Nieri promosso nella professional: alla ricerca di nuovi talenti

09.01.2025
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Una delle notizie che riguarda il mondo giovanile è che in questa stagione il team di sviluppo della Q36.5 Pro Cycling non ci sarà più. Tra le figure che lavoravano nella formazione continental svizzera c’era Daniele Nieri, il quale andrà a rimpolpare lo staff della professional. Il diesse svolgerà il solito ruolo di gestione del team e di supporto alle corse, ma avrà anche una nuova mansione: quella dello scouting. Le motivazioni della chiusura della squadra continental non sono ancora note, ma il progetto giovani non perde forza. Qualcosa cambierà, e ce lo racconta lo stesso Daniele Nieri (in apertura insieme a Nahom Zeray, vincitore della Piccola Sanremo 2024, photors.it). 

«Nel 2025 passerò alla formazione professional – spiega il diesse toscano – nella quale continuerò a seguire i giovani che hanno proseguito il cammino con noi. In più avrò modo di andare a cercare e vedere le gare juniores e under 23 alla ricerca di ragazzi sui quali puntare».

Samuele Battistella
Nel 2019 la squadra era il vivaio della Dimension Data e lanciò Battistella verso il mondiale U23
Samuele Battistella
Nel 2019 la squadra era il vivaio della Dimension Data e lanciò Battistella verso il mondiale U23

Sondare il terreno

Quella del ruolo di talent scout non è una novità totale per Daniele Nieri. Il tecnico toscano per anni ha visto e osservato giovani ragazzi in rampa di lancio, li ha seguiti e fatti crescere. Questo compito farà ancora parte delle sue mansioni nella Q36.5 Pro Cycling, ma con una sfumatura diversa. 

«Seguirò come diesse – continua a spiegare Nieri – le gare dei nostri giovani, ci sono dei profili interessanti: Joseph Pidcock (fratello di Thomas, ndr), Enekoitz Azparren, Fabio Christen, Nicolò Parisini e Walter Calzoni. Sarò accanto a loro nelle gare alle quali parteciperanno. Ma, il ruolo predominante, sarà quello di scouting. Andrò a vedere le corse riservate ai giovani, quelle di categoria .1 e anche le gare juniores e under 23. cambierà un po’ il target».

Tra i giovani da seguire Nieri avrà anche Joseph Pidcock, fratello di Thomas, che arriva dalla Trinity Racing (foto Instagram)
Tra i giovani da seguire Nieri avrà anche Joseph Pidcock, fratello di Thomas, che arriva dalla Trinity Racing (foto Instagram)
In che senso?

Diciamo che sarà più ampio. Non avendo più la formazione intermedia, ovvero quella development, potremo prendere anche corridori elite. Il nostro focus saranno corridori in fase avanzata, già cresciuti o comunque pronti al salto nel mondo dei professionisti. 

Cosa cambierà nell’approccio?

All’inizio faremo una ricerca non per trovare corridori ma per monitorare la crescita dei giovani. Raccoglieremo dati, sia psicologici che tecnici, per capire che corridori abbiamo davanti. Studieremo la loro evoluzione, anche di quelli che non correranno con noi. Sarà un lavoro più “curioso” all’inizio, nel quale potrò creare una lista interna di corridori possibili. 

Non mancano i giovani italiani da osservare, tra questi spunta Walter Calzoni
Non mancano i giovani italiani da osservare, tra questi spunta Walter Calzoni
Andrai alle corse con quale occhio?

Prima ci andavo per trovare i ragazzi da inserire nel devo team, ora per cercare i profili più interessanti. Alzeremo un po’ l’età media dei corridori che monitoreremo. Restando intorno a ragazzi di età compresa tra i 22 e i 24 anni. 

Come mai?

Per due motivi. Il primo è perché ormai è sempre più difficile prendere ragazzi di 18 o 19 anni. Su di loro arrivano i devo team del WorldTour. In secondo luogo perché per alcuni il salto da juniores a professionisti è troppo ampio. Per quel che ho visto in questi anni i giovani italiani hanno bisogno di fare un passaggio intermedio e di correre da under 23. Un progetto interessante è quello della Vf Group-Bardiani, che prende i giovani ma fa fare loro un calendario dedicato.

Un altro profilo interessante del team Q36.5 Pro Cycling è Nicolò Parisini
Un altro profilo interessante del team Q36.5 Pro Cycling è Nicolò Parisini
Pensi sia replicabile?

Difficile. Anche perché i Reverberi riescono a proporre una crescita graduale. 

Quella della Q36.5 é una scelta in controtendenza nel momento in cui tutte le squadre inseriscono un devo team

Vero. Ma bisogna anche essere realistici. Il rischio maggiore è che le formazioni WorldTour arrivino e si aggiudichino i corridori migliori, mettendoli nei devo team. Un altro rischio è che noi come formazione development cresciamo un ragazzo e poi arriva lo squadrone a portarselo via, così non raccogliamo i frutti del nostro lavoro. 

Nel devo team sono cresciuti corridori interessanti, come Guillermo Martinez, ora passato nel WT alla Picnic PostNL (photors.it)
Nel devo team sono cresciuti corridori interessanti, come Guillermo Martinez, ora passato nel WT alla Picnic PostNL (photors.it)
Tornando al discorso dell’età, cercherete corridori più maturi?

In generale, anche nel devo team, difficilmente arrivavamo a prendere ragazzi direttamente dalla categoria juniores. E se lo abbiamo fatto erano stranieri, non italiani. 

Perché?

I ragazzi italiani a 18 anni non sono pronti a fare la vita da corridore, devono fare un passaggio intermedio. Mentre i giovani stranieri, come gli spagnoli o i colombiani, sono mentalmente predisposti. Però da un lato penso sia meglio tutelare i giovani e proporre loro un percorso più morbido. Fare un anno tra gli under 23 è utile, per attutire il colpo e permettergli di emergere alla lunga. Fornendogli i mezzi per avere carriere durature.

Nieri e il giovane Mozzato: «Ogni cosa se l’è sudata col lavoro»

16.04.2024
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Gran parte delle classiche sono alle spalle e, in attesa di completare le Ardenne, colui che ha brillato di più tra gli italiani è stato Luca Mozzato. Il corridore dell’Arkea-B&B Hotels è salito alla ribalta per il secondo posto al Giro del Fiandre, ma aveva anche vinto una corsa, la Brendene Koksijde Classic, sempre in Belgio.

Mozzato è uno di quei corridori cresciuti piano, piano. Uno di quelli che ha avuto bisogno di tempo. Ma le qualità c’erano. E nell’era del “tutto e subito” il veneto rischiava di passare nel dimenticatoio. Luca invece a suon di risultati, di piazzamenti, di vittorie e infine grazie anche al podio in un monumento è arrivato al vertice.

