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Il peso del cognome. Axel Merckx sa cosa significa

26.09.2023
6 min
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Nella sua intervista/confessione, Ben Wiggins, uno degli astri nascenti del ciclismo mondiale aveva parlato della fortissima pressione derivante dal fardello del suo cognome. Per gestirla aveva scelto appositamente di accettare l’invito dell’Hagens Berman Axeon per lavorare con Axel Merckx, che più di ogni altro sa che cosa significa confrontarsi con un passato importante.

Per questo abbiamo voluto sentire il manager belga, considerando che nel suo team militano molti prospetti di grande interesse, dei quali ci siamo anche occupati e che ha una grande capacità nel gestire situazioni difficili ma con tante prospettive interessanti come quella del britannico iridato su pista e protagonista della stagione juniores su strada.

Axel Merckx, 51 anni, bronzo olimpico nel 2004 e dirigente all’Hagens Berman Axeon dal 2012
Axel Merckx, 51 anni, bronzo olimpico nel 2004 e dirigente all’Hagens Berman Axeon dal 2012
Il prossimo anno arriverà Ben Wiggins: che idea ti sei fatto del britannico?

La prima cosa che mi ha colpito è che in fatto di esperienza è molto più giovane, direi quasi acerbo rispetto alla sua età. E’ solo il terzo anno che interpreta il ciclismo in maniera convinta, ma la sua anche per questo è una bella storia. Non è mai facile fare lo stesso mestiere del padre, nel ciclismo ancora meno. Ne abbiamo parlato a lungo, io con la mia esperienza personale posso sicuramente aiutarlo a trovare la propria strada.

Ben ha detto ripetutamente di essere stato attratto dalla possibilità di lavorare con te perché sai bene che cosa significa avere il peso di un cognome tanto importante.

La pressione negativa c’è, inutile negarlo. Ogni volta che il risultato non arriva – afferma Merckx facendo riferimento al proprio passato – è normale che tutti dicano “non è come suo padre”. Fa parte dei rischi del mestiere. E’ importante che trovi la sua strada, che riesca piano piano a far capire di essere diverso, un altro corridore rispetto a suo padre. Deve riuscire a emergere per quello che è, senza guardare a chi c’era prima, a dimostrare quel che vuole e può fare. Capisco che senta la pressione, cercherò di aiutarlo a sentirla sempre meno.

Wiggins è stato protagonista su strada e su pista. Ma sente la pressione legata al suo nome
Wiggins è stato protagonista su strada e su pista. Ma sente la pressione legata al suo nome
Come si lavora con un corridore che ha avuto un genitore campione?

Non è più difficile, è solo diverso perché bisogna confrontarsi con una pressione mediatica differente rispetto a qualsiasi altro corridore, una pressione che c’è a prescindere dai risultati. Ben sa che senza quel cognome non avrebbe i giornalisti che si interessano a lui, le tante interviste, i tanti articoli. Con quel cognome sarà sempre sotto i riflettori dei media ma soprattutto della gente. E’ un fastidio certe volte, lo so bene, ma se vai forte diventa qualcosa di molto meno impattante.

Come giudichi questa stagione per il tuo team?

Una buona stagione – risponde Merckx – abbiamo fatto 7 vittorie, conquistato una corta importante come il Giro della Val d’Aosta, una tappa al Giro Next Gen. La nostra è una squadra molto giovane, sapevamo che avere la stagione perfetta è praticamente impossibile, ma possiamo dirci soddisfatti perché nel complesso i nostri ragazzi sono cresciuti.

Per Morgado una prima stagione da U23 ricca di impegni e soddisfazioni. Ora approda all’Uae Team Emirates
Per Morgado una prima stagione da U23 ricca di impegni e soddisfazioni. Ora approda all’Uae Team Emirates
A inizio stagione avevamo parlato con te dell’ingresso di Herzog e Morgado nel team. Come sono andati finora?

Morgado è partito subito bene, con la vittoria al Tour of Rhodes e da lì ha vissuto un’ottima stagione a dispetto di un problema al ginocchio che gli è costato in pratica quasi tutto aprile e maggio. E’ tornato in forma per il Giro ed è stato molto importante per la vittoria di Rafferty in Val d’Aosta, andando poi a conquistare l’argento ai mondiali che per un primo anno fra gli U23 è una gran cosa. Ora farà il salto nel WorldTour, avrà bisogno di tempo ma penso che potrà fare molto bene anche in tempi brevi.

