Traverso, curva stretta e ostacoli. A lezione da Fruet

13.11.2022
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In questo primo scorcio di stagione, complice anche questo clima così mite, nel ciclocross abbiamo assistito a percorsi molto veloci. Le difficoltà tecniche non sono state tantissime nei vari circuiti, ma quando ci sono state hanno fatto la differenza. Specie nella seconda metà di gara quando le energie venivano meno. Con il maestro, nel vero senso della parola, Martino Fruet andiamo a capire quali sono i passaggi più significativi del cross e come si affrontano.

Ne abbiamo individuati tre: il traverso, le curve a gomito (o comunque molto strette) e gli ostacoli.

Martino Fruet
Martino Fruet (classe 1977) in azione sul fango e la neve. Il terreno gelato sotto e molle sopra, per lui è il più difficile da interpretare
Martino Fruet
Martino Fruet (classe 1977) in azione sul fango e la neve. Il terreno gelato sotto e molle sopra, per lui è il più difficile da interpretare

Giovani e tecnica

Prima di analizzare quei tre punti, abbiamo posto una domanda al grande specialista dell’offroad. Ed stata: «Oggi i ragazzi curano la tecnica? O prevale la componente atletica?».

«I ragazzi di oggi curano moltissimo la tecnica – spiega Fruet – soprattutto per quel che riguarda il salto degli ostacoli. Noi delle vecchia scuola scendiamo e cerchiamo di essere più veloci possibili, ma dagli allievi in su ormai si cresce con la mentalità di saltare l’ostacolo, anche se a volte, crono alla mano, si è più veloci se si scende. Ma fa “tanto figo”…

«Mentre noto che non prestano la stessa attenzione sulle linee. In questo caso preferiscono puntare sulla componente atletica».

Il traverso

Quando c’è una contropendenza laterale spesso le cose si complicano, specie se il fondo è scivoloso. E infatti Fruet parte proprio da questa discriminante.

«Se è asciutto – spiega Fruet – e la bici tiene non ci sono problemi. Vai tranquillo con entrambi i pedali attaccati e quello a monte sollevato e ci si sposta con il bacino a valle. In questo modo il peso va sulla gomma». 

«Discorso diverso quando è bagnato o c’è fango. In quel caso come si dice in gergo, si “zappa”. Si stacca il piede a monte e si spinge. Appoggi e spingi, appoggi e spingi…

«Se nei giorni precedenti ha piovuto parecchio si creano i canali. Se ne punta uno e si cerca di restare lì dentro stando in equilibrio… ma non è facile. Nei traversi si dovrebbe entrare sempre dal punto più alto e mano mano sfruttare la pendenza verso il basso. Altrimenti se si entra subito bassi si va a fettuccia e si perde molto tempo. Invece stando alti si cerca il primo canale e poi si “scivola” in quello sempre più in basso, ma si fa velocità. Stando però sempre attenti a non scendere fino alla fettuccia.

«Ma se il traverso è molto lungo è difficile restare alti. Quello di Namur (nella foto di apertura, ndr) per esempio è famoso per la sua lunghezza e anche perché è in discesa».

Le curve

Per le curve più ampie quelle da 90° in su per Fruet non dovrebbero esserci problemi. O almeno un crossista non dovrebbe averne. Il focus pertanto è sul tornante o la curva molto stretta.

«Prendendo il classico fettucciato in pianura – riprende Fruet – bisogna puntare la piccola striscia interna di verde, cioè di erba, che spunta dal marrone».

«Anche in questo caso molto dipende dal fondo. Il peggiore è quello gelato con la superficie che molla un po’. devi essere un artista. E si può fare una grossa differenza. In questi casi ci sta anche che si arrivi forte sulla curva e poi si scenda, mettendo il piede appunto sul filo d’erba e magari fare perno sul paletto con la mano. E poi risalire in sella. 

«Altrimenti bisogna fare un “disegno”, una traiettoria particolare. Non è il classico: allarga, chiudi, allarga. Bisognerebbe allargare ma senza chiudere subito, in modo tale da ritrovarsi nel punto di corda su quel po’ di erba all’interno. Non si esce troppo larghi. Il disegno della curva sarebbe sbagliato, ma la velocità in teoria non è bassissima».

«In caso di fango estremo, tipo 20 centimetri, per me è meglio scendere. Spesso quando facciamo le prove con il cronometro alla mano si è più veloci che restare in sella».

