Manubri più stretti: corridori alla ricerca dell’aerodinamica

04.02.2022
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Non troppi giorni fa con Davide Guntri, di Deda Elementi, avevamo parlato dei manubri dei velocisti. Da quell’articolo era emerso come le pieghe, anche un po’ inaspettatamente, si stessero stringendo. I manubri stretti stavano dilagando in gruppo… e non solo per i velocisti.


Stavolta, sempre con Guntri, vogliamo approfondire il discorso che riguarda questa tendenza. Capirne le motivazioni che spingono atleti, neanche tanto piccoli, a ricercare questa specifica.

Auyuso con la curva Superzero: drop da 75 millimetri, reach da 130, come l’Alanera che sta aspettando
Auyuso con la curva Superzero: drop da 75 millimetri, reach da 130, come l’Alanera che sta aspettando



Primi pezzi alla UAE

Un discorso che è ancora molto in fase embrionale. Anche per i produttori stessi.


«Per questioni logistiche – dice Guntri – non siamo riusciti ancora a fornire le nuove Alanera da 40 centimetri. Ricordo che da noi tale misura è presa sull’esterno, quindi si tratta di un 38 centro-centro. I pezzi per ora sono molto pochi e sono per la UAE Team Emirates. Sono dei prodotti nuovissimi.

«Giuseppe Archetti (meccanico del team, ndr) per adesso ha montato il manubrio stretto a Juan Ayuso e Pascal Ackermann. Non si tratta dell’Alanera, il nostro manubrio integrato, ma della piega Superzero».

«Il Superzero è un manubrio la cui curva ha lo stesso disegno dell’Alanera. Anche il reach e il drop sono gli stessi. Ciò che cambia è la parte alta. L’Alanera è più aero, la Superzero più tradizionale. Ma quello che davvero importava a noi in questo caso non era tanto il disegno, specie nella parte alta della piega, quanto appunto la larghezza. Stanno provando questa taglia per vedere come ci si trovano».

La Superzero dello spagnolo è larga 40 “centimetri Deda”, vale a dire 38 nella misura centro-centro standard
La Superzero dello spagnolo è larga 40 “centimetri Deda”, vale a dire 38 nella misura centro-centro standard



Feedback positivi

E in effetti è quello che interessa anche a noi. Perché ci si stringe così tanto? La scorsa volta avevamo parlato di vantaggi aerodinamici, ma anche di svantaggi nella guida della bici.


«In effetti non è un qualcosa di facilmente concepibile – ammette Guntri – I professionisti sono alla ricerca di prodotti sempre più aerodinamici, e può anche starci, ma in quanto a respirazione e guida non so quanto possano avvantaggiarsene.

«Io non lo vedo un prodotto alla portata degli amatori. E’ troppo specifico per chi fa della bici il proprio mestiere. Loro che sono dei professionisti possono anche utilizzarlo alla grande, sono molto preparati e possono trarne dei vantaggi. Ackermann e Ayuso per esempio hanno rilasciato dei feedback positivi. Entrambi hanno detto che si trovano molto bene. Respirano normalmente e la guida non ne risente».

Nel disegno c’è una Mtb, ma il concetto non cambia: col manubrio stretto si è più aero, ma cassa toracica e rachide sono più schiacciati
Nel disegno c’è una Mtb, ma il concetto non cambia: col manubrio stretto si è più aero, ma cassa toracica e rachide sono più schiacciati



Leve, pieghe e aerodinamica

«Se si va a vedere – continua Guntri – frontalmente ormai sembra che i corridori siano sulle bici da cronometro. Quando impugnano la piega sulle leve la posizione non è così tanto diversa».



A questo punto, chiediamo a Guntri quanto la regola che ha bloccato la posizione con gli avambracci sulla piega, stile crono appunto, abbia inciso sulla svolta verso i manubri più stretti.
«Ah – risponde con passione il tecnico di Deda – Non ha inciso tanto, ha inciso tantissimo! Non potendo più schiacciarsi in avanti, i corridori hanno cercato di stringersi il più possibile per essere aerodinamici. Posso solo dirvi che atleti alti 190 centimetri mi hanno già richiesto la nostra piega da 40 (esterno-esterno)».



«Non solo, ma adesso di pari passo al manubrio più stretto ci sono le leve ruotate verso l’interno, questo sempre per potersi distendere, per essere aerodinamici, e per avere di fatto un appoggio in più con il polso».


«Il primo ad utilizzare questa soluzione è stato Romain Bardet. Quando vidi quelle leve così ruotate sull’Alanera la sera stessa lo chiamai. Lui mi spiegò il perché. Mi disse del discorso dei polsi. Così anch’io, come faccio sempre, eseguii il mio test personale. Lo feci con la bici di McNulty (per una questione di misure supponiamo, ndr) ed in effetti si ha un appoggio ulteriore».

