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Con Ulissi nei segreti del Tour Down Under che riparte

05.01.2023
5 min
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Dopo due anni di stop ripartirà il Tour Down Under, la prima corsa di livello WorldTour della stagione. Si tratta di una gara a tappe che ha sempre condito l’ultima metà di gennaio, che ha come cornice le strade ed i colori dell’Australia Meridionale. Regione non lontana da Wollongong teatro degli ultimi mondiali di ciclismo. 

Chi con la corsa australiana ha costruito un buon feeling è Diego Ulissi, il toscano nei suoi ormai 13 anni di carriera ha collezionato degli ottimi piazzamenti. Terzo nel 2014, quinto nel 2017, quarto nel 2018 ed infine secondo nel 2020. Quest’ultimo è il miglior risultato ottenuto da Ulissi in Australia.

L’ultimo vincitore del Tour Down Under, nel 2020, è stato Richie Porte
L’ultimo vincitore del Tour Down Under, nel 2020, è stato Richie Porte

A ruota di Ulissi

Il corridore della UAE Emirates ci porta con sé tra i ricordi e le curiosità del Tour Down Under. Una corsa che si gioca sempre sul filo dei secondi dato che il percorso non presenta grandi difficoltà altimetriche.

«Il Down Under – spiega dalla sua calda toscana Ulissi – è fondamentalmente una delle gare meglio organizzate a livello mondiale. E’ sempre stato un piacere andarci, anche se il viaggio è davvero lungo. Il clima è bellissimo, soleggiato e parecchio caldo (in Australia ora è estate, ndr). Il fuso orario è tosto da assorbire quindi è meglio andare lì il prima possibile così da adattarsi al nuovo ritmo di vita. Si tratta della prima gara WorldTour, quindi ci sono tanti punti in ballo ed un grande livello di competizione. Una corsa come il Tour Down Under si programma già dal finale della stagione precedente».

Giacomo Nizzolo, Tour Down Under 2020
Nel 2020 l’unica vittoria italiana è arrivata grazie allo sprint vincente di Giacomo Nizzolo
Giacomo Nizzolo, Tour Down Under 2020
Nel 2020 l’unica vittoria italiana è arrivata grazie allo sprint vincente di Giacomo Nizzolo

Il percorso

Fino al 2020, l’ultima volta in cui si è disputato, il Tour Down Under prevedeva sei tappe con un percorso sempre mosso. Quest’anno le tappe sono sempre sei, ma è stato aggiunto un prologo iniziale di sei chilometri che si correrà nella città di Adelaide

«Non sono presenti grandi salite lungo le varie tappe – riprende Ulissi – di conseguenza i distacchi si mantengono minimi. Diventano importanti i piazzamenti, nel 2020 sono arrivato a pari tempo con altri tre corridori (Dennis, Geschke, Van Baarle, ndr) ed ho guadagnato il secondo posto in classifica generale grazie ai piazzamenti. Questo per dire che se si vuole fare classifica al Tour Down Under bisogna arrivare preparati e correre sempre nelle prime posizioni del gruppo.

«Quest’anno, con l’aggiunta di un prologo all’inizio – continua Ulissi – che di conseguenza toglie una tappa in linea, aumenterà l’importanza degli abbuoni e dei piazzamenti. Una cronometro all’esordio, anche se di sei chilometri, è pur sempre un fattore determinante. Perdere quindici o venti secondi può escludere alcuni corridori dalla lotta per la vittoria finale».

In una corsa come il Tour Down Under bisogna sempre farsi trovare pronti, anche pochi secondi possono essere determinanti
In una corsa come il Down Under non si possono perdere nemmeno pochi secondi, bisogna correre davanti

La grande assente: Willunga

Rispetto alle edizioni prima della pandemia il Tour Down Under ha perso il suo “giudice” ovvero la salita di Willunga. Non una grande ascesa come la intendiamo noi ma comunque un bel trampolino di lancio per tentare di scavare un solco, seppur minimo, in classifica generale. Per aumentarne l’importanza la salita di Willunga era inserita nell’ultima o penultima tappa. 

«E’ sempre stata la salita più lunga del Tour Down Under – dice – che inevitabilmente decideva le sorti della classifica generale. Richie Porte è il re di quella salita (il tasmaniano dal 2014 al 2020 non è mai uscito dai primi due sul traguardo di Willunga, sei vittorie ed un secondo posto, ndr). Si tratta di un’ascesa di quattro chilometri con punte massime all’otto per cento, gli ultimi cinquecento metri sono praticamente piani, è una salita da rapportone».

La salita di Willunga è terreno di caccia del tasmaniano, per lui in 8 anni ben 6 vittorie
La salita di Willunga è terreno di caccia del tasmaniano, per lui in 8 anni ben 6 vittorie

I corridori di casa

Nelle ventidue edizioni del Tour Down Under i corridori di casa si sono aggiudicati per tredici volte la classifica finale. Un dato che evidenzia come questa corsa sia fondamentale per il movimento ciclistico del Paese. 

«E’ molto difficile equiparare lo stato di forma dei corridori australiani – conferma Ulissi – si allenano su quelle strade da mesi. In più il caldo incide, noi andiamo a fare la preparazione in Spagna ma per la maggior parte del tempo ci alleniamo al freddo. Il percorso non è difficile ma è un continuo sali e scendi, in più i corridori australiani sono spinti anche da una grande motivazione. Si tratta della gara di casa ed una delle poche che ci sono nel loro Paese, quindi hanno voglia di mettersi in mostra».

Il pubblico australiano si è sempre presentato il gran numero sulle strade della corsa
Il pubblico australiano si è sempre presentato il gran numero sulle strade della corsa

Logistica

In una corsa dall’altra parte del mondo è importante arrivare sempre con una grande organizzazione, sia per quanto riguarda gli hotel che gli spostamenti.

«In Australia ci siamo sempre trovati benissimo – conclude Ulissi – le tappe si svolgono sempre nella stessa zona intorno ad Adelaide. L’hotel dove si alloggia è sempre lo stesso, non cambia mai per tutta la durata della corsa e questo è una grande comodità. Siccome le tappe si svolgevano sempre nella zona di Adelaide gli spostamenti tra hotel e partenza o arrivo e hotel li abbiamo quasi sempre fatti in bici. E’ un bel modo per evitare stress e per aggiungere chilometri nelle gambe. Le tappe sono sempre abbastanza corte, intorno ai 150 chilometri e quindi mettere qualche ora in più non è male».

Covi, il coraggio di essere normale e un messaggio a Bennati

25.12.2022
6 min
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Il giorno dopo il Giro avrebbe affrontato il Fedaia. L’ultima volta che eravamo saliti lassù con una corsa era stato nel 2019 col Giro d’Italia U23. Quel giorno, Alessandro Covi affrontò la salita finale stretto nella morsa dei colombiani. Era secondo in classifica, concluse quarto, respinto dai loro attacchi. Perciò avendolo visto al villaggio di partenza, gli dicemmo convinti che il giorno dopo si sarebbe preso la rivincita. Lui ricambiò lo sguardo e allontanò il pronostico, salvo andare in fuga il giorno dopo e vincere la tappa (foto di apertura).

«Quel giorno – sorride – mi hanno rincorso e incoraggiato tutti gli italiani. Mi ricordo che quando passavo in mezzo alla folla, guardavo il computerino e mi aumentavano i watt. Sessanta in più ogni volta e non vedevo l’ora di capitare in un’altra bolla di folla per aumentare il vantaggio su quello dietro. E’ stato come in un film: da quando mi sono svegliato a quando sono andato a letto. Proprio me lo ricorderò per sempre. Non è stata la mia prima vittoria, ma forse dentro di me è stata la prima vera».

Abbiamo incontrato Covi a Benidorm al ritiro del UAE Team Emirates
Abbiamo incontrato Covi a Benidorm al ritiro del UAE Team Emirates
Dice Ulissi che siete spesso in camera assieme e gli chiedi consiglio…

Mi sono sentito spesso come i neoprofessionisti di una volta. Ormai sono passato da tre anni, ma ho sempre chiesto consiglio ai più esperti e anche grazie a questo sono riuscito a raggiungere qualche risultato. Non sono come tanti giovani che arrivano e spaccano tutto, sono uno di quelli che ha bisogno di tempo. Sto migliorando ogni anno e attendo di fare un altro salto. La squadra ha fiducia in me e quindi cercherò di ripagarla.

Hai capito che corridore diventerai?

Non sarò mai un corridore per corse a tappe. Mi trovo bene nelle gare un po’ mosse e penso di essere abbastanza simile a Diego, di cui abbiamo appena parlato. Anche per questo gli chiedo più consigli possibile, perché abbiamo più o meno le stesse caratteristiche e mi potrà essere molto utile per il presente e per il futuro.