Per capire dove è ora Mozzato, bisogna vedere da dove veniva prima di passare professionista. E dove veniva ce lo può spiegare bene Daniele Nieri, attuale direttore sportivo della Q36.5 Continental, all’epoca della Dimension Data for Qhubeka, la squadra di Luca.

Daniele Nieri è oggi il diesse della Q36.5 Continental Team
Daniele Nieri è oggi il diesse della Q36.5 Continental Team
Tu, Daniele, hai diretto Mozzato per due anni, e hai un certa sensibilità con i giovani…

Sì, l’ho avuto nel suo secondo e terzo anno tra gli under 23. E cosa dire: ora è al top! Fare secondo ad un Fiandre dietro a quel Van der Poel è come vincere. Luca è molto adatto a quelle corse. Sa tenere la posizione, regge sulle salite corte, ha un buon picco di forza esplosiva ed è veloce.

Insomma, tutto normale?

Normale no, perché per diventare un corridore vero ci sono tanti fattori. E non ci si deve riferire solo al Belgio. E’ arrivato davanti in tante altre corse.

E allora che corridore è, o era, il tuo Luca Mozzato?

Un corridore veloce, ma non un velocista puro. Ha uno sprint importante. Come detto, sa stare in posizione e sa muoversi al momento giusto. Era già un buon corridore quando lo si prese dalla Zalf e anche da juniores si mise in mostra. Se ben ricordo fu quarto al mondiale di Doha 2016. Sfiorò il podio grazie all’aiuto di Zana che lo fece rientrare.

Mozzato ha militato nella Dimension Data U23 con Nieri per due anni: 2018 e 2019. Poi è passato alla B&B
Mozzato ha militato nella Dimension Data U23 con Nieri per due anni: 2018 e 2019
Sei stato tu a volerlo nella tua squadra all’epoca?

Non direttamente, perché anche io stavo rientrando in squadra. Ma sapevo chi fosse. Però accadde un fatto curioso. Una sera ero a cena con Kevin Campbell, l’allora team manager della Dimension Data for Qhubeka. Gli arrivò un messaggio in cui un procuratore gli proponeva Mozzato. Mi chiese se lo conoscessi. Gli dissi: «Io non so ancora se ci sarò, ma lui prendilo subito!». Così ci ritrovammo qualche settimana dopo entrambi nello stesso team.

E dal punto di vista umano?

Un bravissimo ragazzo. Ma bravo davvero a 360 gradi. Seguiva alla lettera ciò che gli si diceva. Era puntiglioso, serio negli allenamenti. Dopo il Fiandre infatti gli ho scritto: con tutti i sacrifici fatti, te lo meriti. Le sue vittorie le ha sempre ottenute, ma nonostante tutto restava poco considerato. Forse perché i suoi risultati erano frutto del lavoro.

E non del talento spontaneo, questo è il concetto…

Vinceva perché lavorava, faceva la vita da corridore. Preciso nelle tabelle, nel mangiare. E sì che lui poverino ha sempre avuto qualche problema col peso. Era uno di quelli che basta che “guarda la pasta e ingrassa”. Non perché non fosse attento, anzi… il contrario. Altra caratteristiche di Luca che ben ricordo era la puntualità.

Mozzato approdò in B&B (ora a Arkea) nel 2020 e gli viene subito proposto un calendario disegnato sulla sua misura
Mozzato approdò in B&B (ora a Arkea) nel 2020 e gli viene subito proposto un calendario disegnato sulla sua misura
Hai rimarcato il tema della posizione. Ci puoi dire di più?

Vi racconto questa. Luca è finito a correre in Francia non per caso. Eravamo al Tour de Bretagne e qualche giorno dopo facemmo un’altra corsa da quelle parti. In quasi tutte le tappe entrò nei primi dieci. Quei percorsi erano molto “stile Belgio”: 180-190 chilometri con su e giù, vento, curve e proprio lì fu notato dalla B&B. Ricordo che c’era un circuito da fare in una tappa, un circuito tortuoso e lui da solo non uscì mai dalle prime cinque posizioni.

Può ancora crescere?

Per me è nell’ambiente giusto per lui specie in relazione al calendario che gli propongono. So che si trova bene: insomma ha l’equilibrio giusto. Se può crescere? Io dico di sì. Se non altro perché parliamo di un ragazzo classe 1998: quindi di 25-26 anni. Può ancora limare qualcosa. Chiaro, se mi chiedete: può vincere un Fiandre? Dico che contro motori come Van Aert o Van der Poel ti deve girare tutto, ma proprio tutto, bene…

Okay Daniele, ma questo non vale solo per Mozzato!

Esatto, però in corse come De Panne, Scheldeprijs… sì: può vincere. In quelle corse è sempre al top e poi è un corridore che porta non si sa quanti punti e questo alle squadre piace sempre. Lui comunque è maturato, sta maturando coi tempi giusti.

Giro d’Algeria, l’avventura di Portello e dei continental Q36.5

14.03.2023
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Saltare dal freddo di questi giorni in Italia ai 30 gradi di Algeria non è cosa da poco. Molti partecipanti al Tour d’Algerie (7-16 marzo) hanno sofferto per l’escursione termica, non Alessio Portello, che nei primi giorni di gara ha subito portato a casa un bel secondo posto, legittimando le attese della squadra (in apertura foto Facebook/Tour d’Algerie Cyclisme). Portello è portacolori del team continental della Q36.5: abbiamo già avuto modo di parlare a più riprese del nuovo progetto di Douglas Ryder, che passa anche per la formazione “delfina” di quella professional che, nei propositi del dirigente sudafricano, dovrebbe tornare in pochi anni nel WorldTour rimpiazzando il ricordo della Qhubeka.

Un progetto del quale fa parte anche la squadra giovanile, diretta emanazione proprio del Team Qhubeka in carovana fino allo scorso anno. Portello, che nel team è approdato quest’anno, fa un po’ da testimonial.

«C’è una bella atmosfera – ammette il friulano – questa è la prima trasferta estera che facciamo, ma d’altronde la stagione è appena iniziata e io avevo fatto appena due gare prima di partire, iniziando comunque subito bene con il 2° posto a Misano dietro Bruttomesso».

