Il Giro di Aleotti, forse la ripartenza che serviva

29.05.2024
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ROMA – Un gran bel Giro e ci voleva. Lunedì mattina Giovanni Aleotti 25 anni compiuti nel giorno del Monte Grappa (in apertura con Martinez e una candelina), ha ripreso la strada di casa portando via con sé un’ottima condizione, che finalmente si è vista anche bene. Certo, ancora una volta gli è servita per tirare, ma intanto ha chiuso la corsa con la forza giusta per provare altre strade. Nel suo caso, a breve, ci sarà il Giro di Slovenia.

La Bora-Hansgrohe ha concluso sul podio l’ultimo grande Giro prima di cambiare nome e convertirsi in Red Bull, anche se non è chiaro a tutti in che modo si andrà avanti: se la struttura rimarrà invariata, quindi nelle mani di Ralf Denk, oppure se subentreranno altre figure. Comunque sarà, affidata a Enrico Gasparotto e Bernhard Eisel e priva di leader come Roglic, Vlasov e Hindley, la squadra tedesca ha dato prova di compattezza attorno a Dani Martinez. Doveva esserci Lennard Kamna, finito in terapia intensiva dopo un incidente ai primi di aprile, e forse qualcosa sarebbe cambiato. E se alla fine hanno fatto meglio della Ineos è stato certamente per la solidità del leader, ma anche per la presenza accanto a lui nei momenti delicati dello stesso Aleotti, tornato su livelli che mancavano da un paio di stagioni.

Monte Pana, Martinez terzo all’arrivo: Aleotti lo ha scortato sino alla salita finale
Monte Pana, Martinez terzo all’arrivo: Aleotti lo ha scortato sino alla salita finale
Soddisfatto?

Sono contento, dai. Sono stato solido per tre settimane: con Martínez, tutta la squadra è stata molto concreta. “Dani” non ha mai mancato un giorno, quindi sono contento. Ovviamente giocandoci il podio, sono dovuto stare sempre con lui, quindi senza una fuga o chance personali. Ma allo stesso modo è stato importante per me vedere fino a quanto potessi tenere duro con i migliori.

Un Giro diverso da quello vinto con Hindley?

Sì, per me molto diverso. Sicuramente sto vivendo un buon cambiamento, perché ho visto che in salita sono migliorato. Sono rimasto quasi ogni giorno con i migliori 15 e penso che ciò sia dovuto all’ottimo lavoro con Paolo Artuso che mi allena da quest’anno. Abbiamo svolto un lavoro molto consistente, senza aver mai saltato un giorno. Sono sempre stato bene e questo ha fatto la differenza rispetto all’anno scorso.

Un anno da dimenticare…

Ho avuto tanti problemi, ma sono riuscito a venirne a capo già nelle ultime settimane del 2023. Ho voltato pagina e messo nel mirino questo Giro, che è andato come speravo e forse anche un po’ meglio. Ho imparato qualcosa di più su me stesso e la mia capacità di fare corsa di testa.

Nel giorno del suo compleanno, ha fatto corsa di testa fino all’attacco di Pogacar sul Grappa
Nel giorno del suo compleanno, ha fatto corsa di testa fino all’attacco di Pogacar sul Grappa
Quale è stato il giorno del Giro in cui ti sei sentito meglio?

Penso a Prati di Tivo, ma stavo bene anche nella prima tappa a Torino e quella dopo il riposo di Napoli. Riuscire a stare ogni giorno vicino a Daniel è stato stimolante e ce l’ho messo a tutta per supportarlo al meglio.

Secondi alle spalle di Pogacar: i primi normali. Si può dire così?

Penso che lui per primo e tutta la UAE Emirates abbiano dimostrato di essere di gran lunga i più forti. Ovviamente noi eravamo sempre pronti a ogni passo falso, però loro sono stati molto bravi ogni giorno. E poi Tadej è stato talmente superiore, che se anche qualche volta si è trovato in una posizione critica, non ha avuto bisogno di difendersi perché andava all’attacco.

Ora vengono un po’ di corse per te?

Sì, penso che già lo Slovenia tra un paio di settimane sia una buona opportunità. Quindi non resta che ragionare bene sul Giro, chiudere la pagine e poi cercare di mantenere la condizione fino allo Slovenia e poi all’italiano. Adesso è arrivato il momento di fare qualcosa per Giovanni…

Ma non dimentichiamo Dani Martinez, il primo degli altri

27.05.2024
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ROMA – Forse la prestazione di Daniel Felipe Martinez è passata sin troppo inosservata. Tadej Pogacar si è preso la scena, è vero, ma il secondo posto dell’atleta della Bora-Hansgrohe ha un grande valore. Ha un grande valore soprattutto per questo ragazzo che a 28 anni si è trovato a fare il leader e ha risposto presente. Ha valore per la squadra che ha enormi ambizioni e si ritrova un atleta di enorme sostanza. E ha valore per i tifosi colombiani, sempre numerosissimi sulle strade del Giro d’Italia.

Quegli stessi tifosi che erano presenti anche a Roma. Il podio all’ombra del Colosseo è un’emozione che Martinez non dimenticherà mai. E lo ha anche ribadito dopo essere sceso da quel palco.

«E’ stato un Giro di sostanza il suo – ha detto Enrico Gasparotto – Dani è stato davvero bravo. E’ andato forte a crono e in salita. E di fatto ha battuto tutti gli altri».

Pogacar che guarda tutti da davanti e Martinez che guida gli altri: è la foto del Giro
Pogacar che guarda tutti da davanti e Martinez che guida gli altri: è la foto del Giro

Il retroscena

Il suo Giro è nato sin da questo inverno, con una programmazione dettagliata. Ma poi ha anche avuto qualche complicazione. Forse perché le cose, per assurdo, stavano andando sin troppo bene.

«Il programma iniziale – racconta Paolo Artuso, il preparatore – era quello di farlo tornare in Colombia subito dopo la Strade Bianche, corsa che avevamo deciso di fargli fare per prendere confidenza con lo sterrato che avrebbe poi trovato qui verso Rapolano. Ma Dani stava così bene che ha insistito per fare anche la Tirreno. Però, proprio alla Strade Bianche è caduto. Ha fatto dei numeri e dei valori pazzeschi per cercare di recuperare, ma il problema è che il giorno dopo aveva un ginocchio gonfio così».

A quel punto è scattato l’allarme. Dani è partito per la Tirreno ma piano. D’accordo col team, Martinez si è fermato dopo quattro frazioni. Prima di ritornare in Colombia per l’altura, Artuso se lo è portato in Veneto. Gli ha fatto fare qualche sopralluogo, degli accertamenti al ginocchio e anche una visita in galleria del vento.

