Dal trionfo alla depressione: cosa ci insegna il caso Hayter?

07.09.2024
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La storia di Leo Hayter che si ferma e racconta tutto il brutto che gli passa per la testa ha continuato a risuonarci nelle orecchie. Il britannico non è il solo giovane corridore sottoposto costantemente a sollecitazioni da primo della classe, ma forse senza volerlo è diventato l’anello debole della catena e anche il più famoso. Altri smettono, ma non hanno gran nome e nessuno se ne accorge.

E’ difficile capire se la ragione sia solo nello sport o in un conteso più ampio. Per questo abbiamo chiesto alla dottoressa Manuella Crini di leggere le sue parole, cercando di capire cosa potrebbe esserci dietro. La psicologa di Alessandria ha collaborato con il Comitato regionale piemontese per una serie di tematiche fra cui l’ansia negli atleti più giovani e difficilmente riconduce tutto al ristretto ambito dello sport di elite, seppure da lì possa scoccare la scintilla che fa partire l’incendio.

Manuella Crini, psicologa
Manuella Crini, psicologa
Lo sport è il punto di partenza?

Indubbiamente ci devono essere dei trigger, il grilletto che viene tirato affinché una patologia diventi manifesta. Indubbiamente la richiesta di prestazioni molto elevate può essere uno di questi. Quasi tutte le psicopatologie hanno una base familiare, una base genetica. Qualcosa che trasmettiamo, sia come immersione nell’ambiente relazionale primario, ma anche il modo di affrontare il dolore, di affrontare le sfide e le sconfitte. Dall’altro lato, per ciascuno di noi è una storia di vita individuale che ha comunque un peso. Hayter ha un fratello corridore, ma non è detto che due fratelli vivano la stessa esperienza familiare.

Che cosa vuol dire?

Anche due gemelli omozigoti crescono in modo diverso. Se io occupo la piastrella A, mio fratello non può occuparla quindi andrà sulla B, per cui vedrà già il mondo in modo diverso, anche se da soli 10 centimetri di distanza.

Esiste un’età nella quale sei pronto a sostenere certi stimoli legati alla richiesta di prestazioni elevate? Esiste una progressività nello stimolo dell’atleta oppure, col fatto che sono forti fisicamente, si suppone che siano fortissimi anche mentalmente?

Esisteva, una volta esisteva e dovrebbe ancora esistere. Però si è abbassata di molto e in tanti altri sport si è avvicinata a quella che nel calcio è sempre stata una soglia molto bassa. Nel calcio a otto anni o sei dentro o fuori. Si dovrebbe aspettare quantomeno la fine della pubertà (periodo che va dai 9 ai 14 anni, ndr) e l’inizio dell’adolescenza, ma ormai non si aspetta neanche quella. La competizione dovrebbe essere introdotta in adolescenza, sapendo che poi serve l’educazione per affrontarla. Fino alla pubertà in realtà, che tu vinca o perda, hai il tuo premio di partecipazione uguale per tutti. In seguito si inizia ad avere una distinzione, ma in ogni caso devi essere educato alla vittoria e alla sconfitta, che tu arrivi sul podio oppure ultimo. E come puoi reggere una pressione tanto elevata con un cervello in pieno cambiamento?

Leo Hayter e suo fratello maggiore Ethan: il piccolo è da sempre il fan numero uno del più grande (foto Instagram)
Leo Hayter e suo fratello maggiore Ethan: il piccolo è da sempre il fan numero uno del più grande (foto Instagram)
Come?

E’ un bombardamento di cortisolo (un ormone la cui produzione aumenta in condizioni di stress psico-fisico severo, per esempio dopo esercizi fisici estremamente intensi e prolungati, ndr). Puoi viverla da incosciente oppure, se rifletti su quello che stai vivendo e senti la pressione del non essere riuscito, rischi di bloccarti. Ci sono ragazzi molto forti che arrivano davanti al test più severo e si bloccano, come lo studente davanti all’esame che dà più volte e non riesce a superarlo. Si allenano, sentono di essere forti, arrivano al giorno della gara, falliscono e si convincono che nessuna squadra li vorrà mai. Spesso dietro ci sono storie di vita, famiglie disintegrate e altri aspetti personali. E le famiglie spesso sono causa di problemi, tanto che parte del mio lavoro è formare gli istruttori e i tecnici su come gestire le famiglie. Perché spesso la famiglia è invasiva con le sue richieste. Il genitore che magari si improvvisa allenatore per avere anche qualche vantaggio economico, ma non sa nulla di quel mondo.

Hayter ha vinto il Giro d’Italia e nei due anni successivi ha iniziato ad avere questi problemi, smettendo di vincere. Prima hai parlato di educazione alla sconfitta…

Il valore della sconfitta, se viene legato al sentirsi un perdente, è tremendo perché diventa un fatto personale, soprattutto per il tardo adolescente che ancora non è nel mondo adulto al 100 per cento. Se non te lo hanno insegnato, non riesci a scollegare le cose. Ho vissuto una sconfitta e ci sono due possibilità. Se la sconfitta è là, fuori di me, allora l’approccio è giusto. Ma se la sconfitta è dentro di me, mi sento un perdente. E se io sono un perdente, devo ricoprire il ruolo che ho addosso. Mi comporto da perdente in maniera incoscia, inconsapevole, comunque non volontaria. E se mi sento perdente, non riesco più a gestire nulla. Forse allora con questi ragazzini e in chi lavora con loro, la cultura della sconfitta diventa fondamentale.

