Andrea Casagranda, è lei adesso l’atleta di famiglia

18.12.2022
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«Quando sono nata io, mio padre ha smesso di correre». Il passaggio di consegne è avvenuto quel 22 settembre 2004 quando Andrea Casagranda è arrivata nella vita di Stefano, a quel tempo alla Saeco, e di sua madre Caterina. Ora l’atleta di famiglia è proprio lei, che nel 2023 diventerà elite con la BePink.

Che il ciclismo fosse nel sangue e nel destino della giovane Casagranda (foto PH Rosa in apertura) era praticamente già scritto. Oltre a papà (9 stagioni da pro’ con 5 vittorie, tra cui una tappa alla Parigi-Nizza), attuale presidente del Veloce Club Borgo ed organizzatore della storica Coppa d’Oro, anche mamma Caterina Giurato è da sempre nell’ambiente in qualità di diesse. Abbiamo deciso quindi di conoscere meglio la diciottenne della Valsugana facendoci raccontare com’è la sua vita da sempre in mezzo alle biciclette.

Andrea Casagranda nel 2022 ha disputato la Gand-Wevelgem con la nazionale (foto Rocco Maes)
Andrea Casagranda nel 2022 ha disputato la Gand-Wevelgem con la nazionale (foto Rocco Maes)
Andrea iniziamo dagli ultimi due anni da junior nel Breganze. Come sono stati?

Alla fine li giudico buoni, anche se mi aspettavo di più visto come ero partita. Nel primo anno ho raccolto inaspettatamente risultati importanti, considerando che da allieva e esordiente mi piazzavo poco. Un bel decimo posto a Cittiglio, una vittoria e in generale belle prestazioni. Quest’anno invece ho preso il Covid a gennaio. Ho dovuto rincorrere la forma giusta e questo mi ha demoralizzata. Forse ero un po’ saltata di testa. Forse pensavo di ottenere molto di più perché più grande di un anno. Tuttavia sono stata piuttosto presente nelle top ten, riuscendo a correre anche la Gand-Wevelgem con la nazionale. Ciò non toglie però che avrei voluto disputare una stagione migliore.

Hai tratto qualche insegnamento da questo?

Sì, certo. Che non tutto viene subito, per scontato. Ho imparato che non bisogna demordere, che nel ciclismo si cresce sempre step by step. Che sì, ci vogliono le gambe ma la testa conta molto di più di quello che si può immaginare. E’ un aspetto sul quale sto lavorando tenendo conto che adesso correrò nella categoria più alta.

Sei spaventata quindi dal primo anno elite?

Direi di no. Innanzitutto ringrazio la BePink che si è interessata a me prendendomi. Sono molto contenta di essere con loro. So che sono nella formazione giusta per fare esperienza ed imparare a correre. Non avrò troppa pressione. Avrò compagne giovani ma già molto preparate e navigate. Spero di poterle aiutare. Fino alla maturità so che dovrò concentrarmi sullo studio. Per mia fortuna ho buoni voti (frequenta il Liceo Scientifico di Scienze Applicate a Borgo Valsugana, ndr) però da luglio 2023 potrò pensare solo al ciclismo.

Che tipo di corridore sei? Ti ispiri a qualche atleta?

Mi definirei passista-scalatrice. Nelle categorie giovanili siamo tutte passiste, poi crescendo e facendo gare più dure escono le vere attitudini. In salita ho notato che mi trovavo bene. Non altrettanto in volata. Sono tutt’altro che veloce (ride, ndr). Mi sto allenando però per diventarla un po’ di più perché serve sempre esserla. Ammiro molto Longo Borghini. Magari poter fare la metà delle imprese che ha fatto lei…

Stefano Casagranda è il presidente del Veloce Club Borgo, organizzatore della Coppa d’Oro
Stefano Casagranda è il presidente del Veloce Club Borgo, organizzatore della Coppa d’Oro
Andrea Casagranda com’è finita a correre in bici? Forzatura o per passione?