«Poi – continua il coach – abbiamo rivisto qualche dettaglio della sua preparazione e fino all’ultimo ci sono state delle piccole incertezze, degli aggiustamenti. Ha saltato il Romandia che era nel programma iniziale. Una volta tornato in Europa lo abbiamo tenuto in altura ad Andorra fino all’ultimo. Dovete sapere che Martinez è un generoso. Pensate che a dicembre l’ho dovuto richiamare perché andava troppo forte!».

Sul Grappa Martinez ha controllato. Non era a tutta e, sapendo di non poter vincere la tappa, non ha rischiato nulla
Sul Grappa Martinez ha controllato. Non era a tutta e, sapendo di non poter vincere la tappa, non ha rischiato nulla

Parola a Dani

A Roma Martinez è stato raggiunto dalla sua famiglia. Mentre ci parliamo i suoi bimbi girano tra le nostre gambe. Lui è disponibilissimo e contento di raccontare. Di raccontare un secondo posto che magari, chissà, potrebbe anche incidere sul resto della sua carriera.

Dani, primo podio della tua carriera…

Sono veramente contento. Contento del podio, ma anche del lavoro realizzato sin qui. E’ un risultato che mi soddisfa appieno.

Hai trovato un Pogacar gigantesco. Ma hai battuto tutti gli altri.

Eh già! Quando abbiamo cominciato il Giro d’Italia tutti noi all’inizio credevamo che Pogacar si potesse battere. Abbiamo anche provato ad attaccarlo tutte le volte che è stato possibile, ma lui aveva una gamba molto buona. E’ un fenomeno. Alla fine Tadej ha fatto il suo Giro e noi abbiamo fatto l’altro. E in quest’altro Giro eravamo tutti vicini: Thomas, Tiberi, O’Connor… di più non si poteva fare.

Cosa ti ha soddisfatto del tuo Giro? C’è stata una prestazione in particolare?

La mia regolarità. Sono sempre andato forte, tutti i giorni, mentre di solito c’era un giorno in cui pagavo (cosa che ci ha confermato anche Artuso, ndr). Se facciamo i conti c’erano oltre 70 chilometri a crono e questo avvantaggiava appunto Thomas, Tiberi, O’Connor, ma le mie gambe erano buone anche contro il tempo.

Complice qualche sfortuna, la Bora-Hansgrohe non è stata super. Aleotti il vero supporto grande per Martinez
Complice qualche sfortuna, la Bora-Hansgrohe non è stata super. Aleotti il vero supporto grande per Martinez
Quindi nessun giorno difficile?

ne ho avuti tanti, come quello alla seconda tappa, quando verso Oropa ho avuto un problema meccanico. E poi anche nella quarta tappa sono stato coinvolto in una caduta e ho battuto una spalla. Ma ho saputo recuperare bene da questi giorni.

Dani, hai detto che almeno all’inizio e nelle prime tappe, pensavate che si potesse fare di più contro Pogacar, ebbene dopo Prati di Tivo, quando Pogacar ha fatto “solo” la volata, questa convinzione si è rafforzata? In quei giorni in gruppo si diceva non fosse più al top…

A Prati di Tivo abbiamo pensato di fare qualcosa. Era il giorno dopo la crono e magari qualcosa poteva cambiare per gli avversari. Ci abbiamo provato, ma è anche vero che la squadra era quella che era. Per infortunio abbiamo perso presto Lipowitz e non si poteva fare molto. La corsa era tutta nelle mani di UAE Emirates o Ineos Grenadiers. Poi da quel giorno è stata dura attaccarlo.

Di più non si poteva fare insomma. Qui c’è aria di festa. Ti piace Roma?

Sì, sì… è la terza volta che sono qui. Ma devo dire che mi piace tutta l’Italia. Sono cresciuto qui, le mie prime squadre da professionista sono state qui da voi e ci sono molto legato.

La Bora ne piazza due. Gasparotto si gode Martinez e Lipowitz

05.05.2024
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OROPA – Mentre tutti scappano verso il basso, Enrico Gasparotto cammina verso l’alto. Il tecnico della Bora-Hansgrohe risale il traffico di ammiraglie e ciclisti. Non appena il suo Florian Lipowitz lo ferma, gli mette le mani attorno le guance quasi come un papà. Qualche pacca sulla spalla e inizia a parlarci.

Inizia a parlarci ma qualche secondo dopo si ferma. Quasi di corsa, si volta e va in ammiraglia. Il corridore trema. Forse gli dice che ha ancora freddo. Lo fa spogliare, gli passa una maglia asciutta ancora più pesante di quella che in precedenza gli aveva dato il massaggiatore. I due riprendono a confabulare. Poi Lipowitz, sorridente, parte in bici per scendere a Biella.

Gasparotto ascolta e consiglia Lipowitz che col 5° posto di oggi riscatta la non bella prestazione di ieri
Gasparotto ascolta e consiglia Lipowitz che col 5° posto di oggi riscatta la non bella prestazione di ieri

Sorriso ritrovato

«Ho provato a seguirlo – replica il tedesco a chi gli aveva chiesto della sua scalata – ma Pogacar era nettamente più veloce. Da parte mia sono felice, mi sono sentito bene lungo la scalata. Avanti così».

«Sono venuto incontro a Florian – spiega Gasparotto – perché ieri ha avuto una giornata no, ma noi sappiamo che sta bene visto quello che ha fatto al Romandia. E anche oggi ha fatto un gran lavoro. E’ un ragazzo giovane, alla prima esperienza al Giro d’Italia e ci è rimasto male per ieri. Lui sperava di rimanere davanti con i migliori. Pertanto era un po’ giù, non dico demoralizzato, però iniziava ad avere dubbi sulla condizione, che magari era già sparita rispetto al Romandia. Vediamo come va giorno per giorno. Sia lui che noi dobbiamo scoprire il suo potenziale».

Gaspa ha consolato il suo atleta insomma. Un direttore sportivo è, e deve essere, anche psicologo.

In questo primo arrivo in salita del Giro d’Italia ha dominato, come ci si attendeva, Tadej Pogacar, ma ad oggi è chiaro che la seconda forza della corsa rosa è la Bora-Hansgrohe. Gaspa ne ha due lì davanti. Lipowitz, appunto, e Daniel Martinez.

Lipowitz (a sinistra) e Martinez (al centro) allo sprint al Santuario di Oropa

Martinez c’è

Gasparotto va di nuovo controcorrente. Stavolta la sua meta è Daniel Martinez. Lo trova mentre fa i rulli per il defaticamento. E’ nell’area dell’antidoping. Il colombiano è stato chiamato per il controllo. Stavolta lo sguardo è meno “da padre”, anche Martinez è più maturo e sa il fatto suo. Ma Gaspa ascolta e parla con la stessa attenzione.

«Con Daniel – riprende Gasparotto – ad un tratto c’è stato del nervosismo, perché proprio nel punto più duro della salita, tra i meno 5 e i meno 4, ha avuto un problema con la bici. Voleva sostituirla, ma noi eravamo dietro con l’ammiraglia e la giuria non ci ha fatto passare. Non abbiamo potuto fare niente, se non lasciargli vicino Lipowitz».