Vincendo la tappa di Pinzolo, Leo Hayter mette l’ipoteca finale sul Giro U23 del 2022
Vincendo la tappa di Pinzolo, Leo Hayter mette l’ipoteca finale sul Giro U23 del 2022
Anche per guidarli nell’eventuale ripresa?

Certo, non basta ributtarli nella mischia e dirgli di andare: il lavoro deve iniziare da prima. Non dico che devi essere contento di essere sconfitto, ma devi saperti gestire. C’è stata polemica dopo la gara di Benedetta Pilato nel nuoto alle Olimpiadi. Mi è piaciuta molto, è arrivata a quarta invece l’hanno messa in croce perché era contenta di esserci riuscita. Però questa è la cultura, vorrei dire italiana ma credo dell’essere umano, per cui non c’è niente da festeggiare se non hai preso una medaglia. Invece poteva essere veramente una lezione di vita pazzesca. Ha festeggiato perché ha raggiunto un obiettivo che per lei era elevato, anche perché il primo posto è uno e non possiamo occuparlo tutti. 

Una volta una rivista titolò, rivolgendosi a un atleta: se non vinci, non sei nessuno…

Il mondo dello sport secondo me è cresciuto per anni con gli atleti trattati come bestie. E se uno che ce l’ha fatta a suon di botte, ripropone lo stesso modello ritenendolo unico, la catena non si spezza. C’è una fetta di atleti che ha raggiunto degli obiettivi attraverso la mortificazione e quindi applica lo stesso modello, convinto che sia comunque valido perché in tanti casi ha funzionato. Ma se un modello funziona con me, non è per forza universalmente valido. Magari mi è solo andata bene. E poi siamo sicuri che abbia funzionato? Ha fatto di te un atleta migliore, ma vogliamo parlare della persona che sei diventato? Il successo non può essere ridotto solo alla vittoria della gara, c’è anche il successo della vita. E torniamo sempre al fatto che ci dimentichiamo che dietro l’atleta c’è un essere umano.

Benedetta PIlato e la sua esultanza a Parigi per il quarto posto nei 100 rana a un centesimo dal bronzo (foto coni.it)
Benedetta PIlato e la sua esultanza a Parigi per il quarto posto nei 100 rana a un centesimo dal bronzo (foto coni.it)
Cosa faresti se Leo Hayter fosse un tuo paziente?

Intanto, come hanno già fatto, lo bloccherei per un po’ dalle gare, anche dal fargliele vedere. Cercherei di capire, non darei tutto il peso della malattia allo sport, perché credo sia sbagliato. Dietro questo ragazzo c’è un mondo, quindi mi focalizzerei più sulla persona da un punto di vista prettamente terapeutico, psicologico. E poi da un punto di vista più psicoeducativo, lavorerei molto sul significato della sconfitta, su quello che per lui la sconfitta può veramente voler dire, quindi sui suoi nuclei centrali. La tratterei come una depressione normale, nel senso che non darei neanche tutto questo peso allo sport. E poi se ad un certo punto non sarà in grado di tornare a correre, farà altro. Non cercherei di aiutarlo ad uscirne solo per poter fare sport, che invece mi sembra una delle cose su cui tutti puntano.

Racconta di essersi sentito in colpa mentre era in tribuna a vedere il fratello alle Olimpiadi.

Non andarci a vedere le gare, stanne un po’ lontano, disintossicati da quello che evidentemente ti fa star male! Vediamo come va. Poi, piano piano, si potrebbe procedere con una desensibilizzazione, perché non c’è solo la componente depressiva, ma anche una componente ansiosa non da poco, che è controllante. Perché devo andare a vedere le gare se sono fuori? Veramente sto facendo harakiri. Quindi forse lo terrei un po’ lontano e lavorerei, come davanti a una depressione qualsiasi, in maniera farmacologica e in maniera poi terapeutica sui significati.

Leo Hayter ha avuto un’adolescenza di successi e riconoscimenti, sfociati nel passaggio al professionismo
Leo Hayter ha avuto un’adolescenza di successi e riconoscimenti, sfociati nel passaggio al professionismo
Quindi prima l’uomo e poi l’atleta?