Ulissi è per Covi un bel riferimento per la sua esperienza e per caratteristiche simili
Ulissi è per Covi un bel riferimento per la sua esperienza e per caratteristiche simili
Come è cambiata la vita fra il primo e il terzo anno da pro’?

Prima era più un gioco che un lavoro e ancora adesso resta una passione. Cosa è cambiato? Qualche sacrificio in più sul mangiare e sull’allenamento. Però alla fine sono cose che ti vengono naturali, perché se poi vai alla corsa e sei indietro di condizione, fai più fatica. Quindi è meglio fare di più la vita da corridore a casa, per arrivare pronto alle corse.

Una vita tanto dura?

Alla fine è il nostro sport e sono cose che ti vengono naturali. Facciamo i training camp, in cui sei seguito da tanti esperti. Così quando torni a casa, cerchi di seguire il più possibile la linea e viene tutto da sé. Poi iniziano le corse e sei di nuovo seguito dagli esperti, quindi torni a casa per 3-4 giorni ed è tutta una ruota che gira. Quando entri in questo loop, è tutto più facile. Nei dilettanti, non ci sono tante persone dietro alla squadra e sei più libero di fare ciò che vuoi.

Alla vigilia dell’allenamento. Covi è del 1998 ed è pro’ dal 2020
Alla vigilia dell’allenamento. Covi è del 1998 ed è pro’ dal 2020
Un po’ quello che hai consigliato a Romele?

A Romele ho detto di non bruciare le tappe fra i dilettanti. Secondo me fra i 18 e i 20 anni c’è bisogno di fare altro, anche di godersi un po’ la vita, perché sono gli anni migliori. Non devi lavorare, quindi puoi permetterti qualche svago, sempre rimanendo concentrato su quello che ti piace. Perché poi, quando passi, inizia un lavoro e devi fare tutto al 100 per cento. Io ho seguito questo percorso e non mi è mai pesato 

Finito il tempo dello svago?

C’e un tempo per ogni cosa. La cosa più faticosa forse è tenere la testa, ma dipende da come la vivi. Se lo fai in maniera tranquilla, allora non ti pesa. Se invece fai tutto all’estremo, può darsi che con gli anni ti renda conto di non aver avuto una vita. Fare questo sport per lavoro è una fortuna. Io ho trovato il mio equilibrio e per ora mi ha dato i risultati.

Firmando autografi a Monaco, prima della partenza di Beking 2022
Firmando autografi a Monaco, prima della partenza di Beking 2022
La vittoria è la conferma del buon lavoro svolto?

Nel 2021 ci ero sempre arrivato vicino e mi scocciava non aver mai gioito. Poi è arrivato il 2022 e ne ho vinte tre. Questo mi ha reso più consapevole. La vittoria al Giro è stata stupenda. Vincere una gara WorldTour è importante perché capisci che puoi ambire a successi nel livello top del ciclismo.

Avevi già vinto in Spagna…

Quelle due vittorie sono venute all’improvviso, perché non pensavo di essere in condizione. Invece forse ero nel momento di miglior condizione dell’anno e avrei potuto vincere qualunque corsa. Quando non te l’aspetti, non ti cambia più di tanto. Invece la vittoria al Giro la cercavo. E averla raggiunta mi ha fatto capire che se lavori per gli obiettivi, puoi arrivarci.

L’ultimo mondiale di Covi risale al 2019 fra gli U23, qui con Dainese. La maglia iridata andò a Battistella
L’ultimo mondiale di Covi risale al 2019 fra gli U23, qui con Dainese. La maglia iridata andò a Battistella
Che cosa ti aspetti dalla prossima stagione?

Un’annata in cui avrò i miei spazi. Partirò già dall’Australia e poi ripeterò il calendario dell’anno scorso, puntando a fare più vittorie nelle gare in cui avrò spazio. Spero solo di non avere intoppi di salute.

Qual è stato il giorno in cui ti sei divertito di più in bici quest’anno?

Al Lombardia, anche se ho faticato tanto. Sono stato davanti al gruppo dal primo chilometro fin sotto il Ghisallo, quindi per 200 chilometri. Ho gestito la fuga, ma non è stato stressante, perché sapevo che il mio lavoro finiva in quel punto e poi sarebbe entrata in azione la squadra. Andavo forte, quindi è stato tutto più bello. 

Covi racconta che il Lombardia, in fuga fino al Ghisallo, è stata la corsa in cui si è più divertito
Covi racconta che il Lombardia, in fuga fino al Ghisallo, è stata la corsa in cui si è più divertito
Si è parlato di te a proposito del ciclocross.

Mi piace tanto. Seguo le gare in televisione, ho tanti amici nel cross e scherzando ci diciamo di tornare a fare qualche garetta. Però è difficile riuscire a organizzarsi. Magari prima o poi proverò a chiedere alla squadra, però solo se capirò di essere competitivo, altrimenti sarebbe inutile. Non andrei mai per fare figuracce. Ora come ora puntiamo alla strada.

Uno come te, cresciuto sul Muro di Taino e con l’amore per il cross, non avrebbe il diritto di provare il Giro delle Fiandre?

Il Tainenberg… (sorride, ndr). Il Fiandre non lo farò neanche quest’anno, però è una delle gare che mi piace di più. Anche guardandolo in televisione, mi ha sempre emozionato e spero nel futuro di poterlo fare, perché mi si addice davvero tanto. Allo stesso modo mi piacerebbe fare il mondiale, quindi proverò a cambiare qualcosa per arrivarci in buona condizione. Ci sarà gente che esce dal Tour e non sarà facile, però è uno dei miei obiettivi principali. Sono già tre anni che non vesto l’azzurro, l’ultima volta ero dilettante. Per un italiano, quella è la maglia più bella.

Da Scarponi ad Ayuso, i 13 anni di Ulissi fra i pro’

21.12.2022
5 min
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Diego Ulissi, due volte campione del mondo juniores, due anni da U23 con 6 vittorie, professionista dal 2010 con 45 vittorie. Eppure, forse per il suo carattere schivo, di lui si parla troppo poco. Intendiamoci, non ha vinto grandi classiche né Giri, ma in questo ciclismo che non naviga nell’oro, una voce come la sua merita di essere ascoltata. Non lo aiuta probabilmente il fatto di aver barattato la ricerca di luce propria con una posizione sicura nel UAE Team Emirates, ma è certo che il suo apporto si sente e quando gli hanno lasciato spazio, le sue vittorie le ha sempre portate a casa. Anche per questo nelle tasche ha un contratto fino al 2024, che lo mette al riparo da brutte sorprese. Diego non ha mai cambiato squadra.

«Ho già 33 anni – sorride – il prossimo anno andiamo per i 34. Sembra ieri che sono passato professionista, invece inizio già il quattordicesimo anno. Sono volati, sono passati bene e questo conta. Perciò mi aspetto un anno importante, in cui ci saranno occasioni anche per me. Farò corsa a supporto dei leader, insomma, come è successo in questo ultimo anno, ma cercherò le mie occasioni».

Ulissi è del 1989 ed è passato professionista nel 2010: non ha mai cambiato squadra
Ulissi è del 1989 ed è passato professionista nel 2010: non ha mai cambiato squadra
Tra i vecchietti del gruppo, sei uno di quelli che non ha risentito per niente del lockdown, tanto da aver vinto due tappe al Giro 2020 e il Giro del Lussemburgo.

Vero, quando c’è stata la ripartenza, sono andato subito forte. Sono riuscito a vincere 5 gare, quindi non l’ho sentita più di tanto. Il problema è stato dopo con il cuore, per il quale sono stato fermo più di due mesi. Insomma, l’anno scorso sono partito un po’ in ritardo e ho dovuto rincorrere. Nonostante questo comunque, la stagione era andata bene, non avendo fatto la preparazione invernale. Invece…

Invece?

Dal ritrovarsi contenti per come era andato il 2021, questo anno ho preso il Covid due volte a inizio anno e mi ha rallentato parecchio. E’ stato così anche per tanti altri, però la prima parte è stata un po’ fiacca, la seconda decisamente meglio.

A Malemort, Ulissi vince così la terza tappa del Tour du Limousin
A Malemort, Ulissi vince così la terza tappa del Tour du Limousin
Come valuti la tua carriera finora?

Per me è gratificante essere in appoggio della squadra, essere determinante. Anche nelle ultime gare corse per Tadej (Pogacar, con lui in apertura dopo la vittoria alla Tre Valli Varesine, ndr) ho dimostrato di saper fare bene e in modo incisivo il mio lavoro. In aggiunta, ci sono tantissime corse durante la stagione in cui ci saranno occasioni anche per me. Pogacar è il numero uno al mondo, quindi il leader assoluto della squadra e ogni volta che corre è una garanzia. E poi c’è Ayuso, che sta dimostrando grandissimi numeri, nonostante sia giovanissimo. I risultati sono dalla sua.

Farai il Giro?

