Nei giorni scorsi Vittoria ha ufficializzato una nuova partnership con l’Union Cycliste Internationale (UCI, ndr). Per il biennio 2024-2025, quindi a partire già da quest’anno, l’azienda di Brembate sarà Main Partner dell’UCI per quel che concerne i Campionati del Mondo di Mountain Bike. Si tratta di un accordo di assoluto prestigio, un ulteriore tassello nella collaborazione fra l’UCI e Vittoria che negli ultimi tre anni ha visto l’azienda italiana partner della Coppa del Mondo di Mountain Bike.
Un investimento importante
Questa nuova collaborazione con l’UCI rappresenta per Vittoria un investimento significativo finalizzato ad affermare il marchio e i prodotti all’interno della community della mountain bike mondiale. Ricordiamo che i Campionati del mondo rappresentano il principale evento annuale di mountain bike dell’UCI. Quest’anno la rassegna iridata si svolgerà a Pal Arinsal, Andorra, dal 28 agosto all’1 settembre. Per l’occasione Vittoria sarà presente con un suo stand, il suo personale e atleti per intrattenere tifosi e appassionati, mostrando loro le ultime novità di prodotto per il mondo off road.
Partner prezioso
Il presidente dell’UCI David Lappartient si è espresso con queste parole in merito alla nuova partnership: «Vittoria è un partner prezioso dell’UCI e della disciplina della mountain bike. Sono lieto che intensifichi il suo sostegno come partner principale dei Campionati del mondo di mountain bike UCI per i prossimi due anni. La presenza dell’azienda italiana fornirà un valore aggiunto a questo prestigioso evento che unisce i migliori atleti di mountain bike del mondo».
Alle parole di Lappartient hanno fatto seguito quelle di Stijn Vriends, presidente e amministratore delegato di Vittoria: «Siamo molto lieti di intensificare la nostra partnership con l’UCI per la disciplina mountain bike. Lavoriamo da molti anni fianco a fianco con l’UCI per supportare i corridori di varie discipline e continueremo a farlo con entusiasmo!».
Ecco le squadre
Vittoria è da diversi anni una presenza costante nel mondo off road, come testimonia il lungo elenco dei team sponsorizzati. Tra questi meritano di essere segnalati i seguenti: Wilier-Vittoria Factory Team XCO, Santa Cruz Rockshox Pro Team, KMC Ridley MTB Racing Team, Caloi Henrique Avancini Racing, CS Carabinieri – Cicli Olympia, Berria-Polimedical MTB Racing Team, Pump for Peace Racing Team nell’XCO, XCC e XCM, Commençal ICStudio nella categoria DH, e i team Abetone Ancillotti Vittoria Factory Team, We Ride e Cube Mavic Collective nella categoria EDR ed E-EDR. Tutti questi team garantiscono a Vittoria una presenza in tutte le principali discipline della Coppa del Mondo di Mountain Bike.
A tu per tu con Paolo Rosola, che ha vissuto in prima persona la vicenda della Gazprom. I tentativi di trovare sponsor sono falliti. La politica è sparita
Chissà se David Lappartient, il megapresidente dell’Uci sapeva che, nel rilasciare la lunga intervista di qualche giorno fa a DirectVélo, avrebbe smosso così tanto le acque. Di quel che è successo nel mondo del ciclocross abbiamo avuta testimonianza diretta al Superprestige di Niel, con la protesta neanche troppo velata dei team principali verso le sue dichiarazioni. Tuttavia il dirigente francese ha coinvolto tutto il mondo delle due ruote.
La particolarità è che se da una parte il presidente non si è sentito successivamente di commentare ulteriormente, di entrare ancor più nello specifico di alcuni argomenti, dall’altra molti altri “attori” del mondo delle due ruote hanno preferito evitare accuratamente ogni commento, quasi timorosi di smuovere le acque.
Non solo presidente dell’Uci
Quel che Lappartient ha messo sul tavolo non è di poco conto e stupisce il fatto che una simile presa di posizione sia arrivata ora, alla vigilia dei Giochi di Parigi 2024. Giochi che lo vedono assoluto protagonista, visto che dal giugno 2023 unisce alla carica di numero 1 dell’organo internazionale anche quella di presidente del Comitato olimpico francese. Lappartient è in carica sul trono dell’Uci dal 2017, nel 2025 andrà a caccia del terzo mandato, intanto pensa già oltre, alle riforme del 2026 che a suo dire saranno profonde.
Bisogna capire se saranno anche legittime. Potrebbero esserlo quelle riguardantila Coppa del mondo di ciclocross, per la quale ha detto di pensare a un giro di vite. Chi salta una gara per partecipare a un’altra prova non del circuito, verrà escluso dallo stesso e anche dai mondiali. E’ questo che ha scatenato le ire dei team ed è su questo che ora si tratta a fari spenti, perché il rilancio della challenge non può passare senza l’avvallo delle squadre che costituiscono l’humus dell’attività. Ora la Coppa è articolata su 14 gare e si vuole arrivare a 15, sempre nel weekend: che spazi restano agli altri?
Classiche e contraddizioni
Certamente qualcosa va fatto, non è un caso se alla tappa inaugurale di Waterloo negli Usa c’erano solo 4 dei primi 10 del ranking e prossimamente, a Vermiglio, sono annunciate già defezioni di peso come quella dell’olandese Van Der Haar. Lappartient ha messo già sul tavolo qualche proposta come la diminuzione della durata totale delle competizioni e l’aumento dei punti validi per il ranking Uci. Basterà?
Le cronache si sono concentrate sul discorso legato al ciclocross, ma Lappartient è andato ben oltre e nel suo progetto di riforma un ruolo preminente lo avrà il calendario. Nella sua disamina il dirigente è andato anche in apparente contraddizione. Da una parte ha detto che è necessario accorpare sempre più l’attività in varie zone geografiche: «L’esperienza delle classiche franco-belghe che portano lì le squadre per tre settimane va ripetuta. Mettiamo insieme le prove in varie zone in modo da ridurre gli spostamenti per avere benefici sia economici che ambientali».
La riforma del calendario
Tutto bello, salvo poi sentire che non è assolutamente detto che Fiandre e Roubaix debbano sempre svolgersi in primavera e che non è un delitto pensare a un’inversione tra Liegi e Lombardia. In barba alle tradizioni, spazzando via ogni punto fermo. Lappartient avrebbe anche accarezzato l’idea di accorciare i grandi Giri, trovando però un netto no da parte degli organizzatori (Aso e Rcs, insieme a Flanders Classics tengono su il nocciolo duro dell’attività, impossibile tenere fede ai propri propositi andando loro contro…) mentre non è favorevole all’allungamento di altre corse fino a due settimane.
«Perché pensare alle gare sempre alla domenica? Perché le corse a tappe non possono partire di domenica e chiudersi al sabato? Le classiche hanno dimostrato che si vive di ciclismo anche di mercoledì o venerdì, con tanta gente sulle strade».