Smetterei di trattarla come una malattia dello sport, perché non lo è. Poteva diventare depresso per colpa di qualcos’altro. Se nella vita invece che fare il ciclista avesse fatto il caporeparto al Bennet, chi mi dice che la pressione del lavoro non lo avrebbe destabilizzato comunque? Diciamo che lo sport di altissimo livello ha fatto da cassa di risonanza. Le aspettative nello sport indubbiamente sono un trigger più potente. Ci sono tante patologie di questo tipo, guardate gli attori, i cantanti… Dove c’è un’aspettativa molto alta e senti che non puoi fallire, allora è più facile che tu fallisca. Poi in generale c’è stato un aumento di disturbi d’ansia in tutti i ragazzini e anche negli adulti. Abbiamo tutti lo Xanax nella borsa, perché ormai non riusciamo più a tollerare di poter stare in ansia. L’ansia di fronte a eventi importanti della vita è una condizione normale, invece l’abbiamo patologizzata. E quindi ora c’è più probabilità di sviluppare delle patologie nei giovani, che sono meno attrezzati per fronteggiare tante cose. Non sono più capaci di lasciar andare, ogni ostacolo diventa insormontabile e alla fine crollano. E se leggete bene le sue parole, è quello che sta vivendo questo ragazzo.

Il passo indietro di Leo Hayter apre la porta nascosta

17.08.2024
10 min
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Nei giorni delle Olimpiadi in cui era a Parigi a tifare per suo fratello Ethan, argento nel quartetto, Leo Hayther, vincitore della Liegi e del Giro Giovani U23 del 2022 ha scritto un lungo racconto. Un testo doloroso e crudo, con il quale annuncia che di qui al prossimo anno non lo vedremo più in corsa con la maglia della Ineos. Non lo vedremo e basta.

A 23 anni, compiuti il 10 agosto, il giovane britannico deve fermarsi per una depressione, diagnosticata dallo staff medico della squadra britannica (già dai tempi in cui si chiamava Sky, il team aveva in organico uno psichiatra). Ha provato a ripartire, ma ogni volta è stato peggio. Si è isolato dal mondo. Ha chiuso con gli amici. Il giudizio degli altri lo schiaccia.

Giro d’Italia U23, a Pinzolo la prima vittoria di Hayter che, commosso, viene raggiunto dai compagni
Giro d’Italia U23, a Pinzolo la prima vittoria di Hayter che, commosso, viene raggiunto dai compagni

Un velo da sollevare

Quanto volte si è letto che il ragazzo fosse destinato a un grandissimo futuro? Leo imputa tutto alla pressione che mette su se stesso nel nome della ricerca della perfezione e della magrezza. Eppure, ricollegando la sua storia alle riflessioni di corridori più grandi, ad esempio Trentin, pensiamo che tutto ciò apra una finestra sull’estremizzazione della pressione sugli atleti. Può anche dipendere da lui, ma è innegabile che un ragazzo di 18 anni non abbia la struttura psicologica per sostenere le attese e le pressioni dello sport di vertice. E’ la gradualità cui oggi si sono voltate le spalle. Speriamo che allo stesso modo in cui le parole di Jani Brajkovic ruppero il silenzio sui disturbi alimentari, questo racconto di Hayter faccia capire agli altri ragazzi che vivono la stessa situazione che non sono soli.

«E’ un ciclismo che corre velocedisse Trentin a dicembre – a volte secondo me anche troppo. Nella mia ex squadra c’è il pienone di ragazzini. Ho sentito che a qualcuno del Devo Team hanno fatto il contratto per sette anni, forse si sta correndo un po’ troppo in questa direzione. Cosa ne sai di quel che può accadere fra così tanto tempo? Io credo che questi ragazzi fra non molti anni avranno bisogno di supporto psicologico, perché tante pressioni non le reggi se non sei un po’ adulto e magari rischi di cadere in brutte abitudini per farti forza. Si continua a sovraccaricarli di attese».

Quello che segue è il racconto di Leo Hayter nella sua interezza. Lo abbiamo suddiviso per capitoli per agevolarne la lettura.

Dopo la vittoria al Giro Giovani 2022, tanti indicarono in Hayter il futuro britannico nei Giri, il dopo Froome
Dopo la vittoria al Giro Giovani 2022, tanti indicarono in Hayter il futuro britannico nei Giri, il dopo Froome

Il racconto di Leo Hayter

Ciao a tutti, sono scomparso da un po’ di tempo, sento che ora è il momento giusto per raccontare la mia storia.

Ho avuto problemi mentali negli ultimi 5 anni. E’ qualcosa che per molto tempo ho semplicemente “affrontato”. Ho pensato di essere solo pigro, di non avere motivazione. Questo doveva essere un racconto breve, ma è semplicemente impossibile ridurlo senza avere la sensazione di perdermi dettagli importanti.

Lo scorso maggio ho toccato il fondo. Ero completamente bloccato. Non potevo lasciare il mio appartamento ad Andorra, riuscivo a malapena ad alzarmi dal letto. Il mio team di supporto INEOS mi ha riportato a casa e mi ha fatto una valutazione professionale, dove mi è stata diagnosticata la depressione.

Ho preso una pausa dal ciclismo, ho iniziato a prendere farmaci e mi è stato detto che per l’anno scorso non avrei più dovuto gareggiare, ma mi sono sentito subito meglio.

