Dietro moto sul pavè. Tadej alla ricerca del feeling con la velocità

10.04.2025
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E’ stato visto sul pavé come se fosse casa sua, dietro moto, lanciato a tutta: Tadej Pogacar ha messo nel mirino la Parigi-Roubaix. Il campione sloveno, dopo aver superato le iniziali reticenze del team, ha deciso di affrontare questa sfida con tutto se stesso. Per lui non c’è corsa senza ambizione di vittoria e l’Inferno del Nord non fa eccezione (in apertura foto Instagram).

La UAE Emirates si è allineata alla sua visione e l’ha supportato con un sopralluogo tecnico ad altissima velocità (qui il video sul profilo X di Philippe Gilbert). Ne abbiamo parlato con Pino Toni, uno dei nostri riferimenti consueti, quando di mezzo ci sono test, preparazione, tecnica…

Le pietre della Roubaix sono diverse da tutte le altre e l’alta velocità ne amplifica la difficoltà
Le pietre della Roubaix sono diverse da tutte le altre e l’alta velocità ne amplifica la difficoltà
Pino, Pogacar ha fatto sul serio. Perché provare il pavé dietro motore?

Perché non va mai alle corse per vedere come sono. Tadej va per vincerle tutte. Non avendo esperienza diretta della Roubaix, la velocità è un aspetto chiave per questa gara. Cambia la reazione della bici, cambiano le sollecitazioni, cambia tutto. Prendere una pietra a 35 o a 50 all’ora non è la stessa cosa. Le forze in gioco aumentano in modo esponenziale e vanno considerate sotto tutti gli aspetti, compresa la scelta del materiale.

In che modo la squadra ha affrontato questa sfida?

E’ tutto nuovo anche per loro. Parliamo di un test importante per l’uomo, ma anche per la bicicletta. La Colnago non ha ancora una storia consolidata alla Roubaix, al contrario di Specialized o Trek, che sono bici sviluppate per questo tipo di corsa. Il test serviva (anche) a capire le risposte del mezzo e a trovare i margini di adattamento, perché qui non si tratta solo di portare il corridore giusto: serve anche l’attrezzatura giusta.

Pino, da preparatore quale sei quando al termine di un test simile l’atleta ti dà il computerino, cosa vai a vedere?

Gli chiederei delle sensazioni prima di tutto, più che i watt. Dopo un test così non vai a guardare i watt appunto, o i numeri ma dove ti fa male. La Roubaix non è una corsa che si valuta con il cronometro. Le mani insanguinate post Roubaix non sono una leggenda. E poi le spalle, la schiena… lì si sente il dolore. Le sensazioni diventano dati. E’ un tipo di stress che ti rimane addosso per giorni. Ti segna. E Tadej questo lo sa e lo sta affrontando con la sua solita serietà. Poi è chiaro che si studiano anche i numeri, per carità…

Un frame del video che ritrae Pogacar in azione dietro motore sui settori della Roubaix. In tre di questi ha stabilito il KOM
Un frame del video che ritrae Pogacar in azione dietro motore sui settori della Roubaix. In tre di questi ha stabilito il KOM
Che tipo di intensità si raggiunge in un test del genere dietro moto?

Si lavora su velocità alte. Con il dietro motore sul pavé sei a 50 all’ora e più. Quindi secondo me siamo su Z4, Z3 alto. E’ un’intensità importante, soprattutto per un fondo pianeggiante come quello della Roubaix. Non si tratta di muri, dove magari lavori su Z5. Ma anche sul piano, a quella velocità e su quel fondo, i muscoli e il sistema nervoso sono messi a dura prova.

Che poi fare la recon a tutta è un po’ il marchio di fabbrica di Pogacar e della UAE Emirates, prima del Fiandre hanno affrontato dei muri con i compagni che tiravano a tutta, si spostavano e lui partiva…

E’ il loro metodo, giustamente provano ai ritmi gara. L’hanno fatto il giovedì, giorno di solito riservato all’uscita lunga con intensità. Quattro ore buone con dentro queste prove sui settori. E’ un approccio molto mirato. Non si tratta di fare mille giri: lui e i suoi compagni sono usciti, hanno affrontato i muri a tutta e hanno chiuso il test. Metodo, determinazione e qualità.

In passato c’era stato qualcosa di simile, dietro motore sul pavé?