Dico sempre che ho iniziato ciclismo da G1 in modo automatico. I miei genitori non mi hanno mai spinto, anzi mio padre sapendo la fatica che si fa mi ha sempre messo in guardia mentre ero giovanissima. Ovvio però che quando mamma e papà lavorano nel ciclismo e ne senti parlare tutti i giorni, è naturale che finisci a correre. Mio fratello Niccolò ha un anno in più di me e aveva iniziato prima. Andavo alle sue gare, mi piaceva, mi divertivo e ho voluto cominciare. Il ciclismo a Borgo Valsugana è veramente di casa. Qui abbiamo Trentin, mentre a Pergine c’è Oss. E poi ricordo bene la settimana tricolore del 2012…

Come l’avevi vissuta?

Come una festa. Da noi, dicevo, tantissimi giovani corrono in bici e tutti ci sentivamo coinvolti. Mio padre era nell’organizzazione e andavo con lui a preparare i percorsi. Mi piaceva vedere le nostre strade addobbate e pieni di professionisti in allenamento. Avevo otto anni, ci capivo molto poco (sorride, ndr) ma mi piaceva. Credo che alla lunga e inconsciamente quei campionati italiani siano stati un incentivo per correre in bici.

Quanto parli di ciclismo con i tuoi genitori?

Abbastanza ma senza fissazioni. Sono contenti di me e che vada alla BePink. Mi chiedono come sto e che allenamenti devo fare. Se possono mi aiutano altrimenti mi appoggio ai tecnici del Veloce Club Borgo. Mia madre è stata la mia allenatrice proprio lì e fino a quest’anno ha guidato esordienti e allieve del Trentino Cycling Academy. Mio padre invece, a proposito della fatica, se n’è fatto una ragione (ripete divertita, ndr).

Andrea nasce passista, ma da junior ha sviluppato attitudini per la salita (foto Tre Giorni Giudicarie Dolomiti)
Andrea nasce passista, ma da junior ha sviluppato attitudini per la salita (foto Tre Giorni Giudicarie Dolomiti)
Ti ha pesato essere figlia d’arte?

No, anche se spesso sentivo dire che siamo raccomandate. Ne parlavo con mio padre dopo che abbiamo letto la vostra intervista a Cristian e Sara Pepoli. Lui ha corso con mio padre e si conoscono bene. Personalmente mi sento orgogliosa di fare lo sport che faceva mio padre, così come penso lo sia Sara, che ho conosciuto alle gare. Non si possono fare paragoni tra figlie e padri. E in ogni caso io non lo sento.

Quanto sa Andrea Casagranda di suo padre Stefano?

Mi sono sempre interessata molto alla sua carriera. Andavo a cercare qualcosa su Youtube, tipo la tappa che ha vinto al Giro del Trentino. So che è stato il suo secondo successo da pro’ con quasi 120 chilometri di fuga solitaria. Poi da junior come diesse ho avuto Davide Casarotto che è stato suo compagno di squadra per tanti anni. Figuratevi quanti aneddoti mi raccontavano…

Piacere, Gaia Segato. Mi manda Casarotto…

17.06.2022
6 min
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Datele una salita e la vedrete protagonista. Gaia Segato (in apertura nella foto Ossola), junior del Breganze Millenium, vorrebbe correre solo all’insù, ma in realtà ha imparato ad andare forte quasi dappertutto. Non a caso tutte le sue amiche-rivali, quando le abbiamo sentite in questi mesi, l’hanno sempre inserita tra le ragazze da tenere più in considerazione, specie per le gare dure.

E così – un po’ incuriositi da questi riscontri, un po’ attirati dai suoi risultati – abbiamo voluto conoscere meglio la classe 2004 trevigiana di Maserada sul Piave che frequenta il liceo scientifico sportivo Da Vinci a Treviso e che l’anno prossimo avrà la maturità.