Al Tour of Guangxi 2023, per Leo un finale di stagione che aveva fatto sperare
Al Tour of Guangxi 2023, per Leo un finale di stagione che aveva fatto sperare

Ritorno a Guangxi

Sono tornato al Tour of Guanxi alla fine della stagione, tutto sembrava a posto. Mentalmente e fisicamente, ero nel miglior posto in cui fossi stato per molto tempo. Ho avuto una buona off season, ma non appena sono tornato ad allenarmi, quelle stesse percezioni e pensieri negativi sono tornati.

Prima del ritiro di dicembre sono andato in modalità panico totale, non riuscivo quasi ad alzarmi dal letto. Ero imbarazzato perché non sarei stato al livello che volevo. Non ho dormito molto in quei giorni, non mi sono nemmeno allenato. Mi sono chiuso nella mia bolla, non ho risposto a nessuno e ho tenuto per tutto il tempo il telefono in modalità silenziosa. Era come se sentissi di deludere le persone e di non riuscire nemmeno a controllare le mie azioni.

Rifugio nel cibo

Quando sono in questi stati di forte ansia, il metodo di difesa a cui ho sempre fatto ricorso è il cibo. Ovviamente, come atleta professionista, non è l’ideale, ma per me è incontrollabile. Mangio in modo compulsivo tutto ciò che mi capita davanti e molto spesso mi sento male. Poi mi sento in colpa per essermi abbuffato. Mi faccio morire di fame, prima di sentirmi completamente vuoto e di mangiare di nuovo un sacco di cibo. Ovviamente, questo mi porta ad aumentare di peso, quando il mio obiettivo è l’opposto, causando ancora ansia e continuando nello stesso circolo vizioso.

Sono arrivato al ritiro di dicembre. La prima settimana è andata bene, nella seconda settimana ero a letto con la febbre. Quando sono tornato a casa, ho attraversato la stessa situazione di prima del ritiro. Ero nervoso per il Tour Down Under, non ancora pronto e fuori forma. Ho avuto costantemente “shock” di ansia, in certi momenti tutto il mio corpo si bloccava: questo perché il sistema nervoso era in modalità “combatti o fuggi”.

Settimana Coppi e Bartali 2023, prime corse da pro’ e Leo è subito battagliero
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Un’enorme montagna

E’ difficile spiegare quello che mi accade. La mia ansia è solo aumentata. Cose che di solito non mi darebbero fastidio, come un’auto che mi sorpassa su una strada, mi bloccano e rendono l’uscita poco piacevole.

Eppure in Australia ho vissuto dei bei momenti, ma quando sono tornato è successa la stessa cosa. Al UAE Tour sentivo di non essere dove avrei voluto. Negli ultimi anni non mi sono mai sentito dove volevo essere, ho sempre avuto la sensazione che ci fosse un’enorme montagna da scalare per raggiungere il livello a cui “dovrei” essere. Questo ciclo continuo di nessun progresso finisce per essere molto estenuante.

Ho trascorso la prima metà di questa stagione a combattere davvero contro questo. Sapevo che era la mia “ultima possibilità”. Stavo facendo di tutto, compresi ritiri in quota organizzati e pagati da me. Nessuno dei due ha avuto successo.

Ossessionato dalla perfezione

Le mie difficoltà mentali hanno enormi effetti fisici su di me. Dormo a malapena. Non riesco a recuperare. L’ansia porta a un assorbimento di cortisolo. Quando l’anno scorso ho fatto un passo indietro, i miei livelli di testosterone sono aumentati in modo significativo. Dormivo meglio, ero più socievole e non ho mai perso peso così rapidamente. Ho ottenuto i risultati migliori quando non c’era pressione su di me e mi sentivo calmo. Tutte le mie più grandi prestazioni sono arrivate in questo modo.

Per essere chiari, questa pressione viene sempre da me stesso. Una pressione interna per essere il migliore, ossessionato dalla perfezione, che nello sport non è qualcosa di realistico o realizzabile giorno dopo giorno. I piccoli contrattempi fanno parte dello sport, ma non riesco proprio a gestirli in modo positivo. Una brutta prestazione o un giorno storto e vado nel panico, al punto di perdere il controllo della situazione.

Ancora Giro d’Italia Giovani 2022, Leo con il suo diesse Axel Merckx che ha garantito sul suo essere pronto per passare pro’
Giro d’Italia 2022, Leo con il diesse Axel Merckx che ha garantito sul suo essere pronto per passare pro’

Nessun progresso

Ho raggiunto il punto di rottura prima del Tour de Hongrie di quest’anno. Durante tutto il viaggio ho avuto ripetutamente attacchi di panico. Non riuscivo a concentrarmi su nulla. All’aeroporto mi hanno detto che non avevo bisogno di correre, ma ero determinato. Ho messo una faccia da poker, sono partito e ho pedalato bene. Al ritorno però ero esausto.

Sapevo che non potevo continuare così, ma sapevo anche che se mi fossi fermato per fare un passo indietro, realisticamente la mia carriera sarebbe stata in pericolo. Ho trascorso giorni, settimane completamente bloccato. Alla fine ora sono in una posizione simile a quella di qualche mese fa. Ho fatto un’altra valutazione medica, in cui era chiaro che i miei sintomi depressivi non stavano migliorando, anzi forse stavano peggiorando. Ciò mi ha rassicurato sul fatto che non dipendesse solo da me.