«Come accennavo, il terreno più brutto è quello con fondo ghiacciato e superficie più molle. Se sotto è duro per davvero il sopra è scivolosissimo. Bisogna essere davvero sensibili. Tuttavia le differenze non sono enormi perché di base la velocità è bassa».

E su sabbia? «Su sabbia serve prima di tutto tanta potenza. Non si va troppo stretti e si deve giocare con peso e cambio. Non si deve essere troppo duri. Ricordo che uno che riusciva a fare certe curve così con il rapportone era Franzoi. Ma lui aveva una potenza incredibile».

L’ostacolo… a piedi

Infine c’è il salto o “bunny hop” (il salto del coniglio), vale a dire il superare gli ostacoli a terra. E qui Fruet dà il meglio di sé.

«Come accennavo – dice Fruet – oggi la scuola dice che vanno superati in bici, ma non sempre è vantaggioso. Ai miei tempi si diceva di scendere e di correre veloci, chiaramente era importante essere fluidi nell’azione. Scendere, saltare, correre e risalire in bici.

«Anche per questo è importante non far rimbalzare la bici, perché poi se per rimontare si salta e non si trova subito la sella sono dolori. Meglio andare a cercare la sella con l’interno coscia e poi lasciarsi andare con il sedere. A volte, se la distanza degli ostacoli lo consente, si appoggia la bici a terra e la si fa scorrere per quei due passi, prima dell’ostacolo successivo.

«Scendendo di bici si arriva più veloci sull’ostacolo e la stessa velocità determina il punto in cui si doveva scendere».

I ragazzi oggi spesso “cercano” l’asse con le ruote. Più l’ostacolo è basso e più la velocità con cui vi si arriva è alta. E viceversa.
I ragazzi oggi spesso “cercano” l’asse con le ruote. Più l’ostacolo è basso e più la velocità con cui vi si arriva è alta. E viceversa.

L’ostacolo… in bici

«Ci sono poi i salti. Per me – osserva Fruet – ci sono tre tecniche, anche se viste da fuori sembrano tutte uguali.

«C’è il bunny hop classico, in cui tiri su con le braccia e fai una sorta “d’impennata d’inerzia” abbassando il sedere e portando avanti le spalle. Il tutto senza pedalare. Ma con la bici da cross è difficile, non hai il telescopico e la sella ingombra, dà fastidio».

«C’è il salto “tipo belga”, come l’ho chiamato io, perché l’ho visto fare dai belgi soprattutto. In pratica salti l’asse con tanto, tantissimo carico sulle braccia e senza usare le gambe Spesso toccano con la ruota. Io, che da 20 anni sono maestro di Mtb ti boccerei all’esame. Ma nel cross è così».

«E poi c’è il salto “alla mtb”, che prevede il carico, la tirata con le braccia, ma anche con le gambe».

Rispetto a qualche anno gli ostacoli sono tendenzialmente più bassi
Rispetto a qualche anno gli ostacoli sono tendenzialmente più bassi

Una riflessione

Il cross nasce per saltare gli ostacoli e prevede dei tratti a piedi, se non si scende mai di sella è un po’ come se si snaturasse. Forse anche per questo riguardo ai salti Fruet è davvero interessato. Con il suo occhio e la sua esperienza il trentino studia anche questi aspetti e fa una riflessione.

«Una volta – conclude Fruet – gli ostacoli erano da 40 centimetri, ora li mettono a 30. Fosse per me li farei da 70 centimetri, così che tutti sarebbero costretti a scendere di bici».

L’ultima curva manda in pezzi i progetti di Vendrame

27.05.2022
5 min
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Una curva. L’ultima maledetta curva ha mandato all’aria i piani di Andrea Vendrame. Eravamo quasi certi che oggi Andrea sarebbe andato in fuga. Un corridore come lui, lo abbiamo imparato a conoscere, vuol lasciare il segno. Quantomeno vuol provarci.

Ma come? Sarebbe stato lecito chiedersi: Vendrame, che è quasi un velocista, vincente in una tappa di 3.600 metri di dislivello e per di più con arrivo in salita? La risposta è sì. E non sarebbe la prima volta che conquista tappe dure, ricordiamoci dello scorso anno a Bagno di Romagna.

Prima del Santuario di Castelmonte, in questo Giro d’Italia, si era buttato in due volate di gruppo e in un paio di fughe. Ma il veneto è particolare. Un corridore che riflette e che pondera bene ogni mossa. Una volta ci ha detto: «Il ciclismo è 80% testa e il resto gambe».