In questo Lappartient non sbaglia, seguendo d’altronde un fiume che coinvolge tanti altri sport, come il tennis che prevede tante finali di sabato. Nella sua rincorsa al cambiamento, il francese pensa anche a spostare la Vuelta da agosto, per evitare il gran caldo che d’altronde colpisce anche l’Australia a gennaio, quando l’attività si rimette in moto e intanto pensa a introdurre nel WorldTour nuove piazze, come ad esempio il Sudamerica.
Gli errori di calcio e basket
Capitolo Superlega. Qui ci si sarebbe aspettati una presa di posizione ferra, soprattutto dopo l’abortito progetto di fusione fra Jumbo Visma e Soudal QuickStep, invece i toni sono molto concilianti. Lappartient vuole assolutamente evitare una contrapposizione come quella ormai da guerra conclamata che c’è nel basket o sotterranea come nel calcio. La tutela dei grandi eventi passa per un accordo con i team.
«E’ desiderio dei team – ha detto – essere più coinvolti economicamente per avere maggiori dividendi e una soluzione si può trovare discutendone. Ci sono 5 squadre che oggi dominano e le altre che seguono a ruota, ma se le prime 5 si concentrano su loro stesse, paghiamo tutti. Dobbiamo invece lavorare insieme perché il prodotto ciclismo diventi più appetibile, commercializzabile. A parte i tre grandi gruppi organizzativi, non ci sono altri enti in grado di negoziare accordi di teletrasmissione, bisogna farlo tutti insieme, generando più entrate».
Ultimo aspetto, quello della sicurezza e qui Lappartient prosegue su quanto fatto in estate con il lancio di SafeR, l’organismo delegato al controllo della sicurezza nelle corse. L’idea è fare in modo che tutti contribuiscano, seguendo l’esempio della Formula 1: circuiti più sicuri ma anche auto più sicure. Quindi tutti i componenti del mondo ciclistico hanno la loro fetta di responsabilità. Si pensa a un giro di vite nell’autorizzazione delle zone di arrivo, nella scelta delle strade («Come pensare che strade dove le auto vanno a 30 all’ora possano accogliere gruppi di ciclismo che viaggiano al doppio della velocità?»).
Ciclismo a pagamento…
L’idea di Lappartient va però oltre, spingendo verso gare in circuito con il pubblico invitato a pagare un biglietto.
«Quando organizzavo il GP Plumelec – ha detto – chiedevamo 5 euro a persona. Dicevamo che era necessario per far sì che la gara fosse nel calendario delle Pro Series e la gente pagava volentieri». Sarà anche vero, strano però che le gare in circuito per antonomasia, come i mondiali, abbiano nel frattempo cambiato pelle strutturandosi sul modello della tappa finale del Tour, con il circuito riservato solo alle battute finali. Una grande classica in circuito non avrebbe lo stesso fascino e Lappartient non può non saperlo…
«Sono convinto che col tempo anche Thibau Nys salirà al livello dei “tre tenori”, d’altro canto anche lui fa strada in maniera importante». Parole dell’ex cittì Fausto Scottipronunciate solo qualche settimana fa. Nel frattempo il figlio d’arte è diventato sempre più un riferimento nell’ambiente, ancor più con l’assenza dei tre grandi, ancora a riposo per smaltire le fatiche della stagione “on the road”. E’ particolare il fatto che, oltre che per i suoi risultati, Nys sia diventato l’uomo più chiacchierato del momento, dopo essere entrato nel mirino degli strali del presidente Uci Lappartient per le scelte legate al calendario.
Tanta attenzione avrebbe anche potuto renderlo refrattario ai contatti con la stampa, anche subito dopo la gara di Coppa a Troyes, a dispetto del suo 7° posto finale era il più ricercato dagli addetti ai lavori. Smaltite le fatiche, Nys si è invece prestato volentieri a una chiacchierata sui vari temi della stagione partendo dalle sue condizioni attuali.
«Penso per ora di potermi considerare abbastanza soddisfatto. Ovviamente sono davvero contento delle tre vittorie che ho già ottenuto, ma le ultime due settimane non sono state come mi aspettavo. Ora ho provato a riprendere lo stesso ritmo di prima e andremo avanti come abbiamo iniziato la stagione, spero con qualche segnale di crescita».
A dicembre dovrebbero arrivare alle gare anche Van der Poel, Van Aert e Pidcock: quanto cambia la loro presenza nell’evoluzione delle gare?
Molto, ormai lo sappiamo bene. Penso che saranno ad un livello davvero alto fin dalla prima gara e questo cambierà l’evoluzione della stessa e delle altre. Per me come per gli altri che abbiamo affrontato la stagione dall’inizio, il compito sarà cercare di seguirli il più a lungo possibile invece di lasciargli fare la gara da soli. Sarà interessante, ma anche molto difficile.
Secondo te, senza di loro, l’attenzione sul ciclocross è la stessa o diminuisce?
Dipende un po’ da come vanno le cose. Penso che abbiamo avuto delle grandi battaglie già nelle prime gare della stagione, gare che hanno fatto spettacolo e chi ci ha seguito, sul posto o in tv, si è divertito. E’ chiaro però che quando saranno alla partenza, ci saranno sempre un po’ più persone che guarderanno e analizzeranno la gara. E se poi riesci a vincere una gara quando ci sono loro, ha molta più importanza.
A tal proposito molti pensano che tu sia il loro vero avversario, anche per la tua capacità di emergere anche su strada: pensi che potrai raggiungere i loro livelli e quando?
Io non mi sento battuto in partenza, credo anch’io che potrò essere al loro livello, ma non ancora quest’anno. Forse tra uno o due anni avrò fatto quel salto di qualità che ancora manca e sarò alla pari per lottare per la vittoria. Per ora cercherò solo di scegliere le gare che più si adattano a me e di andare avanti il più a lungo possibile e magari provare ad arrivare nelle fasi finali con loro. Ma c’è una differenza tra questo e lottare già per la vittoria. Io non vedo l’ora e cercherò di essere nella migliore forma possibile per correre quando arriveranno.
La tua stagione su strada com’è stata?
Sinceramente non mi aspettavo di ottenere due vittorie già nella mia prima stagione da professionista. D’altra parte, è stata un’annata con molti alti e bassi e ho avuto anche dei brutti momenti. Quindi quello che cercherò di migliorare per il prossimo anno è la costanza di rendimento, dalla quale penso potranno derivare anche più vittorie.
Ti abbiamo visto emergere soprattutto nelle brevi corse a tappe: è quella la tua dimensione ideale?