Il manubrio super stretto di Ewan (al centro). Da notare la differenza con quello di Bonifazio (a sinistra) e Laas (a destra)
Il manubrio super stretto di Ewan (al centro). Da notare la differenza con quello di Bonifazio (a sinistra)


Produzione ad hoc

«Noi abbiamo creduto fortemente nel lavoro con la UAE Team Emirates. E’ la nostra squadra faro e non solo per le due vittorie al Tour con Pogacar, ma anche per lo sviluppo dei prodotti, per l’esperienza di Archetti. Posso garantire che è uno sforzo enorme anche per noi seguirli con prodotti sempre più specifici.
«Da quando c’è il biomeccanico all’interno dei team molte cose sono cambiate. Non so se sia un bene o un male, non spetta a me dirlo, però posso dire di gente che va dal biomeccanico una volta ogni 15 giorni. E mi chiedo: quali adattamenti possono maturare in un periodo così breve? A noi però nel frattempo chiedono nuovi prodotti, nuovi pezzi. Li produciamo e poi magari dopo 3-4 mesi li abbandonano».



Per ora la tendenza è quella dei manubri ristretti. È un qualcosa che riguarda non solo i corridori che utilizzano i prodotti Deda, ma anche gli altri. Il manubrio moderno è stretto e possibilmente con profili aerodinamici, meglio ancora se integrato così da essere anche molto rigido.
«In UAE Team Emirates, al momento – conclude Guntri – mi hanno chiesto l’Alanera da 40 centimeti 12-13 corridori, vale a dire poco meno della metà della rosa».



E intanto, Caleb Ewan (anche nella foto di apertura) procede spedito con la sua “mini piega”. Il velocista della Lotto-Soudal sta correndo con un manubrio da 38 centimetri, che nelle misure Deda significa 36 centimetri centro-centro. E leve ruotate all’interno…

Il manubrio per i velocisti: sentiamo loro e il tecnico

26.01.2022
7 min
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Velocità, potenza, aerodinamica sono elementi imprescindibili per la volata. Tutto è portato al massimo, lo sforzo del corridore ma anche il materiale è sottoposto al massimo dello stress. Pensiamo a quel che possa “patire” il telaio, ma anche il manubrio quando un Van Aert che sprigiona tutta la sua potenza sui Campi Elisi ci si aggrappa, lo tira e lo “contorce”.

E proprio del manubrio del velocista vogliamo parlare. Quali caratteristiche deve avere? Cosa richiedono gli atleti?

Per esempio un elemento che emerge è l’avanzamento della parte alta della piega per non far toccare l’avambraccio alla piega stessa mentre si sprinta. O l’allargamento delle curve rispetto alla parte alta del manubrio che portano ad una presa leggermente diversa, sempre per far sì che braccio e piega non si tocchino, come ci diceva tempo fa Nizzolo. Ma c’è molto altro…

La piega integrata di Nizzolo, la Black Inc: la sua parte bassa è 1,5 centimetri più larga rispetto a quella più alta in tutte le misure disponibili
L’integrato di Nizzolo, il Black Inc: la sua parte bassa è 1,5 centimetri più larga rispetto a quella più alta in tutte le misure disponibili

L’esperienza di Cimolai

Partiamo da un velocista di esperienza, Davide Cimolai. Al Team Cofidis utilizza un manubrio Vision Metron 6D.

«Il mio manubrio – spiega Cimolai – è integrato. E’ più largo nella parte inferiore. E’ un 42 centimetri centro-centro nella parte superiore che diventano 43,5 in quella inferiore. Sinceramente preferirei quello classico, quindi con larghezza costante di 42 centimetri anche nella parte bassa della curva… Poi magari con questo vinco la Sanremo! Mi sento un po’ troppo largo».

Più largo in basso però significa anche un maggior “effetto leva” quando si tira. «Non so quanto 1,5 centimetri si possano sentire, per la mia esperienza personale non ho avvertito questo effetto, semplicemente lo sento un po’ meno “mio” nella guida».

L’integrato poi porta con sé anche il discorso delle curve. Una volta si aveva forse più possibilità di scegliere la tipologia: curva classica, curva anatomica, curva belga, adesso invece si va verso la curva unica, che se vogliamo è un mix di tutte le altre. «Una cosa positiva però – conclude Cimolai – di queste curve attuali e dei manubri integrati è che sono davvero rigidi».

Parola a Marchiori

Leonardo Marchiori alla Drone Hopper – Androni Giocattoli utilizza il manubrio Deda Alanera, uno dei più diffusi in gruppo.

«Oggi – dice il veneto – in gruppo ci sono moltissimi manubri integrati, specie per i velocisti, perché sono più rigidi. Il limite è che si hanno meno possibilità di sistemarlo esattamente come si vuole, quindi sta ad ogni corridore valutare alla fine quale preferisce, se il set tradizionale (attacco più piega) o appunto quello integrato. Io per esempio sono riuscito a riprodurle tutte. L’unica cosa che cambia è la larghezza. Avrei preferito una piega da 38 centimetri, invece sotto a 40 l’Alanera non c’è per ora».