Così Portello coglie la seconda posizione dietro Reguigui nella terza tappa
Così Portello coglie la seconda posizione dietro Reguigui nella terza tappa
Non una gara di poco conto considerando che dura 10 giorni…

E dopo c’è una classica, la più importante del posto. Noi siamo partiti per fare bene, ma senza alcuna pressione addosso, è un po’ questo il segreto della nostra squadra. I risultati devono arrivare in maniera naturale, senza diventare un assillo. L’importante è fare bene tutto quel che serve durante la gara, affrontarla con l’atteggiamento giusto.

Com’è il rapporto con i direttori sportivi?

Ottimo, come detto non ci assillano, ma sono molto presenti. Anche in Algeria, dopo cena ci si riunisce sempre per almeno mezz’ora per analizzare quel che si è fatto e la tappa successiva, le sue caratteristiche, le tattiche da adottare, i ruoli di ognuno. Diciamo che la corsa inizia realmente da lì.

Daniele Nieri è il diesse del team, ha fortemente voluto il friulano credendo nelle sue capacità
Daniele Nieri è il diesse del team, ha fortemente voluto il friulano credendo nelle sue capacità
Come sei arrivato alla Q36.5?

E’ stato Daniele Nieri a volermi, ha spinto tanto perché scegliessi questa strada e il mio procuratore Johnny Carera era pienamente d’accordo, approvava l’idea di portarmi in questa squadra per fare tanta esperienza per il futuro. E’ un passaggio obbligatorio per continuare a crescere. Io ho cambiato spesso team e tutti mi hanno dato qualcosa, anche Borgo Molino fra gli junior e la Zalf dove ho militato le ultime due stagioni.

Che differenze ci sono fra quest’ultima e il team attuale?

La principale è la scelta del calendario, che è un po’ una differenza di filosofia. La Zalf affronta un calendario prevalentemente italiano, alla fine ci si ritrova a gareggiare sempre gli stessi, i nomi non cambiano se si guarda bene gli ordini di arrivo. La Q36.5 punta invece su un calendario estero proprio per mettere i suoi corridori ogni volta di fronte a qualcosa di diverso. Spesso capita di confrontarsi con atleti molto più esperti, capaci, che vanno più forte. Ma fa parte del gioco e serve a migliorare.

Il team Q36.5 in gara in Algeria, con Portello, Sandri, Oioli, Mosca, Amari (ALG) e Steadman (RSA)
Il team Q36.5 in gara in Algeria, con Portello, Sandri, Oioli, Mosca, Amari (ALG) e Steadman (RSA)
Siete un team molto variegato…

Sì, come per la squadra maggiore la maggioranza relativa è italiana, siamo in 4, poi ci sono 3 eritrei, 2 colombiani, un algerino, uno svizzero e un sudafricano. E’ una bella commistione di culture e non nascondo che anche questo mi piace, come il fatto che fra noi si parla inglese. Sono valori che vanno al di là del puro fatto sportivo. Inoltre facendo la vita del corridore itinerante, quelle differenze iniziali vanno progressivamente ad annullarsi.

Ci sono contatti con la squadra professional?

Continui! Lo stesso Ryder si interessa, ha uno stretto rapporto con Nieri e con Kevin Campbell, altro diesse. L’idea di base è che il team è unico, poi diviso in base alle regole Uci, ma facciamo tutti parte dello stesso progetto e stando qui c’è la possibilità di imparare e un domani approdare alla squadra principale. La cosa che mi piace è che ti fanno davvero sentire parte di questo progetto.

Oioli è stato per due tappe leader in classifica. Ora Sandri si trova a 2″ dal leader francese Hennequin
Oioli è stato per due tappe leader in classifica. Ora Sandri si trova a 2″ dal leader francese Hennequin
Il percorso algerino ti si adatta?

Per le prime tappe sì, infatti ero stato portato come velocista della squadra insieme ad Hamza che corre in casa. Ho conquistato una piazza d’onore e altre tre top 10, credo di aver fatto il mio dovere, ma si può sempre migliorare. Mi sono trovato bene soprattutto nella parte desertica del Giro, la seconda è verso Nord, la catena montuosa e lì sono altri i corridori chiamati a emergere.

Che cosa ti aspetti, anche oltre il ritorno dall’Algeria?

Spero in qualche vittoria, non una in particolare e magari richiamare l’attenzione su di me, anche per una maglia azzurra. Quel che conta comunque è farmi vedere e imparare il più possibile, non si finisce davvero mai…

Henok, l’orgoglio d’Africa sulle strade del mondo

17.02.2023
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E’ stato portato in trionfo, proprio come accadeva da noi quando gli arrivi non erano circoscritti dalle transenne e la folla poteva acclamare il campione. Henok Mulubrhan è stato festeggiato così ad Accra, capitale del Ghana, dove si sono tenuti i campionati continentali d’Africa.

Il corridore della Green Project-Bardiani è stato autore di una doppietta che a suo modo è storica. Era il campione uscente e ci teneva moltissimo a confermarsi.

Una maglia “lunga” 

«Henok voleva mantenere il titolo – racconta con orgoglio il suo team manager Roberto Reverberi – ed è un titolo di prestigio per lui, ma anche per noi della squadra. Non sarà un campionato europeo, che è quasi un mondiale, ma ha il suo bel lustro. E poi questo vuol dire che per un anno porterà in giro una bella maglia.

«E proprio sulla maglia un po’ mi viene da ridere. Lo scorso anno per fargliela abbiamo impiegato un sacco di tempo. Questa infatti deve prima essere approvata dalla confederazione africana, quindi dall’Uci e poi di nuovo dalla confederazione africana. Non vi dico che giostra! Alla fine ce l’abbiamo fatta».

Henok Mulubrhan (classe 1999) è arrivato alla corte di Reverberi lo scorso marzo
Henok Mulubrhan (classe 1999) è arrivato alla corte di Reverberi lo scorso marzo

Obiettivo continentale

«Comunque – va avanti Reverberi – Henok ci teneva e sapevamo che stesse bene. Ha passato tutto l’inverno in patria, dove tra l’altro ho scoperto che il ciclismo è sport nazionale… più dell’atletica. Impazziscono per i ciclisti, più che per i podisti. Chissà, forse per il fatto che è stata una colonia italiana, perché conoscevano Coppi e Bartali, no so… Laggiù in Eritrea c’è un ambiente ideale per allenarsi. Henok vive a 2.500 metri di quota ed è come se fosse primavera tutto l’anno.

«Prima del campionato africano aveva preso parte all’Amissa Bongo. Era ben messo in classifica, ma in un momento cruciale della corsa, quando i migliori hanno attaccato, lui ha forato. E ora sarà al via del Tour du Rwanda (19-26 febbraio, ndr), che correrà con i nostri colori e non con quelli della nazionale».