Sì, penso che sia qualcosa su cui mi concentrerò davvero nei prossimi anni, provando innanzitutto a migliorare il mio rendimento nelle cronometro lavorandoci specificamente soprattutto sulla posizione e la sua resa in termini di potenza. Io credo che gare a tappe più piccole come il Giro di Norvegia e di Ungheria siano nelle mie corde. Forse anche il Romandia ha una conformazione che mi sta bene. Forse non per la classifica generale, ma per le vittorie di tappa. Giro del Belgio, Vallonia, sono gare che non vedo l’ora di fare e che dovrebbero attagliarsi alle mie caratteristiche.
Tornando al ciclocross, quanto pesa portare il tuo cognome vista la carriera di tuo padre Sven Nys?
Tanto, ma più che un peso è una responsabilità che mi porto dietro volentieri, visto il nostro rapporto e tutto quel che lui ha rappresentato per il ciclocross e nel complesso per lo sport belga. Chiaramente quello che faccio assume sempre una connotazione diversa rispetto a quello che fanno i miei colleghi, sia nel bene che nel male, ma non mi lascio condizionare, cercherò semplicemente di seguire la mia strada e non pensare a ciò che mio padre ha ottenuto durante la sua carriera.
Tecnicamente siete diversi?
Difficile a dirsi. Quando aveva la mia età aveva già vinto tanto anche grazie alla sua abilità tecnica. Rispetto a me era sicuramente più bravo nello sprint, io sono un po’ più esplosivo, ma non mi piace fare paragoni.
Lui aveva scelto la mountain bike come alternativa al ciclocross, tu come sei arrivato al ciclismo su strada?
Sono sempre stato molto interessato anche alla mountain bike, ma è molto più difficile combinarla con il ciclocross, quindi ho sempre fatto la mia preparazione su strada invece che in mtb. Poi a un certo punto stavo vincendo alcune gare su strada e mi è stato chiesto di partecipare ai campionati europei come primo anno under 23 e ho vinto quella gara, a Trento. Quel giorno ha cambiato tutto, passo dopo passo mi sono fatto strada nel World Tour. Tutto è andato davvero velocemente, certe volte me ne stupisco ancora.
Che cosa pensi delle parole di Lappartient e della possibilità di dover saltare i mondiali se non si partecipa alla Coppa del Mondo?
Diciamo che lascio parlare (il tono di voce di Nys diventa risentito, ndr) e proverò semplicemente a rispondere con i miei pedali, con i miei risultati. Se non mi sarà permesso di alzare il livello dei campionati del mondo, sarà una loro perdita e non mi sento di dire altro per non rinfocolare la polemica.
Tra Coppa del Mondo, superprestige e le altre challenge, secondo te le gare sono troppe in 4 mesi?
Certamente, è su questo che bisogna discutere. I programmi non possono coincidere, ormai è impossibile competere per tutte le classifiche generali, almeno per le tre challenge principali (oltre alle due della domanda, Thibau contempla anche l’H2O Badkamers Trophée, ndr). Ci sono troppe gare in Coppa del mondo per il momento. Amo ancora correre la Coppa, vincere la Coppa, puntare alla classifica, ma a qualcosa devi rinunciare se vuoi essere in buona forma nel periodo natalizio. Per questo abbiamo scelto di allenarci e concentrarci su altre gare perché quest’anno sarà davvero difficile vincere la classifica generale. Quindi mi concentro solo sulle gare singole per quest’anno. Poi si vedrà…
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La contrapposizione fra Uci e team professionistici di ciclocross fa sempre più discutere. E’ innegabile che le parole di Lappartientabbiano non solo aperto il dibattito, ma anche creato una crisi non solo di rapporti, che potrebbe avere anche clamorosi effetti. E’ sbagliato pensare che la questione riguardi soltanto il Belgio e i principali team (tutti del Nord Europa), visto che nell’ultimo fine settimana, ad esempio, di italiani non c’era nessuno a parte Francesca Baroni che corre per un team locale. L’accusa di Lappartient coinvolge tutti.
Proprio la quasi totale assenza di italiani al via dell’ultima prova di Coppa del mondo ha fatto passare inizialmente sotto silenzio le dichiarazioni del numero uno dell’organismo internazionale. Tuttavia la loro portata è esplosa e anche alla Federazione Italiana si valuta il da farsi. Massimo Ghirotto, responsabile di tutto il settore fuoristrada, è rimasto decisamente sorpreso dalla presa di posizione dell’Uci.
«Iniziamo col dire che 14 prove di Coppa del Mondo – spiega il padovano – sparse per vari Paesi partendo addirittura da oltre Atlantico, sono qualcosa di anomalo. In questo modo il calendario diventa difficile da gestire, non solo per la presenza delle altre challenge internazionali, ma anche e soprattutto per il calendario parallelo. Noi abbiamo fatto tanti sforzi per allestire un programma di gare importante, denso di prove internazionali e i team onorano le prove di casa e al contempo cercano di essere presenti all’estero, ma così diventa difficile. Bisogna rendersi conto che il ciclocross è cambiato…».
In che senso?
Non è più una disciplina specifica, come poteva essere una ventina di anni fa. Ora è il tempo della multidisciplina,anche gli specialisti della strada o della mtb vogliono farne parte e non si può pensare che possano onorare d’inverno un calendario così ricco.
Lappartient si è lamentato delle scelte dei team, che privilegiano a suo dire challenge che hanno una disponibilità economica maggiore…
Ma questa è una legge di mercato. Teniamo presente che i team fanno business, devono anche rispondere a certi equilibri economici di fronte agli sponsor. Seguire la strada dell’intransigenza è difficile e sbagliato, bisogna invece mettersi a dialogare per trovare una soluzione che accontenti tutti.
Il presidente dell’Uci ha parlato senza mezzi termini di divieto di partecipazione anche ai mondiali per chi salta una prova di Coppa. Come uomo di federazione, come vedi questa presa di posizione?
Sono parole forti, forse anche oltre le sue reali intenzioni, dette per scuotere l’ambiente. Io comunque non posso certo condividerle. Abbiamo a che fare con professionisti a cui deve essere garantita la libertà di scegliere se e dove correre. La mia impressione – e in questo metto sia l’Uci sia i team principali – è che si voglia seguire la strada del WorldTour anche per il ciclocross, con prove di serie A e le altre meno importanti, quasi trascurabili. Questo andazzo non mi piace. L’Uci dovrebbe tutelare tutti, in particolare le Federazioni affiliate e non pensare solo al vertice.
Un’eventuale scelta del genere vi metterebbe sotto pressione?
Certamente, in maniera pressoché insostenibile – ammette Ghirotto – Se gli stessi team privati non possono seguire il dispiegarsi della Coppa, non possiamo neanche noi come nazionale. Negli scorsi anni avevamo iscritto la nazionale alle prove americane: un atto utile sportivamente, ma che aveva inciso moltissimo sul budget complessivo per il settore. Abbiamo risorse limitate e questo è già un problema perché è impossibile pensare che possiamo seguire tutto lo sviluppo della challenge, ma c’è anche altro…
Ossia?