«Perché così stretta? Per infilarsi meglio nei buchi durante la bagarre della volata e perché si è visto che si è più aerodinamici se si è stretti piuttosto e magari “alti”, piuttosto che larghi ma più bassi.

«In generale il manubrio integrato è più rigido, più scattante, e non lo cambierei per nulla in volata, tanto più che io ho una posizione molto avanzata e il mio corpo fa parecchio peso sulla ruota anteriore e pertanto anche sul manubrio. No, no… lo devo sentire rigido, altrimenti se è elastico si sente subito e ci si fida meno».

Sentiamo il tecnico

E allora ascoltiamo anche il parere del tecnico, Davide Guntri di Deda Elementi, brand che produce appunto l’Alanera.

Davide, cosa vi chiedono i velocisti? Sviluppate con loro i vostri prodotti?

La scelta del manubrio è soggettiva. Una volta forse si sviluppava un po’ di più il prodotto insieme agli atleti. Prima volevano un manubrio più chiuso e più profondo. Oggi invece i reach sono tutti sui 75/80 millimetri. Ma perché questo? Perché quando si alzano in piedi per sprintare non vogliono che l’avambraccio vada a toccare la parte alta della piega.

Però in teoria dovrebbe essere il contrario: con un manubrio più profondo è più facile che l’avambraccio tocchi la parte alta della piega…

Vero, ma erano anche diverse le curve. Erano più aperte. Con il manubrio in alluminio queste “scendevano” prima. La rotazione della curva era meno accentuata. Adesso invece con il carbonio sei più libero di modellare il tuo prodotto.

E quindi oggi cosa vi chiedono i velocisti?

In verità non chiedono cose particolari in generale. Con l’Alanera tutti i nostri velocisti tutto sommato sono accontentati. Il primo ad utilizzare questo prodotto fu Greipel. Lui ne trasse subito dei benefici in quanto essendo un monoscocca è un manubrio molto rigido (Greipel era un peso massimo, ndr). In più aveva un drop da 130 millimetri, che era abbastanza alto per quei tempi. La cosa che invece mi sta stupendo è che soprattutto i velocisti ci stanno richiedendo dei manubri molto piccoli, da 40 e da 38 centimetri. A tal proposito vorrei ricordare che le nostre misure sono un po’ diverse. Noi le prendiamo sull’esterno, non centro-centro. Quindi un nostro 40 centimetri è un 38 tradizionale.

Si dice che il manubrio di Caleb Ewan lo facciate voi. E’ così?

Sì, è così. È una collaborazione nata tra noi e Ridley, ma non è un prodotto Deda, infatti non è inserito nel nostro catalogo. E’ un qualcosa che abbiamo sviluppato con i loro ingegneri. Ed è un manubrio abbastanza stretto, da 38 centimetri.

Perché gli sprinter sono alla ricerca di un manubrio più stretto?

Principalmente per questioni aerodinamiche, anche se è una scelta che va un po’ controcorrente. Fino a pochi anni fa si diceva che con il manubrio stretto si respirava peggio in quanto con le spalle più strette il diaframma restava costretto. Inoltre si perdeva qualcosa in fatto di guidabilità. Invece noi adesso stiamo iniziando a consegnare le prime Alanera da 40 centimetri (esterno-esterno, ndr). Presto avremo i feedback da parte dei corridori. Al momento abbiamo avuto solo quello di Ewan, ma il rischio è che essendo lui così piccolo possa essere un po’ fuorviante.

Prima, Davide, hai parlato anche di disegno delle curve. Una volta c’era quella belga, quella italiana, quella anatomica… Ora invece sembra si vada verso un “monodisegno” è così?

Sì, è così. La piega anatomica è ormai quasi sparita e tutti tendono ad utilizzare più o meno lo stesso disegno con reach e drop rispettivamente attorno ai 75 e 130 millimetri. Qualcuno chiede ancora la versione Shallow vale a dire quella un po’ più ampia. Uno di loro è Matteo Trentin, ma questo perché lui ha delle mani e delle dita molto grandi e non riesce ad adattarsi troppo bene all’Alanera. Non a caso Matteo è tornato al set classico, piega più attacco, in alluminio. Abbiamo fatto per lui un attacco manubrio della nostra linea Zero100 negativo (-70°) e con un passaggio di cavi semi integrato.

Quindi lui è una particolarità…

Oggi i manubri più venduti sono quelli RHM, che hanno un reach da 75 millimetri e un drop da 130. Abbiamo sviluppato anche la piega Vinci Super Shallow per i belgi, su richiesta proprio della Lotto-Soudal, in quanto volevano un drop leggermente più piccolo, infatti è di 125 millimetri, ma il reach è sempre lo stesso (75 millimetri, ndr), scelta quest’ultima che non penalizza chi ha le mani lunghe.

I manubri per i velocisti hanno una struttura diversa? Sono più robusti?