L’eritreo ha legato molto con Filippo Zana, il quale parlando inglese lo ha aiutato ad inserirsi nel gruppo
L’eritreo ha legato molto con Filippo Zana, il quale parlando inglese lo ha aiutato ad inserirsi nel gruppo

Henok non si tocca

Reverberi racconta che Henok è un bravo ragazzo. Uno di quelli che s’impegna a fondo e che ha anche un certo margine di crescita.

«Il motore è buono – spiega Roberto – è un ragazzo che non si tira indietro. Rispetto ad un Girmay è forse un po’ meno velocista e un po’ più scalatore, ma di base resta un atleta abbastanza veloce. 

«Non si nasconde. In riunione chiede cosa deve fare. E’ uno che dà, non è un individualista. Pensate che lo scorso anno la B&B Hotels ce lo chiese, ma noi lo avevamo preso da poco e non vedevamo un motivo per cederlo. Lo abbiamo preso adesso – ci siamo detti – perché non crederci?».

Henok è in Italia ormai da diversi anni. Prima correva alla Qhubeka diretta da Daniele Nieri. L’italiano lo sta imparando sempre di più e lo stesso si sta integrando sempre di più.

«Aveva legato parecchio con Zana – prosegue Reverberi – e infatti all’Adriatica Ionica Rece lo scorso anno lo aiutò con molto piacere a vincere. Henok fece un grosso lavoro per lui. Ma vedo che anche con gli altri ragazzi se la cava. Gli vogliono bene e si fa voler bene».

Henok Mulubrhan è stato portato da Daniele Nieri (in foto) nel 2020, quando il suo team era ancora NTT Continental
Henok Mulubrhan è stato portato da Nieri (in foto) nel 2020, quando il suo team era ancora NTT Continental

Parla l’ex diesse

E in quanto ad integrazione, anche Daniele Nieri ci racconta qualcosa di Henok. Alla fine lui lo ha diretto per due anni. E due sono ancora a stretto contatto.

«Ci sono in contatto sì – interviene Nieri – Henok, ma anche Natnael (Tesfatsion, ndr) vivono a due chilometri da casa mia a Vinci… sono diventati compaesani di Leonardo! Pensate che mia mamma li porta a fare la spesa certe volte e anche loro la chiamano “mamma”!

«Henok è uno dei ragazzi del ciclismo africano che sta crescendo. Guai a fare i paragoni con Girmay, perché lui è un fenomeno, vedrete come verrà fuori, ed è un caso a parte. Mulubrhan è un buon corridore. Un corridore veloce, scaltro e che impara in fretta. E’ stato così con la lingua, con l’alimentazione. Viene dalla scuola di ciclismo dell’Uci, dal progetto del ciclismo per tutti, e poi è arrivato da me. In due anni ha imparato parecchio.

«Ricordo che fece il Giro U23 del 2020, quello del Covid. Non doveva farlo, sostituì proprio Natnael che ebbe un problema fisico, e riuscì a fare bene (fu 11°). Per me potrà andare molto bene anche in Rwanda».

Nieri: «La Qhubeka ridiventa una vera development»

01.11.2022
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«Come l’anno scorso avevo detto che era una perdita non avere più il team Qhubeka dei pro’, adesso che è tornato dico che sarà un guadagno», Daniele Nieri direttore sportivo del Team Qhubeka commenta così il ritorno della prima squadra.

Douglas Ryder, ex team manager della Qhubeka WT, torna in pista con la Q36.5, una professional. La squadra avrà sede in Svizzera, un’anima sudafricana e un grande apporto italiano, tra cui quello di Vincenzo Nibali. Tra le due squadre, la professional e la continental, pertanto ci sarà un certo contatto, proprio come avviene con le WorldTour e i rispettivi team development.

Daniele Nieri (classe 1986) è in ammiraglia già dal 2018
Daniele Nieri (classe 1986) è in ammiraglia già dal 2018

Development sul serio

E infatti Nieri è molto chiaro: «Si ritorna development nel vero senso della parola. L’anno scorso avevo detto che la perdita della Qhubeka ci avrebbe dato qualche limite in termini di calendario e di possibilità per i ragazzi. Ma al tempo stesso avrebbe aumentato la visibilità mediatica su di noi. Quest’anno è il contrario».

Dal punto di vista tecnico e pratico quindi la squadra dei giovani ci guadagna. Sapere di avere un punto di appoggio “in alto”, nel professionismo, vuol dire molto.

«Oltre al calendario superiore che andremo a fare, i ragazzi qualora lo meriteranno, potranno fare delle esperienze con la prima squadra e perché no, passare con loro nella stagione successiva.

«A gennaio faremo il ritiro in Spagna tutti insieme. Non sappiamo ancora le date di preciso ma staremo insieme. Sarà un’ottima occasione di crescita».

Nicolò Parisini (in foto) si è ben distinto in stagione
Nicolò Parisini (in foto) si è ben distinto in stagione

(Quasi) dodici

L’organico definitivo della Qhubeka sarà comunicato tra qualche giorno, ma Nieri ci anticipa che i ragazzi dovrebbero essere dodici, due sono ancora in ballo. Rispetto alla passata stagione c’è un grande rinnovamento e un certo ringiovanimento della rosa. Il prossimo anno ci saranno solo due atleti di quarto anno.

«E ne restano solo quattro di quelli in rosa nel 2022 – dice Nieri – tra questi Raffaele Mosca».

Ma in arrivo ci sono anche tre ragazzi italiani, uno svizzero e cinque ragazzi africani provenienti da un po’ tutto il Continente.

«Con i ragazzi africani non ho avuto molte possibilità di parlare personalmente, ma ci siamo scambiati dei messaggi. Però con due di loro, qualche confronto in più c’è stato. E ci ha parlato soprattutto Kevin Campbell (uno dei manager del team, ndr) che li ha diretti all’Avenir. In Francia hanno corso con il team dell’Uci e a dargli supporto tecnico, staff e mezzi, eravamo noi».

Qui il Tour du Rwanda. Il livello delle corse esotiche, tra cui quelle africane, sta crescendo nettamente
Qui il Tour du Rwanda. Il livello delle corse esotiche, tra cui quelle africane, sta crescendo nettamente

Calendario mondiale

Daniele Nieri ha parlato di un calendario più importante. Gare U23 ma anche esperienze con la professional e corse all’estero. Nel ciclismo che si espande a livello mondiale un progetto simile non può esimersi dal fare determinate esperienze.

E poi basta pensare che nel 2025 i mondiali si disputeranno in Rwanda… Bisogna insistere.