Poniamo che queste non siano minacce, ma una vera scelta dell’Uci e che la Federazione decida di schierare comunque una nazionale per tutto lo sviluppo della Coppa. Cosa facciamo, decidiamo a ottobre chi saranno gli azzurri che potranno gareggiare ai mondiali di fine gennaio? Trovo che sia qualcosa privo di senso e che non faccia gli interessi della specialità. Bisogna seguire altre strade.
Quali ti troverebbero d’accordo?
Innanzitutto bisogna rivedere il calendario di Coppa del mondo: il giusto equilibrio si avrebbe con 8-10 gare – sentenzia Ghirotto – credo che anche Flanders Classics che cura il circuito avrebbe i giusti spazi economici. Il sistema attuale non funziona, ne ho parlato spesso con il cittì Pontoni. Anche lui dice che è un sistema esagerato, è impossibile pretendere che si gareggi ogni fine settimana. Bisogna anche prevedere periodi di riposo, sia per chi unisce il ciclocross ad altre specialità (infatti i tre tenori hanno scremato notevolmente il loro programma ed è un peccato che Van Aert e Pidcock non faranno neanche i mondiali) sia per chi è specialista puro.
E ora da questa empasse come se ne esce?
Staremo a vedere, chiaramente terremo d’occhio tutti gli sviluppi e ne parleremo con atleti e team. Ribadisco, spero che sia stata una provocazione per destare il dibattito, non voglio credere che si giunga a posizioni estreme.
Certi capitoli quando si chiudono fanno male, non si è pronti ad affrontare la fine, soprattutto se non lo si era preventivato. Per Canola questo inverno ha il sapore di qualcosa che è terminato e non si sa bene il perché. Anzi, il motivo è presto detto, la Gazprom non c’è più ed il veneto non ha trovato una sistemazione consona al suo livello.
Le motivazioni che hanno portato a questo momento della carriera di Canola sono l’insegnamento che nella vita, purtroppo, non è possibile controllare tutto quello che ci circonda.
La fine
«Si tratta di un periodo particolare – racconta Canola dalla sua macchina – non è una mia abitudine non avere squadra. Ma alla fine, ero stanco di aspettare una situazione che a fatica mi avrebbe soddisfatto. Non avevo voglia di svalutare la mia carriera, ero fiducioso di trovare un progetto valido al quale portare la mia esperienza. Mi ero dato una scadenza e questa è poi arrivata. Ora mi guardo intorno e cerco di capire quale strada potrò percorrere in futuro. Ho parlato con delle aziende per eventuali idee da sviluppare nel mio post carriera».
Nel tuo futuro vedi ancora la bici?
Mi piacerebbe, nonostante tutto, rimanere in questo mondo. Non so se dal punto di vista amatoriale o cicloturistico. Siamo in un momento nel quale la bici è di tendenza ed il movimento degli amatori è in continua crescita. Quest’ultimi hanno voglia di fare esperienze sempre più simili a quelle dei professionisti e io potrei fornire loro la mia esperienza, i miei insegnamenti.
Questa esperienza avresti potuto metterla anche al servizio di un team…
Certamente, ma non c’è stata occasione. Nella mia carriera ho sempre cercato di imparare dai più grandi, apprendendo tante piccole sfumature che fanno parte di questo mondo. Nel tempo la situazione si è capovolta, sono diventato io quello che dava consigli, l’esperto.
Con una voce forte, come quella usata contro l’ingiustizia che vi ha colpito.
La situazione Gazprom è stata anomala. Ci siamo trovati in mezzo ad un discorso politico. Mi sono battuto tanto, l’ho fatto per un interesse comune. Il mio può essere l’esempio che se si sta in silenzio si possono ottenere compromessi, ma io di stare zitto non ne avevo voglia.
Il silenzio è arrivato da parte di chi avrebbe dovuto sostenervi: l’UCI in primis.
L’UCI ha preso una linea sbagliata e senza pensare alle conseguenze, la loro preoccupazione principale è stata chiudere la squadra. Sarebbe bastato incontrarsi e parlare, un’idea sarebbe venuta fuori. Io ne ho avute alcune, ma non ho mai avuto modo di discuterle con chi di dovere. Il presidente Lappartient non l’ho mai incontrato, abbiamo avuto qualche scambio di mail, ma appena domandavo di vederci spariva.
Del tipo?
Per salvare la squadra sarebbe bastato cercare un nuovo sponsor o portarne di privati. Anche correre in maglia neutra sarebbe bastato, insomma, farci correre era doveroso. Hanno lasciato a casa e senza tutela delle persone e delle famiglie. Ho scoperto anche una cosa che mi ha fatto poco piacere.
Quale?
Sono venuto a sapere che l’UCI negli anni passati ha messo mano al fondo per gli ex professionisti, usando quei soldi per una causa contro un diverso esponente. Hanno usato i soldi per gli atleti per motivi differenti, avrebbero potuto usarli per noi, per non farci sparire.
La bici la stai usando ancora?
Faccio qualche giretto, mi serve per sbloccare la mente, per pensare.
Cosa pensi?
E’ difficile – la voce di Canola si fa sempre più pesante – molte volte ho pensato “perché doveva capitarmi”. Mi sono trovato a prendere decisioni difficili che mi hanno complicato la vita, ma dai momenti duri impari sempre qualcosa. Un giorno, voltandomi, spero di poter dire che tutto questo è servito a qualcosa.
Abbiamo saputo che stai facendo il corso da diesse, magari questa esperienza potrà esserti utile in questo campo…
Il diesse è una figura che deve dare serenità e carica, deve portare coesione all’interno del team. Nel ciclismo moderno al corridore si chiede sempre di più, ma bisogna ricordare che dietro i numeri ci sono le persone. L’aspetto umano è un aspetto di cui ci si sta dimenticando sempre di più. Mi piacerebbe riportarlo al centro di questo mondo.
Ne sei stata una prova, visto quanto hai speso per questa battaglia.
Ho parlato con estrema sincerità, lo si deve fare sempre, non bisogna aver paura di dire la verità. Il ciclismo ha avuto la possibilità di dimostrarsi famiglia e così non è stato, anzi, alcuni ci hanno voltato le spalle. Sono stati pochi a combattere questa battaglia con noi e quando sei solo in un mare grande trovi sempre un pesce più grosso di te.
Dieci anni nel professionismo non si cancellano così facilmente.
Pensate, dieci anni e sono stato trattato così. Nel mio piccolo mi sono battuto per rendere questo sport migliore. Ho contribuito a mandare avanti il circo del ciclismo per anni e poi appena ha potuto mi ha voltato le spalle.
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Alex Vlasov ha vinto il Romandia con una crono finale da incorniciare. E mentre recupera prima di preparare il Tour, ha un pensiero per la sua ex squadra
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Mentre le ragazze della gara elite erano pronte per partire da Helensburgh, a circa 30 chilometri da Wollongong, il presidente dell’UCI Lappartient ha tenuto la rituale conferenza stampa di ogni mondiale. Avrebbe potuto farlo appena due ore dopo e in sala stampa ci sarebbero stati tutti, ma in questa edizione del mondiale sembra che gli orari siano un problema solo per chi lavora.