«Io credo che riuscire a stare là davanti e a sprintare per il secondo posto vuol dire che le gambe ci sono. Con Dani poi dovevamo essere un po’ conservativi perché è tanto tempo che non correva, dalla Tirreno. Pertanto in queste situazioni si cerca sempre di non esagerare all’inizio. E se in una giornata nella quale dovevamo essere conservativi Dani fa secondo penso che vada bene».

Dopo il 2° posto di Oropa Martinez è secondo nella generale (con Thomas) a 45″ da Pogacar
Dopo il 2° posto di Oropa Martinez è secondo nella generale (con Thomas) a 45″ da Pogacar

Sorprese possibili

Il diesse svizzero-friulano recrimina un po’ sul fatto che il suo atleta non si sia potuto esprimere al massimo, ma sottolinea anche come sprintare per un secondo posto vuol dire molto. Martinez, e lo scrivemmo in tempi non sospetti, punta forte sul Giro. E’ l’obiettivo della stagione.

Così obiettivo che lui e Gaspa avevano visionato diverse tappe di questa corsa rosa. Il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe non è nuovo a colpi di teatro e averne due davanti è stuzzicante. Qualcosa ci si può inventare?

«Eh domani è una tappa per velocisti – glissa e sorride Gasparotto – e ci punteremo con Van Poppel. Perché no: si può provare a fare qualcosa. La strada è ancora lunga, lunghissima. Ci sono tappe critiche e anche tappe interessanti, movimentate. L’importante però è che i ragazzi stiano bene… come hanno dimostrato oggi».

L’altro Martinez, un falco sul Giro d’Italia

29.02.2024
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In questo 2024 è stato l’unico ad essere riuscito a battere Remco Evenepoel. Parliamo di Daniel “Dani” Martinez, fresco acquisto della Bora-Hansgrohe. Per ben due volte le ha date sui denti al fuoriclasse belga. Due legnate in altrettanti finali in salita, dandogli anche qualche piccolo secondo di distacco, non solo quindi con uno sprint più rapido. Ma quel che più conta è che in precedenza Martinez non si era fatto staccare da Evenepoel.

Il colombiano sarà una delle punte del team tedesco al Giro d’Italia e dopo queste prestazioni i riflettori saranno accesi anche su di lui in altro modo. Magari dopo averle date a Remco, potrebbe riservare qualche sorpresina anche a Pogacar.

L’immagine simbolo di Martinez sin qui, era quella al fianco di Bernal nel giorno di Sega di Ala al Giro 2021, quando incitava il suo capitano oltre a scandirgli il passo sulla terribile salita veronese.

Enrico Gasparotto si è ritrovato così un altro campione in squadra. Non solo Primoz Roglic. Con il diesse friulano/svizzero della Bora-Hansgrohe abbiamo fatto un punto della situazione relativo proprio a Martinez.

Daniel Martinez (classe 1996) è alto 172 cm per 62 chili. Ottimo scalatore, è anche un discreto cronoman: ha vinto il titolo nazionale
Martinez (classe 1996) è alto 172 cm per 62 chili. Ottimo scalatore, è anche un discreto cronoman: ha vinto il titolo nazionale
Enrico, insomma un bel colpo in Algarve…

Direi che Martinez va veramente forte e lo ha dimostrato sul campo. Queste in Europa erano le prime gare che faceva con noi. Aveva preso parte ai campionati colombiani doveva aveva aiutato Sergio (Higuita, ndr) a vincere.

Sembrava più avanti di condizione.

Ha ripreso ad ottobre, in quanto in precedenza stava recuperando dall’infortunio. Si era rotto la mano. Poi è rimasto sempre a casa. Anche per questo si era ben riposato e così ha iniziato prima, era in condizione per i campionati nazionali e per questa prima parte di stagione. Ha passato un buon inverno.

Tra l’altro stando a casa, faceva anche altura… Tu, Enrico, quando lo hai visto la prima volta?

L’ho visto solo nel camp di dicembre. A gennaio i colombiani sono rimasti a casa, appunto in altura. Credo poi sia bello anche per lui passare dei momenti nelle sue terre. Tra la sua gente. Ho trovato un ragazzo solido, con tanta grinta, bravo e che sa leggere la corsa. Dani si sa muovere bene nel finale.

Martinez è approdato quest’anno alla Bora-Hansgrohe. Subito ottimo il feeling coi compagni
Martinez è approdato quest’anno alla Bora-Hansgrohe. Subito ottimo il feeling coi compagni
Cosa ti ha colpito di questo ragazzo?

Una cosa che mi ha sempre colpito di Dani è che nonostante le sue qualità da vincente, sa lavorare bene per i compagni. Non tutti hanno questa dote. O quantomeno non è così scontata. E’ stato fantastico vederlo coi compagni a Murcia, Almeria… le primissime corse in Bora-Hansgrohe. In questi anni che l’ho seguito, mi è sembrato che sapesse toccare bene il limite e andare oltre. E poi è veloce nei finali.

Ora quale sarà il suo calendario?

Farà la Strade Bianche e valutiamo la Tirreno (che ormai sembra cosa certa: è nelle liste, ndr). Poi vediamo, ma credo tornerà a casa in Colombia a prepararsi.

Abbiamo visto che è selezionato per il Giro d’Italia?

Quello è l’obiettivo dal primo giorno in cui è arrivato da noi. Non abbiamo mai avuto l’intenzione di portarlo al Tour con Vlasov, Hindley e Roglic perché Martinez può fare bene al Giro. Per Dani appunto e per Kamna è una grande opportunità.

Però, decisi! E come state pianificando la missione rosa?

Abbiamo già fissato delle ricognizioni in occasione della Strade Bianche per visionare la tappa degli sterrati e nel periodo intorno alla Tirreno andremo a vedere altre tappe. Ottimizziamo la sua permanenza in Europa. E anche io non sono certo stato fermo in questi mesi. 

Qui, il primo dei due trionfi in Algarve davanti a Remco
Qui, il primo dei due trionfi in Algarve davanti a Remco
Come lo hai visto nei panni del leader? In fin dei conti lui è sempre stato più gregario che capitano…

Alla Ineos Grenadiers erano tanti galletti e nonostante ciò in qualche occasione ha avuto il suo spazio. Lavorando per loro ha certamente imparato molto e a sua volta può insegnare agli altri che dovranno aiutarlo. Poi le qualità del leader alla fine te le danno i risultati che ottieni su strada, quando riesci a concludere il lavoro del team. Come è successo in Algarve.

