Paura e sosta forzata sono passate. Tonetti pronta a ripartire

31.03.2025
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«Non so stare con le mani in mano. Ho impiegato queste settimane ricominciando a studiare, iscrivendomi alla facoltà online di Scienze Motorie. Lo volevo fare da tanto tempo, si vede che era destino che dovessi riprendere».
Ne avrebbe voluto fare certamente a meno Cristina Tonetti di ritrovarsi in una condizione simile, ma la sua grinta si vede anche quando non pedala. O meglio dire, quando è costretta a non pedalare.

L’annuncio era arrivato a metà marzo direttamente dalla 22enne brianzola della Laboral Kutxa attraverso il suo profilo instagram: “Dopo un lungo mese senza buone sensazioni in bici, mi è stata diagnosticata la pericardite. Purtroppo è ora di prendersi una pausa dagli allenamenti per far recuperare il mio cuore al 100%”.

Si stanno intensificando i controlli approfonditi, anche se le conferme di idoneità talvolta arrivano solo dopo questi frangenti. Ciò che è capitato a Tonetti non è il primo caso che sentiamo, però fortunatamente vengono tutti accertati in tempo utile, grazie soprattutto agli atleti che conoscono alla perfezione se stessi e sanno quando c’è qualcosa che non va. Conoscendo bene il carattere forte e disponibile di Cristina, abbiamo fatto una chiacchierata con lei per capire come ha vissuto questo ultimo periodo.

Cristina innanzitutto come stai adesso?

Sto bene. Finora le due settimane di riposo assoluto hanno dato i loro frutti. Pensate che avrei dovuto correre la Sanremo Women, quindi la squadra mi aveva invitato a vedere la corsa con loro. Non sono andata però perché mentalmente non ero ancora pronta e mi avrebbe fatto male. Nel frattempo ho fatto ulteriori controlli.

Quali?

Il 27 marzo ho fatto una risonanza magnetica, il cui esito è arrivato giusto stamattina. Non ci sono danni né alle pareti del cuore né al muscolo cardiaco. Nessuna infiammazione ed è una gran bella notizia. Ora sto attendendo i riscontri delle analisi del sangue, ma se saranno a posto credo che nel prossimo weekend potrei riprendere ad uscire in bici.

Sappiamo che gli stop forzati per te sono una tortura. Come sono andate questi quindici giorni?

E’ vero, infatti i primissimi giorni mi stavo annoiando a non fare nulla. Però è anche vero che sono sempre stata molto brava a tenere la mente occupata con dell’altro. A parte lo studio, ne ho approfittato per vedere un po’ di gente con calma con cui mi vedo poco. Ad esempio sono riuscita a trovarmi con la Gaspa (Eleonora Gasparrini, ndr) per festeggiare il suo compleanno la settimana scorsa. E poi abbiamo colto l’occasione di farci un tatuaggio assieme che ci eravamo promesse da tanto tempo.

Al UAE Tour, Tonetti è stata subito protagonista nella prima tappa. Dopo quella corsa, ha avvertito sensazioni irregolari al cuore
Al UAE Tour, Tonetti è stata subito protagonista nella prima tappa. Dopo quella corsa, ha avvertito sensazioni irregolari al cuore
Cosa vi siete tatuate?

Ce lo siamo fatte sul polso. Lei sole pieno e mezza luna vuota perché è quella più espansiva delle due. Io invece il contrario. Mezza luna piena e sole vuoto perché sono più introversa. Ci conosciamo fin dalle prime categorie giovanili e finalmente ce l’abbiamo fatta.

Tornando indietro. Come ti sei accorta della pericardite?

Al UAE Tour stavo abbastanza bene, però sono rientrata stanca. Una stanchezza che si stava protraendo. Tuttavia ho corso ad Almeria dove mi sono fermata perché stavo male. Stessa situazione alla Strade Bianche. A Montignoso ho finito la gara, arrivando a cinque minuti dalla vincitrice. Avevo sensazioni terribili ed irregolari sia in corsa che in allenamento. Troppi alti e troppi bassi. Una situazione che mi ha insospettito.

I 125 chilometri di fuga del primo giorno al UAE Tour vengono premiati. Cristina riceva la maglia nera della classifica degli sprint intermedi
I 125 chilometri di fuga del primo giorno al UAE Tour vengono premiati. Cristina riceva la maglia nera della classifica degli sprint intermedi
Qual è stato il passo successivo?