Garantisce Casarotto

Il diesse della Segato è Davide Casarotto – ex pro’ dal ’96 al 2003 con 8 vittorie tra cui una tappa alla Tirreno-Adriatico – che guida il Breganze dal 2011.

«Dopo un 2021 di difficile ambientamento nella nuova categoria – dice – quest’anno Gaia è cresciuta tantissimo, ha cambiato passo. Da esordiente e allieva non andava forte come le sue avversarie, ma non è stata condizionata. Questo per me è uno dei suoi migliori aspetti. Sapevo che avrebbe avuto una bella crescita graduale. Gaia è una scalatrice pura, ma non ha paura di prendere il vento in faccia o di andare in fuga. Anche a crono ha fatto grandi progressi. Ho voluto che ci lavorasse su per non farla arrivare tra le elite troppo impreparata».

Un diesse concreto

Da tecnico, Casarotto (che amava le gare del Nord in cui ottenne nel ’97 due quinti posti a Fiandre e Roubaix) ha fatto passare tante ragazze, ma non si sbilancia in paragoni col passato.

«Tra le tante – snocciola – ho avuto Bariani, Patuelli, Tomasi, Trevisi, Bertizzolo e Beggin. Per me il suo ritiro resta un grande rimpianto perché aveva grandi doti in salita. Ecco Gaia forse somiglia un po’ a lei, ma è difficile confrontarle. Ogni ragazza è sempre diversa dall’altra. La raccomandazione che le faccio è di restare umile, di crescere ancora con calma e di non scoraggiarsi quando da elite prenderà delle legnate. Perché arriveranno, come è stato per tutti, ma non dovrà mollare. Gaia ha determinazione e, se avrà anche un po’ di fortuna, fra qualche anno la vedremo davanti tra le big nelle gare dure».

Parola a Gaia

Intanto la Segato sta procedendo con la sua annata che finora le ha fruttato tanti piazzamenti nelle top five. Ma soprattutto si è guadagnata la convocazione in nazionale per il Tour du Gevaudan Occitanie, in cui le azzurre di Sangalli si sono ben distinte, conquistando la classifica a squadre pur non vincendo la piccola gara a tappe.

Gaia partiamo da qui. Che esperienza è stata in Francia?

E’ andata molto bene. Abbiamo corso a Mende. Ho fatto quarta nella prima frazione che si concludeva sulla Montée Laurent Jalabert (ribattezzata così in onore del campione francese dopo la sua vittoria al Tour ’95 nel giorno della festa nazionale, ndr). Il giorno dopo siamo arrivate allo sprint e alla fine ho chiusa quarta nella generale a 3” dal podio (successo della francese Rayer, ndr). Sono contenta di come è andata e mi fa piacere essere stata presa in considerazione dal cittì.

Invece che effetto ti fa essere considerata anche dalle tue avversarie?

Davvero? Ovviamente mi rende felice. Sono tutte praticamente amiche, le conosco da sempre. Diventare forte come loro è sempre stato il mio obiettivo. Ora che sono lì a giocarmela con loro, mi inorgoglisce. E sono più serena.

Gaia Segato ha vestito la maglia azzurra al Tour du Gevaudan Occitanie dove ha conquistato il 4° posto nella generale (foto Segato)
Gaia Segato ha vestito la maglia azzurra al Tour du Gevaudan Occitanie dove ha conquistato il 4° posto nella generale (foto Segato)
Cosa c’è dietro questa maggiore tranquillità?

Ho più fiducia in me stessa. Forse i buoni risultati derivano dal fatto che in allenamento, magari su alcune salite vicino a casa, avvertivo buone sensazioni rispetto all’anno scorso. Non so a cosa sia dovuto, forse ad una maturazione generale. Infatti, non solo in gara, ma anche a scuola e in mezzo alla gente mi sento meglio, più a mio agio.

