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Intervista dalla Colombia: Bernal vuole tornare grande

20.02.2022
4 min
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E’ stata la rivista Semana a… penetrare nel silenzio di Egan Bernal, con un’intervista uscita in Colombia nel numero della settimana entrante. Sulla copertina, Egan è ritratto con la madre Flor Marina e per la prima volta racconta i suoi ricordi dell’incidente, il dolore lancinante provato in quei minuti sull’asfalto, mentre si rendeva conto di chi cercava di girare delle immagini e del lavorìo del medico del Team Ineos Grenadiers che, tirando forte la gamba, ha arrestato la fuoriuscita di sangue. 

«Era un normale allenamento con la squadra – racconta Bernal nell’intervista – alcuni erano sulla bici da strada, io su quella da crono. Dopo un po’ alcuni si sono fermati, io invece ho voluto continuare per conto mio. Una macchina mi scortava. La posizione sulla bici da crono è molto speciale, devi essere il più aerodinamico possibile. Fondamentalmente, devi avere la testa bassa e le braccia vicine. Arrivato a Gachancipa, ho guardato avanti e non c’era niente. Ricordo che stavo andando a 58 all’ora, che il vento era favorevole e che ho iniziato ad accelerare. Ho visto 62 km/h sul tachimetro quando ho colpito l’autobus».

Sulla copertina delle rivista Semana, Egan Bernal e sua madre Flor Marina
Sulla copertina delle rivista Semana, Egan Bernal e sua madre Flor Marina

Impatto pazzesco

L’impatto che si è visto da una telecamera di sorveglianza è stato violentissimo. Il pullman era fermo, Bernal viaggiava oltre i 60 all’ora.

«Per terra, non riuscivo a respirare. Stavo per svenire – racconta Bernal – quando sono riuscito a prendere un po’ d’aria. Ho alzato lo sguardo e ho visto il retro dell’autobus. Il meccanico che mi accompagnava ha subito chiamato il medico della squadra. E’ arrivato molto velocemente: sono vivo grazie a lui. Il femore era rotto, sembrava voler uscire dalla gamba. Dopo aver sganciato il piede dalla bici, il medico ha stabilizzato la frattura. Mi ha afferrato per la vita e altre due persone, non so se erano medici o sapevano qualcosa di medicina, lo hanno aiutato. Mi hanno afferrato il piede e hanno iniziato a tirare. Li ho pregati di smetterla, ma quello che hanno fatto mi ha aiutato a non perdere più sangue. In totale, ne ho comunque persi due litri e mezzo».

Mai sofferto tanto

Curiosi. Compagni preoccupati. L’ambulanza che non arriva, anche se alla fine il bilancio dell’intervento è rapidissimo. Il dolore per Egan, disteso sull’asfalto, è lancinante.

«Ero disperato – racconta – avevo dolore dappertutto, alla gamba, al collo, alla schiena, urlavo perché il dottore mi desse qualcosa per il dolore. Ho dovuto rimanere 15 minuti sdraiato sulla strada. Intorno a me le persone si avvicinavano, cercavano di filmarmi, alcuni cercavano di fermarli. Quando è arrivata l’ambulanza, ho chiesto loro di darmi degli antidolorifici, ma non ne avevano nemmeno loro! Volevo svenire perché soffrivo tantissimo. Il dolore era atroce, non ne ho mai provato tanto in vita mia. Sono passati 30 o 40 minuti tra la caduta e l’arrivo in ospedale».

Prima dell’incidente, Bernal era in condizione crescente (foto Ineos Grenadiers)
Prima dell’incidente, Bernal era in condizione crescente (foto Ineos Grenadiers)

Poteva morire

Lo operano subito. I ricordi saltano dal ricovero alle fasi successive all’intervento. Le parole del neurochirurgo da un lato gli gelano la schiena, dall’altro lo sollevano.