Alcuni modelli sì, come lo Shallow. Abbiamo inserito nel layout più “pelli di carbonio” soprattutto nella parte laterale, quella più soggetta alle flessioni durante lo sprint. In linea di massima cerchiamo sempre di accontentare i nostri atleti, ma se aggiungiamo troppo materiale poi sale il peso. Adesso per esempio stiamo sviluppando il modello Vinci. Vogliamo renderlo un po’ più rigido ai lati, ma senza aumentare troppo il peso, a volte bisogna cambiare il layout delle pelli stesse, togliere il materiale da una parte e aggiungerlo dall’altra. Ma è un lavoro non facile.

Su il velo sulle RS4DB di Deda. Il segreto è (anche) nel mozzo

01.11.2021
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Casa Deda, autorizzazioni da riempire per entrare, poi la solita calda accoglienza da parte di Gianluca Cattaneo e Davide Guntri. Davanti, su un tavolo che per un giorno fa da catalogo, le novità 2022, anticipate per noi di bici.PRO, che da oggi sono pubblicabili. C’è da leccarsi i baffi davanti alle nuove ruote RS4DB, al manubrio Superzero RS e alla sua versione gravel. Sempre per il gravel, facendo uno strappo alla regola, vi avevamo già raccontato del manubrio e delle ruote Gera Alloy utilizzate dalla Bardiani-Csf alla Serenissima Gravel di dieci giorni fa.

La mission di Deda

«Il nostro viaggio continua a braccetto con i team dei pro’ – spiega Cattaneo, direttore commerciale di Deda Elementi – non solo per marketing, ma soprattutto per lo sviluppo. Quello che arriva ai consumatori nasce da queste collaborazioni. A monte di tutto, c’è la sostenibilità del progetto, con la riduzione progressiva dei materiali di cui si può fare a meno. Il packaging si fa con carta certificata 100% FSC (Forest Stewardship Council, ndr), che proviene da foreste gestite, mentre entro il 2025 puntiamo a ridurre l’uso della plastica di un 50 per cento, per eliminarla del tutto entro il 2030».

Bicicletta e ambiente, il binomio è indissolubile. E queste mascherine e la ventata di voler vivere green che si è sollevata dopo il Covid rende l’impegno ancor più apprezzabile. Ma veniamo alle ruote, che al primo sguardo hanno già qualcosa di affascinante.

RS4DB peso piuma

Le RS4DB sono leggere, ecco la prima cosa da dire prendendole in mano. Leggere e piene di contenuti tecnologici importanti. La coppia pesa 1.340 grammi e come tutte le ruote per copertoncini nascono tubeless ready.

Fra gli accorgimenti che ne puliscono la linea e incrementano l’aerodinamica e la rigidità, i nipples interni svolgono la loro parte, così come il perno passante da 12 millimetri e il mozzo center lock ugualmente molto leggero.

E proprio il mozzo è il primo zoom del giorno. Cattaneo spiega, gli appunti riempiono il taccuino.

«Il mozzo – dice – è stato alleggerito di 80 grammi rispetto alla serie SL. Le flange sono state ridotte e sul corpo è stata eseguita una rigatura (rifling deisgn, secondo il concetto che c’è alla base delle rigature nelle canne dei fucili, ndr) che stabilizza il flusso d’aria e spinge la ruota verso il basso, migliorando l’aerodinamica e amplificando l’effetto Magnus (deportanza della ruota) per una maggiore stabilità a velocità elevate».

L’anima del mozzo

Ciò che più piace del mozzo posteriore è il sistema grazie al quale funziona. All’interno della cassetta si trovano infatti due ghiere dentate (ratchet) dai diametri diversi che nel momento della trazione si innestano una sull’altra. La più piccola si trova nel corpo della ruota libera, mentre quella più grande si trova all’interno della flangia del mozzo. 

Questo alleggerisce l’insieme del 16 per cento rispetto al mozzo precedente. Il risultato che ne consegue è un miglior rotolamento grazie alla riduzione dell’attrito interno, mentre sul fronte della manutenzione non è più necessario disporre di attrezzi specifici.

Spessori variabili

Il cerchio è un altro bell’esempio di studio. Grazie alla tecnologia con cui viene stampato, ha spessori differenziati, che diventano più consistenti in prossimità dei nipples (56 millmetri) e più sottili nei tratti intermedi, permettendo come detto di contenere il peso e di migliorare l’inerzia della ruota. Il profilo della ruota è di 38 millimetri, con larghezza esterna di 26 e interna di 19.

Brevetto di Alpina

Raggi e nipples sono frutto di una collaudata partnership di Deda con Alpina Raggi, ben nota nel ciclismo, ma ancor più solida nel mondo moto. E proprio qui, nel regno delle vibrazioni più violente e continue, è stato brevettato il sistema anti-svitamento esportato in queste ruote.

Il nipple, esagonale come tradizione vuole, ha infatti dentro un pallino di gomma che impedisce la rotazione non voluta, come accade ad esempio con i dadi autobloccanti al cui interno si trova il classico anello di poliammide. Per consentire la corretta manutenzione, Deda Elementi fornisce alle officine una valigetta con tutti i ricambi necessari.