Probabilmente sì, tanto ormai sono indirizzato lì da tantissimi anni. Inoltre è una gara in cui ho fatto sempre bene, quindi vado più che volentieri.

Guidi e Ulissi, entrambi toscani: il diesse pisano è nel team dal 2021
Guidi e Ulissi, entrambi toscani: il diesse pisano è nel team dal 2021
Un tempo avevi in testa la Liegi.

La Liegi è sempre stata una gara che mi ha affascinato, però è una gara molto dura e non sono mai riuscito a essere tra i protagonisti. Mi dispiace perché a un certo punto bisogna capire quali sono i propri limiti, però mi sarebbe piaciuto essere tra protagonisti. Ci sono riuscito nella Freccia Vallone, in cui ho raggiunto anche il podio. Insomma, altre gare importanti. Ma la Liegi mi ha affascinato dalla prima volta che l’ho fatta.

Cos’ha Pogacar che tu non hai?

Lo vedi in allenamento che ha valori eccezionali, qualcosa fuori dalla norma. Poi la cosa che mi piace di lui è che comunque è costante per tutto l’anno. A ogni corsa che fa, parte per vincere. Quello che mi ha sorpreso sin da quando è passato è proprio la mentalità. Il voler dimostrare di essere il più forte ogni volta che mette il sedere sulla bici. Insomma questa è una grandissima forza. A volte in allenamento si fa battaglia. Non sempre, però quando ci avviciniamo alle competizioni, ogni tanto ci parte… l’embolo. Anche questo fa parte dello stile di allenamento di ora.

Al Giro del 2020, corso in ottobre, per Ulissi due tappe vinte: questa la prima, ad Agrigento
Ulissi
Al Giro del 2020, corso in ottobre, per Ulissi due tappe vinte: questa la prima, ad Agrigento
Hai parlato dei tuoi limiti, a che punto della storia hai capito che tipo di corridore saresti diventato?

Quando sono passato professionista, onestamente, non capivano tanto e io per primo che stile di corridore sarei diventato. Ho sempre avuto l’indole del finisseur, la capacità di concretizzare uno sprint ristretto, per cui mi sono sempre visto in questa direzione qui. Invece c’è stato un momento proprio all’inizio, mi pare al secondo Giro d’Italia, che ho fatto nei 20 o giù di lì (nel 2012, arrivò 21°, ndr). Quindi gli era presa questa idea strana di puntare anche alle classifiche generali. Quando però mi sono accorto che magari riuscivo a vincere anche un paio di tappe, mi sono voluto concentrare su quello piuttosto che magari fare ottavo/nono in generale. Le vittorie rimangono, insomma…

Quali sono stati i tuoi riferimenti da giovane?

Nei primi anni, ci sono stati Scarponi e Petacchi, ma anche Righi e Spezialetti. E poi Emanuele Mori, che mi ha accompagnato diciamo per tutta la carriera. Lui è stato insomma il punto di riferimento vero e proprio. Ci siamo allenati tantissimo insieme. Tutte persone cui devo tantissimo. Io poi ero uno che ha sempre ascoltato parecchio. Cercavo di capire. Insomma dalla loro esperienza, ho cercato di rubargli il mestiere.

Ulissi e Covi dividono spesso la stanza. Nella UAE per ora ci sono 4 italiani. Gli altri sono Formolo e Trentin
Ulissi e Covi dividono spesso la stanza. Nella UAE per ora ci sono 4 italiani. Gli altri sono Formolo e Trentin
Qualcuno sta cercando di rubarlo a te?

Adesso è cambiato parecchio, perché ai giovani che passano hai poco da insegnargli. Però ci sono persone, come ad esempio Covi, che mi chiede tutto e cerca di crescere anche così. Siamo spesso in camera insieme, due della vecchia scuola italiana che ancora resiste.

Romele per Natale si regala uno stage con la UAE

20.12.2022
5 min
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Nella settimana che ci porta lentamente, ma freneticamente, verso Natale siamo tutti alla ricerca degli ultimi regali. Alessandro Romele, però, ha già aperto il suo: uno stage di una settimana con la UAE Emirates. Una nuova esperienza, tanto divertimento e molti consigli da chi ha vissuto gli stessi passaggi del corridore del Team Colpack-Ballan

«Dal caldo di Benidorm sono tornato al freddo italiano – racconta il corridore di Iseo – si stava meglio là, ma tornare a casa è sempre bello. L’aria si fa pungente e il clima non perdona, per fortuna i materiali si sono evoluti e non si soffre più di tanto».

Per Romele tanti chilometri al caldo della Costa Blanca
Per Romele tanti chilometri al caldo della Costa Blanca
Come è nata l’idea di fare questo stage?

Un mix di volontà comuni, tra la Colpack e la UAE Emirates. Loro visionano tanti ragazzi e noi ci godiamo una settimana con i grandi. 

Quanto è durata la tua esperienza?

Una settimana, dal 10 al 17 dicembre. Si tratta di un progetto che permette di arricchire il corridore e la persona. Dal primo punto di vista acquisisci un metodo nuovo e ti confronti con persone di grande esperienza. Dal secondo, invece, lo stesso confronto passa dalle storie e dalle esperienze che questi corridori hanno già fatto e sulle quali ti possono consigliare e suggerire. 

In che modo si è svolta la tua settimana?

Sono arrivato sabato abbastanza tardi, così domenica per non pesare troppo sul fisico ho fatto una prima sgambata. Nei giorni a seguire si è fatta la tripletta con un bel carico di ore e di chilometri. Avevo molta libertà dalla Colpack, si erano solo raccomandati di non spingere troppo. 

Per Covi un passato nella Colpack Ballan da under 23, un triennio fondamentale per maturare
Per Covi un passato nella Colpack Ballan da under 23, un triennio fondamentale per maturare
Come si svolgeva la giornata tipo?

Si partiva abbastanza presto, intorno alle 9, così da avere più tempo per altre attività nel pomeriggio: massaggi, presentazione dei materiali e interviste. 

Eravate divisi in gruppi di lavoro?

Sì, non ero l’unico stagista presente, c’era anche un altro ragazzo e quindi noi due eravamo sempre insieme. Generalmente venivano formati quattro gruppi da 6 corridori. Ho avuto la fortuna di pedalare con un po’ tutti. 

Il giorno più particolare?

Uno degli ultimi, venerdì, quando mi sono allenato con Pogacar. Sono finito in gruppo con lui e abbiamo fatto ben quattro ore con tanti chilometri. Eravamo di più rispetto ai soliti sei, anche perché con tanti chilometri da affrontare era necessario. Ci si dava un po’ di cambi in più. 

Romele è al secondo anno con la Colpack Ballan, il 2022 è stato ricco di sfortuna, ora cerca un riscatto (foto Facebook Colpack Ballan)
Romele è al secondo anno con la Colpack Ballan (foto Facebook Colpack Ballan)
Che sensazione dà pedalare accanto a un plurivincitore del Tour de France. 

E’ bellissimo! Ed è stato anche molto, ma molto divertente. Nel fare il nostro giro la squadra ha deciso di farci fare la classica pausa bar. Majka continuava a dirmi: «Mangia, mangia che sei giovane, non devi fare diete». Una volta ripartiti, per gli ultimi quaranta chilometri, hanno deciso di simulare la gara. Ragazzi che spettacolo, si scattavano in faccia l’uno con l’altro senza risparmiarsi nulla. 

Com’è stato resistere ad uno scatto di Pogacar?

Eh, ripartire così forte dopo la pausa bar è tosta. Non so come le mie gambe abbiano resistito – dice ridendo di gusto – direi che mi sono difeso bene. Non ho sfigurato, anche se non saprei dire a che percentuale di impegno fossero.

In questi giorni con chi hai parlato di più?

Con Ulissi, Covi e Trentin

Cosa ti hanno detto?

Ulissi mi ha dato l’impressione di essere molto serio e professionale, un corridore che ha fatto le cose per bene. Altrimenti non rimani per così tanto tempo a quel livello. Mi ha raccontato del suo primo anno da under 23, anche lui ha avuto delle difficoltà, ma la stagione successiva è riuscito a trovare il ritmo e andare forte. Ecco, direi che mi ha rincuorato vista la sfortuna che ho avuto nel 2022. 

Trentin è uno dei punti di riferimento per i giovani della UAE, qui con Ayuso al ritiro di Benidorm
Trentin è uno dei punti di riferimento per i giovani della UAE, qui con Ayuso al ritiro di Benidorm
Con Covi, anche lui in Colpack quando era under, di cosa hai parlato?