I fatti contano più di tutto…

Tornavo giusto da questa corsa, l’Algarve, con Pippo (Ganna, ndr) e in aereo lui mi diceva che le tappe dure in particolare (quelle che ha vinto Martinez, ndr) sono state affrontare con intensità, ritmi e tattiche da Tour. E noi della Bora-Hansgrohe le abbiamo prese di petto. Dani era la punta, non è stato semplice, ma ci siamo riusciti. Per me dunque quello del capitano non era un ruolo del tutto nuovo per lui.

Enrico, abbiamo visto che Martinez è già in forma, ma per arrivare al Giro è ancora lunga. Avete previsto due picchi di condizione? O sarà un crescendo costante?

Fra un po’ tornerà in Colombia e lì si preparerà bene. Dani è molto bravo ad allenarsi a casa. Ha dimostrato di saper entrare facilmente in condizione. Meglio essere freschi e non correre troppo. E lo testimonia il fatto che abbia battuto proprio Remco senza troppe gare.

Nuova Bolide, ultimo test al Giro di Svizzera

21.06.2022
6 min
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Fu Fausto Pinarello per primo, commentando la Dogma F con cui Richard Carapaz aveva appena vinto il titolo olimpico su strada a Tokyo, ad anticipare che fosse allo studio anche una nuova bici da crono che avrebbe preso il posto della plurititolata Bolide, lanciata nel 2013 e affidata a Bradley Wiggins, che ne fece bella mostra al Giro d’Italia. Sulla nuova struttura sarebbe nata e nascerà verosimilmente anche la bici da inseguimento per la nazionale, che sulla Bolide ha conquistato titoli iridati e olimpici nelle prove individuali e a squadre. Sarà anche base per la bici del record dell’Ora di Filippo Ganna?

Nella crono di Villars al Romandia, Thomas aveva ancora la vecchia Bolide
Nella crono di Villars al Romandia, Thomas aveva ancora la vecchia Bolide

Per Thomas e Martinez

Come succede sempre in questa fase della stagione che porta al Tour, alle corse bisogna tenere l’occhio… acceso ed è stato così che al Giro di Svizzera la nuova bici da crono è uscita dal garage del Team Ineos Grenadiers per Geraint Thomas e Dani Martinez. Neppure Ganna al Delfinato l’aveva ricevuta, pur vincendo la crono, probabilmente perché la novità è arrivata proprio nelle ultime ore. E mentre in altri casi il prototipo viene mascherato con una colorazione neutra, in questo Pinarello non ha fatto nulla perché la bici passasse inosservata. Perché è vero che la colorazione camouflage scelta potrebbe mascherare alcune soluzioni geometriche, ma d’altra parte era impossibile non accorgersi della differenza: di fatto l’unico tratto in comune con la nuova bici parrebbe essere il manubrio personalizzato stampato di 3D che è sempre stato il punto di forza degli atleti Pinarello. 

Ganna ha vinto la crono del Delfinato, 11 giorni prima del debutto della nuova bici, con la solita Bolide
Ganna ha vinto la crono del Delfinato, 11 giorni prima del debutto della nuova bici, con la solita Bolide

Arrivano i dischi

Quelle che seguono sono osservazioni derivate per lo più dall’osservazione delle foto, in attesa di poter avere la bici tra le mani, verosimilmente nella prima tappa del Tour a Copenhagen. Pertanto la prima differenza che salta agli occhi è l’adozione dei freni a disco, eliminando il gap già colmato su strada con la Dogma F. Che poi i dischi abbiano anche una convenienza aerodinamica è da dimostrare. Secondo esperti più qualificati di noi, non costituiscono causa di aumento delle resistenze.

Fra le conseguenze più immediate del passaggio ai freni a disco, c’è l’eliminazione delle sagome con cui il freno anteriore e posteriore venivano integrato al tubo di sterzo e al carro posteriore. Il tubo sterzo sembra ora più stretto, mentre il nuovo disegno del carro non propone alcun tipo di accorgimento nella parte superiore, giacché il freno si trova in prossimità del mozzo.

Il tubo di sterzo, che ormai tubo non è nel senso stretto, ha uno schiacciamento aerodinamico e una profondità superiore che conferisce rigidità e probabilmente migliora la penetrazione.

Nuova forcella

Cambia la forcella, i cui foderi sono schiacciati e di conseguenza più larghi, mentre la ruota si avvicina la tubo obliquo, la cui sagomatura risulta essere più accentuata rispetto a quanto fosse già sulla Bolide. In prossimità delle punte della forcella permangono le linguette aerodinamiche rivolte verso la parte posteriore, la cui dimensione sembra in linea rispetto al modello precedente e forse superiore rispetto alla Dogma F da strada. Ma in questo caso il dettaglio andrebbe misurato: la valutazione visiva non può bastare.

Allo stesso modo, cambia il tubo orizzontale. Se nella Bolide era tendenzialmente… orizzontale, con un minimo valore di sloping, in questo caso esso risulta ben più inclinato. Il tubo stesso appare più schiacciato e piatto.

Nuova Bolide anche per Dani Martinez, che farà classifica al Tour
Nuova Bolide anche per Dani Martinez, che farà classifica al Tour

A misura di ruota

Come già accennato e valutato visivamente, in attesa del riscontro del calibro, anche il tubo obliquo è stato ridisegnato: la sagomatura è più accentuata e le sue dimensioni sono più simili al tubo corrispondente sulla Dogma F, di cui la nuova Bolide sembra essere la diretta emanazione. La conseguenza più immediata di ciò, unitamente al fatto che lo stesso tubo sembri avere una sezione inferiore, è che nella parte bassa il telaio sia totalmente nella sagoma della ruota anteriore, che fende l’aria a tutto vantaggio dell’aerodinamica.

A questo dato si aggiunge la sensazione, condivisa anche da altri osservatori, che la scatola del movimento centrale sia stata ridisegnata e collocata più in alto rispetto alla vecchia Bolide, ma quanto a questo potrebbe trarre in errore il nuovo disegno del carro.

Piantone slim

Evidentemente nuovo anche il piantone, che in apparenza ha la coda tronca come pure sulla Dogma F, il cui andamento è molto più semplice e meno… gotico, stante la scomparsa come si diceva del piccolo spoiler che copriva il freno posteriore. E’ ugualmente accentuata la sua svasatura, atta ad avvicinare il centro della ruota posteriore al movimento centrale.

Cambiati di conseguenza anche i foderi posteriori. Il disegno del carro è di evidente derivazione dalla Dogma F. Anche se osservando la vecchia Bolide e rimuovendo la sagoma dello spoiler del freno, si nota come anche la Bolide avesse già lo stesso disegno, con i foderi ora più sottili che si congiungono al piantone ben sotto rispetto al nodo della sella.

Due reggisella diversi

Osservando le bici di Thomas e Martinez, saltano all’occhio anche due diversi tubi reggisella, che permettono diverse inclinazioni. Non potendo personalizzare al 100% gli stampi monoscocca del telaio, si interviene sui componenti per ottenere il miglior fitting dell’atleta sulla bici.