Sì, ricordo nel 2014 quando c’era il pavé al Tour de France ed io ero nella fila della Tinkoff-Saxo. All’epoca, durante l’inverno si provarono delle tappe, compresa quella sul pavé facendo appunto dietro motore. Io non ero presente, ma ricordo Contador e Bennati che svolsero questo lavoro. Anche in quel caso, non fu semplice fin da subito. Servono più passaggi per prendere le misure. E’ un lavoro che serve più all’atleta, nel caso di Contador che puntava alla classifica, che al mezzo, ma è chiaro che si testano anche soluzioni tecniche. Un po’ il contrario di Pogacar in questo momento.

Riprendiamo ancora una volta le immagini di Pogacar della Lille-Wallers Arenberg del Tour 2022. Quel giorno fu 7°
Riprendiamo ancora una volta le immagini di Pogacar della Lille-Wallers Arenberg del Tour 2022. Quel giorno fu 7°
In concreto, cosa viene valutato nei materiali?

Il comfort. Quando hai un corridore che non solo vuole esserci, ma vuole fare la gara e soprattutto vincerla, allora serve il massimo adattamento. La scelta della bici, del telaio, della sella… tutto deve ridurre lo stress: il comfort alla Roubaix è fondamentale, specie per un atleta poco esperto (in questa corsa) come Pogacar. Non è come mandare uno che deve fare il gregario: qui hai un leader e la bici deve diventare un’estensione del suo corpo.

Pogacar però ha poco supporto in squadra in termini di esperienza per questa corsa. Anche se in ammiraglia c’è chi diverse volte l’ha finita nei dieci e una volta addirittura secondo, il diesse Fabio Baldato…

E’ vero. Se si guardano i suoi compagni ci sono specialisti della Roubaix. Politt, Wellens, Vermeersch… ma non hanno una storia da protagonisti assoluti per vincerla. Forse Baldato ha più esperienza di tutti, il problema per Tadej è che lui non corre più! E’ una corsa nuova anche come mentalità per la UAE Emirates. Hanno sempre corso in un altro modo e ora devono adattarsi all’idea di fare la Roubaix per vincerla, non solo per esserci. Ma non sono sprovveduti… per niente. Certo, i rischi ci sono. E sono tanti…

Chiaro. E anche la componente della fortuna non è da meno quando si parla di Roubaix…

E’ una corsa che ha un coefficiente di rischio altissimo. La caduta, la foratura, una buca… tutto può cambiarti la gara in un attimo. E’ una gara che incide sulla stagione. Consideriamo che il Tour “è vicino” e ogni incidente ha un costo. Gianetti lo sa e infatti non ne era entusiasta… Però quando hai un leader così, devi anche fidarti del suo istinto.

Sull’Oude Kwaremont Tadej ha preso il largo nel tratto “pianeggiante” in pavè, ma veniva dopo un muro e, come detto, le pietre della Roubaix sono diverse
Sull’Oude Kwaremont Tadej ha preso il largo nel tratto “pianeggiante” in pavè, ma veniva dopo un muro e, come detto, le pietre della Roubaix sono diverse
E’ la gara giusta per uno come lui?

Dipende. Se la vince, ha fatto la storia. Se perde, si dirà che ha sbagliato. E’ una corsa che può trasformarsi in leggenda, ma non è la corsa che ti consacra per forza. La fortuna pesa tanto, come ripeto. E loro, secondo me, sperano che non gli piaccia tanto. Così la fa una volta sola e basta. Il problema è che se gli piace, la rifà!

Dal punto di vista fisico come vedi l’approccio di Pogacar alla Roubaix?

E’ molto più leggero degli altri. Parliamo di almeno 10 chili in meno rispetto a Ganna, Van Aert, Pedersen. Questo fa una differenza enorme sul pavé. Ma attenzione, è vero che ha meno potenza e forse (occhio ai materiali) rimbalza un po’ di più, ma è anche vero che il suo minor peso farà sì che lo stress su bici e corpo sarà minore. Una pietra presa da uno di 80 chili ti può spaccare la ruota: il dietro motore gli ha dato molte nozioni in tal senso. Tadej ha molta più leggerezza e agilità, rischia meno anche sulle forature. Non è poco, alla Roubaix. Potrebbe arrivare un po’ più fresco nel finale.

Insomma Pino, credi che possa giocarsela davvero?

Secondo me, se Pogacar deve staccare qualcuno lo fa sui muri. E alla Roubaix i muri non ci sono. Lì vince chi resiste, chi sa stare davanti, chi ha fortuna. Se arriva in volata perde. Con Van Der Poel, Ganna, Pedersen non può arrivare allo sprint. Deve inventarsi qualcosa prima. E lì Tadej dovrà cercare un colpo dei suoi, da lontano, da campione assoluto. Per me resta una corsa in cui il rischio, anche per lui, è altissimo.