Seduto al tavolo dei campioni, Lappartient si è sottoposto a una serie di domande, spesso slegate fra loro, alle quali ha risposto a mano libera, omettendo di soffermarsi su quelle che avrebbero potuto creare imbarazzo. In politica si fa così.
Cosa pensa del ricorso di Quintana contro la squalifica per uso del Tramadol?
Noi rimaniamo convinti della nostra linea, ma è corretto che si sia appellato. Abbiamo trovato il Tramadol in due diverse tappe e dato che il prodotto degrada molto rapidamente, abbiamo pensato che lo abbia usato più volte. Non si prevede una squalifica dell’atleta, almeno per ora. Ma viene tolto dalla classifica della corsa in cui si verifica la positività. Di certo non si tratta di una sostanza che l’organismo produce da solo. Speriamo che il TAS riconosca la nostra posizione.
Oggi si sono svolte due corse in una: quella delle under 23 e quella delle elite. Quando verranno divise?
Mi sembra già una decisione importante aver creato il titolo per le più giovani. L’idea di far disputare una corsa a sé c’è e verrà messa in pratica nel 2025. Prima non è stato possibile. Prima perché non tutte le nazioni hanno ragazze giovani a sufficienza e poi perché non tutte le città, ad esempio Zurigo 2024, sono disponibili a chiudere il centro per una gara di più.
Che cosa le sembra di questo mondiale così lontano dalla culla del ciclismo?
L’Europa è probabilmente il cuore del nostro sport, ma voglio spingere per una visione più internazionale. Per cui andremo in Africa, poi in Canada ed entro il 2030 in Asia. Qui ci stiamo trovando molto bene. L’organizzazione è piccola, ma il mio telefono non squilla tutti i giorni per segnalare dei problemi e questo significa che ognuno sa cosa fare. I negozi e i ristoranti sono tutti griffati con il logo della corsa, gli atleti sono contenti e di riflesso siamo contenti anche noi.
Come si spiega che qui, nella corsa dell’UCI, non ci sono protocolli Covid e si vive a contatto con gli atleti, mentre in Europa ci sono corse che tengono ancora tutto chiuso?
C’è un dibattito in corso fra i nostri medici e quelli delle squadre. Nonostante sia cambiato l’atteggiamento nei confronti del virus, per cui la positività non porta direttamente alla messa fuori corsa, sono loro i primi a volere un certo rigore. Non è un caso che la maggior parte dei corridori mandati a casa di recente sia risultata positiva a controlli interni.
Il tema dell’integrazione della cultura aborigena è molto sentito: una ferita nel passato (foto Wollongong2022)Il villaggio del mondiale si sta popolando con l’arrivo del weekend (foto Wollongong2022)
Ieri il Guardian ha scritto un articolo su un giornalista di Cyclingtips – Iain Treloar – cui è stato rifiutato l’accredito per i mondiali. Lui sostiene che sia avvenuto per le sue critiche all’UCI.
Noi non limitiamo la libertà di stampa, qui ogni testata è gradita (Iain Treloar aveva scritto una serie di pezzi sulle presunte influenze di Igor Makarov nelle politiche dell’Uci e sulla vicinanza della stessa al vecchio presidente del Turkmenistan, accusato per violazione dei diritti umani, ndr). Il regolamento UCI per gli accrediti stampa ne prevede 3 per ogni media e Cyclingtips ha avuto 3 accrediti. Non vedo problemi.
Il sistema dei punti non piace, cambierete qualcosa?
Ci sono discussioni. Non so se esista il sistema perfetto, ma cercheremo di trovare un equilibrio migliore. Ha ragione Hinault: «Per fare punti bisogna vincere le corse». Faremo degli aggiustamenti, se necessario, ma non ci saranno stravolgimenti. E comunque saranno variazioni da introdurre entro il prossimo inverno. Poi inizierà un altro triennio e non si possono cambiare le regole durante il gioco.
Dopo la conferenza, Lappartient si è fermato a parlare con le tivùDopo la conferenza, Lappartient si è fermato a parlare con le tivù
Sorpreso delle critiche da parte delle squadre?
Sorpreso che si siano accorte di non essere d’accordo soltanto nel terzo dei tre anni, visto che il sistema è in vigore dal 2020. L’obiettivo è che ogni anno ci siano retrocessioni e promozioni. Gli organizzatori volevano che avvenisse tutto automaticamente, i gruppi sportivi no. Ma una cosa la dico: non si retrocede per un anno nero. Per questo si fa la somma dei tre precedenti. E se sei stato ultimo per tre anni, allora forse c’è un problema. Non vogliamo che il ciclismo sia chiuso come la NBA, lo sport vive di vittorie e sconfitte e noi dobbiamo accettarne le regole.
Non sarebbe il caso di considerare che fra 2020 e 2021 il Covid ha condizionato l’attività?
Se prendiamo il numero delle corse, vediamo che se ne è svolto il 90 per cento. Quindi il Covid ha sicuramente dato fastidio, ma non ha falsato la possibilità di fare punti. Se avessimo spostato di un anno l’entrata in vigore della regola, cosa avremmo potuto dire ad esempio alla Alpecin-Deceuninck che in questi anni si è guadagnata il WorldTour? Poteva fare ricorso e avrebbe vinto.
Questa foto è l’emblema di come la stessa squadra (Movistar Team) sprinti con tre uomini per accumulare punti Questa foto è l’emblema di come la stessa squadra (Movistar Team) sprinti con tre uomini per accumulare punti
Trova normale che una squadra preferisca mettere tre corridori nei primi 10 piuttosto che provare a vincere?
Ripeto le parole di Hinault, dovrebbero provare a vincere. Non si fanno i punti negli ultimi mesi di tre anni, anche se le distanze sono davvero minime.
Non trova che ci sia squilibrio fra le gare?
Potrebbe sembrare. Ma credo sia giusto che chi non partecipa al Tour de France e vince una corsa di classe 1 abbia un punteggio importante. Perché magari correrà la successiva dopo una settimana, mentre chi è al Tour può fare punti per tre settimane consecutive.
Quando l’addetto stampa Christophe Marchadier ha dichiarato chiuse le domande, Lappartient ha ringraziato, si è alzato e ha risposto alle domande di alcune televisioni, fra cui la RAI con Stefano Rizzato. Poi si è infilato nel sottopasso dello stadio che accoglie il Centro Stampa, tornando alle relazioni e agli incontri di cui è indubbiamente pieno un campionato del mondo.
Siamo tutti commissari tecnici, quindi siamo anche tutti sindacalisti. Pertanto, in questo giocare a saper fare tutto, può capitare di scambiare telefonate con dei team manager sul tema dei corridori della Gazprom, rendendosi conto di quanto la vicenda non interessi a nessuno. O di quanto non ci sia in giro nessuno che sia stato finora capace di metterci mano.
