Dal Fiandre al Lombardia, quattro podi azzurri con Moser

06.11.2024
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Senza contare le tappe, che pure hanno il loro peso, nel 2024 l’Italia del ciclismo è salita per sole quattro volte sul podio di gare a tappe e classiche WorldTour. E’ chiaro che nessuno dimentica le vittorie di Milan, Ganna e Vendrame al Giro. Oppure i secondi posti di Frigo e Zana alla Vuelta e il terzo di Cattaneo nella crono di Madrid. Non c’è niente di facile in tutto questo, ma abbiamo concentrato la nostra attenzione su quattro risultati che ci hanno permesso di parlare con Moreno Moser di quattro corridori diversi fra loro.

Mozzato, con il secondo posto del Fiandre. Ulissi con il secondo al Tour de Pologne. Milan con il secondo ad Amburgo. Infine Ciccone, terzo al Lombardia. 

Moreno Moser, classe 1990 è stato pro’ dal 2012 al 2019 (foto Instagram)
Moreno Moser, classe 1990 è stato pro’ dal 2012 al 2019 (foto Instagram)

Mozzato e il Fiandre

Mozzato al Fiandre è la sorpresa di primavera: pochi lo avrebbero pronosticato così forte, seppure i suoi piazzamenti sulle strade del Nord fossero in crescendo da almeno due anni. Si può arrivare secondi al Fiandre per un colpo di fortuna? Decisamente no, anche se forse quel piazzamento ha generato delle attese che il vicentino non era in grado di sopportare.

«Per arrivare in fondo a Fiandre e Roubaix – dice Moser – quando le corse iniziano a superare i 230-250 chilometri, devi avere comunque un grosso motore. Poi è ovvio che Mozzato è molto veloce, è riuscito a tenere quel gruppetto lì e a giocarsela bene in volata. Il risultato è di spessore, anche se è comprensibile che poi si chiedano conferme. Io ho fatto il corridore e so quanto è duro rimanere sul pezzo, quindi questa non è assolutamente una critica, ma solo una considerazione e una speranza. Il bel risultato fa crescere le attese. Prendiamo il Fiandre di Bettiol: quella che fu una giornata di grazia. E’ chiaro che la vittoria alzò le aspettative a livello stellare, però a livello di stipendio, di popolarità e tutto quello che ne consegue ha avuto i suoi riscontri.

«Invece il secondo posto non ti dà vantaggi altrettanto clamorosi, crea aspettative e basta. Portare Mozzato alle Olimpiadi forse era più di quello che potesse reggere, anche perché in giro c’è un livello stellare da parte di pochi atleti. Noi ci concentriamo sugli italiani, ma la verità è che tutto il mondo si ritrova a inseguire quei 4-5 corridori. Si parla tanto della Slovenia, ma Pogacar e Roglic non possono fare media. Sono casi isolati, non una statistica».

Mozzato stremato dopo l’arrivo del Fiandre: il vicentino è stato il primo dopo Van der Poel
Mozzato stremato dopo l’arrivo del Fiandre: il vicentino è stato il primo dopo Van der Poel

Ulissi e il Polonia

Ulissi secondo al Tour de Pologne, battuto solo da Jonas Vingegaard, uscito forte dal Tour. Sbaglia chi pensa che il danese in Francia fosse sotto tono: aveva espresso valori altissimi e in Polonia è arrivato con la voglia di vincere.

«Secondo me Ulissi è un corridore pazzesco – comincia Moser – non paragonabile a un livello Pogacar, però come uomo squadra e corridore che può raccogliere risultati in grandi gare, è un elemento che farebbe comodo in qualsiasi squadra. Non so quanti altri anni correrà, però di certo è un signor professionista e lo aveva già fatto vedere all’inizio di stagione. Dopo la sua scalata a Prati di Tivo al Giro d’Abruzzo, scrissero che aveva fatto i migliori dati di sempre. Quelle cose lì non te le inventi, significano che vai forte. Ammiro Diego per il fatto che è riuscito a stare al passo con il cambio di generazione e l’aumento delle prestazioni. Si pensa che i giovani abbiano un motore più grande dei vecchi, in realtà lui è la dimostrazione della capacità di adattamento nella preparazione.

«Trovo sempre interessante guardare quelli che hanno corso ai miei tempi, guardando i watt medi delle gare. Mi rendo conto che eravamo tutti molto più bassi. Lo stesso Froome con i valori dei Tour vinti, oggi sarebbe ventesimo. Invece Diego è rimasto in alto. Poi magari non ha cercato fortuna altrove per una scelta di vita. Una squadra come la UAE sicuramente ti dà delle certezze anche a livello economico e delle buone prospettive. Andare via da giovani è un salto nel vuoto, perché se fai un paio di stagioni storte, rischi di finire la carriera».

Il podio finale del Giro di Polonia, da sinistra Kelderman (terzo), il vincitore Vingegaard e Ulissi
Il podio finale del Giro di Polonia, da sinistra Kelderman (terzo), il vincitore Vingegaard e Ulissi

Milan ad Amburgo

Milan ha vinto undici corse e si è messo al petto svariate medaglie in pista, eppure ad Amburgo (e prima agli europei) ha perso il filo della volata e ha lasciato la vittoria a Olaf Kooij, lo stesso che lo aveva battuto in modo identico a Napoli, nella nona tappa del Giro d’Italia.

«Jonathan è un altro che viaggia con grandissime attese – dice Moser – e dovrebbe sentirsi fortunato per questo. Secondo me si merita tutte le vittorie che sta ottenendo e io sinceramente lo considero il velocista più forte al mondo. L’anno prossimo dovrebbe fare il Tour, mi sembra. Al Giro quest’anno ha vinto tre tappe, ma credo che se fosse andato in Francia ne avrebbe portate a casa un paio. Quindi aspettiamo questo grande passo, ma penso che sia un corridore veramente di una classe immensa e sarebbe quasi sprecato vederlo solo in volata. E non penso che il fatto di puntare alle classiche vada considerata una scelta che esclude le volate, semplicemente è un fatto di programmi. Come per Philipsen e Kristoff prima di lui. Non è che si si allena per vincere il Fiandre, poi perde in volata.

«L’Ho visto muoversi bene in gruppo, abbastanza cattivo, forse a volte un po’ troppo agitato, Non ha paura, ma la mia sensazione è che a volte la sua grande potenza, la resistenza e la confidenza nei suoi mezzi lo mettano nella situazione di prendere un po’ troppa aria. A volte è un problema di quelli forti, che piuttosto di rimanere chiusi, spendono troppo e alla fine la pagano. Invece Cavendish, consapevole che la sua forza non sia essere più resistente degli altri, rischia a restare coperto perché sa che se esce troppo presto, lo battono. Quindi per assurdo, io credo che a volte Milan si senta tanto forte, si scopra troppo presto e paghi il conto in termini di spesa energetica. Per questo chi gli esce dalla scia può batterlo, come ha fatto Kooij».

Ad Amburgo, come pure a Napoli al Giro, Kooij rimonta e brucia Milan
Ad Amburgo, come pure a Napoli al Giro, Kooij rimonta e brucia Milan

Ciccone al Lombardia

Si chiude con Ciccone (foto di apertura), cuore abruzzese arrivato al Lombardia con addosso la delusione del mondiale e costretto ad arrendersi allo strapotere di Pogacar ed Evenepoel. I suoi numeri in salita sono stati rimarchevoli, ma in certi giorni non si può correre per vincere: è la strada a vietarlo.

«Ha fatto un Lombardia notevole – conferma Moser – non ho alcun dubbio che sia un grandissimo corridore. Ha tanta cattiveria e tanta classe, non so se a volte gli manca un po’ di costanza, ma certo arrivare al livello di quelli lì gli costa tanto. Non è tanto lui che manca, ma il fatto che in questo momento si corra per il secondo posto, che diventa quasi una semi-vittoria. Ovviamente noi vediamo la TV da spettatori, come guardare una serie TV, però le squadre non la guardano con i nostri stessi occhi. E se per noi il secondo posto è una sconfitta, per un corridore arrivare secondo dietro Tadej vuol dire diventare l’oggetto del desiderio delle squadre che non potranno mai avere Pogacar. Tu sei uno di quelli che gli è arrivato più vicino, quindi il tuo valore cresce esponenzialmente.