«Faremo di certo anche noi delle corse in Africa – spiega Nieri – e le faremo sia noi che la professional. Rwanda e Amissa Bongo ormai sono corse vere, ci vanno le squadre buone, ci sono in ballo punti Uci. E sì: ci vogliamo andare».

Le prime uscite, soprattutto con ragazzi africani di primo anno, non sono semplici da gestire (foto Instagram)
Le prime uscite, soprattutto con ragazzi africani di primo anno, non sono semplici da gestire (foto Instagram)

Solidaretà totale

Lavorare con ragazzi che arrivano da Paesi lontani, con culture sportive (e non solo sportive) molto diverse dalle nostre non è facile. E non lo è anche nel concreto. Magari in allenamento, specie nei primi mesi, Nieri e il suo collega Simone Antonini, si ritrovano corridori che hanno parecchia differenza tra di loro, specie con gli atleti di primo anno. Coordinarsi non è facile. Non è così scontato trovare una certa coralità in tempi brevi.

«Chiaro che cerchiamo di prendere chi va più forte – spiega Nieri – ma prima di far firmare un ragazzo non valutiamo solo i dati, ma andiamo a vedere anche la persona. 

«Per quanto riguarda l’integrazione è un bel lavoro. Per un ragazzo dei nostri stare con loro non è facile. I ragazzi africani sono bravissimi, gli darei un polmone se ce ne fosse il bisogno, ma certe differenze sono evidenti. Differenze anche culturali: l’uso dei social, del telefonino, dell’alimentazione, usare GoogleMap… In questo caso mi danno una grossa mano i ragazzi italiani».

«Dico loro di stargli vicino, di aiutarli nella vita quotidiana. Devono essere bravi a capire tutto ciò. In questi anni ho avuto un ragazzo che non è stato bravo… di più. Ed è Luca Coati. Una spanna sopra a tutti. Luca ha svolto un grande lavoro.

«E tra tutti si è stabilito un così bel rapporto che Tesfatsion, per esempio, nonostante abbia cambiato squadra ha preso casa vicino a me. Ed Henok Mulubrhan scherzando Coati lo chiama “Amore”! Fuori dalla bici gli si deve dare una mano e in gara li si deve aiutare a leggere la corsa».

Menegotto ritrova vittoria e sorriso: «ora il peggio è alle spalle»

06.09.2022
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Al Giro del Friuli, concluso domenica con un’altra vittoria di Buratti, era presente anche il Team Qhubeka. La continental, ridimensionata per le vicende di inizio anno, è ripartita con un progetto giovani importante ed inclusivo, come suo solito. Tra i corridori presenti in Friuli c’era anche Jacopo Menegotto (in apertura foto Instagram), al primo anno con la squadra di Daniele Nieri, che di recente ha centrato la prima vittoria stagionale al Memorial Tortoli. Jacopo è figlio d’arte, suo padre Roberto è stato anche lui un ciclista con un buon trascorso nei dilettanti (ha vinto il campionato italiano) e quattro anni di professionismo. 

Per Menegotto, quella del Memorial Tortoli, è stata prima vittoria in maglia Qhubeka (foto Instagram)
Per Menegotto, quella del Memorial Tortoli, è stata prima vittoria in maglia Qhubeka (foto Instagram)

Di nuovo il sole

Un bell’attacco sullo strappo finale di Laterina, in quegli 800 metri Menegotto ha picchiato duro sui pedali, spingendo lontano un inizio di stagione difficile. 

«Questa vittoria – racconta da casa sua a San Donà di Piave – mi ha dato consapevolezza. E’ stata come una liberazione, sono riuscito a lasciarmi alle spalle tutto il nero che ho visto. Dal punto di vista mentale Daniele (Nieri, ndr) mi è stato molto vicino e mi ha dato una grande mano, è stata davvero dura. In primis, però, devo ringraziare la mia famiglia ed i miei amici, in questi mesi sono stato parecchio a casa e loro mi hanno dato una grande mano. Non riuscire a fare ciò che ami è difficile, non dico che sia stato uno schock, ma una bella batosta sì. Sono stati parecchi i momenti duri, io sono uno che pensa  molto e in questo periodo mi sono rotto la testa, arrivando quasi a mollare del tutto. Se non l’ho fatto è proprio grazie a chi mi è stato accanto tutti i giorni».

L’inizio di stagione per Jacopo è stato molto complicato, con una mononucleosi a fermarlo per tanti mesi (foto Pettinati Communication)
L’inizio di stagione per Jacopo è stato molto complicato, con una mononucleosi a fermarlo per tanti mesi (foto Pettinati Communication)

Un male invisibile

Se si guarda agli impegni di Menegotto, si nota come il suo inizio di stagione sia costellato da continui periodi di fermo. In un ciclismo che si muove sempre più velocemente rimanere “ai box” non aiuta e Jacopo lo sa bene. 

«Ad inizio anno stavo male – dice con tono sommesso – più avanti ho capito di cosa si trattasse: mononucleosi. Un ostacolo difficile da superare che mi ha compromesso la prima parte di stagione. Mi ero posto l’obiettivo di ripartire dal Giro d’Italia Under 23, ma i valori sono tornati ad essere alti e sono rimasto fermo altri 20 giorni. Alla fine di tutto sono tornato in corsa solamente il 29 luglio al Kreiz Breizh Elites: una corsa 2.2 che mi ha aiutato a far salire la condizione. Non sono ancora al 100 per cento, faccio fatica a recuperare dopo le gare, anche per questo al Giro del Friuli non ho fatto il massimo. Tuttavia la stagione è ancora lunga e le gare sono molte, ci sarà anche la Ruota d’Oro e sappiate che sul mio calendario c’è un bel cerchio su quel giorno».

Il Team Qhubeka è una squadra con al suo interno tante culture differenti, una bella occasione per conoscere nuove storie (foto Instagram)
Il Team Qhubeka è una squadra con al suo interno tante culture differenti, una bella occasione per conoscere nuove storie (foto Instagram)

L’approdo in Qhubeka

Da questa stagione, si diceva, Jacopo corre nel Team Qhubeka, una realtà tanto diversa da quelle vissute dal ragazzo veneto. Una squadra internazionale con tanti corridori di lingue e culture differenti, un mix di tante esperienze e storie di vita.

«I miei compagni – racconta – sono ragazzi tranquilli e super gentili. La squadra ha una casetta a Lucca e molto spesso ci passiamo dei periodi medio-lunghi tra i vari impegni. Avere tante nazionalità al nostro interno, e tutte che arrivano da un continente così lontano come l’Africa è bello. Spesso quando siamo in casetta ascolto le storie dei miei compagni, è bello sentirli parlare e penso che a loro faccia piacere aprirsi e raccontare delle loro famiglie o della propria cultura. Ciclisticamente arrivano da un mondo molto lontano, quindi a volte tocca anche a noi, compagni più esperti, aiutarli e farli ambientare.