Il caso Conci
Avremmo dovuto capirlo in realtà seguendo la vicenda di Nicola Conci. Dopo tanto bel lavorare d’inverno e aver finalmente risolto con intervento il problema dell’arteria femorale, Nicola avrebbe voluto fare un grande Giro d’Italia. E per questo, fermata la squadra russa, Fondriest era riuscito a piazzarlo con la Alpecin-Fenix, che lo avrebbe portato in Italia proprio per questo. L’UCI ha ricevuto la richiesta ai primi di aprile, in tempi ragionevoli. Ma come per ogni cosa riferita a questa spiacevole vicenda, s’è presa il suo tempo per decidere, infischiandosene dell’esigenza dell’atleta. Così Conci non ha corso il Giro e adesso finirà la stagione con la Alpecin Development Team, debuttando mercoledì prossimo al Giro di Slovenia, in attesa del 2023 in prima squadra.
Conci sarebbe stato uno dei punti di forza della Gazprom. E’ appena approdato alla Alpecin-Fenix DevelopmentConci sarebbe stato uno dei punti di forza della Gazprom. E’ appena approdato alla Alpecin-Fenix Development
Aiuti di Stato
I procuratori sono tutti al lavoro per sistemare questi ragazzi, che hanno tirato fuori una grinta mai mostrata prima, dimostrando come la rabbia sia più potente di ogni test e ogni legge dell’allenamento. Ma cosa succede?
Succede che le squadre sono a posto e hanno il budget tutto assegnato. Sarebbero ben liete di far correre ragazzi rimasti a piedi e per giunta vincenti, ma come succede quando c’è da gestire il fallimento di un’azienda, avrebbero bisogno di un intervento che coinvolga l’Istituzione e la componente sindacale. E visto che l’UCI fa orecchie da mercante, avrebbero bisogno di un sindacato veramente capace, che vada oltre la consegna di un braccialetto azzurro.
Il presidente Lappartient resta con la bocca rigorosamente chiusa: di Gazprom non parlaIl presidente Lappartient resta con la bocca rigorosamente chiusa: di Gazprom non parla
Casi disperati
Siamo tutti commissari tecnici, quindi siamo anche tutti sindacalisti. E ci chiediamo in che modo il mondo del ciclismo potrebbe venire incontro alle squadre che intendessero investire su questi corridori. Ci sarebbe la fideiussione della Gazprom: si è fatta pressione sull’UCI perché renda quei soldi disponibili al pagamento degli ingaggi dei corridori, lasciando le spese vive alle nuove squadre? I soldi dei premi che vengono gestiti dal sindacato non potrebbero costituire copertura finanziaria per simili operazioni?
L’indice della disperazione sta nelle proposte che in questi giorni stanno arrivando ai cellulari dei team manager, con corridori disposti a correre gratis, quindi a restituire i soldi percepiti alla firma dell’eventuale contratto. Qualcuno ha già rifiutato, ma in tutta onestà verrebbe da sperare che qualcuno accetti per vederli nuovamente in gruppo.
Sono 4 i corridori italiani ancora in cerca di squadra: Malucelli (nella foto), Scaroni, Carboni e CanolaSono 4 i corridori italiani ancora in cerca di squadra: Malucelli (nella foto), Scaroni, Carboni e Canola
Una situazione inedita
Perché alla fine gli unici a rimetterci sono loro, i corridori. Non l’UCI. Non le squadre. Non i rappresentanti del CPA e dell’ACCPI. Che sono stati anche sfortunati, perché finora si era trattato di gestire uno sciopero per troppa pioggia e stabilire quando sia troppo caldo o troppo freddo per correre. Ma adesso che ci sono in ballo i destini di uomini e delle loro famiglie, la voglia di andare d’accordo con tutti senza arrivare a rottura suona davvero stonata. Il rispetto si guadagna anche alzando la voce e combattendo quando è necessario. Il fatto che l’UCI non si senta in dovere di accoglierli, dimostra che il rispetto non c’è o che non è stato guadagnato.
In che misura il braccialetto azzurro con scritto “WHY?” è stato un elemento di pressione?In che misura il braccialetto azzurro con scritto “WHY?” è stato un elemento di pressione?
Una partita da giocare
I braccialetti, la voglia di ribadire che non si cerchi lo scontro, il non essersi incatenati ai cancelli del centro UCI di Aigle, il non aver voluto incidere minimamente sull’andamento di una gara sono un atteggiamento da opposizione di facciata che lascia il tempo che trova. Forse eredità di quel passato, in cui i corridori avevano paura di metterci la faccia perché esposti al rischio di varie forme di ricatto. Chissà se davvero a Pantani fecero pagare le sue posizioni contro il sistema dei controlli selvaggi, prima al Tour del 1998 (foto Reuters di apertura) e poi al Giro 1999, quando si espose anche a vantaggio di altri corridori e di colpo una mano oscura intervenne per fermarlo.
Ma se nessuno ha cose da nascondere, perché non giocarsi la partita e accettare la lotta, cercando di vincerla? Verrebbe quasi da pensare che ci siano altri interessi da difendere o competenze inadeguate e che nel nome di questi si sia scelto di non scegliere. Il tempo passerà, qualcuno come Zakarin sceglierà il ritiro, altri si sistemeranno. E dal prossimo anno potremo ricominciare facendo finta che non sia successo niente.
Renat Khamidulin, il capo della Gazprom-Rusvelo, ci guida nei grandi cambiamenti. Materiali. Atleti. Dirigenti. Allenatori. L'obiettivo? Il Giro d'Italia
Salvatore Puccio sta correndo il Giro di Germania. Con lui parliamo del momento della Ineos. Delle voci su Evenepoel. E del correre in condizioni al limite
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Il silenzio dell’UCI sul caso Gazprom è assordante. Il presidente Lappartient ha messo la testa sotto la sabbia e ha voltato le spalle a 21 corridori rimasti senza squadra dal primo di marzo. Anzi, i 21 corridori cui quel giorno ha chiuso la squadra.
La vicenda Gazprom resta una ferita aperta, anche se il mondo del ciclismo passa avanti e finge di non accorgersene. Al punto che alcuni corridori, invitati a indossare il braccialetto azzurro con cui l’Accpi e il CPA intendono fare una garbata pressione sull’UCI, hanno declinato l’invito.
Nella conferenza stampa che si è tenuta ieri a Salò, le parole più giuste le ha usate Mauro Vegni, padrone di casa. «Era una questione straordinaria – ha detto il direttore del Giro che in apertura stringe la mano a Canola – è stato sbagliato affrontarla come fosse ordinaria».
