt/chilo li tengo. Ma generalmente si cerca di stare davanti il più possibile finché non si forma un gruppo numeroso. Fin quando la Jumbo, che fa un altro sport, non decide di aprire il gas!

Chiarissimo.

A quel punto se non si è fatta troppa fatica si cerca di rientrare nella discesa successiva, se non altro per fare velocità nelle valli. In quei tratti più veloci è importantissimo non stare da soli, altrimenti diventa dura per davvero.

Flynn (a sinistra) e Dainese (a destra) nel gruppetto. In certe frazioni non restare soli è fondamentale
Flynn (a sinistra) e Dainese (a destra) nel gruppetto. In certe frazioni non restare soli è fondamentale
Alberto, ci hai già illustrato molte piccolezze importanti, in questo aspetto conta anche l’alimentazione?

Dipende sempre dall’andamento della gara. La linea è quella di mantenersi sui 90 grammi di carboidrati l’ora. Se si riesce si mangia anche del solido: un paio di barrette e la borraccia di malto. Altrimenti solo malto e gel, come mi è già successo nel corso di questa Vuelta.

La tappa di ieri per esempio prevedeva un avvio in salita. Come si fai in quei casi?

Mi sono scaldato e ho cercato di tenere duro all’inizio (il collega velocista Groves aveva anche provato ad andare in fuga nella prima salita, ndr). Poi dipendeva dalla tattica. Cosa avrebbero fatto i Jumbo-Visma? Gli UAE Emirates avrebbero attaccato? Finché non è partita la fuga non è stato facile. Ma per fortuna la tappa era lunga e il tempo massimo ampio (e la fuga è partita abbastanza presto, ndr)

In questi casi resta un uomo vicino a te? Anche in previsione dello sprint di Madrid…

Come detto in questa Vuelta eravamo solo in un paio di uomini più veloci. Con me c’era
Sean Flynn, abbastanza veloce: va più forte di me in salita, ma non ne ha per restare davanti chiaramente.

Polonia, Scozia, Spagna: Milesi ha l’agenda piena

04.08.2023
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KATOWICE – Lorenzo Milesi è pronto per le grandi sfide. Il corridore della Dsm-Firmenich è chiamato al campionato mondiale di Glasgow under 23, sia su strada che a crono, e alla Vuelta. Al Tour de Pologne sta cercando di rifinire la gamba.

Lorenzo sorride, è uno dei pochi a dire il vero a farlo al foglio firma durante questa settimana, sono tutti seri. Lui però è così. Di solito sorride chi è in condizione, chi sta bene… e lo abbiamo visto anche ieri al via della crono con Cattaneo e Mohoric.

Ci appare abbastanza tirato. Anche se a a dire il vero è un corridore massiccio, potente. Non ha certo la gamba da fenicottero. Ma questa è la potenza che cerca Marino Amadori per la Scozia. 

Lorenzo Milesi (classe 2002) dopo il Polonia lo attendono le prove U23 su strada e a crono
Lorenzo Milesi (classe 2002) dopo il Polonia lo attendono le prove U23 su strada e a crono
Lorenzo, si va ai mondiali: siamo pronti?

Sì spera! Sì, dai sto bene. I test di questi giorni, in particolare la quinta tappa e la crono, non sono andati male. Forse la crono poteva andare meglio. Diciamo che non avevo delle gran gambe, anche se alla fine comunque non è andata troppo male (Lorenzo è arrivato 25° a 49″ da Cattaneo). Sono state due frazioni importanti per valutare bene la condizione, anche perché in Scozia farò anche la crono.

Da quanto tempo eri d’accordo con Amadori? Come ti sei organizzato con le gare?

Già dall’anno scorso il mondiale 2023, sia a crono che a strada, era l’obiettivo. Con Marino ne avevamo parlato prima dell’inverno. E la squadra pertanto mi ha dato il programma delle gare anche in funzione di questo impegno. Il Polonia me lo hanno fatto fare proprio per preparare mondiale e Vuelta.

Come hai lavorato?

Io credo bene. Ho fatto un mese di altura. Prima una settimana a Livigno da solo e poi altre tre con la squadra sul Kuhtai, sopra ad Innsbruck. Credo di aver raggiunto un buon livello, anche se ammetto che nelle prime tappe di questo Tour de Pologne ho avuto degli alti e dei bassi e sinceramente non ho capito il perché. C’erano dei momenti in cui mi sentivo molto bene e mezz’ora dopo stavo male. Poi di nuovo bene. Farà parte della ricerca del ritmo gara, boh…

In Polonia il lombardo si è dato da fare. Eccolo in fuga nella seconda tappa con Mosca (in prima ruota)
In Polonia il lombardo si è dato da fare. Eccolo in fuga nella seconda tappa con Mosca (in prima ruota)
Chi saranno i più pericolosi a Glasgow?

Nella crono di certo Alec Segaert e anche Fran Miholjevic. Sulla strada è un po’ un terno al lotto. Ci sono quei 15 corridori che possono vincere. Non sai mai come va. Pensiamo all’anno scorso: Fedorov ha attaccato tutti i giri, sembrava dovesse cedere, invece ha vinto… E nessuno se lo aspettava.

Voi azzurrini non avete corso molto spesso insieme. Tu sei nel WorldTour, loro nelle continental o in altre squadre: come si trova l’alchimia?

Però ci conosciamo già tutti per le gare fatte negli anni passati e quello aiuta. E poi siamo un bel gruppo – ride Milesi – abbiamo la nostra chat del mondiale e ci divertiamo. Vedremo di farlo anche là.

Lorenzo, non c’è solo il mondiale, giusto? C’è anche la Vuelta: il primo grande Giro…

Eh sì, ma con calma. Adesso sinceramente ho il mondiale in testa.

E non ci pensi alla Vuelta?

Sì certo. E’ ovvio che con la squadra sono qui soprattutto per preparare la Vuelta. E’ un insieme di lavoro, squadra, nazionale, preparatori, obiettivi… fatto nei mesi. Ma guardiamo gara per gara. Adesso c’è prima il mondiale.

In squadra, voi del “gruppo Vuelta” ne parlate?

Qui non molto, nel ritiro sì, come detto abbiamo passato tre settimane insieme…. Ma è abbastanza tranquilla la cosa. Non ne facciamo un punto fisso.

Per Milesi tanto lavoro e anche divertimento sul Kuhtai con la squadra (foto Instagram)
Per Milesi tanto lavoro e anche divertimento sul Kuhtai con la squadra (foto Instagram)

Avvicinamento top

Lorenzo sta correndo un buon Tour de Pologne. Si è messo a disposizione del velocista, Van Unden, nella prima tappa. E’ stato all’attacco nella seconda frazione. La crono di ieri è stato un test importantissimo. Ha cercato di mettere a punto alcuni dettagli per la crono iridata. Una gara contro il tempo a questa distanza da quella mondiale è ideale per ripassare certi protocolli, rivivere determinate sensazioni, trovare il feeling con una tipologia di gara che resta sempre particolare.

Quest’anno Milesi a Glasgow ci arriva con più gare di spessore nelle gambe, non solo più esperienza. L’anno passato Fedorov aveva fatto la Vuelta. Altri avevano preso parte a gare WT. Lorenzo aveva fatto “solo” l’Avenir. Le tirate di collo del Polonia magari saranno salutari per lui. Per gli azzurri. Per la Vuelta… Intanto fra meno di 24 ore l’aereo lo attende. L’agenda di Milesi è bella piena.