Zero compromessi

Le RS4DB hanno 24 raggi incrociati in terza come tutte le ruote per dischi di Deda e utilizzano lo stesso carbonio sia che si tratti di modelli a disco, sia per rim-brakes.

«Il mercato – spiega Cattaneo – si sposta decisamente verso i freni a disco. Ugualmente abbiamo ancora due ruote disegnate per freni tradizionali, di cui c’è ancora richiesta. Mentre sul fronte delle ruote per tubolari, le facciamo ormai soltanto per freni a disco. La differenza sul fronte del carbonio è che nelle ruote a disco la pelle esterna è di semplice copertura, mentre nel caso di rim-brakes, essa dovrà comprendere anche la pista frenante».

La finitura esterna è lucida, senza più l’assillo di un tempo di far vedere le trama della fibra per rassicurare che si trattasse effettivamente di carbonio.

«Abbiamo ottenuto una bella riduzione di peso – chiude Cattaneo – ma potremmo scendere di altri 50 grammi senza alcun compromesso con la sicurezza. Mentre uno dei prossimi step sarà estendere la tecnologia del mozzo RS sugli altri modelli di ruota».

Deda Elementi Jet

Deda Elementi Jet, le protesi veloci e anche comode

05.04.2021
4 min
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L’aerodinamica è sempre stata fondamentale nelle prove contro il tempo. E come per altri componenti, anche i manubri da cronometro si sono evoluti per migliorare le performance dei corridori. Fra quelli che si fanno più notare, certamente c’è il Jet di Deda Elementi. Ne abbiamo parlato con Davide Guntri, Responsabile per i Team dell’azienda italiana.

Nate per il record dell’Ora

Deda Elementi collabora con UAE Team Emirates, Bardiani CSF e Lotto Soudal. E proprio da una di queste partnership sono nate le Jet.
«Queste protesi sono frutto di una richiesta che ci fece la UAE Team Emirates – esordisce Davide Guntri – in quanto pensavano di tentare il record dell’ora con Mikkel Bjerg. A quel punto ci siamo messi a lavoro per creare delle protesi avvolgenti».

Il lavoro è iniziato qualche anno fa: «Siamo partiti dalla stampa in 3D e poi le abbiamo portate al ritiro della squadra in Spagna a inizio 2020. Bjerg ha pedalato qualche giorno e ci ha spiegato come le voleva».

Mikkel Bjerg
Mikkel Bjerg durante la cronometro di Valdobbiadene
Mikkel Bjerg
Mikkel Bjerg durante la cronometro di Valdobbiadene al Giro d’Italia 2020

Nessuna turbolenza

Davide Guntri ci svela un dettaglio che può fare la differenza.
«Nel punto in cui si impugnano le protesi – ci spiega – il polso fa una piega che si apre molto e si crea un “buco” che crea molta turbolenza. Per questo motivo abbiamo creato le due spalle (le pareti laterali molto alte, ndr) che servono proprio a chiudere il gap fra il polso e la protesi».

Jet Deda Elementi Bardiani Visconti
Le protesi Jet montate su un manubrio Deda Elementi
Jet Deda Elementi Bardiani Visconti
Le protesi Jet montare sulla bicicletta da cronometro di Giovanni Visconti

Più comode per stare in posizione

La forma particolare delle Jet con una sorta di “sponda” che sale, scende e poi risale è stata pensata per non comprimere il braccio.
«La parte più alta delle protesi risale fino a 7 centimetri – ci dice Guntri – e serve per tenere chiusi i gomiti, essere più aerodinamici e mantenere la posizione per più tempo».

Tutti gli studi fatti in galleria del vento dicono che più un corridore si muove nel cercare la posizione e più accumula ritardo, quindi bisogna cercare di tenere il miglior assetto per più tempo possibile.
«Queste protesi sono più comode di altre perché il peso viene scaricato proprio su queste – dice Davide Guntri – tutto il peso delle spalle, della cervicale e della testa poggia proprio lì». Più comodità vuol dire riuscire a rimanere in posizione più facilmente e più a lungo e quindi essere più aerodinamici.

Protesi Deda Elementi Jet alto
Fra le protesi si vede il supporto per il computerino
Protesi Deda Elementi jet Alto
Fra le due estensioni c’è il porta computerino posizionato in modo da non creare turbolenze

Monoscocca in carbonio

Le protesi Jet sono un monoscocca in carbonio 3K e sono disponibili in due misure: S e M. Le prime hanno una lunghezza di 340 millimetri, mentre le seconde arrivano a 370 millimetri. Il peso delle due estensioni Jet in taglia S è di 330 grammi, che salgono a 660 grammi con gli spessori e i poggia gomiti inclusi.
«Tutti i corridori usano una di queste due misure – continua Guntri – che sono il frutto di studi e test fatti con gli atleti del UAE Team Emirates. L’angolo delle estensioni è di 15 gradi verso l’alto con il kit di montaggio fornito da Deda Elementi. Fra le due protesi c’è il porta computerino, che quasi scompare perché rimane in mezzo alle braccia e non crea turbolenze».