Nella tappa di oggi si chiederà ai corridori di indossare il braccialetto WHYNella tappa di oggi si chiederà ai corridori di indossare il braccialetto WHY
No agli scioperi
Bugno ha ripetuto ad oltranza lo stesso concetto: non si tratta di una protesta. E mentre lo diceva ci chiedevamo: perché dopo tre mesi così non dovrebbero protestare?
«I corridori non hanno colpe – ha detto – abbiamo cercato di trovare alleanze e soluzioni, che non sono mai state accettate. Non ci sono molte soluzioni. I braccialetti con cui intendiamo sensibilizzare il gruppo e la stampa servono a capire il perché di questo atteggiamento. Non sono una protesta. Chiediamo che questi ragazzi possano parlare e l’UCI ha il dovere di farlo. Una richiesta che deve arrivare da tutto il gruppo, perché loro ne fanno parte pur essendone stati allontanati. Non è un discorso di soldi, correrebbero anche domattina. Sono stato corridore anche io, so che in questo momento la bici è tutto. Ma gli scioperi non portano a risultati. Ne ho fatti e ho visto come sono finiti (qui però in ballo non c’è una tappa da correre sotto la pioggia, qui si parla di vite umane, ndr). Il nostro scopo è sensibilizzare l’ambiente».
Nelle parole di Bugno la voglia di non creare strappi ed esercitare una pressione costruttiva
Salvato, presidente dell’italiana Accpi, ha riferito della difficoltà del gruppo ad aderire all’uso dei braccialetti
Laura Mora, segretaria generale del CPA, ha ripassato l’iter della vicenda
Nelle parole di Bugno la voglia di non creare strappi ed esercitare una pressione costruttiva
Salvato, presidente dell’italiana Accpi, ha riferito della difficoltà del gruppo ad aderire all’uso dei braccialetti
Laura Mora, segretaria generale del CPA, ha ripassato l’iter della vicenda
Canola al limite
Se stai male, vuoi un dottore che ti curi o uno che ti tenga la mano sulla fronte? La ricerca della soluzione diplomatica in tre mesi non ha prodotto alcun frutto. E se non fosse per la nazionale che ha fatto correre a sprazzi gli italiani, sarebbero fermi da marzo.
Dopo un po’ si nota che Marco Canola al tavolo dei diplomatici ci sta stretto. Forse perché l’ammalato è lui e delle cure palliative ricevute sinora comincia ad averne le tasche piene. Lo tengono a freno, perché l’obiettivo non è protestare, ma distendere.
«Questo braccialetto non aiuterà a risolvere il problema – dice – ma a far capire quello che stiamo passando. Non capisco perché dei colleghi non debbano metterlo, non è un brand, non danneggia il loro sponsor. La situazione è insostenibile. Siamo qui in due (facendo un cenno a Cristian Scaroni, seduto accanto, ndr), gli altri sono a casa col morale a terra e stanno male per la disperazione. Non sanno se potranno continuare, quello che sta accadendo rende vani i sacrifici di una vita. Non è giusto che paghiamo per una colpa non nostra. Vogliamo che l’Uci ci dia risposte, quelle che abbiamo avuto sono state molto vaghe. Abbiamo provato la via diplomatica, senza sortire effetto. Se questi sono i capi del ciclismo, non meritano di governare il nostro bellissimo sport, perché non ne incarnano i valori».
Le bugie di Lappartient
Il silenzio dell’UCI è assordante. Il presidente Lappartient ha messo la testa sotto la sabbia e ha voltato le spalle ai 21 corridori cui il primo marzo ha chiuso la squadra. All’indomani della Liegi, ha organizzato una conferenza online, invitando tutti i professionisti – uomini e donne – tranne quelli della Gazprom. E a Gilbert che ha chiesto loro come mai, ha risposto che li avrebbe chiamati di persona. Non lo ha mai fatto. E’ troppo presto per parlare di dimissioni?
Le richieste erano chiare, le risposte sono state secche e prive della volontà di arrivare a una soluzione.
Non si può alzare il tetto dei 31 corridori, perché siamo al primo anno delle retrocessioni e promozioni. Perciò, se una squadra si mettesse al riparo dalla discesa o conquistasse la salita al WorldTour grazie a corridori presi durante l’anno, si potrebbe creare il presupposto per un ricorso. Non sarebbe sufficiente stabilire che i corridori ex-Gazprom ingaggiati non portano punti alla squadra? Nessuna risposta.
In Italia c’è il limite di 16 corridori per continental e il tetto a due soli ex professionisti. Non si può concedere una deroga? Nessuna risposta.
Nessun rispetto
Se questa è la considerazione dell’UCI per i suoi interlocutori, atleti e loro rappresentanti, viene da pensare che quantomeno i secondi non si siano conquistati il rispetto sul campo. Che forse dire sempre di sì non paga. Magari è giusto continuare a perseguire la via diplomatica anche dopo tre mesi di mancate risposte. Secondo altri però si potrebbe pensare di protestare come quando nelle fabbriche avvengono licenziamenti di massa.
«Così facendo – risponde Salvato – si danneggerebbero gli organizzatori». Si è mai visto uno sciopero che non abbia creato disagio? Si sciopera per quello. Ci fosse un po’ di Francia anche in Italia… Scommettete che se si trattasse di corridori francesi, una soluzione l’avrebbero trovata?
Comunque per ricordare al signor Lappartient che sta disprezzando le vite di uomini e non le loro statistiche, abbiamo realizzato due brevi interviste ai corridori presenti ieri a Salò. Canola e Scaroni. Guardatele. Parlano di dolore e carne viva. Non concorreranno all’Oscar del cinema, ma almeno in questo modo il presidente potrà guardarli in faccia. E magari chiedergli scusa.
Liegi, giovedì sera, ieri. Gli hotel che ospitano le squadre formano un insolito villaggio sparpagliato fra colline e paesi, in cui si fanno progetti e si coltivano obiettivi. I corridori alla vigilia di una corsa sono sospesi tra le forze e i loro sogni, tutto ciò che possa dare un senso alla fatica di ogni giorno.
E mentre usciamo da uno di questi hotel – il Post Hotel di Herstal che accoglie Bora, Movistar e Bahrain – whatsapp illumina il display con una chiamata di gruppo. Il chiamante è Malucelli, con lui spuntano le facce di Carboni, Canola, Fedeli, Conci e Scaroni. I sei italiani della Gazprom nello stesso schermo. Per loro non c’è vigilia. E finite le corse con la maglia azzurra, chissà quando ce ne sarà un’altra.