«Però c’è anche un altro tema che ho letto in un’intervista a Gianni Bugno e cioè che le squadre potrebbero anche stancarsi di raccogliere le briciole. Se accendi la televisione e Pogacar è già fuori, forse la corsa diventa meno interessante. Al netto di questo però, è sempre meglio avere un campione fortissimo che fa innamorare i ragazzini, piuttosto che non averlo».

La nuova Astana a trazione italiana. Zanini si frega le mani…

03.11.2024
5 min
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Ci sono grandi cambiamenti in atto all’Astana Qazaqstan Team e non potrebbe essere altrimenti. Archiviata la rincorsa al record di tappe al Tour di Cavendish ,c’è da fare i conti con una situazione ranking assolutamente deficitaria, che rischia di far retrocedere la squadra fra le professional a fine 2025. Per questo, come succede anche nel calcio, si è proceduto a una profonda rivoluzione nel roster, portando in squadra sia elementi giovani che avanti con gli anni ma dotati di grande esperienza e soprattutto capaci di conquistare quei punti che servono.

Per l’Astana il 2025 sarà cruciale: servono tanti punti – e quindi vittorie – per raggiungere la salvezza
Per l’Astana il 2025 sarà cruciale: servono tanti punti – e quindi vittorie – per raggiungere la salvezza

Questa rivoluzione ha marchiato ancora di più di tricolore il team kazako, considerando che ora gli italiani sono ben 12 su 29, di gran lunga la percentuale di gran lunga più altra fra le nazioni rappresentate, compresa quella di casa. E proprio guardando alla compagine italiana si nota quel mix di età e di esperienza di cui si parlava prima.

Stefano Zanini, confermato nello staff dei direttori sportivi, sente già la voglia di gettarsi nella mischia con la nuova compagine: «Siamo tutti molto carichi e il fatto che Vinokourov e la dirigenza abbiamo investito così tanto sui corridori italiani è segno che il nostro movimento è ancora forte e apprezzato, considerato ricco di corridori in grado di vincere e portare punti che sarà l’esigenza principale».

Ulissi cambia squadra dopo ben 14 anni nello stesso team. Vincendo ogni stagione
Ulissi cambia squadra dopo ben 14 anni nello stesso team. Vincendo ogni stagione
Vista la situazione di classifica, dovrete raccogliere sin dall’inizio…

La priorità è molto chiara a tutti, a noi come staff e ai corridori. E’ la nostra strategia e per questo sono stati presi corridori magari avanti con gli anni ma che sanno come si fa. Io poi sono di vecchia scuola, per me nel ciclismo conta vincere, tutto il resto viene di conseguenza. Inutile stare a guardare le classifiche, pensiamo a raccogliere il più possibile perché le vittorie portano tranquillità che aiuta a lavorare meglio.

E’ chiaro però che la campagna acquisti è stata fatta pensando proprio al ranking, prendendo corridori motivati ma anche esperti…

Esatto, Ulissi ne è l’esempio. Io sono convinto che questo cambio gli sarà utile perché potrà correre libero da pressioni e da obblighi. E’ uno che ha portato ogni anno risultati, ha vinto sempre e qui potrà concentrarsi su quello, anche se un corridore come lui resta un riferimento, capace di trasmettere tanto a chi è più giovane, di fare gruppo che è un fattore importante. Diego è fortissimo nelle corse a tappe medio-brevi, ma penso che potrà portare risultati anche nelle gare d’un giorno che, come si sa, danno più punti.

Per Malucelli approdo nel WorldTour a 31 anni, ma dopo il 2024 esplosivo con 10 vittorie
Per Malucelli approdo nel WorldTour a 31 anni, ma dopo il 2024 esplosivo con 10 vittorie
L’arrivo di Malucelli rappresenta per lui un cambio di passo, di livello. Viene da una stagione nella quale è stato tra i 10 più vincenti, ma molto ha influito il calendario…

Sa bene che il suo programma di gare sarà diverso, più qualificato e quindi emergere sarà più difficile, ma guardate quel che ha fatto: ha anche battuto fior di velocisti in questo 2024. L’anno prossimo avrà più responsabilità, ma anche più motivazione. All’inizio forse farà più fatica, ma questa esperienza gli darà stimoli per fare ulteriori passi avanti.

C’è un altro giovane che entra nel vostro gruppo ed è Kajamini, forse il miglior prospetto degli U23 per le corse a tappe. Lo portate subito in prima squadra, che cosa vi aspettate da lui?

Avrà il tempo di crescere. Ricordate quel che ho detto a proposito di Ulissi? Io credo che stargli vicino, seguire un corridore così esperto gli sarà di giovamento, proprio per quel discorso legato alle corse a tappe brevi, da lì seguirà il suo percorso. Uno che vince all’Avenir ha grandi doti, non avviene per caso e poi Samuel ha mostrato grande continuità. Io penso che possa far bene e inserirsi ad alti livelli, ma deve avere il tempo di maturare.

Kajamini, a sinistra, ha colto la Top 10 sia al Giro Next Gen che al Tour de l’Avenir
Kajamini ha colto la Top 10 sia al Giro Next Gen che al Tour de l’Avenir
L’Astana 20125 è una squadra senza leader, questo non è strano?

Non nella nostra dimensione, anzi. Teniamo presente che ci saranno settimane con in giro anche tre gruppi impegnati in gare diverse. Noi dobbiamo essere pronti a essere competitivi sempre. Io mi porto dietro l’esperienza di quando correvo, di quand’ero alla Mapei. Erano tutti campioni, tutti vincenti ma erano anche tutti corridori che lavoravano di gruppo e quindi in certe gare, per certi target si mettevano a disposizione. Ognuno aveva la sua occasione, sarà così anche qui e bisognerà farsi trovare pronti, sia per lavorare per i compagni che per finalizzare guardando all’obiettivo comune del team. Tutti avranno occasione per emergere e penso anche a gente come Masnada, Ballerini e gli altri.

Bettiol è approdato all’Astana già nell’agosto scorso. Ora vuole la prima vittoria con la nuova maglia
Bettiol è approdato all’Astana già nell’agosto scorso. Ora vuole la prima vittoria con la nuova maglia
Abbiamo lasciato per ultimo Bettiol. E’ il campione italiano, ma la sensazione è che non vinca quanto le sue capacità gli permetterebbero…

Alberto quando è in giornata è a livelli altissimi, deve solo fare quel passo in più per concretizzare. Da che cosa dipende? Difficile dirlo, questione di sicurezza di sé, di fortuna spesso, di sostegno del gruppo. Intanto vogliamo che stia bene, perché quando è in condizione può fare davvero di tutto. Io dico che deve solo crederci e allora vincerà e non sporadicamente, io sono pronto a scommetterci…

Ulissi in cabina di regia, fiutando la fuga buona

29.09.2024
5 min
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OPFIKON (Svizzera) – Ulissi e Lorenzo Finn si sono incrociati nella sera della vittoria del genovese nel mondiale juniores (in apertura immagine da video Lello Ferrara/FCI). Era dal 2007, appunto dalla seconda vittoria iridata di Diego che l’Italia non conquistava quella maglia ed è parso a chi c’era una singolare coincidenza.

«Le cose non avvengono per caso – sorride il livornese – penso di avergli portato anche bene a Lorenzo, visto che sono arrivato la sera stessa. Lo sapevo di essere l’ultimo ad aver vinto il mondiale juniores. L’altro giorno con i ragazzi ci siamo collegati per vedere la gara e mi sono reso conto di quanto tempo sia passato. Se riguardo quelle foto, eravamo proprio dei bimbetti. Acerbi sotto tanti aspetti e consapevoli che dovevamo affrontare ancora tanta gavetta prima di affacciarci al professionismo ed essere competitivi. Adesso gli juniores più validi vengono presi e messi nelle squadre satellite. E già a 19 anni corrono già tra i professionisti. Lo vedo bene alla UAE. Maturano molto più velocemente, anche fisicamente, e sono subito pronti a vincere».