Non è qualcosa che può essere cambiata da un giorno all’altro. Sto seguendo una terapia in questo momento, ma è un processo. Ho già fatto alcune sedute con uno psicoterapeuta che non hanno funzionato, quindi è stato come tornare al punto di partenza. Sono molto fortunato ad avere accesso ai migliori psicologi del mondo tramite il team, per cui prossimamente lavorerò a stretto contatto con loro.

Un anno di stop

E’ improbabile che quest’anno correrò di nuovo. C’è ancora tempo e potrei farlo, ma a posteriori non è stata una buona scelta tornare neanche l’anno scorso.

Ho sempre avuto la convinzione che diventare più in forma e più magro mi rendesse felice, ma nasconde solo il vero problema. Non appena mi fermo, i miei pensieri negativi tornano. Raggiungere la forma migliore è come mettere un cerotto su una ferita che invece ha bisogno di punti di sutura.

Al momento anche il mio futuro nel ciclismo non è chiaro. Per ora è irrealistico continuare come ciclista professionista, quindi non correrò per INEOS l’anno prossimo. Quando riesco a mettermi nella giusta disposizione mentale, non c’è niente che mi piaccia di più. E’ come una dipendenza. Ecco perché non poterlo fare è così doloroso. Ho tutto quello che ho sempre desiderato, ma non sono felice.

Qualunque cosa accada, la mia carriera ciclistica non è finita. E’ solo in pausa. Lo devo a me stesso e a tutti coloro che hanno lavorato così duramente per me negli ultimi 10 anni per portarmi dove sono.

Così sul podio della crono U23 di Wollongong nel 2022: un bronzo in cui non credeva
Così sul podio della crono U23 di Wollongong nel 2022: un bronzo in cui non credeva

Il bronzo di Wollongong

So che se riesco a cambiare i miei comportamenti, la mia costanza arriverà e sarò a un livello che non sono mai stato in grado di mostrare prima. Negli ultimi 4 anni non credo di aver avuto più di una manciata di periodi in cui mi sono allenato costantemente per alcuni mesi. Quando ci sono riuscito, ho ottenuto vittorie come la Liegi-Bastogne-Liegi o il Giro U23, ma le singole prestazioni non sono ciò che rende grande un corridore.

Ricordo che prima del mondiale di Wollongong nel 2022 il mio agente dovette venire a casa mia per convincermi ad andare. Ero in lacrime. Non potevo immaginare niente di peggio. Ero convinto che avrei fallito. Ero grasso, non ero abbastanza forte per correre. Avevo trascorso una settimana a letto, la mia bici era rotta e io ero completamente bloccato. Sono arrivato e ho ottenuto una medaglia di bronzo nella cronometro.

Il giudizio degli altri

Vorrei anche aggiungere che mi sembra incredibilmente sbagliato scrivere questo. Ho pensato per mesi che farlo fosse una buona idea. Mi sono seduto ogni giorno per farlo e mi ritrovavo a fare qualcos’altro, ma questa attesa è durata troppo a lungo. Al momento non esco di casa, per quasi niente. Ho paura. Anche scrivendo questo ora riesco a percepire quanto sia stupido in realtà, ma non cambia il fatto che è come mi sento.

Mi sono sempre preoccupato della percezione che le persone hanno di me. Ora sono a un punto in cui questo finisce solo per debilitarmi. E se esco e vedo qualcuno che conosco? E se mi chiedono dove sono stato? E se pensano che ho messo su peso? E se pensano che sono pigro? Questo è il genere di cose che mi passano per la testa, in ogni situazione.

E’ il motivo per cui prendo le distanze da tutti. Ho perso tanti grandi amici negli ultimi anni. Non perché abbiamo litigato, ma semplicemente perché mi sono allontanato da loro quando ero in difficoltà. Le persone mi mandano messaggi per chiedermi come sto e io non riesco proprio a rispondere. Cosa dovrei dire? Fino a che punto ho detto cose brutte o stronzate? Mi considereranno meno se sono in difficoltà?

Leo Hayter ha scritto il suo racconto nei giorni di Parigi in cui ha seguito suo fratello Ethan, argento nel quartetto
Leo Hayter ha scritto il suo racconto nei giorni di Parigi in cui ha seguito suo fratello Ethan, argento nel quartetto

A Parigi in tribuna

E’ anche una delle cose che mi tiene lontano dalla bici. Vorrei essere più sano, più in forma e più vicino al mio peso forma. Mi piace andare in bici all’aperto, ma cosa succede se qualcuno mi vede e mi chiede come sto? Vede che sono chiaramente sovrappeso per un ciclista professionista? Penseranno che sono pigro e che faccio perdere tempo alla squadra? Rideranno di me per il mio aspetto?