L’impressione che si è avuta è che Morgado si sia ambientato più in fretta nella nuova categoria. Merito suo o Herzog ha avuto più problemi?

Il tedesco non ha avuto una buona stagione – sottolinea Merckx – ma certamente non per colpa sua. Ha sempre avuto problemi di salute che gli hanno impedito di raggiungere la miglior forma. Infatti ha corso molto meno e si è fermato a fine luglio. Anche questo fa parte del mestiere, io credo che sia stata da questo punto di vista una stagione utile perché ha imparato tanto. Non penso che abbia sofferto la tanta pressione derivante dal fatto di essere un campione del mondo juniores, ha solo bisogno di tempo per trovare la sua dimensione. Anche lui passerà nel WorldTour, sono sicuro che alla Bora Hansgrohe gli daranno il tempo necessario.

Annata difficile per Emil Herzog, ma in Germania credono molto in lui e passa già nel WorldTour
Annata difficile per Emil Herzog, ma in Germania credono molto in lui e passa già nel WorldTour
La vittoria di Rafferty al Giro della Val d’Aosta ti ha sorpreso, lo ritieni un corridore con un futuro nelle corse a tappe?

Sicuramente per le corse brevi è già un ottimo prospetto. E’ un corridore che ha grinta, non ha paura di attaccare, ha vinto il Val d‘Aosta proprio perché ha corso d’istinto, ha preso la corsa di petto, senza aspettare le fasi finali. Ha un modo di interpretare le gare che mi piace tanto, ma si vede che da un paio d’anni l’irlandese è in netta crescita e trova nelle corse a tappe la sua dimensione. Andrà all’Education EasyPost e credo che proprio nelle brevi stage race potrà già distinguersi.

Nel tuo team non ci sono corridori italiani, come mai?

La storia dice così, ma dal prossimo anno ne avremo due, provenienti dall’attività junior, che vogliamo far crescere e che annunceremo nei prossimi giorni.

Rafferty protagonista assoluto al Giro della Val d’Aosta. Anche lui entra nel 2024 fra i grandi
Rafferty protagonista assoluto al Giro della Val d’Aosta. Anche lui entra nel 2024 fra i grandi
L’ingresso di Jayco nel vostro team che cosa cambierà?

Non molto, se non il nome della società. E’ una collaborazione con il loro team WorldTour che non ci trasforma in un Devo team, continuiamo ad avere rapporti anche con altre squadre. Servirà però ai ragazzi per avere una strada privilegiata verso la massima serie, ci confronteremo spesso con i direttori sportivi della Jayco AlUla ma la squadra continua ad essere completamente in mano mia. E’ un investimento per crescere, noi come struttura ma soprattutto i ragazzi.

Cervinia, bis di Golliker. Rafferty re del Valle d’Aosta

16.07.2023
6 min
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CERVINIA – Stavolta i ragazzi del Giro della Valle d’Aosta hanno corso come i pro’: una corsa nella corsa. Per la tappa e per la generale. E a vincere queste “due corse” sono stati due nomi noti di questa 59ª edizione del “Petit Tour”: Joshua Golliker e Darren Rafferty.

L’inglesino della Groupama-Fdj ha ricordato un po’ l’impresa di Gianmarco Garofoli di due anni fa. Era in una fuga di sette e poi ad oltre 40 chilometri dall’arrivo si è scatenato e ha lasciato tutti lì andando a prendersi il prestigioso traguardo all’ombra del “Nobile Scoglio”, il Cervino.

Rafferty, trionfo meritato

Stamattina al via da Valtournanche il clan della Hagens Berman Axeon sembrava tranquillo. Il direttore sportivo Koos Morenhaut ci aveva detto che avrebbero pensato soprattutto a controllare. Che comunque ieri avevano speso tanto, ma anche che i suoi ragazzi erano compatti, motivati e gasati da questa maglia.