Juan Sebastian Molano
Per Molano manubrio di Colnago con protesi Jet
Juan Sebastian Molano
Per Juan Sebastian Molano manubrio Colnago con le protesi Jet di Deda Elementi

Compatibilità quasi totale

Da sottolineare che le protesi Jet si possono adattare tramite un kit specifico anche sui manubri tondi da 31,6 millimetri di diametro. Inoltre, è possibile montarle sia sui manubri Deda Elementi sia su quelli di altri marchi. Ad esempio i corridori del UAE Team Emirates usano le Jet su un manubrio Colnago, utilizzando un kit di montaggio realizzato direttamente dall’azienda di Cambiago. Questa qualità le rende compatibili con la maggioranza delle biciclette da cronometro.

Lenticolare SL Hero Deda Elementi

Lenticolare: veloce, ma molto difficile

01.03.2021
4 min
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La si vede in poche occasioni, ma spesso può far vincere o perdere un grande Giro, certamente è sinonimo di velocità e rigidità. Stiamo parlando della ruota lenticolare. Ma come si costruisce una ruota così particolare? Lo abbiamo chiesto a Davide Guntri, Responsabile per i Team di Deda Elementi.

Poche al giorno

Quando si parla di ruote lenticolari si pensa alle cronometro oppure alle prove in pista, ma certamente è uno strumento poco utilizzato dalla maggior parte dei ciclisti.
«E’ una ruota particolare, molto difficile da costruire e che richiede anche molto tempo – inizia a spiegarci Davide Guntri – se ne fanno al massimo 2 o 3 al giorno. La difficoltà maggiore sta nel fatto che non avendo i raggi quando esce dallo stampo deve essere già dritta, perché dopo non ci puoi fare più niente».

Deda Elementi lenticolare SL Hero
La SL Hero è la lenticolare di Deda Elementi
Deda elementi lenticolare SL Hero
La SL Hero è la ruota lenticolare prodotta da Deda Elementi

Fogli di carbonio molto vicini

E come tutte le cose complicate c’è un procedimento preciso da seguire.

«Ci sono due stampi, uno per la parte destra e uno per la parte sinistra – continua Guntri – la parte interna della ruota è quella più lunga da fare. In pratica viene messa una serie di fogli di carbonio molto vicini l’uno con l’altro. Poi si inserisce un anello di carbonio tutto intorno alla ruota, che sarebbe la pista frenante. Una volta si faceva in alluminio ma oggi è tutto in fibra. Questa prima fase di lavorazione è quella che conferisce rigidità alla ruota. Una volta ultimata, si mette tutto in forno per 40/50 minuti».

Mozzi standard

Tirate fuori dal forno, inizia un’altra fase che è quella dedicata al mozzo.
«Il mozzo viene inserito all’interno della ruota – ci dice Guntri – applicando della colla bicomponente sia nel lato destro che sinistro e poi viene avvitata la flangia nella parte sinistra. A questo punto si rimette la ruota in forno per 20 minuti in modo da far seccare la colla».

Ma i mozzi delle lenticolari sono specifici? «Usiamo dei mozzi che hanno lo stesso meccanismo di quelli che usiamo per le ruote standard da strada. In questo modo si possono riparare più facilmente in caso di problemi».

cronometro Area Zero Deda Elementi
Un corridore dell’Area Zero Pro Team durante una cronometro
Cronometro Area Zero ruote Deda elementi
Un corridore dell’Area Zero Pro Team durante una cronometro con la lenticolare

Finitura esterna

Arrivati a questo punto si passa all’ultima fase di lavorazione.
«Per terminare si stendono dei fogli di carbonio sulla parte esterna – continua a spiegarci Davide Guntri – in Deda Elementi usiamo del carbonio con finitura 6K. Mentre per la parte interna usiamo il carbonio T700. Fatta la finitura esterna la ruota è pronta».

Sempre più piatte

Abbiamo chiesto se la lenticolare deve avere degli angoli precisi da rispettare oppure se ci possono essere delle differenze fra un modello e un altro.
«Le nostre lenticolari sono piatte e la tendenza è quella di appiattirle sempre di più – ci spiega il Responsabile di Deda Elementi – facendole piatte sono più rigide. Inoltre, risultano più filanti anche perché sono più in linea con il telaio. Una volta erano più bombate, ma adesso con gli studi di aerodinamica si è deciso di appiattirle».