Mentre scrivo questo, sono a Parigi a guardare mio fratello alle Olimpiadi. Anche questo non mi sembra giusto, mi sento a disagio solo a essere qui. Vedere e confrontarsi con amici e familiari è difficile, ma ancora di più mi sembra sbagliato poter godere di qualcosa. Se non sto nemmeno facendo il mio lavoro in questo momento, merito di divertirmi?

Voglia di tornare

E’ come se non ci fosse una situazione che non mi spaventi. Se non fosse stato per la mia ragazza, non credo che avrei avuto alcun contatto umano negli ultimi 3 mesi. Per questo sarò sempre grato. Anche nei giorni peggiori riesco a vederla e a dimenticarmene per un po’.

Vorrei anche dire un enorme grazie e scusarmi al mio team di supporto di INEOS e oltre. Non posso fare a meno di sentirmi come se vi avessi delusi tutti, ma ci sto provando. Davvero. Il mio allenatore Dajo, gli psicologi Tim e Robbie e il mio agente Jamie mi hanno sostenuto negli ultimi anni, ma non sono riuscito a ripagare quella fiducia e quella convinzione come vorrei.

Spero che scrivere questo e renderlo pubblico renderà più facile contattare i miei amici, vedere persone, fare cose normali. Non ho pedalato negli ultimi mesi, ma non ho nemmeno vissuto. Spero di potervi aggiornare tutti nel prossimo futuro con qualcosa di più positivo. Tornerò a gareggiare di nuovo ai massimi livelli del ciclismo, non so ancora quando. Ma quando lo farò, sarò pronto.

Leo

L’ansia nei giovani atleti esiste e può fare tanto male

06.02.2024
6 min
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Il ragionamento fatto ieri nell’editoriale sulla fragilità dei corridori più giovani è da un paio di anni uno dei temi più dibattuti nel mondo dell’educazione. Il punto è proprio capire che gli atleti in quanto tali non sono immuni da ciò che accade attorno a loro e che i loro pochi anni, sia pure con la maturità superiore prodotta dall’attività agonistica, li rendono comunque fragili. Non tutti allo stesso modo, ma sarebbe sbagliato pensare che i migliori valori fisici possano coprire l’ansia e tutto quanto è accaduto nei ragazzi dopo il lockdown. Anche se nel mondo dello sport vigono regole spesso miopi per cui simili problemi si nascondono, quasi sia peccato parlarne.

Crini 2022
La psicologa piemontese Manuella Crini affronta con noi uno dei fenomeni più diffusi fra gli adolescenti
Crini 2022
La psicologa piemontese Manuella Crini affronta con noi uno dei fenomeni più diffusi fra gli adolescenti

Le scorie del Covid

Ne abbiamo parlato con Manuella Crini, psicologa con cui già in passato abbiamo affrontato tematiche importanti come i disturbi alimentari negli atleti. Che cosa succede nella testa di un ragazzo che non sia perfettamente a posto, davanti alle pressioni sempre crescenti dell’attività sportiva?

«Le restrizioni dopo il Covid – dice – hanno fatto sì che la vicinanza con i coetanei sia stata molto limitata, mentre la nell’adolescenza il confronto con i pari età è importantissimo. Tanti si sono trovati chiusi in situazioni familiari di ogni genere, anche le meno prevedibili, e nella maggior parte dei casi questi ragazzini non hanno potuto confrontarsi coi loro coetanei e hanno sviluppato molta più ansia. Questa ha preso forme diverse, come l’aumento dei disturbi alimentari, l’aumento delle dichiarazioni di transgenderismo di fronte alle quali il mondo dello sport è bloccato e quasi rifiuta di prenderne atto, l’autolesionismo, difficoltà scolastiche e l’abbandono scolastico.

«Siamo animali sociali, perciò se mi tieni chiuso in una gabbia, cambi la mia natura. Quanto durano questi effetti? Se faccio crescere una pianta dentro una scatola chiusa, le sue radici prendono una forma diversa. E l’adolescenza è un momento chiave per la formazione della personalità dell’individuo. Certi eventi traumatici rischiano di lasciare segni indelebili».

Gabriele Benedetti si è ritirato a inizio 2023, ad appena 23 anni, svuotato di motivazioni (foto Instagram)
Gabriele Benedetti si è ritirato a inizio 2023, ad appena 23 anni, svuotato di motivazioni (foto Instagram)
Parliamo di corridori, che vengono spesso ritenuti invincibili. E’ possibile che questa ansia magari sottovalutata venga fuori quando il livello si alza tantissimo?

Puoi essere ansioso in ogni fase, però nel momento in cui vai verso una prova che ti crea stress, il problema può venir fuori più amplificato. E’ un disagio, chiamiamolo così, che trovi prima della gara o alla vigilia del primo esame universitario. Solo che magari di colpo ha conseguenze peggiori perché, non avendo mai gestito prima l’ansia, è una cosa che ti spaventa. Non controlli più il tuo corpo e quindi ti agiti e l’ansia diventa paralizzante. Prima a livello di pensiero e poi anche di movimento. Due elementi che poi, all’interno di una competizione, vanno indubbiamente ad inficiare la prestazione.