Marco Canola, qui all’Oman, aveva in mente una grande stagione
Fedeli secondo di tappa ad Antalya e anche a Larciano
Per Malucelli due vittorie nel 2022, ad Antalya e in Sicilia
Conci avrebbe già una sistemazione, ma il tetto di 31 corridori lo blocca
Carboni in cerca di rilancio, eccolo alla Valenciana
Scaroni non è mai uscito dai 15 nelle due corse con la nazionale. Ha 24 anni
Marco Canola, qui all’Oman, aveva in mente una grande stagione
Fedeli secondo di tappa ad Antalya e anche a Larciano
Per Malucelli due vittorie nel 2022, ad Antalya e in Sicilia
Conci avrebbe già una sistemazione, ma il tetto di 31 corridori lo blocca
Carboni in cerca di rilancio, eccolo alla Valenciana
Scaroni non è mai uscito dai 15 nelle due corse con la nazionale. Ha 24 anni
Due mesi fa
Martedì saranno due mesi da quando la squadra è stata cancellata dall’UCIe ne è passato circa uno da quando gli atleti hanno chiesto un incontro con il presidente Lappartient senza ottenere risposte. Forse si tratta di una tattica: se non rispondi, presto smetteranno di parlarne. In questa società che va così veloce funziona spesso così. Anche la guerra in Ucraina, che prima era sulla bocca di tutti, adesso sta diventando una notizia di sfondo. Ci si abitua a tutto, purché tocchi agli altri. E poco importa che di mezzo ci siano persone che non c’entrano nulla.
«Ti svegli la mattina – dice Malucelli, vincitore di una tappa al Giro di Sicilia – aspettando che squilli il telefono e qualcuno dica che il TAS ha dato la sentenza e l’UCI ha preso una decisione. Ma non è facile andare avanti a questo modo, facendo vita da atleta senza prospettive e senza stipendio».
Il ricorso al TAS
Questi ragazzi sono in un momento di crisi profonda. Gli appelli via social stanno perdendo risonanza, la gente mette un like e pensa di aver fatto la sua parte. Il CPA, sindacato mondiale dei corridori guidato da Bugno, ha seguito le vie legali e si è fermato davanti al fatto che l’UCI starebbe aspettando il pronunciamento del TAS, cui si è rivolto Renat Khamiduline (team manager della Gazprom) ritenendo illegittima la cancellazione della squadra. Fra i suoi argomenti, il fatto che la direttiva del CIO sulla sospensione delle squadre russe avrebbe comunque permesso di far correre la Gazprom senza le scritte dello sponsor.
Renat Kamidhuline ha lottato fino alla fine, poi ha dovuto alzare bandiera biancaRenat Kamidhuline ha lottato fino alla fine, poi ha dovuto alzare bandiera bianca
Grandi e piccini
La cosa è indubbiamente strana. I contratti della Gazprom sono stati firmati dall’agenzia svizzera ProVelo AG di Khamiduline, che a sua volta aveva un contratto di sponsorizzazione con Gazprom. La sede legale della squadra era pertanto in Svizzera, mentre la base operativa era in Italia.
«Se si fossero informati dall’inizio – dice Canola – anziché agire d’impeto, forse avrebbero valutato una strada migliore per tutti. Invece hanno ammazzato noi, mentre altri russi continuano a fare attività».
Nessuna risposta
I corridori con quel ricorso non c’entrano, questo è bene ribadirlo. Loro sono senza lavoro e senza squadra e per questo hanno inviato all’UCI due richieste piuttosto semplici.
«Quello che chiediamo – dice Canola – sono risposte dal presidente dell’ente per cui siamo tesserati. Abbiamo fatto delle domande, meritiamo delle risposte. Oserei dire che è suo dovere farlo. Vogliamo un faccia a faccia. Non trovo accettabile che per parlarci dobbiamo passare tramite il sindacato che a sua volta riceve un intermediario dell’UCI».
Gianni Bugno è il presidente del CPA. L’associazione sta tentando una mediazione fra UCI e corridoriGianni Bugno è il presidente del CPA. L’associazione sta tentando una mediazione fra UCI e corridori
Le due richieste
Le richieste sono due.
La prima: al fine di facilitare il passaggio degli atleti ad altri gruppi sportivi, innalzare il numero massimo di atleti per squadra da 31 a 32. Questo permetterebbe di trovare posto ad alcuni di loro.
La seconda: per i restanti corridori, la possibilità di correre con una maglia neutra, in una squadra composta a questo punto da un numero inferiore di atleti e sostenuta da sponsor minori.
A cose normali queste trattative si svolgono a porte chiuse, come si fa quando si ha a cuore l’immagine del movimento. Solo che a tenere le porte chiuse s’è ottenuto il contrario. Che la gente ad esempio non sa che questi sei ragazzi hanno sollecitato più e più volte una risposta di David Lappartient, che è perfettamente al corrente delle loro richieste. Perché il presidente dell’UCI non risponde?
Nessuna data certa
Le due richieste, decisamente semplici e di facile attuazione, sono state appoggiate dallo staff della Gazprom, dai manager degli atleti, dal CPA e dall’AIGCP, l’associazione dei gruppi sportivi. Invece per una volta che così tante componenti si sono trovate d’accordo, l’UCI che dovrebbe avere a cuore la sopravvivenza in attività di un così ampio numero di professionisti (oltre ai 6 italiani, ci sono altri 14 corridori nella stessa situazione), non risponde.
«La causa – ribadisce Canola – non riguarda noi. Non ci è stato detto in maniera diretta nemmeno il fatto che si starebbe aspettando il TAS. Non c’è una data per questa sentenza. E non c’è neanche una data entro la quale, in ogni caso, sarà presa una decisione».
Ciascuno dei corridori ha scritto le sue richieste e le ha inviate all’UCI tramite il CPA, per stare nelle regole. Pare infatti che Lappartient si sia indignato perché Khamidulin abbia scritto direttamente a lui e al suo board.
David Lappartient, presidente dell’UCI: finora muto alle richieste dei corridoriDavid Lappartient, presidente dell’UCI: finora muto alle richieste dei corridori
Diritto alla dignità
Il silenzio uccide. L’indifferenza porta via la dignità. Alcuni di questi ragazzi avrebbero già un altro contratto pronto, ma non possono firmarlo perché la nuova squadra ha già 31 corridori. I più fortunati saranno parcheggiati nelle relative continental e per il primo anno non potranno fare corse WorldTour, gli altri sono al palo.
«Se Lappartient non vuole aiutarci – dice Fedeli – che almeno lo dica, ma noi vogliamo una risposta. Oppure forse si nasconde per paura delle sue responsabilità?».
«Ho fatto 11 anni da professionista – fa eco Canola – facendomi portavoce di correttezza e non mi sta bene essere trattato così».
Le due domande
L’ultima voce che gira nel gruppo è che l’UCI abbia indetto per il 25 aprile una riunione online con tutti i professionisti, uomini e donne, e nella mailing list non siano stati inclusi gli atleti della Gazprom. Si tratterà pure di una svista, ma a un certo livello le sviste non sono consentite.
Perciò adesso le due domande le ripetiamo noi.
La prima: è possibile innalzare a 32 il limite massimo dei corridori per squadra per dar modo a chi volesse di ingaggiare uno di questi corridori?
La seconda: è possibile che gli altri corrano con una divisa neutra per non buttare una stagione e farsi semmai notare da qualcuno?