Da quanto corri? Che caratteristiche pensi di avere?

Ho iniziato da G1 nell’Ucs Ottavio Zuliani, che è la società del mio paese. Poi esordiente ed allieva sono stata nel Team Arcade, in pratica la formazione che ha organizzato la gara open dello scorso weekend (in cui ha fatto quarta assoluta e terza di categoria, ndr). Amo le gare con della salita, ma al momento sto andando abbastanza bene anche a cronometro. In volata invece… ci sto lavorando, non sono veloce. Immagino che Davide ve lo abbia già detto (ride, ndr).

Ti ispiri a qualcuno in particolare?

Tra i maschi ho sempre ammirato Nibali. Tra le donne invece impossibile non dire Longo Borghini. Però negli ultimi anni mi piace tantissimo anche la Cavalli. Diventare come loro sarebbe il massimo, un sogno.

Loro due potresti vederle l’anno prossimo tra le elite. Stai già pensando al passaggio, magari anche all’estero?

Onestamente no. Ho avuto qualche contatto con la Top Girls ma senza alcun impegno. Solo qualche chiacchierata. Ci penserò più avanti. Valuterò tutto, anche eventuali chiamate da fuori Italia, però l’anno prossimo avrò la maturità. Dovrò scegliere una formazione che possa farmi fare la prima parte di stagione in modo adeguato senza pressioni.

Ti manca solo la vittoria quest’anno. Quali sono i prossimi programmi?

Spero che arrivi presto, non smetterò di cercarla. Il campionato italiano del 2 luglio a Cherasco è senza dubbio un obiettivo. Poi vorrei fare bene in tutte le altre gare, specie quelle con salita. Quelle mi piacciono tutte (ride, ndr).

Casarotto 1998

Casarotto e l’anno che il ciclismo cambiò

23.11.2021
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Era il 25 aprile 1996. Sembra strano dirlo a oltre 25 anni da quel giorno, quando tutto cominciò. Nessuno poteva aspettarsi che quell’edizione, la cinquantunesima del Gran Premio Liberazione avrebbe anticipato il cambiamento che successivamente avrebbe investito il ciclismo moderno. I professionisti che correvano fra i dilettanti: oggi la regola, allora una novità. La Federazione mondiale aveva lanciato la categoria degli under 23 ed Eugenio Bomboni, organizzatore della gara nel circuito delle Terme di Caracalla a Roma, andò contro corrente e decise che era arrivato il momento di aprire la corsa ai professionisti e la mise in calendario come open.

Open: pro’ e dilettanti insieme

Non aderirono in tanti, se si pensa che fra le 60 squadre partecipanti per un totale di 240 concorrenti, i corridori con in tasca un contratto firmato erano appena 13. Eppure fu evidente sin dalle prime battute che qualcosa era cambiato. Quella corsa la vinse in maniera rocambolesca Davide Casarotto, 25 anni allora, che da lì sviluppò una carriera arrivata tra i professionisti fino al 2002 con un totale di 8 vittorie e che poi è rimasto nell’ambiente come tecnico alla Breganze Millennium, ma che quel giorno lo ricorda ancora come se fosse ieri.

«Io avevo già partecipato al Liberazione l’anno prima – ricorda il vicentino – ma quel giorno sentivo che le cose erano ben diverse. Avevo già gareggiato fra i professionisti, sentivo che avevo altre gambe, più potenti. Era il primo anno della rivoluzione, le gare dilettantistiche potevano aprirsi ai professionisti. In realtà non furono tante a farlo, ma il Liberazione era una di queste. Non era una gara qualsiasi, per un dilettante era “la” gara. Pressoché impossibile da controllare con quei numeri di partecipazione e quel circuito di 5,4 chilometri che dovevi affrontare ben 23 volte».