«Quando mi sono svegliato dopo l’operazione – racconta – mi sono reso conto che non era solo il femore ad essere rotto (Bernal si è anche fratturato la rotula, due vertebre, undici costole ed entrambi i polmoni sono stati perforati, ndr). Il neurochirurgo mi ha detto: potevi morire, con un incidente del genere avevi il 95 per cento di possibilità di diventare paraplegico. Ha aggiunto di aver operato centinaia di lesioni spinali di questa portata e che solo due erano andate bene. Ero solo il secondo! L’ho fatto bene. La prima settimana dopo l’operazione è stata molto dura, tutto ciò che volevo era che togliessero i tubi dai polmoni, perché mi facevano molto male. Da allora, i progressi sono stati molto rapidi».

Rischio in agguato

Nessuna colpa per nessuno, anche se è palese che la disattenzione sia stata sua. Il fatalismo è forse il modo migliore per non diventar matti.

«L’ultima cosa che voglio fare – dice Bernal – è accusare qualcuno. Non voglio incolpare me stesso o l’autista dell’autobus. E’ stato un incidente, punto. Non siamo in uno stadio di calcio dove potremmo allenarci tranquillamente. Quando percorro 270 chilometri da Zipaquira a Tunja andata e ritorno, possono succedere milioni di cose, devi esserne consapevole. I rischi si possono evitare, ma non posso smettere di allenarmi su strada, altrimenti non vincerò mai più il Tour de France».

I progressi di Bernal sono rapidi ed evidenti (foto Twitter)
I progressi di Bernal sono rapidi ed evidenti (foto Twitter)

Ai massimi livelli

E poi è il solito Bernal, quello che cerca motivazioni e sa infiammare i tifosi anche durante una convalescenza così complicata.

«Ora voglio tornare ai massimi livelli – afferma Bernal – ho fiducia, penso di potercela fare e penso che sarà veloce. I dottori si arrabbiano quando glielo dico. In verità non so se mi ci vorranno un anno o dieci anni, forse tre o sei mesi… Comunque, mi sento come se giù dalla bicicletta non saprei cos’altro fare. Prima dell’incidente stavo andando molto bene, avevo risolto i miei problemi alla schiena, ero in anticipo sulla mia preparazione. Ero fiducioso per il mio obiettivo dell’anno, il Tour de France. Lo vincerò di nuovo? Non lo so, è già difficile quando tutto va bene, quindi ora…».

Con la maglia rosa alla scoperta del dolore

16.05.2021
6 min
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A prescindere dal fatto che oggi perda la maglia rosa oppure la tenga, ci sono state alcune parole di Attila Valter e del suo direttore sportivo Philippe Mauduit sulla soglia del dolore, pronunciate subito dopo la tappa di San Giacomo, che continuavano a risuonarci nella testa.

«Se mi convinco davvero di qualcosa – aveva detto l’ungherese – la mente sposta avanti il limite e a quel punto non c’è niente di impossibile».

Il tecnico francese era entrato più nel dettaglio: «Una cosa che abbiamo notato subito è la capacità di farsi del male quando è in difficoltà o quando ha un obiettivo. Sa andare oltre la soglia del dolore e lo fa razionalmente. Se lui si convince che può farlo, di solito lo fa. E’ grintoso. Se molla la presa, vuol dire che è davvero morto».

La maglia rosa è un bel peso da portare, in corsa si sente…
La maglia rosa è un bel peso da portare, in corsa si sente…

Il riferimento alla soglia del dolore ci ha riportato agli interminabili discorsi sul tema con Marco Pantani, capace di andare oltre quel livello, portando i suoi rivali in una zona sconosciuta di cui spesso avevano paura. Per capire meglio ci siamo rivolti a Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach, che collabora con la Trek-Segafredo e svariati altri atleti.

Come si fa a decidere di soffrire?