E così hanno fatto. Si sono gestiti, anche in questo caso, come dei pro’. Hanno impostato dei ritmi intelligenti, senza esagerare. Sono rimasti compatti e sono arrivati il più possibile vicino al traguardo. Nei tratti pedalabili di salita mettevano davanti i passisti e in quelli più duri gli scalatori. Ogni cosa girava al dettaglio.

Nel finale Rafferty è stato attaccato soprattutto da Del Toro e Faure Prost. Lui li ha tenuti, ma quando stava per andare fuorigiri… «Non sono andato nel panico – ha detto lo stesso Rafferty allo streaming ufficiale dell’evento – sapevo di avere un buon vantaggio e che non mancava poi tanto così. Così ho cercato un ritmo buono che mi consentisse di arrivare in sicurezza. Evidentemente ho pagato gli sforzi di ieri.

«Ma devo e voglio ringraziare la squadra. Siamo rimasti in cinque e non è stato poco. Di qualsiasi cosa avevo bisogno i ragazzi c’erano. E’ stato un piacere vederli lavorare per me e ne sono orgoglioso».

Rafferty quasi certamente passerà nel WorldTour. Lui non ha rivelato niente e anzi ha glissato su questa domanda, ma è probabile che lo vedremo con la EF Education – Easy Post.

Golliker (classe 2004) in azione sul Saint Pantaleon. Spesso, anche verso Cervinia, spingeva il 54 (foto Alexis Courthoud)
Golliker (classe 2004) in azione sul Saint Pantaleon. Spesso, anche verso Cervinia, spingeva il 54 (foto Alexis Courthoud)

Golliker, chi sei? 

E poi c’è questo ragazzino, Golliker. E’ un primo anno. Ha vinto due tappe su cinque. In salita spinge rapporti incredibili. Anche sul muro di Pré de Pascal aveva il 40 all’anteriore. Sembrerebbe essere quello che si dice uno scalatore puro. Ma a quanto pare lui non la pensa così.

«No – ci ha detto l’inglese – non sono uno scalatore puro, cerco solo di spingere e posso farlo anche in salita».

Pensate che Golliker va in bici da appena tre anni. Oggi dopo l’arrivo si è anche commosso e ci ha chiesto di aspettare un po’ prima di fargli le domande. Forse si è reso conto di quale impresa avesse fatto. 

«Ammetto – dice Golliker – che sono ancora sotto shock per oggi. E’ stato stupefacente. Vado in bici da tre anni, prima facevo tutti gli sport, ma ho scelto il ciclismo perché mi appassionava di più».

Golliker vive nei dintorni di Besancon, dove la Groupama-Fdj ha la sede. Una scelta dovuta anche al fatto che in Inghilterra nei dintorni di Londra dove vive non ci sono salite e c’è invece molto traffico.

Analisi di uno scalatore

Vederlo pedalare ci ha incuriosito. Uno che vince due tappe (dure) al Valle d’Aosta, per di più al primo anno, non può non essere uno scalatore, così ci siamo rivolti al suo direttore sportivo, Jerome Gannat.

Jerome, Golliker è uno scalatore puro?

No, però è un rullo compressore! Scherzi a parte, anche se si guarda la sua struttura fisica non è da vero grimpeur. Joshua non ha quel cambio di ritmo netto. A lui piace prendere il suo passo e spingere, forte.

Eppure spinge rapporti lunghi in salita. Di solito fa così chi è uno scalatore…

Vero, ma lui va così perché è potente. Anche muscolarmente. Poi è talmente giovane, ha 19 anni, che non è definito. Non ha finito di crescere, ma credo che anche fra qualche anno non sarà uno scalatore puro.

Golliker correva in Francia, lo seguivate già prima che venisse da voi?

No, sono sei mesi che lavoriamo con lui, ma è già migliorato molto. Joshua è un attaccante nato. Lui è un po’ “on-off”. Se è davanti, spinge, va via e rende al 100 per cento, ma se è in gruppo si perde un po’. Credo quasi che si annoi. E’ una questione di motivazione.

Ed è per questo che ieri nel tappone si è staccato?

Non credo. Era ancora in maglia. Io non sono rimasto sorpreso che l’abbia persa. Neanche l’abbiamo veramente difesa, conoscevamo i limiti di Joshua. In salita il gruppo poi non è andato fortissimo. Poi ci sono stati scatti a raffica e, come ho detto, Golliker non riesce a rispondervi bene. In più lui è giovane e la distanza era molto lunga.