Abbiamo scoperto di avere molto in comune, il suo allenatore da junior è lo stesso che mi ha seguito quando ero al secondo anno della categoria. Anche lui mi ha raccomandato di non avere fretta. Mi ha spiegato che i primi due anni da under sono stati difficili e che il vero salto di qualità lo ha fatto al terzo. Meglio prendersi un anno in più da under 23 piuttosto che arrivare acerbo e faticare il triplo da professionista

E Trentin? Uno che con i giovani parla molto…

Anche con lui ho scoperto di avere una conoscenza in comune. Uno dei tanti osteopati che lo segue lavora anche con me. Siamo partiti da questo dettaglio per legare un po’ e parlare di tanti aspetti, anche tecnici. Lui, come Ulissi, mi ha dato l’impressione di essere un corridore davvero scrupoloso, che ha dato tanto per raggiungere tutti questi traguardi. 

Dal punto di vista dei materiali, della bici, ti han dato qualche consiglio?

Ho scambiato qualche battuta anche su questo argomento ovviamente. Dalla mia parte ho la fortuna di essere un “maniaco” della bici e quindi mi seguo molti tutorial e imparo di mio, sono uno curioso. Quando c’è stata la presentazione di Colnago, infatti, ero in prima fila, con le antenne dritte. 

La stessa opportunità che ha avuto Romele l’ha avuto anche Ayuso in precedenza
La stessa opportunità che ha avuto Romele l’ha avuto anche Ayuso in precedenza

Esperienze simili

L’interessante opportunità data da parte del team UAE a Romele è la stessa che fu data ad Ayuso quando lo spagnolo era in maglia Colpack. 

«Si tratta dello stesso progetto – racconta Gianluca Valoti – tra me e Matxin, Giannetti ed Agostini c’è un bel rapporto di amicizia e così ai ragazzi viene data questa occasione. Non è nulla di concreto o di certo, si tratta di un’esperienza per vedere come funziona il WorldTour. Lo stesso rapporto c’è anche con Bramati, infatti lo stesso Romele l’anno scorso, sempre a dicembre era andato a fare la stessa esperienza in QuickStep».

La settimana tipo a novembre. Per Ulissi sedute “no stress”

20.11.2022
6 min
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Seconda metà di novembre, tempo di ripresa per i corridori. Le settimane iniziano a ritrovare una loro routine, ma non sono ancora del tutto quelle del pieno della stagione. Per la nostra “settimana tipo” relativa a questo periodo abbiamo sentito Diego Ulissi.

Il campione della UAE Emirates ci racconta che ha ripreso sì ad allenarsi, ma con molta tranquillità. Dopo un periodo di stacco totale il toscano sono già due settimane che ha dato il via alla suo 2023 ciclistico.

In stagione Ulissi ha vinto 2 corse: Gp Industria e una tappa al Limousin (in foto). Ha chiuso l’anno a metà ottobre con 74 giorni di gara
In stagione Ulissi ha vinto 2 corse: Gp Industria e una tappa al Limousin (in foto). Ha chiuso l’anno a metà ottobre con 74 giorni di gara
Diego, la tua “settimana tipo” in questi periodo: partiamo dalla sveglia?

Nonostante non debba fare uscite lunghe non mi alzo molto tardi in quanto ci sono le figlie da portare a scuola! Quindi mi alzo verso le 7:30 e faccio colazione.

Cosa mangi appunto a colazione?

Le solite cose di sempre: latte senza lattosio perché sono intollerante, fette biscottate con la marmellata, cerali semplici e per finire un’omelette. La differenza con gli altri periodi della stagione è che ne mangio in minor quantità, pertanto è più leggera. In accordo con il nutrizionista della squadra riduco i carboidrati.

Poi come procede la giornata? Inizi subito il tuo allenamento?

No, porto le bimbe a scuola. Torno, prendo un caffè e poi mi alleno.

Restiamo sull’alimentazione: a pranzo cosa mangi?

Non iniziando presto torno tardi e mangio quel che trovo perché la “cucina è chiusa”! Anche in questo caso è molto semplice, si tratta di un pranzo più sbilanciato sui carboidrati. Quindi riso o pasta, un po’ di bresaola o prosciutto e delle verdure crude con un po’ di pane.

Il corridore toscano (classe 1989) predilige il latte senza lattosio
Il corridore toscano (classe 1989) predilige il latte senza lattosio
Pasta e riso sempre in bianco o anche con dei sughi?

No, anche con dei sughi: pomodoro semplice, se c’è il ragù non dico di no, lo stesso con il pesto. Mi piace variare, soprattutto in questo periodo. Sempre in accordo con il nutrizionista abbiamo deciso di non stare super attenti al peso o di scendere subito molto, ma di tenerci quel paio di chiletti in più per affrontare meglio l’inverno. Avere un po’ più di scorte contro il freddo.

E pesi ciò che mangi?

Sinceramente io non sono il più preciso del mondo! Forse anche perché non ingrasso molto e quando devo butto già abbastanza facilmente quei chiletti in più. Comunque no: non peso i cibi, ma solo perché con il tempo ho imparato a valutare le quantità. Prima li pesavo, ora vado ad occhio e so più o meno quanto ho mangiato.

A merenda cosa prendi?

O uno yogurt proteico o della frutta secca tipo noci o mandorle, o disidratata tipo le albicocche secche.

E a cena?

A cena, al contrario del pranzo, il pasto è più sbilanciato sulle proteine. Alterno carne bianca, carne rossa e pesce. Meno le uova di cui non sono un grande amante. La carne rossa la mangio una, massimo due, volte a settimana. Poi mangio anche della verdura cotta di stagione. Mentre in altri periodi in base anche all’allenamento del giorno dopo inserisco dei carboidrati.

Le sedute in palestra di Ulissi iniziano con una camminata sul tapis roulant
Le sedute in palestra di Ulissi iniziano con una camminata sul tapis roulant
In questo periodo intermedio utilizzi gli integratori?

Quando faccio palestra sì. I soliti: aminoacidi, proteine. In più io da sempre utilizzo parecchio gli omega-3: li ho sempre ritenuti validi.

Accennando alla palestra, Diego, ci hai introdotto nella parte dell’allenamento. Come ti gestisci in questo periodo di ripresa?

Mi alleno tutti i giorni, salvo un riposo e faccio due-tre sedute in palestra a settimana anche in considerazione del meteo. Magari se piove anziché uscire si fa una seduta in palestra e un’oretta di rulli.

Iniziamo dal lunedì…

Esco in bici e faccio due ore, adesso anche due e mezzo. Sono allenamenti tranquilli, quelli per fare la cosiddetta base. Pertanto usciamo in Z1-Z2, però non è la “pascolata”, comunque si cerca di tenere un buon passo: tranquillo, ma neanche a guardare per aria. Faccio poca salita e più pianura.

Il martedì?

Faccio palestra e la faccio quasi subito dopo la sveglia. Ho la fortuna di averla in casa. Premetto che io non sono un amante della palestra. Essendo abituato a stare all’aria aperta non è troppo il mio terreno, anche per questo me la sono fatta in casa: per cercarmi di facilitare le cose. Comunque, quando faccio palestra, mi scaldo con una camminata di 15′ sul tapis roulant, quindi passo agli esercizi per le gambe (i soliti tipo squat, ndr) e poi alla parte del core stability. In tutto ci sto un’ora e 10′-20′.

Giusto ieri Diego è uscito in allenamento con Pozzovivo. Anche se lo sfondo può trarre in inganno erano con le bici da strada
Giusto ieri Diego è uscito in allenamento con Pozzovivo. Anche se lo sfondo può trarre in inganno erano con le bici da strada
E nel pomeriggio vai anche in bici?

No, ci vado a seguire. Non mi piace troppo fermarmi e poi riprendere. Quando esco in bici in questi casi faccio un paio di ore per velocizzare  un po’. Quindi cerco di non scendere sotto le 90 rpm e sempre con uno sforzo non intenso.

E siamo a mercoledì…

Sono ancora 3 ore, ma con qualche salitella in più. In questo periodo quando si parla di salita intendo quelle fino a 20′, non troppo lunghe. L’intensità dell’uscita è sempre quella della base, quindi Z1-Z2 e magari si tocca un po’ la Z3 bassa per qualche istante in salita, ma giusto per alzare un po’ i battiti. E poi nel pomeriggio faccio stretching, quello sempre. Credo serva molto… soprattutto alla mia età!

Giovedì?

Ripeto quanto fatto il marterdì.

Venerdì invece?

Ancora ore di sella. Si va dalle 3 alle 3 ore e mezza, ma sempre con le stesse modalità del lunedì.

In questo periodo è davvero raro vedere un pro’ che esce anche se piove. Anche Ulissi in questi casi preferisce lavorare al chiuso
In questo periodo è davvero raro vedere un pro’ che esce anche se piove. Anche Ulissi in questi casi preferisce lavorare al chiuso
Quindi il sabato?

Quattro ore, si allunga un po’. I ritmi però non aumentano. Sono gli stessi del mercoledì.

E siamo infine all’ultimo giorno della settimana?