«In ritiro parliamo spesso di ciclismo e dei corridori del passato ed a volte ci sorprendiamo perché non conosco gente come Indurain o Bugno (dice con un mezzo sorriso, ndr). Sono molto propensi alla fatica, anche perché così lontani da casa sanno di giocarsi il “tutto o niente” per entrare nel ciclismo che conta. Questa caratteristica la si nota spesso anche in corsa o in allenamento». 

Daniele Nieri è diesse e collante di questa squadra, qui al Trofeo Piva ad inizio aprile
Daniele Nieri è diesse e collante di questa squadra, qui al Trofeo Piva ad inizio aprile

Un primo bilancio

Quest’anno si concluderà, per motivi anagrafici, l’esperienza di Menegotto tra gli under 23, che bilancio ne ricava alla fine di questa sua “esperienza”?

«Mah, un bilancio… Sicuramente avrei potuto raccogliere qualche risultato in più – risponde – non sono stato sempre concreto. Quando ho perso, però, mi sono confrontato con corridori che ora corrono in team WorldTour e sono campioni affermati. Come quando al Giro Under 23 del 2020 ho corso contro Milan e Pidcock. Senza voler strafare penso che un posto tra i professionisti posso ritagliarmelo, ho corso in tante squadre che mi hanno sempre permesso di crescere, in un modo o nell’altro.

«Quando ero in Biesse Arvedi, nel 2019 e nel 2020 – conclude – ho imparato ad essere autonomo. Prendevo il treno per andare ad allenarmi o per andare ai ritiri, imparando a vivere al di fuori della mia comfort zone. Alla General Store, lo scorso anno, ho trovato tanti amici. Uno di loro è Lucca, uno dal quale bisogna imparare la determinazione e la costanza: per arrivare al professionismo come ha fatto lui ci vogliono due spalle grandi così. Invece quest’anno, con la Qhubeka ho usato un po’ dell’esperienza fatta in Biesse, quando ero io quello lontano da casa. Ovvio che le proporzioni da fare sono enormi, ma sapere un minimo cosa si prova mi ha aiutato a legare con i compagni».

Mulubrhan, un eritreo alla Bardiani: lo presenta Nieri

28.04.2022
6 min
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Henok Mulubrhan, giovane corridore eritreo classe 1999, è diventato un nuovo corridore della Bardiani CSF Faizanè. A inizio febbraio aveva conquistato la seconda posizione nella classifica giovani dietro al connazionale Tesfatsion al Tour of Rwanda. Di recente, invece, ai campionati continentali africani ha fatto vedere grandi cose. Si è aggiudicato il titolo continentale africano nella cronometro a squadre, il secondo posto nella prova individuale ed infine, ha conquistato il titolo continentale su strada.

Il movimento ciclistico eritreo sta crescendo molto in questi anni, raggiungendo il suo apice con la vittoria di Ghirmay alla Gand-Wevelgem. Daniele Nieri ha visto passare molti di questi atleti nel Team Qhubeka, una realtà che ha permesso a questi ragazzi di crescere e maturare per entrare nel mondo del professionismo, o almeno provarci.

Henok Mulubrhan dal 21 di aprile è un nuovo corridore della Bardiani CSF Faizanè (foto Facebook Bardiani)
Henok Mulubrhan dal 21 di aprile è un nuovo corridore della Bardiani CSF Faizanè (foto Facebook Bardiani)
Daniele, raccontaci di Henok, quando è arrivato da voi?

Lui arrivava dal centro UCI, dove ha corso per un anno, nel 2019. Quindi, a differenza di altri suoi connazionali, come Tesfatsion (i due sono entrambi del 1999, ndr) aveva già un minimo di adattamento in più al ciclismo europeo.

Come avete lavorato per adattarlo al ciclismo europeo?

Quando i corridori africani arrivano da noi si parte con l’insegnare loro le basi del ciclismo. Per farvi un esempio: Henok non sapeva neanche che per prendere il rifornimento bisognasse chiamare l’ammiraglia, io me lo ritrovavo in fondo alla coda delle macchine che mi chiedeva l’acqua. Sanno che l’Europa è la loro grande occasione e lavorano davvero sodo, non è un caso che il movimento eritreo sia cresciuto così tanto.

Henok Mulubrhan a destra e Natneal Tesfatsion a sinistra in una gara di dilettanti in Eritrea
Henok Mulubrhan a destra e Natneal Tesfatsion a sinistra in una gara di dilettanti in Eritrea
Tesfatsion e Mulubrhan sono entrambi del 1999, il primo è al suo secondo anno da pro’. Il secondo inizia adesso, che differenze ci sono?

Loro hanno corso insieme alla Qhubeka nel 2020, sono molto uniti, a breve andranno a vivere insieme, li stiamo aiutando a cercare casa. Probabilmente verranno a vivere vicino a casa mia, tra Empoli e Lucca. A mio avviso Tesfatsion avrebbe dovuto fare un anno in più con noi per crescere ancora un po’. Lui arrivava direttamente dall’Eritrea e l’adattamento al ciclismo europeo non è facile, ogni tanto fa ancora degli errori grossolani, come al Tour of the Alps che agli ultimi 5 chilometri chiedeva ancora il rifornimento…

Invece Henok?

Con il fatto che ha corso un anno con la squadra del centro UCI aveva già qualcosa in più. Ovviamente anche lui ha dovuto fare un periodo di adattamento lungo, il problema principale di questi ragazzi è che quando arrivano non parlano neanche l’inglese, ma solo la loro lingua. Con Qhubeka abbiamo una migliore gestione della situazione in quanto siamo abituati a rapportarci con questi ragazzi. All’interno dello staff abbiamo dei tecnici che parlano la loro lingua, lo zulù, e ci aiutano con la traduzione.

Che tipo di corridore è?

E’ un vincente, ha una mentalità molto forte. Lui è uno di quelli che non dorme la notte perchè pensa alla vittoria, ogni volta che attacca il numero sulla schiena lo fa pensando al bersaglio grosso. L’anno scorso si è piazzato tante volte nei primi dieci, è arrivato terzo nella tappa di Imola al Giro d’Italia under 23.

Scalatore, ma anche a crono va forte…

Certo, come tutti i corridori eritrei ha una condizione innata per andare forte in salita. Loro vivono a 3.000 metri d’altitudine, questo li aiuta moltissimo, hanno un ossigenazione del sangue differente. In più hanno una grande dote naturale per le prestazioni a lungo termine, come la maratona o il ciclismo. A cronometro si difende molto bene, al Giro under è arrivato sesto nella prova contro il tempo.