Ognuno trova il pulsante per tirare fuori il meglio da se stesso. Sono doti diverse, tratti della personalità. Ci si arriva tramite la razionalità estrema, come magari nel caso della maglia rosa, oppure per istinto e mi viene in mente Alaphilippe.

Parliamo del pulsante?

Ciascuno di noi è razionalità, emozione e comportamento. Le percentuali con cui questi tre fattori si mescolano dipendono da persona a persona. Se il nostro approccio con la vita è legato soltanto alla logica e tagliamo totalmente le emozioni, alla lunga avremo dei problemi. Idem per il contrario. Uno dei meccanismi più diffusi è quello della profezia che si autoavvera, la self fulfilling prophecy, per la quale le convinzioni che abbiamo determinano la realtà. Ci convinciamo così tanto che alla fine funziona. Una sorta di effetto placebo.

Nel famoso giorno di Montecampione al Giro del 1998, Pantani portò Tonkov oltre il limite del dolore e il russo ne ebbe paura
A Montecampione nel Giro del 1998, Pantani portò Tonkov oltre il limite del dolore
Una sorta di volere è potere?

Alla base però c’è un allenamento mentale. Gli atleti hanno a disposizione un’infinità di dati sulla propria fisiologia, ma l’aspetto mentale è cruciale. Marc Madiot, per cui corre Attila Valter, lavora molto sui punti di forza. E’ bravo a tirare fuori il meglio dai suoi ragazzi, puntando sull’allenamento e anche sull’aspetto motivazionale. In ogni caso, ciò che accomuna la gestione razionale e quella istintiva, è il senso di responsabilità nei confronti del proprio futuro. La fiducia in se stessi, il credere di poter dare una svolta alla propria vita, contrapposto all’atteggiamento di chi non crede in se stesso.

Come si fa a imporsi la sofferenza e accettare il dolore?

E’ il momento più difficile da gestire. Sei a tutta, quindi sei vulnerabile, fragile. Ognuno di noi ha una soglia della sofferenza, il fatto di saper andare oltre dipende da quanto sei mentalizzato in partenza e da quanto sei efficace nella tua azione. Se sei in forma, ti viene più facile.

Puoi entrare più nel dettaglio?

Quando feci il Master in Psicologia dello Sport, il dottor Vercelli diceva che quando siamo alla frutta, abbiamo ancora un 5% da dare. E faceva l’esempio della madre che vede il figlio in pericolo e per salvarlo compie gesti fuori da ogni schema.

Oggi al via, Attila sa che Bernal, Evenepoel e Ciccone lo attaccheranno: come reagirà?
Attila sa che Bernal, Evenepoel e Ciccone lo attaccheranno: come reagirà?
Quindi è qualcosa che non si può allenare?

Qualcosa si può fare. Dipende dal dialogo interno. Nel momento in cui siamo a tutta e ci spingiamo verso quella porta, qualcosa ci stiamo dicendo. Pensateci. Quando fate uno sforzo molto intenso, non parlate con voi stessi? Di solito ognuno di noi si incita. Oppure visualizza l’immagine dell’arrivo in cima e dell’obiettivo raggiunto. Bisogna imparare a trasformare in termini positivi quello che ci diciamo ed escludere tutto il resto.

Escludere cosa?

La nostra mente ha il limite di processare un’informazione per volta. Se adesso io vedessi qualcosa che mi distrae, automaticamente smetterei di ascoltarti. Staccherei l’attenzione dal primo obiettivo. Se l’atleta vuole rendere al massimo, non deve pensare ad altro. Questa capacità va allenata. Per contro, capita che arrivi da me il professionista che non ce la fa più, che parla di «vomito da fatica». Che non riesce più a reggere perché magari è un po’ depresso ed è entrato in un circolo vizioso.

Le preoccupazioni della vita quotidiana limitano la capacità di soffrire e accettare un altro dolore?