Figlia della Dogma F

Insomma, allo stesso modo in cui la vecchia Bolide aveva parecchi tratti in comune con la F12, ecco che la nuova bici da crono (scopriremo presto se avrà un nome diverso) sembra essere derivata direttamente dalla Dogma F. Abbiamo approfondito in altra sede il discorso sugli investimenti necessari per ottenere bici da crono aerodinamiche. Il progetto in questione appare totalmente nuovo, i concetti che lo hanno ispirato sono in linea con la più recente ispirazione di casa Pinarello.

Corti

Parlando con Corti di campioni e promesse mancate

16.05.2022
6 min
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A 67 anni, Claudio Corti si gode il meritato riposo e la bici la usa solo per tenersi in forma («Ho ripreso a pedalare dopo trent’anni, per tenermi un po’ in esercizio…»). Una storia la sua durata qualcosa come 45 anni, prima da corridore e poi da diesse, girando il mondo e scoprendo campioni. Ne avevamo parlato poco tempo fa a proposito di Daniel Martinez, ultimo prodotto di una lunga esperienza vissuta in Colombia, in quella che è stata l’ultima tappa del suo girovagare: «Quando nel 2016 il ministro dello sport è cambiato mi hanno rimosso dall’incarico, anche perché il budget che avevamo a disposizione era molto esiguo e non ci si stava più con le spese per girare il mondo per le gare».

A quel punto, Corti ha provato a sondare il terreno in giro, fatto progetti, sentito sponsor, ma senza una squadra rientrare in carovana si è rivelato impossibile.

«Provate a guardare quanti sono rimasti fuori come me: Ferretti, Stanga, lo stesso Amadio prima della chiamata della Federazione… Un patrimonio di esperienze gettato via, se sei senza team non hai possibilità di trovare spazi. A quel punto mi sono deciso a mettermi tutto alle spalle e godermi la pensione. D’altronde con quello che ho fatto, non me la sentivo di rimettermi in gioco per qualcosa di piccolo».

Corti Moser 1977
Corti con Moser, entrambi iridati nel 1977. In carriera ha vinto 10 gare, con 2 titoli italiani e un argento iridato da pro’ nell’84
Corti Moser 1977
Corti con Moser, entrambi iridati nel 1977. In carriera ha vinto 10 gare, con 2 titoli italiani e un argento iridato da pro’ nell’84

L’importanza di lasciare casa

Non che Claudio si sia allontanato da quel mondo che è stato la sua vita. Intanto è presidente onorario della società ciclistica giovanile nel suo paese, Capriolo e un occhio ai più giovani lo getta sempre volentieri. Poi guarda alle gare ciclistiche vedendo in gara tanti che hanno iniziato con lui.

«Ad esempio Esteban Chaves . dice – viveva vicino casa mia a Bergamo, lo portai in Italia che non lo conosceva nessuno e finì per sfiorare un Giro d’Italia. Lo perse solo perché Nibali s’inventò un’azione delle sue quando ormai sembrava spacciato. Ma Esteban ha avuto un ruolo importante, ha fatto da traino ai suoi connazionali».

Questo è un concetto importante che Corti vuole sviluppare: «Il problema per molti colombiani era che rimanevano confinati nel loro mondo, soffrivano di nostalgia nel lasciare casa ed evitavano di farlo. Ma solo così puoi emergere. Chaves ha aperto la strada, i giovani hanno capito che se volevano vivere di ciclismo dovevano trasferirsi e guadagnando bene potevano portare con sé la famiglia».

Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali
Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali
Chaves Lombardia 2016
Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali

Martinez, cresciuto nei sacrifici

Di Corti avevamo parlato a proposito di Martinez: «Rispecchia quanto ho detto. Agli inizi non era un fuoriclasse, ma rispetto agli altri aveva una determinazione inconsueta. Voleva essere pro’ a tutti i costi e si è sacrificato per questo, è cresciuto e ora è uno dei candidati alla vittoria del prossimo Tour. Ma a fronte di corridori che hanno investito e ottenuto, ce ne sono altri che avevano grandi mezzi e sono rimasti lì, come ad esempio Fabio Duarte che secondo me poteva essere un campione, quando vinse il titolo mondiale U23 nel 2008 sembrava destinato a grandi cose, ma era debole di carattere».

La scoperta di Froome

La storia di Corti non è legata solo ai colombiani. A lui ad esempio si deve la scoperta di un talento come Chris Froome.

«Eravamo andati a fare una gara in Sud Africa, nel 2007 – racconta – il Giro del Capo, avevamo la squadra Barloworld incentrata su Felix Cardenas (che finì 2° dietro il compagno di team russo Efimkin, ndr) e noto questo spilungone che in salita teneva botta con agilità. Al tempo aveva ancora il passaporto kenyano, la cosa mi colpì e decisi di portarlo nel team. L’anno dopo decisi di provarlo al Tour de France: il penultimo giorno, nella cronometro vinta da Cancellara, finì 14°. Era la prima volta che affrontava una corsa di 3 settimane, aveva lavorato tanto per i compagni eppure aveva ancora forza e voglia di lottare, capii che c’era davvero del buono in quel ragazzo e lo presi sotto la mia custodia».

Duarte
Fabio Duarte, un colombiano molto promettente ma che non ha mantenuto le attese
Duarte
Fabio Duarte, un colombiano molto promettente ma che non ha mantenuto le attese

Froome e l’auto in prestito…

Il loro rapporto andava anche oltre quello legato al ciclismo: «Viveva vicino casa, spesso mi chiedeva la macchina in prestito e gli davo quella di mia moglie per uscire la sera. Aveva grandi mezzi, ma doveva trovare la sua dimensione. In una tappa del Giro, con la scalata del San Luca era andato in fuga con 15 corridori e quel giorno aveva la gamba per vincere, ma finì 4°. Aveva bisogno di maturare anche mentalmente, non solo nel fisico.

«Si vedeva che poteva fare tanto, certo non avrei mai pensato allora che avrebbe vinto così tanto nei grandi Giri. A ben guardare il meglio della Ineos è passato per le mie mani, come Thomas. Nessuno pensava che un pistard come lui potesse avere una grande carriera da stradista, ma Geraint è sempre stato uno che ha avuto piacere di andare in bici e questo lo si vede anche adesso, nella fase discendente della carriera».

Torniamo a Froome, potrà tornare a emergere? «Dubito, ha preso troppe legnate in questi ultimi anni. La ripresa da un infortunio come il suo è già difficile, ma sopra ci si sono aggiunte tante delusioni che hanno fiaccato la sua autostima. Sono stati anni troppo difficili, ha perso l’abitudine a lottare con i migliori. Un corridore per emergere deve crederci al 100 per cento, lui prima che i compagni di squadra o i dirigenti o chiunque gli sia intorno. I risultati nascono dal di dentro».