Liberazione Piramide
Il percorso del Liberazione è tanto affascinante quanto difficile, favorevole ai colpi di mano
Liberazione Piramide
Il percorso del Liberazione è tanto affascinante quanto difficile, favorevole ai colpi di mano

La grande scuola della Scrigno

Rileggendo le cronache dell’epoca, Roma accolse la carovana del Liberazione con una mattinata imbronciata. Aveva piovuto fino a mezz’ora prima del via e le strade erano viscide, figurarsi i famosi sampietrini che costellavano parte del circuito.

Casarotto, con 4 vittorie nell’anno precedente in maglia Fis-Parolin, si era guadagnato il passaggio di categoria alla Scrigno-Gaerne di Bruno Reverberi e Enrico Paolini: “Una scuola che concede spazio ai giovani – scrisse al tempo Gino Sala su L’Unità, il giornale che da sempre sosteneva la manifestazione – dove tutti sono capitani e tutti sono gregari, dove si può crescere senza assilli, dove la parola d’ordine è dare il meglio di se stessi coi metodi fondamentali del ciclismo: osare per imparare per crescere con l’arma del coraggio e della fantasia”.

A rileggere oggi quelle parole, in un’epoca dove il ciclismo consuma tutto e subito, sembra preistoria, anche se Reverberi (gliene va dato atto) la sua ricetta non l’ha mai cambiata.

«Eravamo in 4 a gareggiare – ricorda Casarotto – Rossato con cui avevo condiviso tutto sin da dilettante, Conte, Guidi ed io. Tutti abbiamo avuto una proficua carriera fra i pro’ e poi come tecnici. L’anno prima avevo corso per aiutare Rossato, ma quell’anno la corsa si mise in modo da favorire me. Ero al top, avevo fatto la Tirreno-Adriatico e portato a termine la Milano-Sanremo e quelle fatiche mi avevano dato una condizione super. I pro’ non erano tanti perché nello stesso giorno c’era il Giro dell’Appennino. Le squadre italiane avevano preferito andare sul sicuro, sapendo che il Liberazione era una lotteria».

Bomboni Troiani
Dopo il Liberazione scattava il Giro delle Regioni: qui Battaglin sul podio del 2010. A sinistra il patron Eugenio Bomboni
Bomboni Troiani
Dopo il Liberazione scattava il Giro delle Regioni: qui Battaglin nel 2010o. A sinistra, Bomboni

Abdujaparov rimase nelle retrovie

Il terreno viscido fece vittime, già all’inizio una maxicaduta favorì la fuga. Pochi avrebbero pensato che già all’inizio il Liberazione si sarebbe parzialmente deciso. Quella fuga con Montanari, Zattoni, Moreni e Casarotto sarebbe andata in qualche modo in porto. Ma per Casarotto non fu tutto semplice.

I quattro avevano guadagnato un vantaggio enorme, quando superi i 5 minuti su quel percorso significa quasi essere vicini al doppiaggio, che avrebbe reso pressoché impossibile il lavoro dei contagiri. Non che il gruppo non avesse provato a reagire, ma si era spezzato in più tronconi. In fondo era rimasto il favorito della vigilia, l’uzbeko Abdujaparov dalla volata mortale, ma senza compagni di squadra in grado di aiutarlo. Casarotto collaborava con gli altri, ma a un certo punto dovette pagare pegno.

Una caduta, una ferita alla gamba destra, ma con l’adrenalina che scorreva in corpo era il meno. Il fatto era che il suo telaio era spezzato in due e a guardarlo un brivido scorse lungo la sua schiena. Non c’era tempo per pensarci, Casarotto risalì sulla seconda bici e si lanciò all’inseguimento.