Quando l’atleta porta le sue problematiche, è chiaro che non si parla più solo di sport. Parliamo prima di tutto di uomini e donne. In quei casi, non si possono fare miracoli, ma si lavora per scindere i due aspetti per il breve tempo necessario. E’ un palliativo, perché le due sfere sono integrate. Il massimo che puoi fare è lavorare sulla superficie e sulla concentrazione per portare a casa il risultato.

Ultimo aspetto. Inizialmente hai parlato della quantità di dati che si hanno a disposizione. Esiste un rovescio della medaglia?

Al riguardo ho una visione… equilibrata. Il ciclismo ha avuto un’evoluzione incredibile, sul fronte degli strumenti e per la necessità di limare ogni dettaglio, dalla bici al peso. Il corridore è iperstimolato su più fronti e si rischia che abbia sempre più bisogno di un supporto esterno per sapere cosa fare. Bennati mi raccontava che atleti più giovani non sono capaci di allenarsi se la batteria dell’Srm è scarica. Per me la via di mezzo è quella maestra.

Ieri verso Guardia Sanframondi qualcuno ha visto primi segnali di cedimento nell’ungherese
Ieri verso Guardia Sanframondi qualcuno ha visto primi segnali di cedimento nell’ungherese
Vale a dire?

Non ci si può più allenare come Coppi, ma torniamo alle sensazioni. Ho caricato i dati su Training Peaks, ho mandato i file al coach. Tutti sanno come sto, ma io come mi sento? Le corse si vincono con i watt, ma anche con le azioni creative. Una cosa che mi sembra sempre strana è vederli arrivare stravolti sul traguardo, quasi barcollare, eppure schiacciare il tasto sul computerino. Cosa cambia se non lo fai? E siccome i più giovani copiano i pro’, si rischia di creare un esoscheletro, ma dentro non c’è niente e poi succede che il corridore arrivi al burnout (molto interessante una precedente intervista con Elisabetta Borgia sulle motivazioni che portarono al ritiro Tom Dumoulin, ndr).

Quindi la morale qual è?

Bisogna lavorare sulla formazione dei direttori sportivi nelle categorie giovanili, è l’unico modo.

Attila terrà la maglia rosa? Le sue parole fanno pensare davvero a un atleta capace di motivarsi fino a far avverare la sua profezia. Se mollerà, come dice Mauduit, avrà dato davvero tutto. Sapremo tutto fra poche ore. Speriamo di avervi dato un’altra chiave di lettura per la tappa di Campo Felice. Ma quanto è bello il ciclismo? E quanto c’è ancora da imparare?

Quei dolori alla schiena che i corridori ben conoscono

08.02.2021
4 min
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Corridori che fanno esercizi di allungamento per la schiena mentre ancora sono in sella. Si inarcano all’indietro, oppure fanno movimenti del collo. Quei 50 minuti a tutta sulla bici da crono, con la schiena inarcata a compensare la spinta delle gambe (in apertura Almeyda a Valdobbiadene, all’ultimo Giro). Le ore di sella portano con sé tutta una serie di dolorini a carico soprattutto della schiena e del collo, perché per quanto perfetta, la posizione in bicicletta non è mai troppo confortevole. Questa volta, pertanto, abbiamo chiesto al dottor Maurizio Radi, Fisioterapista e Osteopata, titolare del Centro Fisioradi di Pesaro, quali siano e a cosa siano dovuti gli acciacchi dei corridori in bicicletta. Essendo anche lui un accanito praticante, ha immediatamente colto nel segno.

La posizione in sella altera curve fisiologiche della colonna vertebrale (immagini antoninoraco.it)
La colonna sopporta curve anomale (immagini antoninoraco.it)
Il collo è in costante tensione per guardare la strada. Quali sono i muscoli o i nervi che vengono sollecitati da questa posizione? 