Ulissi corse il primo mondiale nel 2012 a Valkenburg. Eccolo sul Cauberg a ruota di Contador
Ulissi corse il primo mondiale nel 2012 a Valkenburg. Eccolo sul Cauberg a ruota di Contador

Fa quasi strano sentire parlare così questo ragazzo di 35 anni, conosciuto quando era anche lui uno junior. Nelle sue gambe ci sono 15 anni di professionismo, nel suo sguardo tante storie ancora da raccontare. Bennati lo ha portato al mondiale confidando nella sua esperienza, vedendo in lui un leader e un ispiratore per la banda dei ragazzi di cui è composta la nostra nazionale qui ai mondiali di Zurigo 2024.

E’ arrivato il mondiale. Cosa ti è parso del circuito dopo averlo assaggiato?

E’ un circuito parecchio esigente, mi sembra. Soprattutto la prima parte, subito dopo l’arrivo, con lo strappo e poi subito la seconda salita. Sono almeno 12-13 minuti di sforzo pieno e poi dopo ci sono altri strappi dopo le discese, che sicuramente allungheranno il gruppo e metteranno sicuramente in difficoltà.

Bennati dice di aver trovato un Ulissi molto più solido di altre volte in passato, in cui al mondiale eri fra i primi a doversi muovere.

E’ normale che dopo dieci, quindici anni si maturi e si abbia più esperienza. Soprattutto a 35 anni, in una squadra così giovane, sicuramente posso cercare di aiutarli e di dare qualche consiglio utile. Fisicamente mi sento ancora bene, quindi penso di poter essere di grande supporto per la nazionale.

Quale può essere il tuo ruolo in una corsa così?

Sicuramente avremo due o tre corridori che attenderanno di più il finale. E poi corridori come me e altri magari con cui dovremo cercare di anticipare per entrare in qualche azione importante.

Conosci bene Pogacar, lo hai aiutato anche a vincere belle corse, la domanda che tutti si fanno è se si possa batterlo.

Ho sentito i vari ragionamenti sulle tattiche e sul provare ad anticiparlo. Ma Tadej quando sta bene è imprevedibile, magari è lui che anticipa tutti. Se capisce che ci sono troppe nazionali che lo possono attaccare, potrebbe partire anche da molto lontano. E’ il corridore più forte al mondo, su un percorso che penso gli piaccia in particolar modo. Però noi sicuramente dobbiamo fare la nostra gara, non guarderemo tanto quello che fa lui e vediamo tutti insieme di riuscire a fare bene.

Da corridore a corridore, c’è qualche spia del fatto che lui possa essere in difficoltà oppure è il classico avversario illeggibile?

E’ illeggibile. Penso che cercherà di controllare la prima parte di gara con gli uomini che ha. Non dimentichiamo che ha due compagni di squadra come Tratnik e Novak che sicuramente nelle fasi più calde saranno lì e potranno aiutarlo. Poi quando lui trova l’occasione per attaccare, che manchi tanto o poco, di certo non aspetterà troppo.

Sanremo 2022, Ulissi e Pogacar alla sua ruota: Diego ha lavorato spesso per lanciare lo sloveno
Sanremo 2022, Ulissi e Pogacar alla sua ruota: Diego ha lavorato spesso per lanciare lo sloveno
Ti sei mai immaginato a braccia alzate sull’arrivo di questo mondiale?

No. Alla fine ho 35 anni, bisogna essere obiettivi nelle cose. Sto bene, cerco di fare un grande mondiale da protagonista, però sono consapevole che ci sono corridori che ora come ora hanno tante marce in più. L’hanno dimostrato tutto l’anno. Come ho già detto tante volte, sono soddisfatto della carriera che ho fatto. Di campioni ce ne sono realmente pochi, si contano su una mano, però penso di aver fatto ottime cose e sono soddisfatto di ognuna.

Stai già pensando al prossimo anno con l’Astana?

Sto pensando al mondiale, sono concentratissimo. Quindi penserò a finire la stagione con la maglia della UAE Emirates. E poi, solo alla fine, inizierò a pensare alla nuova vita che mi attende.

Ulissi e la decisione Astana dopo tre giorni da mal di testa

24.09.2024
4 min
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E’ successo tutto molto velocemente. Massimiliano Mori aveva parlato con Gianetti e sembrava che per il rinnovo del contratto di Ulissi non ci fosse alcun problema. La UAE Emirates in ogni caso, con l’argomento dell’età, aveva proposto un ritocco al ribasso quasi dando per scontato che Diego avrebbe accettato. Invece di colpo sul tavolo è arrivata l’offerta superiore dell’Astana e sarebbe stato da pazzi non valutarla.

«Eppure Diego per il carattere che ha – racconta Mori – ci ha pensato per tre giorni. Abbiamo parlato. Ha sentito la sua famiglia. Siamo stati a cena insieme. L’offerta lo ha fatto barcollare. Eppure secondo me, pur molto importanti nella scelta, non sono stati i soldi in più a farlo decidere. Adesso è convinto, ma in quei tre giorni sa lui i pensieri che ha avuto…».

Massimiliano Mori è stato un pro’ dal 1996 al 2009. Qui con Ulissi, suo atleta dagli anni in Lampre
Massimiliano Mori è stato un pro’ dal 1996 al 2009. Qui con Ulissi, suo atleta dagli anni in Lampre

Mori conosce Ulissi da una vita. E’ il suo procuratore dagli anni della Lampre ed è fratello di quel Manuele che per il livornese è ben più di un amico. Alla Lampre si sono anche sfiorati: Massimiliano smetteva nel 2009, Diego arrivava nel 2010. Le parole nell’ultima intervista ci hanno fatto pensare. Il suo essere rimasto fedele per tutta la carriera alla stessa società non è dipeso dall’assenza di offerte, quanto piuttosto dalle attenzioni che la squadra manifestava nei suoi confronti. E noi con Mori siamo partiti proprio da questo, per capire che cosa (oltre ai soldi) abbia spinto Ulissi a cambiare squadra dopo 15 stagioni.

Massimiliano, che cosa significa che alla Lampre non gli hanno mai dato lo spunto per andare via?

L’hanno sempre trattato bene economicamente. Ma soprattutto sapeva e sentiva di essere il fulcro del progetto. E’ sempre stato vincente, ha sempre fatto un sacco di punti. Poi la Lampre è diventata UAE e si è trasformata in una corazzata. Probabilmente in altre squadre, Diego sarebbe stato ugualmente capitano, ma qui con Pogacar e altri campioni, è stato intelligente e si è adattato.

Non ci sono mai state offerte che lo abbiano spinto a valutare il cambio?

Squadre ci sono state, ma non c’era motivo di andare via. Invece si è capito che quest’ultima trattativa sarebbe stata influenzata dall’età di Diego, che ha 35 anni. Un’offerta UAE c’era, si poteva andare avanti, ma era più bassa. Ci sono squadre che non fanno caso all’età, la UAE Emirates invece cerca sempre giovani talenti. E pur sempre rispettato e tenuto da conto, Diego si è trovato sempre un po’ più in disparte o con un ruolo non più centrale. Mi sono trovato a parlare con altre squadre e lo avrebbero preso ben volentieri, nonostante gli anni. L’arrivo dell’Astana ha fatto incontrare la loro necessità di un corridore vincente che facesse punti e la sua ricerca di un ruolo meno secondario. Intendiamoci, quando hai davanti Pogacar non puoi dire nulla e infatti Diego non ha detto nulla.

Nella Lampre di Galbusera (nella foto, il capostipite Mario) e Saronni, Ulissi era al centro del progetto
Nella Lampre di Galbusera (nella foto, il capostipite Mario) e Saronni, Ulissi era al centro del progetto
Quando a dicembre annunciarono che non avrebbe fatto il Giro, non vedemmo salti di gioia…

Diego non lo dice, perché è un ragazzo intelligente. Però noi del suo entourage sappiamo le cose e lui avrebbe preferito fare il Giro. E’ sempre stato il suo pallino, ma ha condiviso la scelta della squadra. Non crediate però che ci sia stato quello alla base del cambiamento.

E che cosa allora?