Secondo te è pronto per l’avventura in Bardiani?

Direi assolutamente di sì. Lui doveva già correre con noi nel team WorldTour, poi la squadra è saltata e non si è fatto nulla. Ma penso che il suo procuratore abbia iniziato a muoversi già da inizio stagione. La categoria, a dirla tutta gli andava stretta e quindi è giusto che sia andato dai Reverberi. Loro hanno perso due corridori (Visconti e Trainini, ndr) e probabilmente hanno accelerato l’operazione.

Uno dei più grandi problemi è la comunicazione, soprattutto quando tornano in Eritrea per tanto tempo, secondo te questo potrebbe essere un ostacolo?

Non credo, certamente non è semplice ma la tecnologia è cresciuta tanto negli anni. E’ vero che in Eritrea non hanno internet, ma ora esiste un’applicazione per il telefono che permette di chiamare sfruttando la connessione internet del numero di telefono europeo.

L’eritreo si difende bene a cronometro, per lui il secondo posto al campionato continentale africano quest’anno (foto Instagram Mulubrhan)
L’eritreo si difende bene a crono, per lui il secondo posto al campionato africano 2022 (foto Instagram Mulubrhan)
Sono tanti i corridori eritrei che vivono in Italia, sono una comunità unita?

Henok, Natnael, Amanuel Ghebreigzabhier e Biniam Ghirmay sono molto amici tra di loro. Si trovano spesso insieme a mangiare e molte volte andiamo anche noi tecnici della Qhubeka. Quello che si è creato con questi ragazzi è un rapporto di amicizia, quasi fraterno. Spesso Natnael ed Henok vengono da noi in magazzino e rimangono a parlare con i ragazzi della squadra. Non sarà raro trovarli tutti insieme a casa loro. Per il momento non hanno ancora la patente e quindi capita che Antonini, un nostro massaggiatore, li porti in giro, li accompagni all’aeroporto o li porti anche a fare la spesa.

La Qhubeka continental va avanti spedita nelle mani di Nieri

26.11.2021
4 min
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Come è noto la Qhubeka-Assos non sta vivendo giorni semplici. Sul futuro della squadra WorldTour imperversano nuvoloni a dir poco neri. E più si va avanti e più il tempo stringe. E la cosa non riguarda solo la squadra WorldTour, ma anche quella continental. Almeno indirettamente, come scopriamo da Daniele Nieri, suo diesse…

E quell’indirettamente a quanto pare è fondamentale. Tutto questo è molto simile a quanto accaduto l’anno scorso di questi tempi. Con il team principale salvato in extremis e la continental che aveva delle assicurazioni in merito. Però…

Alla Coppi e Bartali Henao e Dlamini, hanno corso coi ragazzi di Nieri
Alla Coppi e Bartali Henao e Dlamini, hanno corso coi ragazzi di Nieri
Daniele, com’è la situazione della Qhubeka continental?

La squadra continental andrà avanti. Stiamo solo aspettando le sorti della WorldTour, ma per quel che riguarda il nostro futuro il general manager, Douglas Ryder, ci ha detto che si continua. Il progetto giovani prosegue. Il progetto del ciclismo africano, con sudafricani, etiopi…

Siete quindi tranquilli?

Quindi noi siamo tranquilli. Poi certo, un conto è avere la sola continental e un conto è anche la WorldTour, questo incide sulla crescita dei ragazzi.

Cioè?

Beh, hanno più possibilità di stare a contatto con i corridori più grandi, a volte starci vicino e seguire il loro ritmo, hanno soprattutto la possibilità di fare certe corse. L’anno scorso ci fu uno scambio di corridori: Henao e Dlamini da noi, Puppio da loro…

Antonio Puppio quest’anno ha fatto diverse gare con i pro’. Eccolo alla Bernocchi chiusa al sesto posto
Antonio Puppio quest’anno ha fatto diverse gare con i pro’. Eccolo alla Bernocchi chiusa al sesto posto
Se non dovesse esserci la WorldTour, la continental continuerebbe solo con i giovani o prenderebbe qualche esubero del team principale? Pensiamo a un Pozzovivo… per esempio.

No, andiamo avanti con i giovani. Non credo poi che un corridore della caratura di Pozzovivo voglia militare in una continental. Sarebbero scelte sue eventualmente e del manager. Ne dovrebbero parlare loro. WorldTour o no, noi andremo avanti per la nostra strada. L’unica cosa che cambierebbe è che non avremmo in programma gare come la Coppi e Bartali.

E in vista del 2022 la squadra è già formata?

Sì. Il team comunicherà a breve il roster completo. Non posso dire tutti i nomi ancora, ma ci saranno in tutto 10-11 atleti, cinque dei quali italiani. Sono confermati Kevin Bonaldo e Mattia Guasco e in più, per la prima volta, abbiamo preso uno juniores, Raffaele Mosca, uno scalatore umbro.

Quindi siete pronti per iniziare o già avete iniziato?

I ragazzi hanno già ripreso a pedalare nelle loro sedi. I primi di dicembre faremo qualche giorno di ritiro in Toscana almeno con gli italiani e un ragazzo etiope che non è tornato a casa. Se poi si farà la WorldTour a gennaio andremo in Spagna, presumo, con loro, altrimenti ci organizzeremo autonomamente.

Daniele Nieri, 35 anni, è uno dei tecnici più giovani in circolazione ed è già da 4 stagioni in ammiraglia con questo team
Daniele Nieri, 35 anni, è uno dei tecnici più giovani in circolazione ed è già da 4 stagioni in ammiraglia con questo team
Daniele, sei uno dei tecnici più giovani in assoluto, magari parli un linguaggio simile a quello dei ragazzi…

Il fatto di essere un diesse giovane, ho 35 anni, implica il fatto che ho tantissimo da imparare. Per fortuna quando ero il meccanico delle squadre dei pro’ ho avuto la possibilità di stare accanto e in ammiraglia con Pietro Algeri, che per me è uno dei migliori tecnici degli ultimi 40 anni e io cerco di ispirarmi a lui. Cerco di mettere in atto quello che ho visto e che mi ha insegnato.

E cosa?

I suoi modi di fare. La calma nel parlare, la tranquillità, la capacità di ascoltare per davvero i ragazzi. Per me è questo il modello di Algeri da seguire.

C’è qualcosa della scorsa stagione in cui ti “promuovi” e qualcosa in cosa in cui ti “bocci”, con tutte le virgolette del caso?