Per guardare avanti sulla strada, i muscoli del collo che vengono maggiormente sollecitati sono gli estensori perché la posizione non fisiologica li fa lavorare costantemente in contrazione. Inoltre la posizione in bici altera la serie delle curve fisiologiche della colonna vertebrale non solo cervicale ma anche dorsale e lombare. Inoltre dobbiamo considerare tutti i microtraumi, che si ripercuotono sulla zona cervicale e dorsale, provenienti dalla strada tipo vibrazioni e sobbalzi, che sono sempre in aumento viste le condizioni delle strade che vanno sempre più a degradarsi.

Quale tipo di massaggio o di rimedio si può adottare per essere certi che il collo recuperi scioltezza?

Prima di pensare al rimedio, consiglierei di fare tanta prevenzione cercando di lavorare sulla colonna ed i muscoli correlati con esercizi di streching, tonificazione muscolare ed esercizi di mobilità articolare. Dobbiamo iniziare a pensare che in bicicletta non si spinge solo con le gambe e quindi non dobbiamo dare per scontato che il nostro sistema osteo-articolare e muscolo-tendineo funzioni sempre perfettamente.

Tante ore in gruppo costringono l’atleta a una posizione che alla lunga si fa insopportabile
Tante ore in sella possono portare qualche fastidio
Il freddo può rendere la situazione più estrema?

Sicuramente si, basti solo vedere quante problematiche hanno quando piove o fa freddo gli stessi ciclisti professionisti. Purtroppo il corridore percepisce il freddo diversamente dagli altri sportivi, in quanto si tratta di uno sport ad alto impatto ventoso e questo porta grossi disagi all’apparato muscolo -articolare.

Qual è il massaggio che si fa di solito sulla schiena per restituirle elasticità?

Oggi conosciamo diverse tecniche di massaggio o direi meglio di terapia manuale. Io per la mia esperienza dico che vanno valutate le situazioni caso per caso. Possiamo andare da un massaggio rilassante ad un massaggio trasverso profondo a sedute di fibrolisi o graston technique, fino ad avvalersi del supporto dalla terapia strumentale (tipo Tecar, laser ecc.)

Si lavora su fasce muscolari, ma notiamo spesso il massaggiatore indugiare lungo la colonna: che cosa fa?

Il corpo umano è una macchina perfetta fatta di tanti muscoli, ossa articolazioni tutte connesse tra di loro, tutte innervate dal sistema nervoso che parte dalla colonna vertebrale dove qualsiasi individuo ha qualche sofferenza. Quindi un ciclista come già detto precedentemente, visto la postura che tiene in bicicletta per ore, la mette sotto stress sicuramente  più di altri e quindi è per questo che il massaggiatore ci lavora per tanto tempo.

Il massaggio alla schiena è alla base del recupero (foto Andrea Righeschi)
Il massaggio agevola il recupero (foto Andrea Righeschi)
I corridori parlano a volte di formicolio alle mani: da cosa dipendono?

Qui dobbiamo esaminare le possibili cause. In primis verificare che non ci siano patologie cervicali come discopatie, protusioni o ernie. Poi fare una corretta valutazione del corridore partendo dalla sua storia, analizzando se ci sono stati traumi ed infortuni in passato che possono aver lasciato conseguenze a livello fisico. Infine valutare se ci sono disequilibri posturali. Dopo aver fatto un’anamnesi e una corretta valutazione dell’atleta, consigliare anche di controllare la posizione in bici.

Il massaggio, che durante i Giri fanno tutti i giorni e nei periodi fuori corsa scende a due volte a settimana, ha la funzione di agevolare il recupero?

Sì, il massaggio per una atleta deve essere parte integrante della sua attività agonistica e non agonistica. Un buon massaggio serve sempre per un buon recupero fisico e non solo, a volte aiuta anche per recupero psicologico.

In quali dei casi precedenti potrebbe essere utile l’intervento dell’osteopata?

Sempre dopo una caduta, in quanto va verificato cosa sia successo da un punto di vista osteo-articolare. Ma direi che oramai l’intervento dell’osteopata è fondamentale prima, durante e dopo l’attività fisica.