Albanese Liberazione 2016
Il podio dell’edizione 2016 vinta da Vincenzo Albanese, uno dei tanti ora nei pro’
Albanese Liberazione 2016
Il podio dell’edizione 2016 vinta da Vincenzo Albanese, uno dei tanti ora nei pro’

La superiorità del più forte

Uno contro tre, ma certe volte è da questo che si vede la superiorità. Non solo il portacolori della Scrigno riprese gli avversari, ma con due scatti sbriciolò la loro resistenza, chiudendo primo con 9” su Montanari e 40” su Zattoni e Moreni. Gli altri ben più lontani, annichiliti dal portacolori di un vento nuovo che soffiava sul ciclismo e che presto avrebbe cancellato di fatto il mondo dei dilettanti.

«Quella vittoria è stata una delle emozioni più forti della mia vita – ricorda oggi Casarotto – il Liberazione al tempo era l’unica gara dilettantistica che veniva ripresa dalla Tv in diretta. La vedevo sempre e sognavo di vincerla un giorno, di entrare in un albo d’oro ricco di nomi prestigiosi. Fu un giorno straordinario e non lo dimenticherò mai».

Oggi il Liberazione, dopo essere passato di mano e essere stato fermo per due anni, sta cambiando pelle, ma resta la gara di riferimento per gli under 23, proprio la categoria che esordì nel 1996.

«Io dico che ci metterà poco a tornare agli antichi fasti – chiude Casarotto – Roma è un palcoscenico difficile, ma nessuno può avere il suo fascino. Guardate quel che è successo anche dopo, ha sempre vinto un corridore valido, da Goss che trionfò alla Sanremo a Trentin, da Albanese fino a Gazzoli primo quest’anno. Ho letto dei progetti che ha il nuovo organizzatore e sono sicuro che il Liberazione tornerà ad essere il vero mondiale di primavera».

Davide Casarotto, Breganze Millenium

Casarotto, con le junior non bisogna avere fretta

11.01.2021
4 min
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Il più delle volte si va avanti per associazioni di idee e così, avendo parlato con Sofia Bertizzolo, il passaggio al suo tecnico Casarotto è stato quasi automatico. Si parla degli anni fra le junior. C’era anche lui fuori dalla sala stampa di Ponferrada 2014 quando la vicentina andò a raccontarsi dopo l’argento su strada e c’è lui tuttora sull’ammiraglia della Breganze Millenium.

Davide a dire il vero lo ricordiamo professionista dal 1996 al 2003, con una serie di vittorie fra cui il Gp della Liberazione quando fu aperto ai professionisti e in seguito la Clasica de Sabinanigo.

Davide Casarotto, Liegi-Bastogne-Liegi 1997
Davide Casarotto, sulla Redoute alla Liegi del 1997
Casarotto, sulla Redoute alla Liegi 1997
Casarotto, sulla Redoute alla Liegi 1997

«Ma si fermò tutto per un incidente in allenamento – ricorda – in un anno in cui parecchie squadre chiusero e rimanemmo a piedi in tanti. Rientrai, dovevo fare la Vuelta, invece riuscii a fare solo il Trittico Lombardo e stop. Appena smesso fu un periodo strano. Il ciclismo era e resta la mia vita, non mi capacitavo di dover starne fuori e così accettai prima l’ammiraglia della Utensilnord, una bella squadra di dilettanti in cui correvano anche Pasqualon e Canola. Poi, quando anche quell’esperienza finì, mi proposero questa squadra storica. Donne junior. Ero perplesso, all’inizio ammetto di aver fatto fatica. Invece ho continuato e adesso posso dire di aver fatto bene…».

Sempre juniores?

Sempre. Ogni squadra deve fare ciò che può e che meglio gli riesce, inutile fare voli pindarici. Al massimo, visto che di fatto non esiste una categoria under 23, abbiamo tenuto qualche ragazza al terzo anno. Abbiamo alcune delle migliori dal veneto, anche se ormai arrivano da tutta Italia, ci cercano.

Negli under 23 si soffre il fatto che le squadre pro’ vanno a prendersi i talenti già fra gli juniores: secondo Casarotto come va fra le ragazze?