Riposo. Ma questo vale in una settimana tipo. Poi la realtà è legata al meteo, come ho detto. Ho una tabella da rispettare, ma soprattutto fino al primo training camp è una tabella variabile. Insomma per ora sono allenamenti “no stress”.

Diego, prima hai detto “alla tua età”, quindi sei un esperto. Se dovessi fare un paragone rispetto a una dozzina di anni fa in cosa differisce questo periodo?

In realtà, almeno per me, cambia davvero poco. Quel che è diverso è che prima magari facevi anche 5 ore, ma era davvero una passeggiata. Era un “pascolare”. Adesso questo tipo di uscita non esiste più. Si fanno meno ore, sempre senza faticare, però un pizzico di ritmo, di buon passo c’è sempre.

Juniores e U23, siamo fermi! Bragato va giù duro…

03.11.2022
10 min
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Non si possono prendere a paragone Pogacar, Evenepoel, Ayuso e Vingegaard. Ma alle loro spalle non ci sono italiani e soprattutto italiani giovani in arrivo dagli juniores e gli under 23. Nibali ha chiuso il Giro al quarto posto a 38 anni. Colbrelli ha vinto la Roubaix a 31. Dove sono i nostri ragazzi? Ieri un corridore ci ha detto che se ne parla tanto e alla fine non si capisce più niente, eppure nei giorni scorsi Ulissi e poi Trentin hanno tirato fuori argomenti decisamente concreti. E noi con questi abbiamo bussato alla porta di Diego Bragato, che ha da poco concluso con Salvoldi delle batterie di test sugli juniores ed è responsabile della performance alla Scuola Tecnici, che ha recentemente preso il posto del Centro Studi.

Questo pezzo sarà lungo da leggere, ma il ragionamento non fa una grinza. Può essere il punto di inizio per il cambiamento. Se a qualcuno, soprattutto nelle squadre juniores e U23, sta a cuore la salute del nostro ciclismo.

Bragato sostiene Viviani al via dell’eliminazione che vedrà Elia campione del mondo anche nel 2022
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Non hai la sensazione che si punti ad alzare troppo il livello della prestazione degli juniores, lasciandogli pochi margini per quando passano di categoria?

Come sempre non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma di certo c’è troppa enfasi sulla categoria juniores. Enfasi legata ai volumi, al simulare quello che fa il professionista, invece di costruire una formazione a lungo termine. Purtroppo il nostro movimento spinge per la ricerca del risultato da junior, piuttosto che per la costruzione di un atleta che avrà risultati dopo 5-6 anni.

All’estero fanno più corse a tappe e meno gare di un giorno…

Noi siamo l’ultima fra le Nazioni di alto livello che corre ancora per le gare della domenica. Quindi a vari livelli, non solo negli juniores ma anche molto negli under 23, lo schema è sempre quello. Corsa la domenica. Lunedì, recupero. Martedì, un po’ di lavoro di forza. Mercoledì, distanza. Giovedì, un po’ di lavoro easy. Venerdì, velocizzazione. Sabato, recupero. Domenica, gara. E cosi per tutto l’anno, aspettandoci una condizione che porti a vincere più gare possibili. Ma questo ciclismo non esiste più. Le altre Nazioni hanno ridotto di molto il numero di gare durante l’anno, a vari livelli: da junior in su. E insegnano agli atleti a costruire la prestazione in funzione di un obiettivo.

Per Herzog, 30 giorni di corsa nel 2022 e la vittoria del mondiale juniores, a capo di un avvicinamento mirato
Per Herzog, 30 giorni di corsa nel 2022 e la vittoria del mondiale juniores, a capo di un avvicinamento mirato
Da noi invece?

I nostri ragazzi crescono come si faceva una volta. Trovano la condizione con le gare, quindi continuando a correre, hanno dei risultati a livello giovanile, ma non imparano ad allenarsi. Così arrivano in un mondo professionistico in cui giustamente, come descrive Trentin, ormai non puoi più sfruttare le gare per allenarti, perché devi arrivarci già in condizione. E noi non siamo capaci, né fisicamente né mentalmente. Fisicamente magari i preparatori possono anche aiutarci, ma mentalmente è un’altra cosa.

In che senso?

I nostri ragazzi non sono pronti ad allenarsi per arrivare pronti alle gare, perché nessuno glielo insegna. Gli insegniamo solo a correre. Ad andare in fuga e non tirare e aspettare la volata. Invece il ciclismo non è più questo.

Trentin ha parlato anche di volumi di lavoro a suo avviso eccessivi…

Spesso è così, il problema è che anche tra gli allievi si allenano quasi come dilettanti. Fanno volumi di lavoro più grandi degli juniores. Poi da juniores si allenano come gli under 23 o gli elite. E quando sono under 23 non hanno più margini. Purtroppo è così. Si predilige la quantità piuttosto che la qualità del lavoro. E la multidisciplinarità, come giustamente dice Trentin e come dimostra la pista, è un modo per preservare le qualità a discapito della quantità. La quantità si può mettere anche dopo. La qualità, invece se non viene preservata, poi non la ripeschi più.

Vittoria al Gp FWR Baron per la Work Service, una delle squadre plurivittoriose (photors.it)
Vittoria al Gp FWR Baron per la Work Service, una delle squadre plurivittoriose (photors.it)
E che cosa succede?

Abbiamo degli atleti che diventano degli ottimi gregari, cioè persone in grado di subire un carico a lungo termine per tanto tempo, ma non di imporre il proprio ritmo. Purtroppo diventano, tra virgolette, dei soldati. Gente che ha gran volume sulle spalle, ma non fa la differenza.

A livello di comunicazione con le società si può far qualcosa? 

In realtà sono parecchi anni che nei corsi di formazione, il Centro Studi prima e la Scuola Tecnici adesso continua a battere su questi messaggi. Cioè sul preservare il talento, ridurre i volumi in generale, intesi come chilometri e ore fini a se stessi, puntando invece sulla qualità. Ma sembra che questo messaggio non passi o meglio non passa in toto. Ci sono delle squadre che hanno cambiato ritmo, bisogna dirlo. E se le squadre estere ritengono i nostri juniores appetibili è perché comunque vedono che in determinati ambienti si inizia a lavorare nel modo giusto, quindi quello bisogna riconoscerlo.

Come leggi il fatto che alcuni vadano all’estero?

Fa specie il fatto che li vengono a prendere da juniores, probabilmente per… salvarli dalla nostra categoria under 23, dove invece alcune squadre ancora lavorano per vincere la gara della domenica, invece di costruire un atleta pronto a maturare per diventare un valido professionista.

Lorenzo Germani è diventato tricolore U23 passando alla Groupama-FDJ e con loro ora approda fra i pro’
Lorenzo Germani è diventato tricolore U23 passando alla Groupama-FDJ e con loro ora approda fra i pro’
Secondo te la svolta continental cambia un po’ gli atteggiamenti, oppure si chiamano continental ma fanno le stesse cose di prima?

Io ho paura che continuino a fare le stesse cose. A meno che non riesca a tornare in Italia una squadra di riferimento che detti le regole, perché questi atleti possono essere appetibili per loro. Sennò rischiamo di aver semplicemente cambiato l’etichetta, ma di lavorare come prima. Non a caso, me lo insegna chi ha la memoria storica migliore della mia, atleti come Nibali, lo stesso Viviani, Caruso, Guarnieri, Bettiol, Cimolai e Bennati, che adesso è cittì della nazionale, sono tutti ragazzi venuti fuori dall’ultima scuola italiana, che era la Liquigas. Poi abbiamo avuto ben poco. C’è Ganna, ma lui è un fenomeno a parte con caratteristiche completamente diverse. Gli ultimi atleti di un certo livello, soprattutto per le gare a tappe, venivano fuori da una squadra che gli ha dato il tempo, come giustamente diceva Ulissi, di crescere da capitani, non di crescere da gregari. Moscon e company sono andati nelle squadre dove vengono pagati parecchio, dove devi rendere per quello che la squadra ti dice. Così crescono per aiutare gli altri. Quindi sviluppano le abilità e la mentalità da gregario e non da capitano che dovrà emergere.

Se sei forte non emergi lo stesso? Oppure il problema è di mentalità?

Secondo me il problema non è tanto fisico, perché gli atleti ce li abbiamo. E’ proprio mentale. Crescere con la mentalità di costruirsi, di essere responsabile della propria prestazione in funzione di un obiettivo e non in funzione di un valore medio che ti garantisca di essere un buon atleta tutto l’anno. Costruire un obiettivo e vincerlo. Come Van Aert. Va bene che lui è un fenomeno fisicamente, ma anche di testa è uno che sa puntare un obiettivo, arrivare pronto a qualsiasi gara decida. Non è mica così facile, già Van der Poel lo soffre un po’ di più. Invece Van Aert è una macchina, veramente una macchina. E noi dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a essere responsabili della loro performance, ascoltarsi e costruirla in funzione di un obiettivo. Non semplicemente a vincere più gare possibili durante l’anno.