Innanzitutto ho avvisato la mia squadra che ha compreso subito la situazione. Mi è stata di grande supporto, ma poiché il medico del team non poteva seguirmi direttamente, mi hanno dato carta bianca per contattare il nostro medico di famiglia e procedere. Ho fatto gli esami del sangue per la troponina, un marker cardiaco che ti consente di capire se hai avuto un danno al cuore. I valori erano alti tipici della pericardite, anche se la fase più acuta era già passata. Mi hanno comunque dovuto fermare perché era troppo pericoloso continuare anche solo per fare una pedalata di scarico.

Come hai reagito?

Devo dirvi sinceramente che mi sono sentita sollevata. Paradossalmente mi sono rasserenata perché sapevo che quel mio malessere aveva una causa, un motivo ben preciso. Finché non avevo fatto tutti gli accertamenti, mi sentivo demoralizzata nella vita di tutti i giorni. Ad un certo punto ho pensato “Cristina, non la muovi e forse è arrivato il momento che tu appenda la bici al chiodo” (racconta sorridendo, ndr). Subito però.

Ci permettiamo una domanda, visto il rapporto. Ti ha condizionato quello che era successo a papà Gianluca? Sai che puoi anche non rispondere…

No, ci mancherebbe. So che sono cose ereditarie perché anche mio nonno, il padre di mio padre, aveva avuto queste anomalie cardiache. Tuttavia sono sempre stata abbastanza tranquilla senza condizionamenti. Nel 2024 mi sono rotta la clavicola e il naso, quindi sono ormai abituata a cercare e vedere il lato positivo delle cose. In ogni caso, abbiamo avuto più prudenza data l’anamnesi della famiglia.

Tonetti prima dello stop per la pericardite aveva disputato 9 giorni di gara. Fra poco riprenderà ad allenarsi, incerto il rientro alle corse
Tonetti prima dello stop per la pericardite aveva disputato 9 giorni di gara. Fra poco riprenderà ad allenarsi, incerto il rientro alle corse
Invece mamma Gabriella come aveva preso la notizia?

L’ha presa da mamma ed ho cercato di mantenerla serena. Lei adesso si è tranquillizzata, ma visto che corro in bici in realtà lei non lo è e non lo sarà mai (sorride, ndr).

Abbiamo visto sui social che hai avuto un bel supporto morale. Te lo aspettavi?

Oltre a famigliari, amiche ed amici, tantissime persone mi hanno anche scritto privatamente per farmi gli auguri di una pronta guarigione. Onestamente non credevo di avere un sostegno simile e naturalmente mi fa piacere.

Quando potremo rivedere Cristina Tonetti in gara? I medici ti hanno dato qualche indicazione?

Ancora non so nulla e ovviamente il mio calendario cambierà sensibilmente. Ora però la priorità sono altre. Riprendere a pedalare piano piano e capire come sto in bici, il resto verrà da sé.

Di Fresco, un viaggio miracoloso tra la vita e la morte

20.12.2024
6 min
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Giuseppe Di Fresco era a casa, seduto sul divano dopo aver fatto il suo giro in bici al mattino. Un po’ per passione e un po’ come riabilitazione dopo l’intervento al tendine rotuleo. Era l’11 novembre. E’ stato nel momento in cui s’è alzato dal divano per andare al bagno, che l’ha raggiunto la prima fitta alla schiena. Poi il dolore è sceso fino ai reni e da lì è passato davanti, nello stomaco. Un dolore molto intenso. A quel punto il siciliano, che da anni vive a Massa, ha chiamato sua moglie Sara, dicendole di sentirsi male.

Questa è la storia di un salvataggio miracoloso e di come la prevenzione davvero ti salvi la vita. La racconta Di Fresco in persona, che nel frattempo è tornato a casa e ha la voce che ancora gli trema. C’è mancato davvero poco.

«Appena mi ha sentito – ricorda il direttore sportivo del Team CasanoSara si è offerta di portarmi all’ospedale, ma le ho detto che non ci sarei arrivato, meglio chiamare l’ambulanza. Perciò siamo partiti verso l’ospedale con un codice arancione, ma di colpo il dolore si è spostato verso il petto e allora il codice è diventato rosso. E a questo punto devo dire grazie a mia moglie, che ha fatto un miracolo».