Lenticolare Deda Elementi SL Hero Disk
La lenticolare SL Hero nella versione disco
Lenticolare Deda Elementi SL Hero Disk
La lenticolare SL Hero nella versione disco

Lenticolare tubeless

Deda Elementi è stato uno dei primi marchi a produrre la lenticolare con il freno a disco e come abbiamo appena visto è molto attenta alle innovazioni tecniche. Quali novità ci potranno essere sulla lenticolare?
«Stiamo valutando di fare una lenticolare tubeless, che al momento non c’è. Abbiamo visto che con questo tipo di pneumatici si ha una scorrevolezza maggiore e si può risparmiare qualche secondo su una cronometro»

Deda Elementi Alanera sopra

Ruote e manubri, sentiamo cosa ci dice Deda Elementi

23.12.2020
5 min
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Abbiamo parlato con Davide Guntri, Responsabile dei Team di Deda Elementi per chiedergli quali evoluzioni tecniche ci saranno nel 2021 in tema di manubri e ruote. Deda Elementi è un’azienda che investe molto sulla ricerca e sviluppo per lanciare nuove soluzioni tecniche con cui rifornisce diverse squadre come: UAE Team Emirates, Lotto Soudal, Bardiani, Androni, Caja Rural, Gazprom e Sangemini.

Pesi sempre più bassi

Negli ultimi anni le ruote e i manubri hanno avuto un grande sviluppo tecnico e ancora non si è trovato un punto di arrivo.
«In Deda Elementi abbiamo costruito una bella squadra che fa ricerca e sviluppo – inizia così Davide Guntri – insieme a me, che mi occupo dei team che riforniamo, ci sono il disegnatore e l’ingegnere con cui progettiamo e sviluppiamo i prodotti che a me piace anche testare. E poi ci sono i feedback dei corridori che per noi sono fondamentali».

Che novità ci dobbiamo aspettare per il 2021? «Guardate, il mercato sta andando molto bene. Abbiamo continue richieste e non riusciamo a soddisfare tutti. Tra l’altro iniziano ad esserci problemi nel trovare il carbonio e i tempi di molti fornitori, soprattutto orientali, sono diventati lunghissimi. Quindi non sappiamo quando riusciremo a soddisfare tutta la domanda. Ultimamente abbiamo iniziato a collaborare anche con delle aziende europee per quanto riguarda la produzione di cerchi di altissima gamma con risultati che sembrano essere molto interessanti».

Le nuove ruote Trenta2 che saranno in dotazione alla Bardiani
Le nuove ruote dal profilo basso Trenta2 che saranno in dotazione alla Bardiani

Questa affermazione di Davide Guntri ha acceso la nostra curiosità e abbiamo cercato di capire quali novità potrebbero arrivare.

«Vi posso solo dire – risponde – che potremo risparmiare 30 grammi su un singolo cerchio, che fanno 60 grammi su una coppia di ruote. Non sono pochi. Pensate che stiamo ultimando anche i nostri nuovi mozzi completamente sviluppati e prodotti da noi che sono 100 grammi più leggeri rispetto a quelli precedenti. Se consideriamo che si possono limare altri grammi sui raggi, potremo arrivare ad un alleggerimento di che si aggira sui 200 grammi su una coppia di ruote. E’ un risultato notevole».

Tubeless o copertoncini?

Le ruote sono proprio uno dei componenti che ha subito l’evoluzione più grande. Ma al momento quali caratteristiche deve avere una ruota di ultimissima generazione?
«Sapete che adesso si è aperto il dibattito – continua Davide Guntri – se sia meglio il tubeless o, come sostiene Specialized, il copertoncino. Alcuni dicono che il futuro è il tubeless, mentre altri puntano sulla camera d’aria. Io sono per avere la ruota più leggera possibile con il copertoncino. E’ una mia opinione personale, però penso che già eliminando il dente all’interno del cerchio, che serve per montare i tubeless, togli 20 grammi a ogni ruota».

Ma non è solo una questione di peso: «Quando buchi, finché il foro è piccolo, il tubeless funziona. Se il liquido non riesce a chiudere il foro iniziano i problemi. Devi montare la camera d’aria, perdi un sacco di tempo, ti sporchi e devi sversare da qualche parte il liquido sigillante, il che non è il massimo a livello ambientale. Ho provato i tubeless e io tutta questa differenza con i copertoncini non la sento. Un conto sono i professionisti che nelle cronometro montano il tubeless all’anteriore e il tubolare al posteriore per guadagnare qualche decimo di secondo ogni chilometro. Per gli amatori il discorso è diverso».

La SL 45 Disc sarà la ruota a profilo più alto in dotazione alle squadre per il 2021
La SL 45 Disc sarà la ruota ad alto profilo che Deda Elementi fornirà alle sue squadre

Il canale largo

Ma non c’è solo il peso nel definire le prestazioni: «Una ruota moderna deve avere il canale del cerchio largo, noi adesso arriviamo a 21 millimetri interni. Penso che però non potremo allargare i canali all’infinito, altrimenti non ci passiamo più nei telai. Secondo me la larghezza di 21 millimetri del cerchio con copertoncini da 25 o 28 millimetri con pressioni basse di gonfiaggio sia l’ottimo. Si ha un ottimo comfort e scorrevolezza».