In gara sempre al top? Il dietro motore fa la differenza

01.03.2023
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Non puoi presentarti in gara senza essere al massimo. Come abbiamo scritto qualche giorno fa parlando con Paolo Artuso, questa esigenza di massima condizione ha fatto sì che si corra meno e si calibrino al meglio le competizioni. Una volta si andava in gara per rifinire la condizione, ora non è più possibile. E allora come si fa ad essere brillanti? Quanto incide il vecchio dietro motore?

Andrea Fusaz, preparatore del CFT, che tra i tanti corridori segue anche Jonathan Milan il quale è anche un pistard, di dietro motore se ne intende. Questa pratica è del tutto parte integrante della preparazione. Oggi lo è, forse, più che mai.

Andrea Fusaz, preparatore del Cycling Team Friuli
Andrea Fusaz, preparatore del Cycling Team Friuli
Andrea, il dietro motore incide di più che in passato, visto che non si può più andare alle corse per fare ritmo a quanto pare?

Sicuramente è fondamentale per fare il ritmo gara. Il colpo di pedale è molto più simile appunto a quello della gara. Invece di metterti ad una potenza costante, che è quella che solitamente si eroga andando via regolarmente, dovendo seguire una moto che ha una sua scia ci sono un sacco più di variazioni di potenza e un sacco di variazioni di velocità. Oscillazioni che altrimenti non ci sarebbero. E sono queste che ti fanno prendere il classico colpo di pedale da gara.

Quindi, tra virgolette, il dietro motore è un po’ il sostituto della corsa? Almeno quello della corsa che serviva per rifinire?

Direi di sì, prima limavi la preparazione semplicemente andando alle corse, magari stando in scia nei finali di gara dove si spingeva forte. Nel ciclismo attuale non c’è spazio per questo tipo di lavoro, visto quanto si va forte nel complesso, perciò si tende a fare il dietro motore appunto.

Quante volte si fa a settimana?

In prossimità delle gare, soprattutto per i velocisti, almeno un paio di volte. Due sessioni alla settimana sono un buon punto di partenza, ma si può arrivare anche a tre. Ma già due è la quantità giusta di stimolo per avere dei risultati, in quel paio di settimane che precedono la gara.

In una sorta di telemetria, anche il coach sullo scooter può osservare i dati espressi dal corridore a ruota
In una sorta di telemetria, anche il coach sullo scooter può osservare i dati espressi dal corridore a ruota
Si fa un allenamento specifico o si va regolari? O meglio, una volta il dietro motore si faceva il venerdì (correndo la domenica) oppure nell’ultima ora della distanza…

Dipende dall’obiettivo che vuoi raggiungere. Se vuoi semplicemente velocizzare e fare un lavoro neuromuscolare per cui abituare il corridore ad avere un colpo di pedale diverso, più pronto, si può fare anche a inizio allenamento o nella fase centrale. Magari si possono inserire delle progressioni ad intensità più alte. In questo modo si va a stimolare anche il metabolismo. Ed è diverso dal dietro motore che si fa a fine distanza, per velocizzare o sciogliere un po’. Lì sei semplicemente dietro moto, ti metti a ruota e la moto ti porta a casa dopo le cinque o sei ore. Oppure spingendo un po’ di più vai a simulare il finale di corsa con la gamba che gira più veloce. Dipende dalle finalità che hai.

Andrea, hai parlato del velocista, se invece c’è in ballo uno scalatore? Ha senso fare del dietro motore in salita?

Sì, ha senso. Ci sono degli allenamenti impegnativi che vanno a simulare le intensità di gara. E’ utile per i ragazzi avere un riferimento davanti, che poi è quello che ti fa fare il famoso ritmo. Chiaramente in quel caso bisogna che sul manubrio della moto, l’allenatore abbia un riferimento della potenza che sta sviluppando l’atleta. In questo modo gestisce la potenza come se fosse in gara.

Davide Martinelli dietro suo padre Giuseppe in una foto di qualche anno fa. Il rullo evita il contatto fra bici e scooter (foto Instagram)
Davide Martinelli dietro suo padre Giuseppe in una foto di qualche anno fa. Il rullo evita il contatto fra bici e scooter (foto Instagram)
Abbiamo parlato di scalatori, di velocisti e tu segui anche Jonathan Milan che è anche un pistard, con lui è diverso ancora?