La vera svolta c’è stata quando ha parlato con Vinokourov. E oltre alla cifra certamente importante, quel che lo ha convinto è stato essere di nuovo al centro del progetto. Sentirsi di nuovo considerato e desiderato dal capo della squadra ha fatto scattare qualcosa. Certamente ne ha parlato con Ballerini e Fortunato, che incontra spesso. E’ arrivato Bettiol, che vive anche lui a Lugano. Vinokourov gli ha spiegato la sua voglia di far tornare la squadra in alto e questo lo ha convinto. Un tipo ci considerazione che alla UAE non c’era più.

La presenza di Pogacar ha persuaso Ulissi a cambiare obiettivi, in modo intelligente ma non per questo entusiasta
La presenza di Pogacar ha persuaso Ulissi a cambiare obiettivi, in modo intelligente ma non per questo entusiasta
E’ possibile che il ritocco al ribasso fosse il modo di fargli capire che se avesse trovato un’alternativa, loro non lo avrebbero certo ostacolato?

Credo proprio sia stato questo. Oppure pensavano che sarebbe rimasto a qualunque condizione. Ripeto: un’offerta come quella di Vinokourov andava considerata per forza, eppure Diego sarebbe rimasto di là. Era pronto ad accettare. Quando ha sentito del progetto, allora è cambiato tutto. Adesso è convinto di aver fatto bene e il corridore lo conoscete. Ha sempre vinto e fatto punti, penso che non smetterà di farlo.

Ulissi, la Lampre e la UAE Emirates: una valigia piena di ricordi

12.09.2024
9 min
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Al momento sono 174.165,7 chilometri divisi per 1.061 giorni di gara. Poi ci sono 49 vittorie e un’infinità di piazzamenti che ne fanno uno dei corridori al mondo più forti degli ultimi 20 anni. La stagione è ancora lunga e il conteggio crescerà, in ogni caso il bilancio di Diego Ulissi nella società in cui passò professionista nel 2010 e che lascerà alla fine del 2024 per passare alla Astana ha questi numeri. Una vita (simbolicamente) con la stessa maglia che porta con sé ricordi e incontri, che abbiamo chiesto al toscano di approfondire con noi. Perché nel cambiare di nome e sponsor c’è l’evoluzione del ciclismo, che nel caso dell’attuale UAE Team Emirates è passato dalla dimensione familiare della Lampre a bandiera degli Emirati Arabi Uniti.

Abbiamo sentito Ulissi alla vigilia del Giro della Toscana (in apertura, il passaggio sul traguardo all’ottavo posto), l’occasione perfetta per fare il pieno di lettere aspirate e battute livornesi. Sono anni ormai che Diego risiede a Lugano e difficilmente se ne andrà, ma tornare sulle strade in cui è cresciuto è sempre un riconnettersi con le origini, da cui nel 2010 spiccò il volo per diventare un ciclista professionista.

Questa immagine rappresenta il commiato su Instagram, pieno di gratitudine, di Ulissi verso il UAE Team Emirates
Questa immagine rappresenta il commiato su Instagram, pieno di gratitudine, di Ulissi verso il UAE Team Emirates
Che effetto fa pensare che dal prossimo anno non sarai più qui?

Sicuramente sarà una novità anche per me. Sono sempre stato nella stessa società con persone che conosco da tantissimi anni e quindi sicuramente sarà diverso. Di quelli dei primi tempi siamo rimasti in pochi. C’è Andrea Appiani, che prima era l’addetto stampa e ora lavora in ufficio. C’è Napolitano, che fa ancora il massaggiatore. Una segretaria che si chiama Rosita e c’è anche Carlo Saronni. E poi ci sono Manuele Mori e Marco Marzano, che nel frattempo da corridori sono diventati direttori sportivi

Se pensi a questa squadra e ai 15 anni che ci hai passato, quali sono stati gli incontri che hanno più segnato la tua carriera?

Sicuramente per i primi tempi la figura che ha caratterizzato la mia carriera è stato Giuseppe Saronni. Per me è stato una persona fondamentale. E’ stato il primo che ha creduto in me e ha fatto sì che, almeno fino a che c’è stata la Lampre, io non mi muovessi da lì. Quando ero più giovane erano arrivate offerte da squadre che allora erano al top del ciclismo mondiale, però ero nell’ambiente ideale e chi mi era accanto ha fatto in modo e maniera che non me ne andassi. Quindi la prima persona che devo ringraziare è lui. E poi nel corso degli anni c’è stato Orlando Maini, grande direttore e grande amico. Mi ha saputo consigliare a 360 gradi. Orlando è una persona con cui puoi parlare di tutto e per me è stato importantissimo. Poi ci sono gli anni più recenti della UAE con Gianetti, Matxin e Agostini che sono persone molto importanti per la mia storia.

Quelle con Saronni e Maini sono amicizie che restano oppure, come quando si cambia lavoro, alla lunga si perdono i contatti?

No, no, no. Con loro sono ancora in contatto. Sono persone con cui parlo e cui chiedo consiglio ancora oggi. Negli anni ho sempre mantenuto i rapporti con chi ho imparato ad apprezzare. E quando ci sentiamo, mi fa piacere sentire che stanno bene e anche le loro famiglie.

Se ti facciamo il nome di Michele Scarponi?

Bè, finora abbiamo parlato di esponenti della società. Se ci spostiamo ai compagni, ce ne sono molti che mi sono rimasti nel cuore e sicuramente “Scarpa” è uno dei primissimi della lista. Il primo Giro d’Italia l’abbiamo fatto insieme nel 2011 perché mi ha voluto lui. Mi apprezzava sia come persona sia come corridore. Nella prima gara che vinsi, il Gran Premio di Prato del 2010, battei lui. L’anno dopo passò in Lampre e mi disse: «Ti voglio accanto, perché se mi hai battuto, devi essere per forza uno buono». Poi dovrei parlare di Alessandro Petacchi ed Emanuele Mori, che per me è come un fratello. Come pure Righi, Spezialetti e Matteo Bono: insomma sono tutti i ragazzi con cui continuo a sentirmi.

Ragazzi che quando sei passato professionista erano tutti più esperti di te, in che modo riuscivi a convivere con loro?

Quando ero giovane e passai professionista, li vedevo come un punto di riferimento fondamentale per la mia crescita. Cercavo di stare il più possibile vicino a loro, sia in gara che fuori. Ero convinto che quella fosse la strada migliore per imparare, perché loro avevano già tanti anni di professionismo. Quindi cercavo di rendermi disponibile e loro vedevano che avevo voglia di imparare e di capire. Per questo credo che nacque un rapporto di stima professionale che poi è trasformato in amicizia.

E’ cambiato tanto l’ambiente nel passaggio da Lampre a UAE?

E’ sotto gli occhi di tutti, soprattutto perché c’è stato un cambiamento di budget e la squadra è diventata molto più internazionale. Già da tempo si ambiva a diventare la squadra più forte e per questo è sempre cresciuta in tutti gli aspetti. E’ stato il cambiamento del ciclismo da 15 anni a questa parte. A un certo punto si è iniziato guardare il millimetro per migliorarsi sotto ogni aspetto, dalla ricerca della bicicletta più performante alla nutrizione. Tutti aspetti che ci hanno portato a diventare davvero la squadra numero uno al mondo. Però la Lampre era un ottimo ambiente. Non ci mancava niente e penso che con le risorse che c’erano si sono fatti ottimi risultati. Alla base c’era la famiglia Galbusera che, oltre ad essere grandi appassionati, erano grandissime persone. Riuscivano a trasmettere alla squadra la loro anima.

Giro dell’Emilia 2013, vince Ulissi e riceve l’abbraccio di Scarponi, un gran modello accanto a cui crescere
Giro dell’Emilia 2013, vince Ulissi e riceve l’abbraccio di Scarponi, un gran modello accanto a cui crescere
Hai vinto tutti gli anni, quanto è stato difficile continuare a farlo visti i tanti progressi?

Per rimanere a grandi livelli, quelli che servono per vincere le gare, devi stare al passo con i tempi, ti devi adeguare. A volte penso a quanto siano cambiati gli allenamenti e mi viene da dire che faccio un altro sport rispetto a quando sono passato professionista. E’ una battuta però la preparazione è l’aspetto che più è cambiato. E comunque se con la testa non riesci ad adeguarti alle nuove condizioni, rimani un passo indietro. Con il livellamento che c’è, ottenere risultati ed essere competitivo diventa difficile.