Froome Corti 2009
Froome alla Roubaix, con Corti a rimettere a posto la ruota. Il loro legame è stato molto stretto
Froome Corti 2009
Froome alla Roubaix, con Corti a rimettere a posto la ruota. Il loro legame è stato molto stretto

La mancanza degli italiani

Guardando questo ciclismo da fuori, Corti non può che considerarlo lontano dai suoi schemi.

«Sono sempre stupito e meravigliato – dice – da quel che fanno i giovani attuali, ma io credo che sia generato anche dal fatto che prima dei giovani alla Evenepoel e Pogacar di oggi c’è stato un vuoto generazionale. Campioni c’erano, ma si sono consumati presto: uno come Quintana nei suoi primi tre anni, nelle corse a tappe non finiva mai fuori dal podio, ma poi non ha retto. Io vedo in questi ragazzi una forza e un entusiasmo che quelli di prima non avevano, forse neanche la mia generazione. Io i primi anni da pro’ facevo fatica, ci ho messo anni per trovare la mia dimensione. Mi dispiace solo che fra questi giovani campioni che stanno segnando un’epoca non ci sia un italiano…».

Quei due anni di Martinez a San Baronto. Scinto racconta

30.04.2022
6 min
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Quel pugno stretto alla volta di Bernal sulla salita verso Sega di Ala. La vittoria al Delfinato 2020 e poi la tappa a Pas de Peyrol nel Tour dello stesso anno. I Paesi Baschi poche settimane fa. Quando pensiamo a Dani Martinez, che dallo scorso anno è passato dalla EF Pro Cycling alla Ineos Grenadiers, abbiamo davanti agli occhi l’armatura inscalfibile che solitamente si associa ai corridori del team britannico. Eppure c’è stato un periodo in cui il colombiano è stato un ragazzino da scoprire, arrivato in Italia senza sapere che cosa sarebbe diventato da grande.

Base a San Baronto

Il suo procuratore Acquadro infatti lo consegnò fra le mani di Luca Scinto, in quella fucina di ottimi corridori che è stato a lungo San Baronto. Arrivò in un giorno di gennaio del 2015, con la valigia e un mondo tutto nuovo da scoprire.

«Ci proposero lui e altri ragazzini – ricorda il tecnico toscano – Amezqueta, Rodriguez e l’anno dopo anche Florez. Di Martinez parlavano già tutti un gran bene. Aveva il contratto con il Team Colombia di Claudio Corti, che però chiuse. Quando andai a prenderlo all’aeroporto, mi trovai davanti un bambino di 19 anni, con l’apparecchio ai denti. Lo sistemammo nell’hotel di San Baronto, con cui avevamo fatto una convenzione, e lo affidammo per la preparazione a Michele Bartoli. Fu lui dopo i primi test a confermare che fosse fortissimo. Che aveva da crescere, ma non aveva numeri tanto comuni…».

E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
Vi fu dato perché lo faceste maturare?

Si fece un programma di crescita graduale. Però lo portai in entrambi gli anni al Giro d’Italia. Era giovane, ma qualche sprazzo lo fece vedere nelle crono. Tirò quasi tutto lui nella cronosquadre della Coppi e Bartali che chiudemmo al quarto posto. Stessa cosa al Giro del Trentino, ottavi. In salita invece stava nei gruppetti, ma ci stava perché era tanto giovane. Nel 2016 arrivò fino a Milano, il secondo anno lo fermammo dopo la tappa di Bormio vinta da Nibali, quella di Dumoulin con il mal di pancia, in cui lui arrivò a 23 minuti. Il dottore voleva farlo fermare sullo Stelvio. Era andato in crisi, ebbe un calo di zuccheri. Però fu cocciuto e arrivò al traguardo. A fine stagione avemmo la conferma che avesse davvero qualcosa di più…

Vale a dire?

Arrivò nei primi dieci alla Tre Valli Varesine e alla Milano-Torino. Quarto nella generale, con un terzo di tappa al Giro di Turchia. Con noi c’era il contratto in scadenza, arrivò la EF e se lo portò via. Non potevamo trattenerlo. Se fossimo stati cinici, lo avremmo fatto firmare al Giro, ma sarebbe stato ingiusto trattenerlo contro voglia e davanti a una WorldTour.

Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Pensi che quei due anni gli siano serviti?

Fu tutelato, come è giusto che sia per un ragazzino di 19 anni. Dopo il Giro lo scorso anno venne a San Baronto (foto di apertura, con Scinto e il diesse Tomas Gil, ndr) e mi disse che un po’ di scuola di Scinto servirebbe a tanti giovani. Lui si è costruito da solo, gli dicevo di essere partecipe della propria crescita e lo è sempre stato. Gli stranieri non sono mammoni come gli italiani, noi abbiamo proprio un’altra struttura mentale. Questo partì a 19 anni dalla Colombia per venire in Italia, si capisce che la voglia di sfondare fosse tanta.

Dicevi che con lui arrivarono Amezqueta e Rodriguez…

Gli altri non erano al suo livello, ma anche con loro avemmo pazienza e alla fine sono venuti fuori dei corridori dignitosi (Amezqueta corre dal 2018 alla Caja Rural, Cristian Rodriguez è al secondo anno con la TotalEnergies, mentre Florez è al secondo anno con la Arkea-Samsic, ndr). Buoni corridori, non fenomeni, che sono cosa rara ma ci sono sempre stati. Come Saronni che vinse il Giro a 21 anni. Tutti vogliono diventare corridori subito e l’ambiente li spinge ad aver fretta.

Perché dici questo?

Perché un giovane non capisce ed è normale che voglia bruciare le tappe. E se alle corse di allievi e juniores, vedi quasi più procuratori che genitori, il ragazzino magari potrebbe pensare di essere un fenomeno.

Il primo Martinez non era tirato come adesso, la crescita ha fatto la sua parte…

Non era grosso, ma ha avuto seri problemi di allergia. Tanto che, prima con il dottor Gianmattei e poi tramite Bartoli, andammo per risolverla e per fortuna se ne venne a capo. Sapevamo che fosse un corridore vero e per quello facemmo il possibile per aiutarlo. I test continuavano a dire questo e a crono ha sempre avuto dei numeri incredibili. Se quest’anno avessero deciso di portarlo al Giro, parlo da tecnico e da tifoso, al 90 per cento sarebbe salito sul podio. Al Tour sarà diverso, troverà avversari di un livello superiore.

Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Cosa si prova a vederlo così forte?