Con lui bisogna stare attenti alla scelta della moto, perché se è un motorino si rischia che non sia sufficiente! Scherzi a parte, Jonathan, essendo comunque un passista veloce, tende ad essere molto veloce di suo. Ma anche in questo caso dipende dagli obiettivi che deve perseguire. Può fare dietro motore per velocizzare un po’ la gamba o per affinare la preparazione magari inserendo degli sprint.

Tu che li hai seguiti entrambi, c’è tanta differenza di velocità fra uno scalatore piccolo come Matteo Fabbro e un passista veloce e grosso come Milan?

Non tantissima, anche perché poi fanno lavori diversi dietro la moto. Jonathan, per esempio, faceva delle volate partendo da dietro la moto e uscendo di scia, mentre Matteo non le faceva. In realtà poi quando si fa dietro motore cerchi di fare un ritmo che può essere quello che fanno in gara ed è la velocità che comanda (55, 60, 65 chilometri orari, ndr), quindi è chiaro che guardando i file a fine seduta, anche a seconda di che moto stai usando (più o meno grande, ndr) cambiano i wattaggi tra gli atleti.

Chiaro, è un po’ il discorso di Evevepoel a crono…

Matteo, per esempio, era talmente piccolo e talmente sottile a livello aerodinamico, che dietro la moto era molto, molto efficiente. Ed anche se non aveva una grande potenza, dietro la moto a certe velocità ci stava “comodo”. Jonathan invece magari doveva fare molti più watt per stare alla stessa velocità. Però aveva una potenza tale per cui comunque non veniva infastidito troppo dall’alta velocità stessa.

Una curva ad U, il gruppetto che scappa davanti, un rilancio… Sono questi i momenti in cui serve il ritmo gara
Una curva ad U, il gruppetto che scappa davanti, un rilancio… Sono questi i momenti in cui serve il ritmo gara
Quanto conta la sensibilità nell’accelerare e fare certi ritmi da parte del pilota, in questo caso del preparatore?

Abbastanza ed è importante avere i dati dell’atleta sott’occhio. Non è facile gestire la potenza della moto, perché comunque devi prestare attenzione alla velocità più che alla manetta del gas. E’ un adattamento continuo. Per esempio, se c’è una leggera salita bisogna mantenere la velocità all’inizio per farla scendere appena un po’ poco alla volta. Devi fare un po’ come se fossi in bici, come se il motore del mezzo fossero le tue gambe. Non è facile riuscire a interpretare questo allenamento, specie se si fanno percorsi ondulati. Saper interpretare bene il percorso è veramente molto importante per realizzare l’allenamento che sulla carta volevi fare.

Appunto, accelerate troppo brusche e umanamente oltre i limiti fisici, rovinano l’allenamento. Senza contare che poi c’è anche una questione di sicurezza, come anche suonare il clacson per evitare buche o auto…

E infatti quando devi fare questi lavori cerchi strade poco trafficate, che ti permettano di non disturbare troppo gli altri e di stare in sicurezza.

Una volta il dietro motore si faceva anche con la macchina, oggi quasi non si usa più. E’ così?

Attualmente con la macchina non si fa più. Ormai con il livello aerodinamico che si è raggiunto ci sarebbero velocità in ballo eccessive, dai 60-70 all’ora in su. Non avrebbe senso e sarebbe troppo pericoloso.

Bruno Vicino campione del mondo in pista

Vicino chiama Dagnoni: «Rilancia gli stayer…»

26.02.2021
4 min
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Con l’arrivo di Cordiano Dagnoni alla guida della Fci, conoscendo il suo passato di stayer, molti sperano che la specialità del ciclismo dietro motori abbia un sussulto. Una volta le gare dietro moto riempivano le tribune delle piste, poi sono andate lentamente scomparendo ed è quasi un miracolo che sia stato tenuto in piedi il Campionato d’Europa, disputato per l’ultima volta a Pordenone nel 2019 e vinto dal tedesco Burkart e dalla nostra Marta Cavalli. Guardando l’albo d’oro si scopre che la specialità continua ad avere interpreti di un certo peso, basti guardare alle vittorie di Viviani nel 2013, il danese Morkov l’anno successivo e, andando un po’ indietro nel tempo, il vincitore del Tour Bradley Wiggins nel 2003.

A Natale c’era il pienone

Chi ha legato la sua storia ciclistica al mondo degli stayer è Bruno Vicino, attualmente nello staff dirigenziale dell’UAE Team Emirates, che ripensando al suo passato non nasconde tanta nostalgia: «E’ un vero peccato che questo patrimonio sia stato lasciato andare: ricordo ad esempio le fantastiche giornate di Natale a Dortmund. Il giorno della festa si pranzava al velodromo e al pomeriggio i campioni della specialità davano spettacolo su pista davanti a molte migliaia di spettatori. Sembrava di essere allo stadio, tanto era il tifo… In Italia era una specialità poco conosciuta, eppure eravamo tra i più forti al mondo».