Hai detto che non è uno scalatore puro. E allora che tipologia di corridore è?

Un corridore molto forte. Io credo che lo potremmo vedere protagonista nelle tappe davvero difficili o intermedie perché è molto forte fisicamente. Ma in generale sono cose molto difficili da valutare perché parliamo di ragazzi under 23. Lo valuteremo davvero quando lascerà la squadra continental e quanto progredirà tra i pro’. 

E invece oggi come è andata?

Gli ho detto di attaccare perché ho ripensato allo scenario dell’anno scorso quando eravamo nella stessa situazione della Hagens Berman Axeon. Gli ho detto che avrebbero lasciato andare la fuga, come facemmo noi l’anno scorso. Anche se in realtà credevo ci lasciassero più spazio e per questo ero preoccupato. Ma è andata bene.

Meris scappa e trionfa. Rafferty leader… alla Van Aert

15.07.2023
6 min
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FENIS – E per fortuna che la tappa era troppo lunga per essere degli under 23. Si sarebbero gestiti. Il Giro della Valle d’Aosta ha regalato ancora un super spettacolo. I ragazzi si sono attaccati come non ci fosse un domani sin dall’inizio. Un frazione così si può paragonare a quella dell’Aquila al Giro d’Italia del 2010 o per fare un paragone più recente a quella del Tourmalet di qualche giorno fa al Tour de France. E il Van Aert della situazione è stato Darren Rafferty, con la differenza che da stasera è lui la nuova maglia gialla della corsa.

Eppure in tutto questo caos – è anche difficile trovare un punto da dove iniziare a scrivere – il re di giornata non è lui, ma Sergio Meris (qui potete vedere il suo arrivo). Grazie a lui la Colpack-Ballan torna a lasciare il segno al Valle d’Aosta dopo l’incredibile vittoria di Alessandro Verre due anni fa.

Partenza in quota a Verrayes, dal centro dello sci di fondo. Golliker è ancora in giallo
Partenza in quota a Verrayes, dal centro dello sci di fondo. Golliker è ancora in giallo

La tempesta perfetta

Tappone da 172,5 chilometri e ben oltre 4.000 metri di dislivello. C’è chi teme per il tempo massimo. In questo contesto ne esce una corsa incredibile. Degna di un dibattito da processo alla tappa.

Attacca la Hagens Berman Axeon con Antonio Morgado. Lo seguono alcuni atleti tra cui due della Soudal-Quick Step. C’è confusione e dai contrattaccanti sul primo dei cinque Gpm esce Darren Rafferty, terzo al mattino. Una freccia. Piomba sul drappello di testa e la fuga aumenta subito il vantaggio.

E qui scatta il “processo alla tappa”: perché le altre squadre lasciano fare se dentro c’è un pesce così grosso? E’ quello che ci siamo chiesti, quando ancora non vedevamo le immagini e non avevamo parlato con i protagonisti. L’idea era quella d’indagare tra i direttori sportivi una volta all’arrivo.

In realtà non hanno lasciato fare. Davide De Cassan ci confida che prima la Groupama-Fdj e poi la Circus-ReUs di Alexy Faure Prost hanno spinto e anche forte. Solo che davanti Morgado, Rafferty e i Soudal spingevano forte. L’obiettivo di questi ultimi, tra l’altro centrato, era quello della maglia di miglior scalatore con Jonathan Vervenne. Tutto questo ha creato la tempesta perfetta. Una tempesta che Rafferty e Meris sono riusciti a sfruttare al meglio.

Rafferty come Van Aert

Rafferty, dicevamo, sembrava Van Aert: ha tirato all’inverosimile. Dopo aver perso Morgado, stremato e super anche lui, è stato in testa ininterrottamente per 40 dei 45 chilometri rimasti.

All’arrivo l’irlandese guarda nel vuoto e racconta: «La nostra azione non doveva essere esattamente così. Sì, dovevamo attaccare con un uomo. Ma poi ho visto che Morgado non era troppo distante. Io mi sentivo bene e mi sono buttato dentro. Abbiamo subito preso un bel vantaggio e a quel punto abbiamo insistito.