Ho sempre detto che fosse un talento e sarebbe diventato un corridore. Qualcuno rideva. Ricordo di aver fatto questo discorso con Pancani. Quando fai una squadra con dei corridori giovani, devi avere pazienza. Poi arriva la WorldTour e te li porta via: è la legge del gruppo. Potresti farli firmare per cinque anni, ma non sarebbe giusto. Sarebbe da prevedere un riconoscimento, questo sì. L’ho tenuto qua, ho pagato vitto e alloggio, aveva lo stipendio un po’ sopra al minimo, gli ho insegnato un mestiere. L’UCI potrebbe prevedere qualcosa…

Con questo Scinto è sempre un piacere ragionare, ritrovando in lui il lampo dei primi tempi. Il professionismo lo ha messo da parte e lui ha scelto di ripartire dagli juniores. Eppure nel vivaio di una squadra importante, la sua passione e la capacità di coinvolgere i ragazzi sarebbero ancora un prezioso valore aggiunto. Quegli anni magici di San Baronto – tra Visconti, Gatto e Giordani – non si dimenticano. Su tutto il resto, probabilmente s’è avuta troppa fretta di appendere responsabilità.

Martinez 2022

Da spalla di Bernal a leader per il Tour. E’ il “nuovo” Martinez

15.04.2022
5 min
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Mentre Daniel Felipe Martinez indossava il simbolo del primato, nella premiazione conclusiva del Giro dei Paesi Baschi, gli occhi dei dirigenti della Ineos Grenadiers brillavano di una luce particolare, che non si vedeva da tempo. Quella luce che si era spenta all’improvviso un giorno di gennaio, quando dalla Colombia arrivavano notizie e soprattutto foto spaventose, legate all’incidente di Egan Bernal. Sembrava, allora, che tutti i piani della squadra fossero finiti nella spazzatura, oggi lo spirito è ben diverso, non solo per le incoraggianti notizie che arrivano dal vincitore del Giro 2021 (per il quale però serve ancora tanta pazienza), ma anche per la voglia di rivalsa che tutta la squadra ci sta mettendo, Martinez in primis.

La vittoria in terra basca, la decima nella carriera del 25enne colombiano, potrebbe aprirgli nuove prospettive. Sin da subito si è cominciato a pensare a lui come punta della squadra britannica per il Tour e l’investitura ufficiale è arrivata da chi il Tour l’ha vinto, Geraint Thomas: «In Francia saranno lui e Yates i leader della squadra, quelli deputati alla caccia alla maglia gialla». Fino a poche settimane fa nessuno si sarebbe aspettato simili parole, ma il Martinez di oggi è ben diverso da quello di allora.

Martinez Zamudio 2022
La volata vincente di Martinez a Zamudio, ma la conquista dei Paesi Baschi verrà in seguito
Martinez Zamudio 2022
La volata vincente di Martinez a Zamudio, ma la conquista dei Paesi Baschi verrà in seguito

Corti il primo a credere in lui

Professionista dal 2015, Martinez inizialmente ha gravitato in ambienti nostrani (anche se non in quanto a licenza delle sue squadre), prima con la Colombia di Claudio Corti, poi con il Wilier Triestina-Southeast con cui ha corso il suo primo Giro d’Italia nel 2017. L’anno dopo, passato all’EF Education First, ha chiuso terzo il Giro di California e concluso il suo primo Tour de France, nel 2019 sono iniziate ad arrivare le prime vittorie e pian piano esse sono diventate di peso sempre maggiore: il Delfinato 2020 (anche grazie al ritiro all’ultima tappa di Roglic), la tappa di Puy Mary al Tour dello stesso anno e appunto il Giro dei Paesi Baschi 2022, con una vittoria di tappa battendo in uno sprint accesissimo un certo Julian Alaphilippe.

Questi i numeri, ma c’è altro. Martinez è sempre stato un corridore da prove a tappe, si è visto sin dai suoi inizi sull’onda della tradizione colombiana: non dimentichiamo che viene da Bogotà, ha sempre vissuto in altura e questo gli ha dato un passaporto fisiologico di prim’ordine. Pian piano però ha acuito le sue doti di resistenza, fino al bellissimo Giro d’Italia dello scorso anno, chiuso al 5° posto dopo aver corso come scudiero della maglia rosa Bernal: «Ho lavorato tanto per questo e mi accorgo che nell’ultima settimana non perdo più brillantezza come avveniva prima, anzi». Al di là dei compiti di squadra, Martinez infatti ha guadagnato posizioni nelle frazioni finali e la cosa non è passata inosservata.

Martinez Bernal 2021
Una foto già storica: Martinez incita e scuote Bernal in crisi. Grazie a lui Egan salverà la rosa
Martinez Bernal 2021
Una foto già storica: Martinez incita e scuote Bernal in crisi. Grazie a lui Egan salverà la rosa

Che urla, su per Sega di Ala…

C’è un giorno, nel Giro 2021, che resta scolpito nella pietra ed è la tappa di Sega di Ala. In quella frazione si è visto anche il carattere e la forza d’animo di Martinez. L’attacco di Simon Yates sembrava poter riaprire il Giro, Bernal improvvisamente era andato in crisi.

Martinez, da buon compagno, si è messo davanti e ha iniziato a pilotarlo, ma non solo con le azioni. Quei metri, quei chilometri sono diventati un lungo viaggio per i due con i ruoli che improvvidamente si sono invertiti, con Martinez che incitava il compagno e non gli ha fatto mancare anche qualche urlo, qualche parolaccia per scuoterlo da quell’apatia che sembrava averlo avvolto.

Avrebbe potuto fare di più in classifica senza essere condizionato dagli obblighi di squadra? Senza di lui Bernal avrebbe vinto ugualmente? Martinez ha sempre evitato di guardare ai “se”: «Egan ha vinto grazie a se stesso, alle sue capacità, non a me, io ho solo aiutato in un momento di difficoltà».

Martinez crono
Per il 25enne di Bogotà 3 titoli nazionali e uno panamericano contro il tempo
Martinez crono
Per il 25enne di Bogotà 3 titoli nazionali e uno panamericano contro il tempo

L’imboscata a Evenepoel

Da allora è passato tempo, alla Ineos hanno fronteggiato vere tempeste dalle quali solo ora iniziano a riemergere e guardano al colombiano quasi come a un salvatore. Uno che sa come muoversi e al Giro dei Paesi Baschi si è visto abbondantemente. Intanto per la sua condotta in gara, per come ha saputo mettere in crisi Evenepoel: «L’idea era di rendere l’ultima tappa davvero dura già prima della salita finale, per prosciugare il serbatoio di energie del belga». Una tattica che ha pagato, con Evenepoel che si sentiva abbastanza sicuro della vittoria alla partenza della frazione finale ma che alla fine ha pagato dazio.

Non c’è però solo questo. Martinez ha dimostrato di sapersi muovere, anche eticamente. Quando Enric Mas è volato via oltre il guardrail, l’incidente ha formato un buco che poteva vanificare ogni prospettiva e lì Martinez si è messo a lavorare proprio con Evenepoel per ricucire la corsa. Rimesse le cose a posto, il colombiano ha ricominciato a lavorare contro il belga, come era giusto che fosse.