Bruno Vicino campione del mondo
Bruno Vicino sul gradino più alto del podio al Campionato del mondo di Zurigo 1983
Bruno vicino campione del mondo
Bruno Vicino vittorioso al Campionato del mondo di Zurigo 1983

La fine delle Sei Giorni

A che cosa si deve il suo declino?

Le ragioni possono essere tante, certamente molto ha influito un certo abbandono della pista e soprattutto il tramonto delle 6 Giorni, che in Europa riempivano i velodromi di tutte le principali città. Io poi credo anche che ci sia stato un certo disinteresse da parte dei Paesi dell’Est europeo, che a livello di politica sportiva nel nostro ambiente hanno sempre avuto molto peso.

Vicino con maglia della nazionale
Bruno Vicino in azione con la maglia azzurra ai Campionati del mondo di Barcellona 1984
Vicino con maglia della nazionale
Bruno Vicino in azione ai mondiali di Barcellona 1984
L’andare dietro motori, nell’ambito dell’allenamento, ha ancora un senso?

Certamente, moltissimo. E’ lo strumento migliore per preparare il ritmo di agilità. Una sbagliata percezione della specialità ad esempio fa credere che emergano soprattutto i velocisti, invece è ideale per i passisti, perché si va di regola sui 72-73 km orari, le gambe frullano sempre sullo stesso ritmo e lo stesso rapporto. E’ ideale ad esempio per chi prepara le cronometro, oppure per chi va forte nei circuiti. Io ad esempio grazie agli stayer avevo preso l’abitudine di rilanciare l’azione dopo le curve scattando da seduto, mantenendo la posizione e riducendo lo sforzo.

Bruno Vicino con medaglia argento
Bruno Vicino è argento ai mondiali di Brno 1981 con il vincitore Rene Kos e Wilfried Peffgen
Bruno Vicino con medaglia argento
Bruno Vicino, a sinistra, con la medaglia d’argento ai mondiali di Brno 1981

Si corre in due

Che cosa serve per emergere tra gli stayer?

Il fattore principale, che non deve essere mai dimenticato, è che la gara la si fa in due, chi guida la moto e chi la bici. Tra i due ci deve essere feeling, un buon corridore senza un buon pilota non vincerà mai. Sono come due teste che devono ragionare all’unisono per emergere, capire quando accelerare, quando mantenere il ritmo e così via.

Allenarsi dietro moto ha ancora un senso?

Altroché… E’ ideale per dare il ritmo nelle pedalate, per fare riscaldamento e sciogliere i muscoli, prima di una crono la consiglio sempre anche ai ragazzi del team, anche meglio dei rulli. E’ chiaro che anche in allenamento serve un certo accordo tra i due mezzi, anche perché su strada ci sono avvallamenti e soprattutto le auto, serve massima attenzione, ma la sua utilità è innegabile.

Dietro motore in pista
Il tedesco Wilfried Peffgen e Bruno Vicino, in basso, ai mondiali di Besancon 1980
Bruno Vicino con De Lillo ai mondiali di Besancon 1980
Bruno Vicino ai mondiali di Besancon 1980

Pianura e niente fisso

Quali percorsi sono più adatti?

Bisogna cercare i tracciati più pianeggianti possibile, proprio perché quel che va allenato è il ritmo di pedalata. Un errore da non fare è utilizzare per gli allenamenti su strada dietro motori bici a scatto fisso, che vanno benissimo su pista ma all’aperto serve sempre avere la possibilità di cambiare e soprattutto frenare.

Oggi Bruno Vicino è nello staff della UAE Team Emirates
Oggi Bruno Vicino è nello staff della UAE Team Emirates
Oggi Bruno Vicino è nello staff della UAE Team Emirates
Oggi Bruno Vicino è nello staff della UAE Team Emirates

La pista è più sicura

Con l’arrivo di Dagnoni, che cosa ti aspetti per il tuo antico amore?

Ci unisce la stessa passione, il presidente sa bene quale spettacolo questa specialità sa regalare, spero tanto che riprenda vigore sia in Italia che in Europa, ricordiamoci sempre che andare su pista è molto meno pericoloso che su strada quindi può essere un grande richiamo per i ragazzi e si sa che il rombo dei motori piace sempre…