«Morgado è stato eccezionale. Ha fatto un lavoro super: ha tirato per 50-60 chilometri. Io non mi aspettavo di prendere tutto quel vantaggio, ma siamo andati davvero full gas. Mi spiace per la tappa, ma io pensavo alla generale e per questo ho tirato sempre. E’ stata una tappa folle e una delle giornate più dure della mia vita».

La frazione non l’ha vinta, ma mentre aspetta di salire sul palco per indossare la maglia gialla, Rafferty già pensa al giorno dopo. «So che dovremmo difenderci. Oggi l’obiettivo era la maglia e l’ho centrato. Conosco le salite di domani, le abbiamo fatte l’anno scorso. Mi piacciono, sarà ancora dura, ma io sto bene».

Fa impressione la sua espressione. Rafferty è letteralmente distrutto. Sembra deluso. Non riesce a ridere. Giusto sul palco abbozza un sorriso.

Brenner terzo al traguardo. Si arrivava a Clavalité, un vero paradiso a 1.500 m di quota. Le poche baite che ci sono non hanno, per scelta, la corrente elettrica
Brenner terzo al traguardo. Si arrivava a Clavalité, un vero paradiso a 1.500 m di quota. Le poche baite che ci sono non hanno, per scelta, la corrente elettrica

Grande Meris

Chi invece ride, e giustamente, è Sergio Meris. Per lui un successo importantissimo, di peso, di prestigio, di gambe e di testa. Sergio sale sul treno giusto e cavalca quella tempesta di cui dicevamo. S’incolla alla ruota di Rafferty e non la molla. Se non quando l’ammiraglia della Dsm non s’incolla nel vero senso della parola alla sua. E’ l’imbocco della salita finale e per i tifosi italiani scorre un brivido lungo la schiena.

«In seguito a quell’impatto ho avuto un problema con la catena – racconta Meris dopo l’arrivo – ho perso una trentina di secondi, ma sono riuscito a rientrare senza spendere poi tantissimo».

 

E dire che ieri Meris non era andato affatto bene. Ma forse questo successo è figlio proprio della frazione di 24 ore fa.

«Ieri proprio è stata una giornata no. Le gambe non andavano e così alla fine ho deciso di risparmiare qualcosa. Sì, forse è nata anche lì questa vittoria.

«Oggi le cose sono andate nettamente meglio. Io – un po’ come Rafferty – avevo Kajamini davanti e più che altro ho cercato di stare attento davanti al gruppo. Quando si sono mossi Rafferty e gli altri li ho seguiti. All’inizio devo dire che ancora non sentivo delle buone gambe poi le cose sono andate sempre meglio».

Gianluca Valoti abbraccia Meris, una vittoria importante che dà morale alla Colpack-Ballan
Gianluca Valoti abbraccia Meris, una vittoria importante che dà morale alla Colpack-Ballan

Lo scatto che senti

Meris racconta il momento dello scatto decisivo. Il suo diesse Gianluca Valoti, commosso all’arrivo a Clavalité – un vero paradiso naturalistico – gli aveva detto di non muoversi prima dei quattro chilometri dall’arrivo.

«Ma io vedevo che stavo sempre meglio – riprende Meris – notavo che Brenner e Rafferty non pedalavano più benissimo e i watt erano un po’ calati. Così ho deciso di andare prima. Mi sentivo veramente bene». 

Una cosa che abbiamo notato è che Meris rispetto agli altri due aveva sempre mangiato e bevuto. Mentre l’irlandese e il tedesco erano lì a menare a testa bassa. Piccolezze, che piccolezze non sono, fondamentali in una tappa tanto dura e lunga.

Resta una frazione, la classica di Cervinia con Saint Pantaleon e appunto Cervinia nel finale. Tutto è aperto, visto che i ribaltoni non mancano mai in questa gara, ma con un Rafferty così c’è poco da fare. Bisogna vedere se non pagherà dazio.

La classifica vede l’irlandese in testa con 2’44” sul francese Alexy Faure Prost e 3’19” sul messicano Isaac Del Toro, oggi bravissimo a recuperare oltre 4′ nelle due salite finali sulla testa della corsa. Mentre l’ex maglia gialla, Golliker, è giunta ad oltre 12′ e serenamente ha salutato la leadership.