Il Piva Junior è una delle classiche per juniores, vinto quest’anno da Scalco, passato in Bardiani (photors.it)
Il Piva Junior è una delle classiche per juniores, vinto quest’anno da Scalco, passato in Bardiani (photors.it)
Tanti sono passati, hanno vinto e hanno smesso presto. Vedi i corridori del 1990…

Ci sono situazioni diverse, perché io vedo dei ragazzi che da under 23 sono seguiti in tutto e per tutto, anche troppo e più dei professionisti. Vanno forte, poi passano e non hanno più chi li porta ad allenarsi ogni giorno e gli dice di svegliarsi, di stare attento a cosa mangiano. Da pro’ devono essere responsabili di se stessi. Solo che non sono in grado perché non nessuno l’ha mai insegnato. E quindi per un anno o due vivono di rendita e poi spariscono. Quello che hai fatto per un po’ ti resta , ma se poi non continui ad allenarlo, sparisce e loro cambiano completamente tipologia  di atleta.

Hai parlato di situazioni diverse…

Sì, ci sono anche quelli che da under 23 lavorano troppo, fanno volumi enormi e vincono perché si allenano molto più degli altri. Poi quando passano professionisti e trovano quelli che si allenano come loro, si appiattiscono.

Nei test che fate è possibile valutare il tipo di attività che gli viene proposta?

Quando facciamo i test degli juniores, vediamo che atleti interessanti ce ne sono. Però guardandoli anno per anno, monitorandoli da junior di primo e secondo anno e poi da under 23, vediamo che spesso i valori di forza, quelli che fanno la differenza nel ciclismo moderno, vengono appiattiti. Dico spesso e non sempre, perché alcuni lavorano bene. Gli altri, ragazzi e ragazze, vanno a fare solo volumi, solo chilometri e ore.

L’attività della tedesca Auto Eder U19 è concentrata prevalentemente su gare a tappe
L’attività della tedesca Auto Eder U19 è concentrata prevalentemente su gare a tappe
E cosa succede?

Non fanno più lavori di qualità e quindi si vede che diventano meno forti. Si abbassano proprio a livello di forza. Magari sono in grado di fare 3-5 ore. Vincono le gare juniores perché sono abituati a distanze superiori, ma poi quando passano ed è ora di fare la differenza su uno strappo o su una serie di muri, non ne hanno più. Passano dai 1.600 watt che facevano in volata da juniores ai 1.300 che fanno da under 23, che è quindi la differenza tra vincere una volata e tirarla.

Come se ne esce?

Bisogna tornare a rendere i ragazzi responsabili della loro performance, legandosi anche alle sensazioni. E’ fondamentale. Il misuratore di potenza serve a noi preparatori per avere un occhio in più, ma loro devono capire quando stanno bene, quando stanno male, quali sono le cose che li portano in condizione. Quali sono le strategie per mantenere la condizione e capire che durante l’anno ci sono dei periodi di picco, periodi di lavoro, periodo di scarico. Questo bisogna insegnargli, altrimenti fanno stagioni intere a cercare più vittorie possibili. E pensano che più vincono e più possono passare under. Oppure la nazionale li convoca per i mondiali, perché hanno vinto 20 corse.

I convocati per il mondiale juniores in quali condizioni arrivano al grande appuntamento?
I convocati per il mondiale juniores in quali condizioni arrivano al grande appuntamento?
E al mondiale come vai?

Quando uno vince 20 gare in un anno, al mondiale non sarà mai al 110 per cento. Vai a scontrarti con Nazioni che prendono un gruppo di atleti e lo preparano in funzione del mondiale e quindi quel giorno andranno forte, perché hanno lavorato sull’obiettivo. Noi non abbiamo questa mentalità, ma lavoriamo in funzione della domenica. Di vincere più gare possibili…

Ai tempi di Fusi, questo gruppo di lavoro che limitava anche l’attività di club esisteva: può essere un aspetto da rivalutare?

Può essere un buon modo di tutelarli ed è quello che abbiamo fatto in questi anni con il gruppo pista under ed elite e qualcosina anche con gli juniores. Il fatto di iniziare a dare la mentalità del lavoro in funzione di qualcosa, quindi con dei richiami continuativi in settimana e con gare a tappe messe nei posti giusti che servono per determinati aspetti. Questo è un lavoro che con quel gruppo abbiamo fatto. Tuttavia, con la realtà ciclistica che abbiamo a livello nazionale, non è facile perché gli interessi delle squadre sono importanti. Ma penso anche che ormai stia diventando un’esigenza e che non possiamo più nasconderci. Dobbiamo assolutamente riprendere in mano questa situazione.

Pietro Mattio, come pure Belletta, passerà U23 nella Jumbo Visma Development
Pietro Mattio, come pure Belletta, passerà U23 nella Jumbo Visma Development
Come se ne esce secondo Bragato?

Sarebbe importante secondo me che ci fosse un collegamento tra squadre. Dagli junior agli under, fino ad arrivare alle squadre pro’. Servirebbe un collegamento serio, con un responsabile che segua il percorso degli atleti e sappia quando un ragazzo è pronto per passare. In questo modo, l’obiettivo degli juniores non sarà vincere tante gare, ma essere pronti per la squadra pro’. Il ragazzo viene tutelato e non ha più il bisogno di vincerne 20 a stagione per essere sicuro di passare, ma può prendersi il tempo di crescere, di sbagliare e provare a lavorare in funzione di quello che diventerà poi come atleta. Che questo sia un percorso creato da una nazionale o dai vivai in collegamento con le squadre, purché sia un collegamento solido e continuo e non per interesse stagionale, può essere la svolta.

Questa potrebbe essere la chiave anche per trattenere i nostri in Italia…

Il fatto che gli altri vengano a prendere i corridori italiani è perché non sono stupidi. I nostri sono forti, lo sanno tutti che sono forti. Ma se li prendono da junior è per tutelarli il prima possibile. Perché ovviamente qualcosa noi sbagliamo. E loro se ne sono accorti

Il misterioso male italiano: Trentin cerca risposte

31.10.2022
5 min
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Tirato in ballo da Ulissi e dalla nostra curiosità sull’argomento, anche Matteo Trentin, classe 1989, prova a ragionare sui diversi step che lo portarono al professionismo e che, al netto delle sue qualità intrinseche di atleta, gli hanno permesso di essere ancora vincente a 33 anni.

«Dispiace che Sonny (Colbrelli, ndr) abbia dovuto fermarsi così – dice – lui è del 1990, ma ha seguito il nostro stesso percorso e stava venendo fuori col tempo. Però tanti della nostra generazione hanno seguito un’altra… tabella. Alcuni sono stati super da dilettanti, magari sono andati bene appena passati, ma di base erano già finiti. Ci sono tanti aspetti da prendere in considerazione e fra questi c’è la squadra in cui passi. Se finisce in una piccola in cui non si lavora per te ma per la squadra stessa, i rischi di non venire fuori ci sono di più».

Al tricolore U23 del 2011 a Melilli, in Sicilia, piega Fabio Aru e si lancia tra i pro
Al tricolore U23 del 2011 a Melilli, in Sicilia, piega Fabio Aru e si lancia tra i pro
Sonny passò a 21 anni, tu a 23 e negli under non hai mai fatto un’attività eccessiva, pur avendo vinto corse come Liberazione, De Gasperi e campionato italiano…

Feci forte l’ultimo anno e mezzo (2010-2011, ndr), altrimenti non sarei passato. Oggi sarei stato vecchio, forse non sarei diventato professionista. Oggi quelli che arrivano un po’ lunghi li perdi per strada.

Perdi anche quelli che arrivano presto e magari non sfondano subito…

Vero anche questo. Dipende dalla squadra. Se sono passati in una WorldTour e sono ancora giovani, magari veleggiano ancora un po’ e tirano avanti. Trovi sempre il manager che valuta la qualità e pensa di poter tirare fuori il corridore dove altri non sono riusciti, ma spesso non riescono. Pogacar, Evenepoel e Ayuso non sono da prendere a riferimento.

La prima vittoria di Trentin dai pro’ fu la tappa del Tour 2013 a Lione: non aveva ancora 24 anni
La prima vittoria di Trentin dai pro’ fu la tappa del Tour 2013 a Lione: non aveva ancora 24 anni
Al secondo anno vincesti una tappa al Tour. Il Trentin di 23 anni avrebbe avuto le forze per partire subito a gas aperto?

Il fisico c’era, ma erano anni di un ciclismo completamente diverso. Ho sentito le critiche ai percorsi del Giro e del Tour, che sarebbero uno per i cronomen e uno per gli scalatori. Ma non si sono resi conto che il ciclismo di Cipollini e Pantani non c’è più? Oggi ci sono corridori che vanno molto più forte e sono anche tanti, perché rispetto ad allora si è tutto mondializzato. Un anno andai a fare il Turchia dopo le classiche, preparando il Giro. Non stavo un granché e lo usai per allenarmi. Se ci vai così oggi, ti lasciano per strada. Oggi si va alle corse per vincere.