Le squadre elite fanno fatica. Spendono soldi e siamo a un passo dal professionismo, ma solo per quelle 30-40 italiane forti. Però è difficile che investano sulle giovani, perché non sempre riescono a mantenere da grandi quello che promettono da juniores. Da noi succede il contrario che all’estero.

Sofia Bertizzolo, campionati nazionali giovanili crono 2014
Sofia Bertizzolo, sul podio dei campionati nazionali giovanili crono del 2014
Sofia Bertizzolo, sul podio campionati nazionali giovanili crono del 2014
Sofia Bertizzolo, ai campionati nazionali giovanili crono 2014
In che senso?

Qui fanno grandi risultati presto e poi spariscono. Di là vengono fuori alla distanza.

Perché secondo Casarotto?

Forse ci aspettiamo troppo da loro quando sono piccole e diamo troppe attenzioni. Le abituiamo a essere trattate bene con gestioni professionistiche. Forse qualcuna è anche troppo allenata e quando passa elite non riesce ad aumentare il sacrificio. E non c’è pazienza, perché comunque di là prima di venir fuori c’è da fare tre anni di gavetta.

Adesso l’adattamento sembra più rapido.

E’ vero che nelle annate 1997-2000 c’è una decina di ragazze che sta maturando bene, ma le vedo come l’eccezione alla regola. E soprattutto hanno avuto fiducia nei loro mezzi e trovato persone che gli hanno dato fiducia. Presto avremo le sostitute per Guderzo e Bastianelli, insomma.

Sofia Bertizzolo, Sofia Beggin, tricolore donne 2015 a Torino
Bertizzolo festeggia così Beggin, ai tricolori donne junior 2015 a Torino
Sofia Bertizzolo, Sofia Beggin, ai tricolori donne junior 2015 a Torino
Bertizzolo festeggia così Beggin, ai tricolori donne junior 2015 a Torino
Qual è il ritratto della ragazzina che arriva da voi?

Trovi ragazze già pronte, oppure altre tutte da scoprire e con tanti margini. Sofia Bertizzolo, ad esempio, era a zero quando è passata. Si allenava 2-3 volte a settimana e andava a scuola. Era abbastanza ingenua, ma aveva margini enormi.

Restano in contatto quando passano?

Quasi tutte. Negli ultimi 10 anni abbiamo lavorato con circa 80 ragazze e fra loro 20-25 continuano. Alcune le ho allenate anche dopo, con le altre ci sentiamo. Vederle arrivare in cima è la soddisfazione più bella, ma per riuscirci non devi spingere. Devi farle crescere.

Le famiglie collaborano o stanno tra i piedi?

Dipende dallo sviluppo delle ragazze. Ci sono quelle già mature, per cui i genitori vengono a vederle 2-3 volte per conoscerti bene e poi le lasciano. Questo per noi è un vantaggio. Poi ci sono quelli che non si fidano o comunque vogliono esserci sempre e questo crea problemi. Io per fortuna per questo sono stato fortunato. 

La Breganze al Giro delle Marche vinto da Alessia Patuelli
La Breganze al Giro delle Marche vinto da Alessia Patuelli
La Breganze al Giro delle Marche vinto da Alessia Patuelli
E se domani ti richiamassero fra gli uomini?

In questo momento ho trovato il mio equilibrio. Dovrei pensarci anche a livello familiare. Sono impiegato contabile e il mio lavoro mi lascia due mezze giornate libere e anche i weekend. Ho una figlia di un anno e mezzo e voglio essere presente alla vita di casa mia, a Caldogno. Il paese di Baggio.

Il Covid ha cambiato qualcosa?

Dieci anni fa si andava in bici dopo la Befana, quest’anno ci sono arrivate che avevano fatto già 25 uscite dai primi di dicembre. Proprio a causa del Covid e del fatto che non vanno a scuola, alcune hanno anticipato la preparazione. Fra poco faremo un ritiro e poi speriamo si possa cominciare…