Martinez 2016
Daniel Felipe Martinez è nato il 25 aprile 1996. E’ pro’ dal 2015, l’anno dopo era già al Giro
Martinez 2016
Daniel Felipe Martinez è nato il 25 aprile 1996. E’ pro’ dal 2015, l’anno dopo era già al Giro

Pogacar? Già battuto…

Molto si discuterà se Martinez potrà essere una valida alternativa a Pogacar al Tour, ma mettendo insieme gli indizi la risposta sembra essere positiva: in fin dei conti è l’unico non Jumbo Visma che è stato capace di battere lo sloveno in una corsa a tappe (Delfinato 2020); oltre alle sue capacità in salita ha dimostrato di non essere per nulla fermo a cronometro (tre volte campione nazionale e campione panamericano junior); il suo rendimento nei grandi giri è andato sempre migliorando. Da qui a dire che vincerà ce ne corre, ma certamente, se si cerca un’alternativa alla sfida tutta slovena alla Grande Boucle, bisogna guardare anche nella sua direzione.

Tutti con Egan: l’hashtag sacro e il rituale social dei pro’

13.02.2022
6 min
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«E’ orribile leggere quello che è successo ad Egan. Tutta la Ineos Grenadiers e lo sport aspettano buone notizie. Un altro triste promemoria di quanto pericoloso può essere il nostro allenamento!» – Tao Geoghegan Hart (twitter).

Esattamente 20 giorni fa Egan Bernal è stato vittima di un incidente su strada, scontrandosi con un bus mentre si allenava con la bici da crono. Quasi sicuramente una storia che conoscete tutti. Che ci ha fatto preoccupare quando il campione colombiano era in terapia intensiva e poi emozionare nel vederlo muovere di nuovo i primi passi in seguito ai vari interventi.

La pioggia di messaggi

Dal momento dell’incidente tutta la comunità del ciclismo ha vissuto le stesse ansie, tristezze e speranze. Da quel momento sono iniziati i messaggi di sostegno per Egan da ogni parte, soprattutto dai suoi colleghi professionisti. Inizialmente dai compagni di squadra, come Daniel Martinez che ha postato la famosa foto del Giro d’Italia 2021 in cui lo incitava nel suo momento di crisi, poi dai connazionali. Ma quasi subito la pioggia di messaggi di sostegno e solidarietà è arrivata anche da rivali e campioni del ciclismo di ogni nazionalità e squadra. Da Valverde a Sagan, Evenepoel, Geraint Thomas, Froome e Pogacar.

Tutti riuniti, insieme ai tifosi di tutto il mondo, sotto l’hashtag #FuerzaEgan. Ma cosa spinge un corridore professionista a pubblicizzare, nel senso di rendere disponibile a tutti, i propri auguri di pronta guarigione ad un collega su quelle piattaforme, appunto pubbliche, che sono i social network? Non basterebbe scrivere un messaggio privato al diretto interessato per mostrare vicinanza nella difficoltà? E che cosa rappresentano queste manifestazioni di vicinanza per chi le produce e per chi le legge? 

Geoghegan Hart parla della paura di leggere una simile notizia e di quanto sia pericolosa la strada
Geoghegan Hart parla della paura di leggere una simile notizia e di quanto sia pericolosa la strada

Il tweet di Tao

Proviamo a rispondere partendo dal messaggio di Tao Geoghegan Hart che abbiamo messo in apertura dell’articolo. Esso tira fuori l’elemento comune di tanti dei messaggi social solidali esplicitamente e a tutti implicitamente: la condivisione. I termini non sono quasi mai casuali, sui social si condividono post, tweet, immagini, pensieri. Si condivide, appunto. E in questo caso il social svolge la sua funzione di condivisione anche nel senso più stretto del termine. Nasce tutto dal bisogno di dire ad Egan “io sono come te”, “io ti capisco”. Come dice proprio esplicitamente Quintana nel suo post social: «Sono cosciente di ciò che comportano questo tipo di situazioni, così come so che è sempre possibile rialzarsi e continuare con più forza». 

Il tweet di condivisione da parte di Nairo Quintana nei confronti di Bernal
Il tweet di condivisione da parte di Nairo Quintana nei confronti di Bernal

La stessa comunità

Non si tratta quindi di semplice empatia di base. Non c’è solo il dispiacere per una tragedia che avviene ad un altro essere umano, neanche soltanto quell’empatia per il grande campione che unisce tutti. C’è qualcosa di più, c’è appunto la condivisione dello stesso destino, delle stesse strade, degli stessi pericoli costanti. E solo chi ha pedalato per strada con regolarità, chi lo fa per professione, può capire a fondo.

Mettere la propria vita in mano alle responsabilità degli altri, che spesso responsabili non lo sono minimamente. Da questo nasce la necessità di esprimere ad Egan che lo si capisce, che la sua vicenda tocca profondamente. Ma al contempo quella di esprimerla a tutti coloro che a loro volta capiscono Egan. Una comunione di emozioni, un ribadire gli uni con gli altri di far parte dello stesso mondo. O meglio: della stessa comunità.

Con questo post su Instagram, Daniel Martinez ha fatto nuovamente forza all’amico
Con questo post su Instagram, Daniel Martinez ha fatto nuovamente forza all’amico

Esorcizzare la paura

Qui arriviamo al punto: gli auguri di pronta guarigione non sono soltanto formalità, sono il rituale di una comunità. Quella del circo del ciclismo, che si ricompatta intorno ad un evento fondamentale e rappresentativo. Non solo, il tutto serve anche per esorcizzare la paura che un evento simile possa capitare a se stessi. Una lucida consapevolezza, che è allo stesso tempo tragica, perché riconosce la propria impotenza e la fatalità dell’evento, al di fuori del loro controllo.

Gli elementi del rituale ci sono tutti. La tonalità emozionale comune. La condivisione del medesimo focus di attenzione e reciproca consapevolezza. La presenza di simboli che rappresentano l’appartenenza al gruppo. E la riunione del gruppo di persone.

Si sono appena svolti i campionati nazionali colombiani con vittoria di Martinez. Egan era a suo modo presente
Si sono appena svolti i campionati nazionali colombiani con vittoria di Martinez. Egan era a suo modo presente

La piazza social

Allora i social diventano la piazza in cui la comunità si riunisce per svolgere il suo rituale. L’attenzione di tutti è su quell’evento e tutti lo sanno. I sentimenti di tristezza, preoccupazione e ricerca di conforto ed espressione di speranza sono comuni a tutti. Così l’hashtag #FuerzaEgan diventa un oggetto sacro. Un simbolo che rappresenta l’appartenenza al gruppo e sotto cui ci si riunisce per ribadire questa stessa appartenenza. Se cade un ciclista, cadono tutti… E insieme si rialzano.