Come si fa a capire che ne soffri?

Prima di tutto l’atleta deve riconoscere che c’è qualcosa che lo blocca al livello della prestazione. Si va poi a capire se quel blocco è preceduto o meno da una paura oggettiva. Vanno esplosi i pensieri paurosi, perché dietro ce ne sono altri che possono essere la paura di vincere e non solo la paura di perdere. Come tutte le cose, se la intercetti subito, l’ansia non cresce. Se sa riconoscerla, puoi imparare ad utilizzare dei meccanismi per far sì che non degeneri. Se resta a un livello fisiologico, allora l’atleta riesce persino a servirsene, perché attiva l’organismo. Però il lavoro va fatto sul pensiero, che poi genera stati emotivi. E dietro non c’è sempre la gara, perché parliamo di adolescenti.

Cioè?

Il pensiero da cui tutto parte può essere banalmente la paura di perdere la fidanzata appena conosciuta, perché se vado avanti con le gare, presto mi troverò a non aver più tempo per lei o per gli amici. Oppure ci può essere il desiderio di gratificare i genitori e non deluderli. E’ una fase talmente delicata della vita, in cui si fa anche fatica a trovare è l’evento scatenante dell’ansia.

Il ciclismo è uno sport talmente impegnativo, che diventa insormontabile se non si è convinti al 100 per cento (foto Tornanti_cc)
Il ciclismo è uno sport talmente impegnativo, che diventa insormontabile se non si è convinti al 100 per cento (foto Tornanti_cc)
Quanto la motivazione di arrivare in una squadra importante può far passare inosservata l’ansia?

La grande motivazione ti aiuta molto a trovare le risorse per dare un senso all’ansia. La preoccupazione, più che altro, è che parto con queste grandi aspettative che non so tenere nelle mani, perché sono un ragazzino. Quindi mi faccio grandi sogni, grandi progetti incoraggiati dal mondo in cui vivo e non ne costruisco altri perché ho solo lo sport. E se poi a 18-19 anni, vengo buttato fuori da quel mondo, che cosa resta di me?

E cosa succede?

Se non ho lavorato prima sull’ansia, rischio veramente di cadere in depressione. La stiamo banalizzando per renderla comprensibile, però perdendo un obiettivo di vita, il rischio è di sentirsi falliti. E il senso di fallimento è qualche cosa che ti priva del tutto della motivazione e non ti dà altri obiettivi di vita. Quindi mi domando se ci sia effettivamente un piano B per questi ragazzini, che sia sempre nell’ambito sportivo o in parallelo con la scuola.

Il piano B difficilmente esiste, perché le pressioni ci sono e richiedono la massima dedizione. Bisognerebbe capire se le attese siano troppo grandi in rapporto alla loro età…

Penso che ci siano sempre pretese troppo alte, perché si pretende che dimentichino di essere ragazzini. Considerando che l’adolescenza psicologica termina intorno ai 25 anni, questi ragazzini vengono adultizzati in maniera troppo prematura. E a quel punto fanno fatica anche a capire se veramente quella è la loro strada. Perché è una strada veramente costellata di sacrifici e devi essere disposto a farli perché li vuoi fare e non perché ti ci hanno messo con lo specchietto per le allodole.

Non avere più un obiettivo, ancorché da giovani, può portare alla depressione (immagine depositphoto.com)
Non avere più un obiettivo, ancorché da giovani, può portare alla depressione (immagine depositphoto.com)
Il fatto che fisicamente siano già adulti può allontanare il senso di fragilità?

Questa apparente maturità può trarre in inganno l’ambiente circostante e anche loro stessi, dandogli un senso di libertà nell’esprimersi che può trarre in inganno chi non ha competenze specifiche. Ma se la guardiamo dal lato della pedagogia dello sviluppo, sappiamo quanto in realtà l’adolescenza sia un momento tremendamente drammatico e fondamentale, per lo sviluppo di una psiche sana. Quando sei adulto, riesci a reggere di più, mentre se tratti i ragazzini da adulti, rischi di fargli molto male. Si picchia sull’autostima, altro concetto sottovalutato, e finisci che il ragazzo non crede più in se stesso.

De Gendt, in fuga da tutto. Anche dalla depressione…

20.01.2021
5 min
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Una vita in fuga. Eppure, anche Thomas De Gendt ha dovuto fermarsi a un certo punto della carriera e chiedere aiuto per sconfiggere un avversario troppo forte anche per lui: la depressione. Dal ritiro spagnolo di Javea con i suoi compagni, il trentaquattrenne belga della Lotto Soudal ci ha raccontato come l’ha sconfitta e quali fughe sta preparando in un 2021 che lo vedrà ai nastri di partenza di tutti e tre i grandi Giri.

Al Giro del 2012, De Gendt conquista lo Stelvio: forse l’impresa più celebre
Al Giro del 2012, De Gendt conquista lo Stelvio
Thomas, come procede il raduno?

Qui in Spagna il tempo è fantastico, per cui possiamo fare tantissime ore di allenamento. Di sicuro è meglio rispetto al meteo in Belgio, dove in questo periodo nevica e fa freddo. 