Capitolo manubri

L’altro componente che si è evoluto è il manubrio: «Guardate, per i manubri posso dire che è venuto Trentin qualche giorno fa e abbiamo sviluppato una nuova forma della curva Vinci. Il lavoro fatto è stato talmente buono che lanceremo questa nuova forma più arrotondata nella zona della curva anche sul mercato».

Il manubrio e l’attacco Vinci che presenterà delle novità
Il manubrio e l’attacco Vinci presenterà delle novità per il 2021

Tutto made in Deda Elementi

Una curiosità che abbiamo voluto chiedere a Davide Guntri è se Deda Elementi produce manubri o ruote anche per altri marchi.

«In realtà no – dice abbiamo molti accordi per rifornire i primi montaggi ma non produciamo per altri. L’unica cosa che facciamo è quella di far provare ai marchi di telai che ce lo chiedono, delle nostre ruote con certe caratteristiche tecniche. Se le ruote piacciono allora le possiamo personalizzare nella grafica che ci richiedono».

Infine, Guntri mette in evidenza una tendenza: «Per quanto riguarda la produzione dei manubri, negli anni passati molti marchi di telai hanno lanciato il loro manubrio, mentre ultimamente stanno tornando a montare dei prodotti fatti dalle aziende specializzate come noi. Penso che sviluppare dei manubri integrati e sempre più aerodinamici sia complicato. A parte i grandi colossi come Specialized, Trek o Pinarello, sia difficile per molto marchi continuare a sviluppare certi prodotti. Noi facciamo solo questo e penso che i nostri prodotti, come quelli di altre aziende come noi, siano migliori in termini di prestazioni e anche di cura estetica»

AlaNera su Colnago Pogacar

Deda Elementi, l’Ala resta Nera

21.09.2020
3 min
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Abbiamo detto che nella vittoria di Tadej Pogacar al Tour de France c’è molta Italia. La bicicletta Colnago, il gruppo e le ruote Campagnolo, le coperture Vittoria e il manubrio Deda Elementi. Quest’ultimo marchio è uno dei più conosciuti del nostro ciclismo e rifornisce molte squadre professionistiche.

Il montaggio dell’AlaNera sulla bici di Pogacar
Il montaggio dell’AlaNera sulla bici di Pogacar prima del via della passerella sui Campi Elisi

Un viaggio inaspettato

Ci siamo fatti raccontare da Davide Guntri, uno dei responsabili di Deda Elementi, come hanno festeggiato la vittoria di Pogacar.
«Quando ho capito che Pogacar aveva conquistato il Tour de France ho chiamato subito il mio collega Gianluca Cattaneo e insieme abbiamo deciso di partire per Parigi. Abbiamo cercato dei voli, ma non c’era nulla». La vittoria della cronometro della Planche des Belles Filles è avvenuta di sabato con l’azienda che era chiusa, ma per l’occasione «abbiamo chiamato un nostro collega che ci ha aperto i cancelli alle 20 di sabato sera. Ho preso l’AlaNera, alcuni distanziali e un nastro giallo nuovo. Poi siamo partiti e siamo arrivati alle 5,20 del mattino all’albergo della UAE Team Emirates. Abbiamo dormito un paio di ore in macchina e verso le 8,30 i meccanici della squadra sono venuti a bussarci ai finestrini». A quel punto tutti si sono messi all’opera per allestire la bici di Pogacar per la passerella sui Campi Elisi. Alle 10,30 la bici era pronta. Un’ora dopo Davide Guntri e Gianluca Cattaneo sono ripartiti alla volta dell’Italia.

L’AlaNera ha mantenuto il suo colore tradizionale
L’AlaNera ha mantenuto il suo colore tradizionale e non si è tinta di giallo

Il retroscena

Nei giorni precedenti Davide Guntri aveva fatto dipingere un paio di manubri AlaNera di giallo, con la speranza che Pogacar facesse l’impresa. Il problema è stato che i due manubri gialli avevano un pantone diverso rispetto al colore della maglia gialla.
«Abbiamo portato a Parigi anche i due manubri gialli, però una volta montati, la tonalità di giallo era troppo diversa. A quel punto abbiamo deciso di montare un’AlaNera classica e devo dire che è stato meglio così. Alla fine il manubrio nero dava un tocco di aggressività in più alla Colnago di Pogacar».

Nel ricordo di Fulvio

Durante il viaggio notturno dall’Italia verso la Francia Davide e Gianluca si sono tenuti svegli sia con il caffè, ma soprattutto ricordando Fulvio Acquati. Una persona che è stata l’anima di Deda Elementi per tanti anni e che purtroppo è venuto a mancare nel 2017. Fulvio Acquati era Direttore Commerciale di Deda Elementi «Ma era soprattutto un uomo con una cultura enorme, che sapeva parlare italiano in maniera perfetta e con una grande conoscenza della tecnica della bicicletta. La vittoria al Tour de France è arrivata anche grazie al suo lavoro».
Anche noi di bici.PRO ci associamo al bel ricordo di Fulvio Acquati.