Tu hai visto arrivare in squadra Fabio Aru. Secondo te perché non è riuscito a esprimersi come tutti pensavano?

Questa è una bella domanda. Fabio l’ho vissuto a pieno, perché vivendo vicino mi confrontavo con lui quotidianamente, anche nei giorni di allenamento oltre che in gara. Sicuramente lui in primis si aspettava di mantenere quello che aveva fatto all’Astana. In quel periodo però non stava bene fisicamente. E se uno non è al 100 per cento nel fisico, emergere diventa veramente dura. Secondo me questo ha inciso anche sulla sua convinzione e alla fine ha ceduto di testa. Però Fabio era veramente il primo a tenerci, l’ho visto che si allenava davvero tantissimo. Si impegnava quotidianamente, sotto quell’aspetto è uno dei professionisti migliori che io abbia mai visto. Ha dato l’anima. Però a mio avviso ognuno ha il suo percorso di vita e reagisce a modo suo.

Nel frattempo la squadra si è riempita di tantissimi giovani molto forti, come si convive con loro?

La loro presenza non è mai stata un motivo per tirarmi indietro, tutt’altro. L’ho sempre visto come qualcosa per cercare di rimanere ad alti livelli. E’ normale vedere questi ragazzi con tanta voglia di emergere e pensare che se voglio rimanere ad alti livelli, devo migliorarmi quotidianamente e cercare di essere ancora performante in gara. Il passaggio a un’altra squadra non è legato a questo. Mi hanno offerto un rinnovo contrattuale, però questa volta ho preferito fare altre scelte.

Al Gp Lugano del 2019, Ulissi vince, Aru lo aiuta. Diego ha vissuto da vicino il periodo del sardo alla UAE
Al Gp Lugano del 2019, Ulissi vince, Aru lo aiuta. Diego ha vissuto da vicino il periodo del sardo alla UAE
Che differenza c’è tra Diego che oggi ha fatto altre scelte e Diego che non se ne sarebbe mai andato dal gruppo Lampre?

Non ho detto che non me ne sarei mai andato, ho detto che non ci sono mai state le circostanze per andare, è diverso. E’ naturale che quando ti trovi bene in un ambiente, prima di andartene valuti bene le altre situazioni cui andrai incontro. Non mi sono mai posto tanti problemi, perché ho valutato sempre la situazione. Alla fine è un lavoro. Facciamo tanti discorsi, però la carriera dura quello che dura e non ci sono certezze. Ogni due o tre stagioni, ho sempre valutato le varie situazioni e in tutti questi anni ho avuto la bravura e la fortuna di ricavarmi sempre le condizioni ideale. Quest’anno è arrivato il momento di prendere una decisione, che è stata difficile. Mi sono confrontato con le persone giuste, poi ho fatto questa scelta. Sono uno razionale, non faccio passare il tempo. Cerco di captare i momenti giusti e faccio le mie valutazioni.

Hai pubblicato una foto su Instagram di te sotto a una parete piena di maglie. C’è un anno che ricordi più volentieri?

Sono due. Il primo è il 2017 perché è il primo anno UAE. Era tutto nuovo, c’erano già grandi ambizioni, ma la squadra non era partita benissimo. Invece in fondo all’anno riuscii a vincere due gare WorldTour, Montreal e il Giro di Turchia. Sentii di aver dato una piccola spinta in quegli anni che erano ancora di transizione per arrivare al punto in cui siamo. Poi il 2020…

Come mai?

Fu un anno particolare per via del Covid e lì si è vista la forza del team, perché ci sono stati accanto e non ci hanno fatto mancare nulla. Eravamo rimasti bloccati ad Abu Dhabi e in quella situazione si vide veramente la grandezza del team. Poi infatti ripartimmo bene. Mi ricordo che quell’anno ho vinto 5 gare, due tappe al Giro, tre in Lussemburgo e Tadej vinse il primo Tour. Il 2020 è stato un anno di cui non mi scorderò. La tappa di Agrigento al Giro, per come è arrivata e per come è stata preparata dalla squadra, è una delle mie preferite.

Che cosa o chi ti dispiacerà lasciare?

Tutto e tutti. Alla fine siamo tanti giorni insieme, a parte il giorno di gara e i ritiri. E’ inevitabile che ti leghi alle persone con cui vivi quotidianamente. Si parla di tutto, anche della famiglia. Ci sono ragazzi molto più giovani di me come Alessandro Covi, che cerco di consigliare a 360 gradi. Dispiacerà lasciare le persone, i compagni di squadra, i massaggiatori, tutti! Ma tanto so che continueremo a vederci alle corse, ci saluteremo ancora.

Cosa speri o pensi di trovare alla Astana?

Conosco quasi tutti, a partire dai corridori. Hanno voglia di fare le cose in grande, il progetto è importante e quindi mi aspetto di ambientarmi molto bene. Il fatto che ci siano tanti italiani mi aiuterà molto e questo farà sì che io cerchi di dare il meglio di me stesso. Anche perché qua di italiani siamo rimasti in pochi. Ora siamo in tre, l’anno prossimo saranno in due. Ma ci sono ancora corse da fare e possibilmente da fare bene. La gamba è quella giusta, ma alla fine vince sempre uno solo…

Covi e un’estate gregario, in attesa di ritrovare il tocco

06.09.2024
6 min
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Alessandro Covi sta vivendo la sua personale corsa nella corsa, per riallacciare il filo col corridore capace di domare il Fedaia e non quello che negli ultimi due anni ha avuto ogni genere di problema fisico. Per questo, aver corso con Hirschi e Wellens in occasione delle loro ultime vittorie e aver fatto la sua parte per il risultato di squadra è l’indicazione che le cose si stanno allineando per il verso giusto. Correre in una squadra forte come il UAE Team Emirates impone delle regole di buon senso, come quella di mettersi a disposizione dei tanti campioni presenti, in attesa di essere in grado semmai di dire la propria.

«Le ultime tre gare che ho fatto – dice da casa dei genitori a Taino – le abbiamo vinte con Hirschi e Wellens e contribuire è sempre bello. Adesso sono qui a casa e domattina (oggi, ndr) partiamo con i mezzi della squadra per le corse italiane. Si comincia domenica a Larciano e poi le facciamo tutte. Non so se potrò provare a fare risultato per me, questo è da vedere. Però la condizione sembrerebbe che stia crescendo dopo tutti i problemi che ho avuto. Finalmente ho fatto due mesi giusti, quindi tocco ferro. E magari se dimostro di andare bene, può arrivare un’occasione anche per me».

Dopo il Giro d’Austria, San Sebastian è stata la gara del rientro, con vittoria di Hirschi. I due sono i primi da sinistra
Dopo il Giro d’Austria, San Sebastian è stata la gara del rientro, con vittoria di Hirschi. I due sono i primi da sinistra
Pensavi meglio?

Pensavo meno rogne. Più che altro dopo l’anno scorso, che è stata un’annata davvero difficile per la mononucleosi, mi aspettavo che il peggio fosse passato. Invece probabilmente non ero pronto per ripartire oppure per altri motivi che non so, il mio fisico non ha retto e sono venuti fuori dei problemi ai tendini, che sono stati la rogna più grande. Mi sono portato dietro il dolore per due mesi. Risolti quelli, sono venuti fuori due problemini che fanno parte della vita di ogni corridore. Il Covid, che ormai ce l’hanno tutti. E poi sono caduto e ho preso una botta alla testa con tanto di trauma cranico. Sono cose che succedono, anche se avrei preferito farne a meno.

Anche per te nessun Grande Giro quest’anno per l’idea di fare punti in giro per il mondo?