Qualche giorno fa su Twitter hai postato la foto di una roccia in mezzo all’oceano, corredata da un pensiero sulla depressione. Ci spieghi questa scelta così profonda?

Due mesi fa è uscito il mio libro, “Solo”, in cui ho raccontato anche della depressione che ho avuto tra il 2017 e il 2018. Sapendo che avrei ricevuto tante domande sul tema in questo periodo, ho pensato di esprimere il mio punto di vista. Non sono una celebrità, ma il fatto di essere ben conosciuto nel mondo del ciclismo mi dà la possibilità di essere utile e aiutare le persone che ci stanno lottando in questo momento. Parlarne fa bene per capire che è un problema comune e che può colpire anche persone che si credono felici o di successo, come è capitato a me. Sono contento di aver avuto tante risposte sul tema dai miei followers.

Un uomo (spesso) da solo al comando, ma la solitudine non riguarda soltanto la bicicletta
Un uomo (spesso) da solo al comando
Come è riuscito l’uomo delle fughe a non seguire la sua indole e affrontare di petto il problema?

La depressione è cresciuta dentro di me senza che me ne accorgessi. Uno dei problemi della mia personalità è di rimuginare troppo su certe cose e di lasciarmi andare a pensieri negativi. La situazione è peggiorata finché ho avuto problemi coniugali. A quel punto, l’unico modo che avevo per evitare di fare cose stupide era di allenarmi più del normale, soltanto per sentire un po’ di dolore aggiuntivo nelle gambe. Se le mie gambe soffrivano, magari la mia mente sarebbe stata più tranquilla. Era il 2017, durante il ritiro di tre settimane in Spagna.

Poi, cos’è successo?

Ho vinto alla prima occasione possibile, la prima tappa del Delfinato. Sembravo felice, ma dentro di me soffrivo per quello che stavo passando. Poco a poco, la situazione è migliorata perché ho cominciato a parlarne con mia moglie e dopo quattro o cinque mesi ho cominciato a stare meglio e a uscirne. Nella primavera del 2018 ero di nuovo felice e ho ricominciato a godermi tutte le piccole cose che mi ero perso per un anno.

E sei tornato a essere il re delle fughe: cosa si prova quando si è soli contro tutti?

E’ l’unico modo che conosco per vincere. Devo andare in fuga con 9 o 10 corridori e poi giocarmela con loro anziché con tutto il gruppo. Una volta centrata quella giusta, comincio a studiare i compagni di fuga. A volte capita che ci sia qualcuno che non conosco, per cui devo farlo uscire allo scoperto, per capire come sfiancarlo. Bisogna provarci più volte possibile per imparare come vincere e, una volta che accade, è tutta esperienza per le fughe successive.

Che obiettivo hai per il 2021?

Voglio vincere una corsa, visto che nel 2020 non ci sono riuscito. Mi auguro che il calendario non subisca modifiche, ma l’anno scorso abbiamo dimostrato che si possono fare le corse senza grossi problemi. Le perplessità che ho espresso al Giro erano dovute al fatto che in quel momento non mi sentivo tranquillo. Poi però, rispetto agli altri grandi Giri, siamo stati testati il doppio del Tour e abbiamo avuto pochissime positività. Hanno detto che alla Vuelta non c’è stato nessun contagio, ma alla fine della corsa un sacco di corridori e membri degli staff delle squadre si sono ammalati, anche se i media non ne hanno parlato. A ripensarci ora, il Giro era l’ambiente più sicuro.

Non sempre la fuga va a buon fine. A Camigliatello De Gendt si arrenderà a Ganna
Non sempre la fuga va a buon fine. A Camigliatello si arrenderà a Ganna
Hai già deciso su che corse punterai?

Il Giro è sicuramente nei miei programmi e sono curioso di scoprire il percorso. Mi piacerebbe vincere un’altra tappa, come feci nel 2012. Poi, vorrei vestire la maglia di miglior scalatore, perché così riuscirei ad eguagliare il mio compagno Tim Wellens, l’unico belga capace di vestire il simbolo del primato in tutti i tre grandi Giri. Correrò anche Tour e Vuelta e credo che la mia stagione finirà a Madrid, salvo cambiamenti.

Ti manca lottare per la generale?

No, perché c’è troppa pressione. Sei ossessionato dal peso forma, non puoi permetterti nemmeno una giornata storta e devi lottare in qualunque tappa: è snervante.

Che cosa ti piace fare nei pochi giorni in cui non pedali?

Giocare online alla playstation e chattare con i miei amici che conosco da 15 anni, di solito a Grand Thief Auto V, così mi tocca fuggire anche lì. Ecco la mia giornata tipo quando non pedalo: mi sveglio alle 8, faccio colazione, gioco fino a pranzo, poi gioco di nuovo, poi cena, poi tiro avanti ancora fino alle 3 di notte. Mia moglie non è molto felice, ma mi servono giornate così per disconnettermi totalmente dal ciclismo e ricaricarmi».