Non più per allenarsi?

Van Aert è l’esempio perfetto, lui corre sempre per vincere. E infatti non fai più 80 giorni di corsa come una volta. Quelli che fanno più giorni sono alcuni gregari che devono coprire le esigenze della squadra. Una volta la media era di 80 giorni con punte di 100. Oggi la media è di 60.

Il Giro del Veneto del 12 ottobre è stato la terza vittoria 2022 di Trentin
Il Giro del Veneto del 12 ottobre è stato la terza vittoria 2022 di Trentin
Ulissi dice: «Ci dicono che siamo vecchi e di lasciare posto ai giovani, ma dove sono quelli che dovrebbero prenderlo?».

Come italiani c’è qualcosa che non torna. Io non ho mai visto gli juniores stranieri che fanno altura. I nostri ormai vanno anche da esordienti. Quando ero junior io, andare in altura significava andare una settimana in baita a giocare con la mountain bike, perché sotto c’era troppo caldo. Quando vai in altura, trovi i ragazzini italiani e gli svizzeri, soprattutto. E infatti, magari sarà un caso, neppure la Svizzera riesce a esprimere grandi corridori. Ci sono Kung e Hirschi, come movimento avrebbero anche una base solida, ma poi si perdono.

Torni al discorso di prima su quelli che hanno dato troppo da giovani e si sono finiti?

Il discorso è complicato, io osservo e dico quello che vedo. Per me gli juniores italiani sono esagerati. Se le gare durano 3 ore e mezza, a che serve fare allenamenti di 5 ore e mezza? A che serve andare in altura? Se ogni anno fai 4 settimane di altura da junior, da pro’ devi starci due mesi? C’è qualcosa che non mi torna. Troppo allenamento? Troppa vita da pro’?

Quinto ai mondiali di Wollongong: senza quel finale così confuso, la medaglia era a portata di mano
Quinto ai mondiali di Wollongong: senza quel finale così confuso, la medaglia era a portata di mano
Tu cosa pensi?

Nelle squadre all’estero puntano sulla tecnica, gli insegnano l’alimentazione e continuano a fare altre discipline, come ad esempio il cross. Da noi appena passi under 23, ti fanno smettere. Faccio un nome a caso, quello di De Pretto. E’ passato dilettante e ha smesso di fare cross, dove andava davvero forte. Ci sono professionisti del Nord Europa che continuano a fare strada e cross. Se con loro funziona, perché qui non va bene? E’ una palestra, come per i pistard che la pista non la mollano. Abbiamo il nostro gruppo di atleti di endurance, all’estero quelli che durante l’anno fanno pista, d’inverno vanno a fare le Sei Giorni, che gli permettono di tenere il colpo di pedale. Ne parlavo con Covi, che nel cross era forte.

E cosa ti diceva?

Che ha dovuto smettere perché si ammalava sempre, perché il suo sistema immunitario non reggeva questo doppio impegno. Così ha un senso, mentre altri smettono come se non si potesse più fare.

Trentin ha continuato nel cross fino al debutto tra i pro’: qui nel 2011 da U23 ai mondiali di St Wendel
Trentin ha continuato nel cross fino al debutto tra i pro’: qui nel 2011 da U23 ai mondiali di St Wendel
Tu perché hai smesso?

Io ho continuato finché sono diventato pro’, poi ho smesso perché diventava difficile per la logistica, ma fino agli U23 l’ho tenuto e mi è servito. In questo il Belgio è avvantaggiato. Tutto il territorio nazionale è grande quanto il Triveneto, ti bastano 2 ore di macchina per fare tutto. Ulissi ha ragione, ma non so dire perché. Di sicuro qualcosa da noi non funziona.

Parla Ulissi: per vincere da giovani serve avere fame

30.10.2022
6 min
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Quando Matteo Trentin ha vinto il Giro del Veneto (foto di apertura) e ha ricevuto l’abbraccio di Ulissi, sesto all’arrivo, il pensiero spontaneo è stato: forti, questi… vecchietti del 1989. Nello stesso giorno, Elia Viviani ha vinto il mondiale dell’eliminazione, anche lui dello stesso anno. Come Puccio, Nizzolo e pochi altri. Al confronto con quelli del 1990 che hanno smesso da un pezzo (ad eccezione di Felline, Sbaragli e Colbrelli, che si è appena ritirato per i noti problemi di salute), l’annata parrebbe baciata da una sorte propizia. Esiste un motivo?

Dopo aver vinto i mondiali juniores 2006-2007, Ulissi ha corso per 2 anni fra gli U23. Qui alla Coppa San Daniele (photors.it)
Dopo aver vinto i mondiali juniores 2006-2007, Ulissi ha corso per 2 anni fra gli U23. Qui alla Coppa San Daniele (photors.it)

Approcci diversi

La sensazione è che i ragazzi del 1989 abbiano vissuto un’attività giovanile proporzionata all’età, poi siano passati e abbiano avuto il tempo per adattarsi al professionismo e dire la loro. Quelli del 1990 al confronto hanno vissuto allo stesso modo fra juniores e under 23, poi però sono stati buttati dentro a gas aperto. Hanno raccolto subito risultati importanti. Poi, non avendo le basi per sostenerli, si sono fermati.

Con Diego Ulissi, che in questi giorni si trova in Toscana per godersi l’aria di casa, ragioniamo proprio su questo, per la voglia di capire come mai si faccia così fatica a trovare italiani giovani con la voglia e le gambe per spaccare. Ulissi è professionista dal 2010. Ha vinto per due volte il mondiale juniores e 46 corse nella massima categoria, fra cui 8 tappe al Giro. Oggi, a 33 anni, è uno degli uomini chiave al UAE Team Emirates, tanto da aver rinnovato il contratto fino al 2024.

Dopo i successi da junior, Ulissi ha corso un mondiale da U23 (nel 2009, nella foto è con Caruso) e sette da pro’
Dopo i successi da junior, Ulissi ha corso un mondiale da U23 (nel 2009, nella foto è con Caruso) e sette da pro’
Hai mai pensato a certe cose?

Il tempo per pensare veramente è poco (ride, ndr). E’ diventato uno sport in cui devi soprattutto stare al passo coi tempi. I giovani sono subito competitivi, segno che la loro preparazione è diversa rispetto alla nostra alla stessa età. Non c’è più quel salto di categoria per cui a noi dicevano di partire da zero. Io ad esempio al primo anno da pro’ corsi davvero con il contagocce.

Poche corse?

Poche e del livello giusto. Si vedeva come andava la Coppi e Bartali e poi semmai ti mandavano al Giro di Svizzera. Prima di correre un grande Giro, volevano essere certi che ce la facessi, mai una volta che ti buttassero per vedere come andava. C’era una serie di passaggi, mentre quelli che passano ora sono pronti per fare le grandi corse, come se avessero fatto le stesse cose anche nelle categorie giovanili. Noi del 1989 abbiamo avuto una crescita graduale e, ciascuno col suo ruolo, siamo ancora qua. Alcuni che hanno fatto risultato subito si sono già ritirati.

Al primo anno da pro’, Ulissi ha vinto il Gp Industria e Commercio di Prato, battendo Scarponi e Proni
Al primo anno da pro’, Ulissi ha vinto il Gp Industria e Commercio di Prato, battendo Scarponi
Hai vinto due mondiali juniores, oggi saresti passato dritto fra i pro’.

Tutti pensavano che vivessi come un pro’ e che così mi allenassi, ma non era vero niente. Da junior sei ancora nella fase di crescita e io evidentemente avevo raggiunto prima la maturazione, ma non è che facessi cose fuori dal comune. C’erano anche altri corridori che andavano forte. Quando ho vinto il secondo mondiale, facemmo i tre gradini del podio.

Non hai mai pensato di bruciare le tappe?

Il secondo anno da junior, partii tardi. Ebbi la polmonite e pare che i miei problemi di miocardite degli anni successivi siamo partiti da lì. L’anno successivo andavo male a scuola e i miei genitori, che spingevano perché mi diplomassi, mi costrinsero a chiudere la stagione un mese prima. Poi andai nei dilettanti e feci una fatica immensa, perché avevo già firmato e mi tenevano a freno. Quando sono passato, ho vinto subito, ma ugualmente avvertivo di essere indietro e ho iniziato una crescita costante.

Diego Ulissi, Joao Almeida, Patrik Konrad, Monselice, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2020, Ulissi ha vinto 2 tappe: qui batte Almeida e Konrad a Monselice
Diego Ulissi, Joao Almeida, Patrik Konrad, Monselice, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2020, Ulissi ha vinto 2 tappe: qui batte Almeida e Konrad a Monselice
Pensi che se ti avessero spinto subito perché vincessi, saresti stato all’altezza?