Se l’idea era far punti anche con me, è andata male, perché non ne ho. Però alla fine la salute conta tanto e soprattutto in una squadra così forte mi sono ritrovato tante volte a lavorare e anche giustamente. Con tutti i campioni che ci sono e che ti assicurano la vittoria, mettersi a disposizione è giusto. Io non potrei fare come loro, a questi livelli finalizzare il lavoro della squadra è una grande responsabilità: non stiamo parlando di gare juniores. Siamo nel professionismo e penso che alcune scelte da professionista siano anche queste. Alla squadra interessa il massimo risultato, non il decimo posto che eventualmente potrei garantire io adesso. Per vincere devo essere al 110 per cento, per cui se ho dei problemi, è meglio che mi metta a disposizione e dia tutto per cercare di far vincere un mio compagno.

L’ultima vittoria di Alessandro Covi è il tappone del Fedaia al Giro d’Italia del 2022
L’ultima vittoria di Alessandro Covi è il tappone del Fedaia al Giro d’Italia del 2022
Intanto però la vittoria manca dal Giro del 2022: è una sensazione pesante?

Alla fine è una cosa talmente lontana, che adesso penso più a sistemare me stesso che alla vittoria o ai risultati. Magari l’anno scorso ho cominciato pensando di vincere, ma con un virus così era impossibile e magari ho sofferto tanto. Ci andavo vicino, ma non riuscivo a vincere. Quindi l’obiettivo è sistemare me stesso, poi se arriva la vittoria è un bel plus. Sarebbe la fine di un incubo, ma sarà possibile soltanto recuperando la salute e di conseguenza le motivazioni.

La squadra si va rimescolando, vanno via Hirschi e va via anche Ulissi, che effetto fa?

Alla fine di italiani in squadra siamo sempre meno e Diego, sin da quando sono arrivato, era il faro della squadra e soprattutto del gruppo italiano. In tutte le gare importanti che ho fatto, c’è sempre stato presente lui. Penso che me ne renderò conto dal prossimo anno. Ieri eravamo assieme in bici quindi non lo vedo ancora come un ex compagno di squadra. Sono certo che il prossimo anno sarà strano.

Covi è stato spesso l’ombra di Ulissi, che dal 2025 correrà alla Astana. Qui i due insieme al Giro del 2023
Covi è stato spesso l’ombra di Ulissi, che dal 2025 correrà alla Astana. Qui i due insieme al Giro del 2023
Si dice tanto che i giovani fanno sempre più fatica ad ascoltare i consigli dei più esperti. Tu non sei più giovanissimo, pensi di aver ascoltato quel che diceva Ulissi?

Io penso che ogni persona debba imparare ad ascoltare e poi agire come si sente di farlo. E’ importante sapere ascoltare e prendere qualcosa dalle persone giuste. Diego secondo me è una persona da cui si può imparare e mi ha fatto piacere ascoltare i suoi insegnamenti e prendere qualcosa anche da lui.

Quanto è importante allenarsi anche ogni giorno con campioni come Pogacar?

Diciamo che gli allenamenti sono tutti personalizzati, quindi probabilmente se io uscissi tutti i giorni con Tadej, avrei un effetto opposto, perché abbiamo dei valori completamente differenti. Per me sarebbe come fare un Grande Giro lungo un anno intero. Però sicuramente, vivendo a Monaco, capita che usciamo fra i compagni di squadra. Capita spesso di vedere Tadej oppure Wellens e sicuramente così si crea anche il gruppo. Proprio allenandomi con Tim, ho capito quanto ci tenesse al Renewi Tour e ho dato il 110 per cento perché potesse vincerlo.

Alessandro Covi, classe 1998, è professionista dal 2020. E’ alto 1,80 e pesa 66 chili
Alessandro Covi, classe 1998, è professionista dal 2020. E’ alto 1,80 e pesa 66 chili
C’è un obiettivo ragionevole che ti sei dato per questo finale di stagione?

Non un risultato preciso, voglio migliorare, continuare senza grossi problemi e fare un bel finale di stagione. Magari se arriva l’occasione, riesco a coglierla bene. Però non voglio stare lì a inseguire un risultato, che poi magari non viene e ci rimango male. Penso a migliorare me stesso e aiutare la squadra quando c’è da aiutare. Perciò adesso si comincia da Larciano e poi seguo tutto il programma italiano fino al Gran Piemonte. Poi, finita la stagione, devo operarmi al naso e quindi dovrò decidere con la squadra quando fare questa operazione.

Giusto per non farsi mancare niente?

Ho scoperto di doverlo fare quando sono caduto e ho picchiato la testa e il dottore mi ha detto che dovrò operarmi al naso. Lo ruppi quando ero piccolo, quindi sono abituato da sempre a respirare così. Se non fossi caduto e non avessi picchiato la testa, non lo avrei saputo neanche. Chissà, magari con il naso stappato, andrò davvero più forte?

La nuova vita di Bettiol all’Astana, iniziata a Ferragosto

04.09.2024
7 min
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Più che il cambio della bici, racconta Bettiol, la parte più originale è stato il cambio delle tacchette. Alla Ef Education usava le Speedplay, alla Astana le Shimano. Non è semplice dopo sei anni passare fra due sistemi così diversi.

«E a quel punto – sorride Alberto – ho chiesto un intervento di emergenza ad Alessandro Mariano, che era in barca a vela all’isola d’Elba. Così ho dato le scarpe a Gabriele Balducci, che era venuto a trovarmi a Livigno per qualche giorno. Le ha portate in Toscana. E’ andato a Piombino. Ha chiamato un suo amico col gommone e le hanno portate all’Isola d’Elba: ho la foto che lo testimonia, ho anche il video. Alessandro ha montato le scarpe sulla barca a vela mentre gli altri due facevano un bagno. Gliele ha ridate. E a quel punto poi, Gabriele le ha date al mio amico Andrea che veniva a Livigno a fare cinque giorni di vacanza. Lui me le ha portate e io le ho provate».

Se non è un film, poco ci manca. Bettiol è per qualche giorno in Toscana e se i giorni in bici non gli sembrano troppo diversi è solo perché i colori della maglia tutto sommato sono rimasti gli stessi. Era tricolore quella della EF Education che ha indossato fino al 14 agosto ed è tricolore quella di adesso, su cui tuttavia c’è scritto Astana. Che qualcosa bollisse in pentola ce lo aveva fatto capire l’8 agosto proprio Gabriele Balducci, da sempre suo mentore e amico comune. In partenza per Livigno con la Mastromarco, si era sentito dire da Alberto di grosse novità in arrivo, ma nessuno avrebbe immaginato che avrebbe cambiato squadra nel bel mezzo dell’estate.

Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Che cosa è successo nell’estate?

Così alla svelta, neanche noi ce l’aspettavamo. E’ andato tutto molto veloce. Io ero in vacanza quando abbiamo preso questa decisione, quindi anche Gabriele non sapeva niente. Avevamo parlato un po’, è da un annetto buono che parliamo. Però si ragionava comunque sempre del 2025, finché Vinokourov ha chiesto la possibilità di avermi subito e Giuseppe (Acquadro, il suo manager, ndr) ha trovato subito le porte aperte da parte di Vaughters, perché comunque non è facile soprattutto dal punto di vista burocratico. C’è da fare un sacco di richieste in modo molto rapido, perché l’UCI ti dà dei tempi molto stretti e se non li rispetti, non puoi fare niente. Quindi devo ringraziare la EF, perché avrebbero avuto tutto il diritto di aspettare. E poi l’Astana ha fatto un grande lavoro. Insomma, io ero in vacanza: hanno fatto tutto loro.

Com’è stato andare a dormire con una squadra e risvegliarsi il giorno dopo con l’altra?

E’ una cosa che adesso, a questa età e in questo periodo della mia vita, in cui insomma sono un po’ più consapevole di quello che voglio, non mi ha creato grossi problemi. Se mi fosse successo qualche anno fa, in cui ancora avevo da assestarmi bene, magari l’avrei patito. Da un punto di vista di atteggiamento mentale, non mi ha smosso per niente. E’ anche vero che l’Astana è una squadra kazaka, ma ci sono tantissimi italiani e tanti che conoscevo già. Quindi alla fine il passaggio non è stato brusco, come magari andare in una squadra dove non conoscevo nessuno. Per il resto, mi è cambiato poco. Avevo già programmato di andare a Livigno per tre settimane e sarei stato da solo. L’idea di andare al Renewi Tour è venuta fuori durante questo ritiro, non era programmata e voi sapete quanto mi dessero fastidio un tempo le cose non programmate…

Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Quindi hai tenuto lo stesso calendario?