Promosso, come detto cerco di essere vicino ai ragazzi. Bocciato direi che forse ci sarebbe potuta essere una migliore gestione dei ragazzi in qualche caso. Tipo con Puppio. Con Antonio non si è creato un rapporto di fiducia al 100%… ma da entrambe le parti. Un aspetto da migliorare.

Da Tokyo ai mondiali in Africa, c’è un ciclismo in rampa

29.07.2021
5 min
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Le Olimpiadi sono l’evento sportivo più importante a livello globale e di conseguenza in questa manifestazione emergono numerose storie e racconti su tutti gli angoli del mondo. In questo caso si parla del ciclismo e dell’Africa, un movimento in grande ascesa che nella prova su strada ha mostrato i grandi miglioramenti avvenuti nel corso degli anni.

Nel 2013 la squadra venne coinvolta nella solidarietà di Qhubeka in Africa
Nel 2013 la squadra venne coinvolta nella solidarietà di Qhubeka in Africa

Abbiamo chiesto il parere di qualcuno che in questo campo opera da tempo: Daniele Nieri, diesse del Team Qhubeka Assos che ha sposato il progetto alla base di questo team: aiutare i ragazzi africani e dare voce in capitolo al ciclismo di laggiù.

Partiamo da lontano, come è nato l’interesse verso questo movimento?

Personalmente ho conosciuto la prima realtà ciclistica di questo continente 9-10 anni fa, ad un Giro di Malesia. Mi colpirono per l’organizzazione, erano avanti per essere all’inizio. Si chiamavano MTN, una squadra continental. Il ciclismo africano ha preso sempre più piede con l’impegno dell’associazione benefica Qhubeka che si è unita alla MTN. Nel 2012 la squadra è diventata WorldTour e questo ha dato uno sprint in più, sono arrivati corridori e tecnici da tutto il mondo.

Aiutaci a conoscere meglio la fondazione Qhubeka.

Il progetto è nato nel 2005, il fondatore è Anthony Fitzhenry, Qhubeka significa “andare avanti” in lingua Nguni, idioma parlato da alcune popolazioni del Sud Africa. E’ nato dalla necessità di migliorare gli spostamenti dei ragazzi verso le scuole, quindi scollegato dal mondo professionistico, anzi è legato allo sviluppo dell’ambiente. L’organizzazione regala delle bici ogni 100 alberi piantati o 100 tonnellate di rifiuti raccolti. Tutti i destinatari di una bici devono poi seguire dei corsi su manutenzione e sicurezza del mezzo.

Tu come hai avuto i primi contatti con questo ambiente?

In modo casuale, la squadra cercava un magazzino vicino a Lucca e mi hanno contatto, offrendomi un ruolo di meccanico. Piano piano poi sono diventato direttore sportivo con i giovani, un po’ italiani e un po che arrivano dall’Africa.

Cosa ti entusiasma di più in questo progetto?

La voglia dei ragazzi è incredibile, poi sono proprio delle persone fantastiche, gentili e pronti ad ascoltarti in tutto per tutto. Hanno tanta voglia di imparare perché sono consapevoli che quel che fanno non si riflette solo di loro, ma su tutta la popolazione africana. Sono degli apripista.

Quella degli atleti africani è stata una crescita esponenziale, tu l’hai vissuta in prima persona, raccontacela un po’…

Quando ho iniziato io, l’organizzazione era poca o comunque mal gestita, questi Paesi non avevano una tradizione legata alla bici e quindi è stato complicato entrare nel tessuto sociale.

Teklehaimanot è stato il primo atleta africano a vincere la maglia a pois al Giro del Delfinato
Teklehaimanot è stato il primo atleta africano a vincere la maglia a pois al Giro del Delfinato
Cioè?

In Africa i corridori in generale iniziano a correre tardi, quando sono juniores, quindi per loro diventa più difficile emergere perché molti meccanismi li sviluppano dopo. Per esempio, la loro prima difficoltà è stare in gruppo, perché nelle loro corse il divario è così ampio che dopo 10 chilometri rimangono già in 5 o 6.

Dal punto di vista atletico sono molto validi, li vediamo spesso in fuga o in testa al gruppo a tirare…

Sono più che validi – esclama – gli atleti africani sono atleti di fondo, dotati di grande resistenza come si vede nelle gare podistiche. La differenza rispetto alla corsa a piedi sta nel fatto che per correre in bici serve molta tattica e per loro questo è un punto debole. Se notate, nelle corse sono spesso in coda al gruppo o al vento.

Qual è stato l’evento scatenante per la passione verso il ciclismo?

Il 2015 ha fatto conoscere l’Africa ciclistica, Teklehaimanot è stato il primo atleta africano a vincere la maglia a pois al Giro del Delfinato ed ha indossato la medesima maglia al Tour de France al termine della sesta tappa.

Come si costruisce una tradizione in un continente così vasto e differente in tutte le sue parti?

Non è un lavoro facile, devi pensare a questi atleti come se fossero dei pionieri. Tutti fanno conoscere al loro Paese il ciclismo tramite le proprie gesta. Il materiale, come bici e attrezzatura, viene portato nei Paesi di riferimento dai ragazzi, ma non si è ancora entrati nell’ottica “tecnica”. Per quello Qhubeka si sta impegnando, ma la strada è ancora lunga. Molto dipende dagli investimenti delle federazioni.

Quali sono gli obiettivi presenti e futuri per questo territorio?

Il presente è in continuo crescendo, ora molte squadre hanno in gruppo uno o due corridori africani, l’obiettivo primario è far crescere questo numero (in apertura Amanuel Gebreigzabhier, eritreo della Trek-Segafredo, ndr). Nel futuro, invece, sulla base dei progressi raggiunti fin ora, non nascondo che il sogno sarebbe vedere uno di questi ragazzi che lotta per vincere corse prestigiose, come un Tour. Loro si avvicinano a questo sport grazie a quel poco che riescono a vedere in televisione. La Grande Boucle è la prima corsa che vedono, non conoscono il Giro d’Italia o altre corse, solo il Tour de France.

Un anno da segnare sul calendario è il 2025, quando i mondiali di ciclismo saranno in Africa

Sarà l’anno della svolta, lì ci potrebbe davvero essere la consacrazione definitiva per il ciclismo in questo territorio. Il 24 settembre verrà dato l’annuncio del Paese ospitante (in lista ci sono Rwanda e Marocco ndr). Il Rwanda ospita già una delle poche gare africane di classe 1. Sarebbe davvero speciale se venissero disputati in quest’ultimo paese, si entrerebbe in contatto con il vero spirito africano.