Non lo so. Oggi vedo che è naturale passare e primeggiare. Le preparazioni sono al top come l’alimentazione: vedi giovani che passano e sono già competitivi. Ayuso ha fatto il podio alla Vuelta a 20 anni. Sono precoci anche nella mentalità. Io sono passato negli anni di Petacchi, Cunego, Bettini e Scarponi e anche in allenamento avevo timore anche solo di passare davanti a campioni che prima guardavo alla televisione. Ora è diverso, oggi devi spostarti tu, ma io non cambierei nulla del mio percorso. Sarei potuto passare in modo più aggressivo e probabilmente sarei stato competitivo, ma certamente sarei durato di meno. Non si inventa niente. Se passo e sono vincente a 21-22 anni, quanto a lungo posso durare?

Anche Pogacar ha parlato di tenuta nel tempo…

La gente guarda Tadej e pensa che vada bene per tutti. Sono pochi quelli che sfondano subito, altri passano presto, ma avrebbero bisogno di più tempo per spalmare meglio la crescita. Se vai forte al primo anno, dicono che ti spremono troppo da giovane. Se non vai forte, allora si lavora male fra juniores e U23. E’ il problema del ciclismo italiano.

Nell’ultimo Giro di Lombardia, Ulissi ha lavorato per Pogacar, che poi ha vinto
Nell’ultimo Giro di Lombardia, Ulissi ha lavorato per Pogacar, che poi ha vinto
Si ragiona anche del poco spazio in certe squadre…

Per come va adesso da noi, per avere spazio devi andare davvero forte e allora emergi. Altrimenti ci sono così tanti corridori in gamba, che ti tocca tirare. Rivendico ogni giorno la mia scuola, rifarei tutto il percorso. La Lampre mi ha permesso di crescere senza pressioni. Se avevo un passaggio a vuoto, nessuno mi stava addosso.

Per emergere serve solo andare forte o anche essere cattivi?

Ecco, questo è un punto. Mi sono accorto negli ultimi anni in UAE, nei vari ritiri dove è capitato di avere dei giovani in prova, che quello che manca negli italiani è la cattiveria. Avete toccato un tasto interessante. Se la mattina si dice che faremo cinque ore e mezza a un certo ritmo, gli stranieri non dicono nulla, i nostri si lamentano perché quel giorno lì dovrebbero fare di meno. Essere cattivi non significa essere sbruffoni, ma quando è necessario, devi tirare fuori gli attributi. Altrimenti non vinci nemmeno le garette. Ci dicono che siamo vecchi e di lasciare posto ai giovani, ma dove sono quelli che dovrebbero prenderlo?

Covi: passaggio in Canada, poi gran finale in Italia

04.09.2022
5 min
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Mentre quasi tutti erano impegnati sulle strade di mezza Europa a correre e darsi battaglia, Covi era a Livigno. Tanti giorni di allenamento e molti chilometri nelle gambe, finalmente pronto per ripartire. 

«Lo stop di quasi due mesi non era previsto – spiega – dopo il Giro d’Italia l’obiettivo era di fare Vallonia, San Sebastian e Tour de l’Ain. Insomma, i progetti erano diversi, ma il Covid si è messo di mezzo, facendomi perdere quasi 20 giorni di allenamento. Non il massimo con la stagione in pieno svolgimento. Non potendo andare in bici ho riposato e ripreso fiato, anche se non ne avevo molta voglia. Ho rincominciato poco alla volta e come prima cosa abbiamo pensato, insieme alla squadra, di andare a Livigno, lontani dal caldo e da altre distrazioni».  

La vittoria al Fedaia aveva dato grande motivazione e voglia di far bene, ma il Covid ha fermato il buon momento di Alessandro
La vittoria al Fedaia aveva dato grande motivazione e voglia di far bene, ma il Covid ha fermato il buon momento di Alessandro

Due mesi di troppo

Non si affacciava alle corse da quasi due mesi. E’ tornato a correre in Francia, al Tour du Limousin, a metà agosto. Subito dopo, il tempo di rifare la valigia ed è partito per Weimar, destinazione Giro di Germania. D’altronde la vita del corridore è questa. E quando per un motivo o per un altro non si riesce a farla, ci si sente come privati di un pezzo di sé. 

Covi aveva chiuso la prima parte di stagione con una grande vittoria al Giro d’Italia. E adesso che finalmente è riuscito a ripartire, è super concentrato sulle gare che mancano da qui a fine stagione. Il passo è breve, ma le ambizioni sono alte. D’altronde quest’anno il “Puma di Taino” ha iniziato a vincere e ci ha preso gusto

Covi (tra Trentin ed Ulissi) debutterà in Canada e poi farà il finale di stagione in Italia, a caccia di un successo
Covi (davanti ad Ulissi) debutterà in Canada e poi farà il finale di stagione in Italia

Step dopo step

Ripartire da zero non è facile, servono testa, grande forza di volontà e un pizzico di pazienza. Inutile mangiarsi il fegato e forzare il ritmo per tornare subito in condizione. 

«Alla fine – dice ancora il Puma – riprendere è semplice, quel che è più difficile è riprendere a correre. Quello che ti scoccia di più è fare un lavoro di preparazione quasi invernale in un momento di piena stagione. E’ chiaro che avrei preferito ripartire subito ed andare forte già da dopo il Giro d’Italia, ma non è andata così, non ci posso fare nulla e la devo prendere con filosofia (racconta con un sorriso, ndr). L’obiettivo era di fare una base, quindi si è pensato di andare a Livigno, essendo in altura non potevo fare certi tipi di lavori, come quelli di forza. Ero seguito dalla squadra, avevo i massaggi tutti i giorni ed il supporto tecnico. In più ero affiancato da due ragazzi di Abu Dhabi che si allenavano con me tutti i giorni. Le sensazioni al Giro di Germania erano un po’ altalenanti, a volte mi sentivo bene altre no. Ma è normale quando rientri alle corse».

Nel 2021 un gran finale di stagione per Covi, al quale è mancata solamente la vittoria: qui al Giro di Sicilia dietro Nibali e Valverde
Nel 2021 un gran finale di stagione per Covi, al quale è mancata solamente la vittoria: qui al Giro di Sicilia dietro Nibali e Valverde

Canada e poi Italia

Ora per Alessandro c’è la trasferta in Canada, per debuttare nelle corse WorldTour d’oltre Oceano. Il Grand Prix Cycliste de Quebec del 9 settembre e il Grand Prix Cycliste de Montreal di due giorni dopo. Poi, come è stato anche lo scorso anno, si chiuderaà con il calendario italiano, sperando di ritrovare la vittoria.

«E’ la prima volta che vado in Canada – dice – saranno gare nuove ed importanti, ci tengo a farle bene. Anche la squadra vorrà ben figurare, ci sarà un team forte: con Ulissi e soprattutto Pogacar. Diego (Ulissi, ndr) mi ha raccontato un po’ come sono le corse laggiù e come funzionano i circuiti. Sono uno abbastanza curioso, soprattutto quando si tratta di correre in nuovi Paesi, non vedo l’ora di provare.

«Una volta tornati dal Canada ci saranno le corse italiane: Bernocchi, Agostoni, Tre Valli Varesine, Gran Piemonte… Poi le ultime in Veneto. Sono gare che ho imparato a conoscere, spero di ottenere una bella vittoria piuttosto che tanti piazzamenti come nel 2021. Il 29 agosto ci sarà la Coppa Agostoni, il giorno dopo il mio compleanno, chissà se mi regalerò un buon motivo per festeggiare. Mi piacerebbe fare bene anche alla Tre Valli, la gara di casa, ci ho messo un cerchio rosso, prima o poi in carriera spero di vincerla».

Un dolce ritorno

Dalla prossima stagione sull’ammiraglia della UAE Team ADQ, la squadra femminile dell’emirato, siederà Davide Arzeni, una vecchia conoscenza di Covi. Il “Capo” l’ha guidato fra gli juniores, i due si ritroveranno dopo parecchio tempo.

«Ho visto le notizie, ma mi aveva già anticipato del suo arrivo con un messaggio, abbiamo scherzato un po’. Mi ha detto che mi tirerà il collo e mi porterà a fare qualche dietro macchina – dice ridendo – gli ho risposto che lo prenderò un po’ in giro. A parte tutto sono contento per lui, ha sempre avuto un ottimo rapporto con i suoi atleti, diventa quasi un amico. Ti sta dietro giorno e notte, è super disponibile, tira fuori davvero il meglio da tutti i suoi atleti. Lo incontrerò più spesso rispetto ad ora, ma non credo ci vedremo molto, purtroppo. Sarà bello anche pensare che è lì vicino a me».