Ho fatto una settimana in meno a Livigno, che forse è stato anche meglio. Ero andato su dopo le Olimpiadi perché comunque sarei andato alle gare in Canada e poi eventualmente al mondiale, quindi io avevo bisogno di recuperare e allenarmi. Insomma sembra un cambio radicale e in parte lo è stato, però è stato facile da gestire, mettiamola così.

Delle scarpe ci hai detto, per la bici e l’abbigliamento?

Anche questo è stato tutto improvvisato e devo ringraziare l’Astana per l’impegno che ci hanno messo. Per l’abbigliamento il loro referente è Bruno Cenghialta e ci siamo trovati a metà strada tra la Toscana e Livigno, perché io tornavo dalle vacanze e stavo andando su. Abbiamo provato l’abbigliamento e abbiamo fatto anche due foto per il comunicato stampa. Quanto alla bici, Michele Pallini che era a Parigi con noi aveva tenuto a casa quella con cui avevo corso le Olimpiadi, per cui ha preso le misure in videochiamata con il meccanico Tosello. Lui ha sistemato la Wilier e alla fine l’ha data a Panseri, altro meccanico italiano che me l’ha portata a Livigno.

Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
In tempi non sospetti, forse proprio al mondiale di Wollongong, dicesti che ti trovi bene in nazionale perché ti ricorda l’ambiente della Liquigas. L’Astana non è la Liquigas, però ci sono davvero tanti italiani. Può essere un fattore importante?

Sì, è un ambiente familiare. C’è Michele Pallini, c’è il dottor Magni, tante figure che già conoscevo proprio dalla Liquigas. Ci sono i meccanici Borselli e Panseri. Poi gli atleti, che conosco benissimo. Velasco e Ballerini. Con Ballero siamo vicini di casa a Lugano e ci alleniamo spesso insieme, quindi cambia veramente poco. E’ un ambiente in cui mi sono trovato bene, almeno in questa settimana e scommetto ancora di più l’anno prossimo. Adesso è un po’ tutto improvvisato, anche come metodologie. Quelle loro sono un po’ diverse dalla EF, per cui per ora si tratta di adattarsi l’uno agli altri. La bicicletta, le tacchette, ma anche la nutrizione, l’integrazione, le barrette. Ci sono tante cose diverse. Però l’ambiente è bello, c’è tanta voglia di migliorare e quindi l’anno prossimo sono ottimista che faremo belle cose.

Perché cambiare?

Io avevo ancora due anni di contratto e sarei stato anche lì, non ho cambiato perché stavo male alla EF o perché mi mancassero gli stimoli. E’ solo che mi si è presentata questa occasione, mentre prima erano solo parole. Quando sono passati ai fatti, ho fatto le mie valutazioni. E se un corridore come Diego Ulissi, che ha fatto più anni di me nella stessa squadra, ha deciso di cambiare, allora poteva andare bene anche a me. Avevo visto che c’è tanto potenziale ed erano un po’ di anni che anch’io riflettevo sul fatto di rimanere nella stessa squadra  e sui pro e i contro di cambiare. Rischi di rimanere seduto, di veder attutire gli stimoli. Ho il mio piccolo staff che mi supporta sempre, indipendentemente dal colore della maglia, però anche trovare un ambiente nuovo può essere uno stimolo. Ma non volevo cambiare perché stavo male.

Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, ovviamente con esiti diversi
Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, maovviamente con esiti diversi
Come è stato il dopo Olimpiadi? Evenepoel ha raccontato di grosse difficoltà a recuperare…

Ho recuperato bene, semmai ho vissuto un periodo di spossatezza durante il Tour, soprattutto la seconda settimana quando ho avuto un calo di forma. A Parigi non ho stravinto l’Olimpiade come Remco, ma comunque ero lì davanti a giocarmi la top 10, non è che sono andato piano. Quando sono tornato a casa, ho staccato una settimana poi però a Livigno ho trovato subito delle belle sensazioni. Mi sono allenato veramente bene e infatti si è visto al Renewi Tour. Era una corsa a tappe che richiedeva degli sforzi opposti a quello che ho fatto a Livigno. Lassù si parlava di salite lunghe e tante ore in bici a bassa intensità. Invece il Renewi era tutto scatti e strappi corti su cui sono andato bene, quindi vuol dire che il mio fisico aveva recuperato e sono contento. E’ chiaro che non si possa fare il paragone con Remco. Lui è partito dal Delfinato, ha corso il Tour per fare la classifica, poi ha tirato dritto. Ero nel suo stesso hotel a fine aprile a Sierra Nevada, lo vedevo lavorare ed erano bello concentrati.

In Astana conosci i corridori, forse un po’ meno staff e tecnici?

Non è stato un salto nel vuoto, perché già in Belgio i compagni hanno lavorato per me. Mi sono scoperto ben allineato con Zanini in ammiraglia e anche per lui è stato un piccolo passettino per capire come andremo in Belgio il prossimo anno, anche per i materiali. I meccanici hanno cominciato a capire come mi piace fare le cose. Michele Pallini ormai mi conosce da tanto, con tutti i mondiali e le due Olimpiadi che ho fatto con lui. Poi quando veniva a Lugano, spesso Vincenzo (Nibali, ndr) mi chiamava per sapere se volevo fare anch’io un massaggio con lui. Ci si conosce da tanto. Invece meccanici e direttori no. Anche Bruno Cenghialta, Giuseppe Martinelli… Sono tutte facce che conoscevo, ma non ci avevo mai lavorato insieme. Però siamo un bel gruppo, anche a Lugano con Ulissi e Ballerini. La EF è stata un bel periodo della mia vita. Staremo a vedere, spero di aver fatto la scelta giusta. Per ora ne sono molto convinto.

La costanza e la voglia di Ulissi, un esempio per i giovani

25.08.2024
5 min
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Spalla a spalla con Jonas Vingegaard. La lunga carriera di Diego Ulissi si fregia anche di questo particolare, in un Giro di Polonia vissuto da assoluto protagonista, lottando alla pari con il danese uscito rinvigorito dal Tour de France. Chi conosce il toscano sa che è solo un ulteriore capitolo di una carriera tanto lunga quanto luminosa, ancora lungi dallo scrivere le ultime parole.

Ulissi, uomo vincente in ogni anno della sua lunga storia, è davvero un esempio, ancor di più nel ciclismo italiano di oggi che fatica enormemente a ritagliarsi i suoi spazi. Ma Diego non è uomo da vantarsi, anche il suo Giro di Polonia è una delle tante avventure vissute.

«Sapevo che bisognava partire bene – racconta – nelle prime tappe si faceva il 90 per cento della classifica. Nei primi due arrivi sono rimasto sempre fra i primi, nel terzo ho chiuso secondo dietro Nys ed ero alle spalle di Vingegaard che aveva già costruito la sua leadership a cronometro, a quel punto era pura gestione. Il secondo posto finale era il massimo risultato possibile, il danese ha sempre fatto buona guardia».

Il podio finale del Giro di Polonia, da sinistra Kelderman, il vincitore Vingegaard e Ulissi
Il podio finale del Giro di Polonia, da sinistra Kelderman, il vincitore Vingegaard e Ulissi
Colpisce però il fatto che ti sia anche avvinato a lui, chiudendo a 13”…

Il Polonia è una corsa a tappe un po’ atipica, con tante frazioni impegnative ma senza salite lunghe. Lui ha fatto la differenza nella seconda frazione, a cronometro, poi ha sempre gestito. Io ho lavorato sugli abbuoni e sfruttato un tracciato che in generale mi si addiceva, ma è chiaro che con una salita più lunga e dura, il vantaggio di Jonas sarebbe stato maggiore.

Quel che colpisce è la tua costanza di rendimento. In 53 giorni di gara sei finito fra i primi 10 ben 31 volte comprese tre vittorie. Numeri da big, da quella ristretta fascia di corridori appena al di sotto dei “magnifici sei”…

La costanza è sempre stata una mia caratteristica, è grazie a essa che riesco sempre a finire l’anno nelle posizioni alte del ranking. Dopo il Giro d’Ungheria mi sono preso un mese di stop perché non stavo bene, non respiravo bene, ma quella sosta mi ha consentito di tirare il fiato e riprogrammare tutta la mia stagione.