Dopo le primissime interviste, Andrea si raccoglie nei suoi pensieri
Dopo le primissime interviste, Andrea si raccoglie nei suoi pensieri

Castelmonte nel mirino

A Budapest, la sera della presentazione delle squadre ci aveva detto che avrebbe cerchiato di rosso, anche con l’aiuto del suo mental coach, due o tre tappe. 

«E questa era una di quelle», ha ribadito il corridore dell’Ag2R-Citroen dopo l’arrivo.

Oggi voleva andare in fuga e ci è andato.

«Sul Kolovrat – dice Andrea – ho cercato di mantenere il mio passo, non volevo fare fuori giri. Sapevo che potevo rientrare in discesa, dove vado bene. La tappa non ero venuto a vederla, ma me l’ero studiata bene».

E rientrando sui quattro al triplo della velocità, ci ha anche provato. Ha tirato dritto, come impone il manuale del buon ciclista.

Sul Kolovrat e verso Castelmonte il trevigiano si è gestito magistralmente
Sul Kolovrat e verso Castelmonte il trevigiano si è gestito magistralmente

Ostacolo salite

La scalata finale però è di nuovo un ostacolo enorme per Vendrame. Lui è sicuramente il più veloce, ma altrettanto sicuramente è il meno scalatore. Per sua fortuna gli altri quattro erano sfiniti.

Durante la scalata gli occhi di Vendrame sono incollati sull’asfalto e in particolare sull’ultima ruota di turno da seguire.

«Nella mia testa – racconta Andrea ora con le mani nella testa e ancora tremolante dalla “botta” di adrenalina – c’era di arrivare in volata. Di nuovo salivo col mio passo. Sapevo e speravo si controllassero. Anche perché quella era l’unica speranza per arrivare in volata. Le gambe erano buone. Sono contento di averci provato».

Vendrame incredulo all’arrivo. Schmid lo ha buttato fuori strada (errore totale di traiettoria)
Vendrame incredulo all’arrivo. Schmid lo ha buttato fuori strada (errore totale di traiettoria)

La curva…

E alla fine ce la fa. Il suo progetto va (quasi) in porto. Supera Castelmonte. Agli 800 metri la salita è ormai un ricordo. La strada scende impercettibilmente in un punto. Dentro di lui aumenta la consapevolezza. E ancora prima che diminuisca la pendenza ha le mani basse. 

Adesso la distanza da quell’ultima ruota è ridotta all’osso. Non è più “defilato”. La curva a sinistra è forse anche più stretta che dei canonici novanta gradi.

«Sapevo – dice Vendrame – di essere il più veloce e sapevo che c’era questa curva. L’avevo visto anche stamattina prima del via su internet, con la squadra. Magari non pensavo così stretta».

«La mia idea era di prenderla all’esterno, in prima o seconda posizione per poter uscire più veloce. Quella per me era la traiettoria migliore per vincere. Ma purtroppo sono andati dritti e mi hanno costretto ad allargare (nella foto di apertura, ndr), come si è visto. Per me hanno giocato anche un po’ scorrettamente. Oggi tutti vogliono prenderle all’interno e… Cosa potevo fare se non frenare. Per fortuna che non c’erano le transenne, altrimenti ci saremmo fatti male». 

«Le volate a volte si vincono, a volte si perdono: è un jolly. Ed è andata così. Meglio un quinto posto che una caduta».

E i sogni infranti

Si frantumano a 70 metri dall’arrivo dunque i sogni di Vendrame. Sarà il suo percorso psicologico, sarà che magari Andrea è proprio così, ma cerca già di buttarsi alle spalle questo episodio. La delusione però suo volto c’è.

Tra l’altro non è la prima volta che vive una situazione simile. Già verso San Martino di Castrozza, al Giro del 2019, ruppe la catena nel finale quando stava per vincere.

«Una tappa persa al Giro fa male, però ci riproveremo. In qualche altro Giro o già al prossimo Tour de France, vedremo cosa deciderà la squadra».

Intanto, Antonello Orlando della Rai gli chiede se vuol andare al Processo alla Tappa. Andrea che era già pronto per scendere a valle con l’ormai immancabile fischietto per farsi spazio nel traffico, traduce la richiesta al suo addetto stampa, il quale gli dà l’okay.

Prima di partire, fa appena in tempo a prendere un sacchetto di caramelle gommose e a dirci: «Il Giro non è finito. Domani c’è un’altra tappa e si corre ancora in casa. Vediamo cosa si può fare».