Una delle vittorie di Ulissi, nella tappa di Alpendorf al Giro d’Austria (foto EXPA/Groder)
Una delle vittorie di Ulissi, nella tappa di Alpendorf al Giro d’Austria (foto EXPA/Groder)
Come ti gestisci durante il riposo?

Ormai ho anni e anni di esperienza alle mie spalle. Ad esempio sono refrattario ai periodi di allenamento in altura, a me non hanno mai dato grande giovamento, la faccio solo all’inizio con tutto il team. Preferisco lavorare alla maniera solita, seguendo le tabelle a casa mia. Praticamente mi alleno correndo, come si faceva una volta. I risultati mi pare che dicano che faccio bene…

Tu però anche a 35 anni sei lì che combatti, lotti con i primissimi, anche con i big. Perché gli italiani più giovani non ci riescono?

Difficile a dirsi, se lo sapessi potremmo dire che la crisi che stiamo attraversando sarebbe risolta… I risultati non arrivano a caso, ci vogliono doti. Io dico che di giovani validi ne abbiamo e ne continuiamo a sfornare, ma serve tempo, ognuno ha il suo per maturare ed emergere. Non tutti si chiamano Pogacar o Evenepoel. Io qualche anno di esperienza sulle spalle ce l’ho e vedo che oggi è più difficile emergere perché il livello è altissimo e le squadre sono costruite in maniera diversa, con tutti corridori che hanno nelle corde il colpo.

Per il toscano tante occasioni come finalizzatore, che si è guadagnato con la sua costanza
Per il toscano tante occasioni come finalizzatore, che si è guadagnato con la sua costanza
Questo cosa significa?

Prendi la mia squadra, la Uae. Dovunque andiamo, quando non c’è Tadej, ci sono almeno 4-5 capitani, poi in corsa si decide per chi si corre in base a tanti fattori: percorso, condizione del giorno, evoluzione della corsa… Un giovane italiano che approda in un team WT deve andare veramente forte per scalare le gerarchie e guadagnarsi fiducia. Bisogna fare le cose per gradi, io dico che se lavoreranno bene verrà anche il momento buono e dovranno essere pronti a sfruttarlo.

E’ pur vero però che, pur non considerando i super, ci sono tanti corridori giovani da ogni nazione che sono sempre lì a lottare per la vittoria, i nostri spesso si vedono nelle prime fasi delle corse, nelle fughe, ma poi?

Attenzione, quando parliamo di giovani, io dico sempre che noi valutiamo un ciclismo preso sull’immediatezza, ma quanti di questi corridori riusciranno a tirare avanti, ad avere carriere lunghe, ad arrivare alla mia età? Solo il tempo ci dirà se c’è un prezzo da pagare in termini di durata delle carriere. E’ vero, oggi guardiamo le corse e sembra che i talenti siano solo fuori dai nostri confini ma non è così, ci sono anche da noi ed emergeranno. Il ciclismo è fatto di fasi storiche, tra qualche anno magari saremo noi a gioire.

La grinta di Ulissi deve essere un esempio per i giovani, lottando in ogni corsa fino all’ultimo
La grinta di Ulissi deve essere un esempio per i giovani, lottando in ogni corsa fino all’ultimo
E’ un discorso anche caratteriale?

Sicuramente, forse preponderante. Tanti di quei giovani stranieri di cui prima li vedi correre senza paura, con una grande voglia di emergere. E’ quella che in primis un corridore deve avere, pensando che il contratto da professionista è un punto di partenza e non di arrivo. Poi è chiaro che dipende tutto dalle gambe…

Torniamo a te. E ora?

Dopo Plouay seguirò tutto il calendario italiano, fino al Lombardia, intanto valuterò che cosa fare, se rimanere alla Uae o no. Io voglio continuare per almeno un paio d’anni, vediamo dove e come.

Ulissi: una stagione diversa con grandi soddisfazioni

19.05.2024
4 min
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La stagione di Diego Ulissi prosegue lontana dai Grandi Giri, il toscano del UAE Team Emirates continua a raccogliere risultati di tutto rispetto. Il ritorno dal Giro di Ungheria, dove ha colto un secondo posto e due piazzamenti in top 10, ha il sapore di casa. 

«Sto bene – racconta Ulissi – sono tornato dall’Ungheria e ora sto un po’ a casa fino alla prossima corsa, il GP Gippingen, del prossimo 7 giugno. Tutto sta andando secondo i piani, sto facendo il mio con tantissimi piazzamenti e già una vittoria all’attivo».

Alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali il primo successo di stagione
Alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali il primo successo di stagione

La richiesta della squadra

Il Giro d’Italia prosegue la sua rotta verso Roma e in gruppo la UAE Emirates la sta facendo da padrona. Ma chiaramente tra le sue fila manca Diego Ulissi, che dopo cinque partecipazioni consecutive non era al via della corsa rosa. 

«Già da dicembre – spiega – mi era stato comunicato che non avrei fatto grandi Giri. Il ciclismo moderno e le esigenze della squadra richiedono che si cerchi di fare punti anche in altre gare. Sono un corridore che ha dimostrato di essere in grado di raccogliere ancora risultati e piazzamenti. E’ una strategia della squadra che condivido e che ho appreso con la massima serenità. Matxin ha preso questo tipo di scelta e io mi sono messo a disposizione come sempre».

Al Giro d’Abruzzo un secondo posto nella tappa di Prati di Tivo, alle spalle di Lutsenko
Al Giro d’Abruzzo un secondo posto nella tappa di Prati di Tivo, alle spalle di Lutsenko
I risultati parlano chiaro.

La motivazione è che vado alle gare e posso vincere. Piuttosto che andare al Giro per tirare, hanno preferito mettermi a caccia di risultati. Io prendo le scelte del team e le accolgo in maniera serena, posto che sarei andato anche al Giro a tirare per Pogacar, come ho fatto negli ultimi due anni per Almeida. 

La stagione ti ha dato le giuste soddisfazioni fino ad ora?

In questi anni ho sempre mantenuto un livello molto alto e mantenerlo non è semplice. Non ci sono gare più o meno importanti, anche quelle che sono considerate di secondo livello richiedono di essere al 100 per cento. Sono contento di quanto fatto sin qui. 

Per competere con i giovani Ulissi ha alzato l’intensità dei sui allenamenti
Per competere con i giovani Ulissi ha alzato l’intensità dei sui allenamenti
Non facendo un grande Giro hai cambiato qualcosa nella preparazione?

I ritmi in allenamento sono più alti, così da arrivare alle gare pronto e in condizione. Nell’arco della stagione ho corso molto (33 giorni fino ad ora, ndr) quindi non ho avuto tanto tempo per fare allenamenti particolari. 

In generale non è cambiato nulla?

Negli ultimi anni sì, per rimanere competitivo contro i più giovani mi sono dovuto adattare anche io. Non correndo un grande Giro ho alzato i livelli di intensità a discapito della resistenza. Anche perché per il discorso dei punteggi il livello del gruppo alle corse si è alzato ulteriormente. Ad ogni gara si va per vincere. 

La preparazione di Ulissi è variata quel poco che serve per essere competitivo nelle brevi corse a tappe (foto UAE Emirates)
La preparazione di Ulissi è variata quel poco che serve per essere competitivo nelle brevi corse a tappe (foto UAE Emirates)
Cambiando calendario e disputando gare diverse, hai notato qualche differenza?

Come detto la competizione, che è sempre alta. Una volta alle gare di cosiddetta seconda fascia si arrivava meno preparati, ora non succede più. 

Il programma per la seconda parte di stagione cosa prevede?

Adesso finisco la prima parte con il Giro di Slovenia e il campionato italiano. La seconda metà di stagione rimarrà uguale agli ultimi anni con Appennino, Giro di Polonia e tante gare di un giorno o di una settimana. L’unico appuntamento che ho saltato è stata la Tirreno per un malanno.