Di Fresco aveva appena superato un intervento al tendine rotuleo
Di Fresco aveva appena superato un intervento al tendine rotuleo

Guardate il cuore

Di Fresco racconta. All’ospedale si pensa a un calcolo renale, ce ne sono tutti i sintomi. Eppure qualcosa non torna. Tutti gli anni da quando nel 2001 ha smesso di correre, Giuseppe ha continuato a fare l’idoneità sportiva, controllando soprattutto il cuore. Poi periodicamente ha fatto le TAC total body e di recente anche l’angioTAC con mezzo di contrasto.

«E proprio in quest’ultima – prosegue – avevano riscontrato uno spanciamento dell’arteria. Una cosa leggera, da non preoccuparsi, ma da sapere. Avevo un valore di 4,2-4,3 e l’intervento è previsto a partire da 5,5. Qual è stata la bravura di mia moglie? Appena entrata in pronto soccorso, la prima cosa che ha fatto è stata fare presente questa anomalia e così loro, anziché indagare sul calcolo renale, sono andati dritti sul cuore e hanno diagnosticato la dissecazione dell’aorta. In pratica le pareti dell’arteria si erano sfilacciate e pare sia una cosa che non si può prevenire. La fortuna nostra qui a Massa è che abbiamo l’Ospedale del Cuore, che è conosciuto in tutto il mondo. E loro cosa hanno fatto? Mi hanno portato subito là, dove ho trovato il dottor Rizza, un professore calabrese molto conosciuto, che si è reso disponibile per l’intervento di inserimento di una protesi».

L’intervento al cuore di Di Fresco si è svolto all’Ospedale del Cuore di Massa
L’intervento al cuore di Di Fresco si è svolto all’Ospedale del Cuore di Massa

Questione di minuti

Di Fresco racconta, c’è davvero mancato poco. E’ tutta una serie di coincidenze fortunate che gli permette di uscirne illeso. Come ad esempio il fatto che la protesi che gli hanno inserito nel petto era appena arrivata dalla Cina, ma non per lui. Tasselli che si compongono e gli fanno pensare che davvero non fosse ancora giunto il suo momento.

«Sono stato fortunato – riflette Di Fresco – a trovare persone veramente competenti che mi hanno salvato la vita. In primis devo ringraziare mia moglie che ha avuto sangue freddo nel dare indicazioni precise. Gli ha fatto guadagnare tempo e probabilmente mi ha salvato la vita. Uscito dall’ospedale, dopo due giorni sono andato a parlare con il dottor Rizza. E lui mi ha detto: “Vuoi sapere la verità di quello che è successo?”. Quando gli ho detto di sì, mi ha raccontato tutto. Ha fatto un disegno su un foglio e mi ha spiegato che era tutta una questione di tempo. Sarebbe bastato qualche minuto in più e avrei rischiato di morire, ma anche di avere lesioni permanenti ad alcuni organi. Ho subito anche un’ischemia acuta, quindi per un breve periodo agli organi è arrivato poco sangue. Io non ricordo niente. Solo quando sono entrato per il mal di pancia, quando hanno cominciato a sedarmi e poi ricordo il risveglio dopo due giorni».

Il chirurgo, Antonio Rizza, dell’Ospedale del Cuore di Massa
Il chirurgo, Antonio Rizza, dell’Ospedale del Cuore di Massa

Il popolo del ciclismo

Al suo fianco c’era Marco Mariotti, un primario anestesista che lo ha assistito per tutto il tempo. E’ lui a risvegliarlo dall’anestesia. Giuseppe lo guarda chiedendogli cosa sia successo e capisce la gravità, quando vede sua madre accanto al letto.

«Se era arrivata lei da Palermo – ora Di Fresco sorride – allora doveva essere stato davvero qualcosa di molto grave. Ho fatto soffrire parecchia gente. Hanno iniziato a operarmi verso l’una di notte, hanno finito alle sei del mattino. Tutta la notte. E tutta la notte nel piazzale dell’ospedale mi hanno detto che c’erano centinaia di persone, tra i miei amici amatori, corridori, amici, gente del ciclismo. Mia figlia Anna a 13 anni si è fatta fare un lettino improvvisato su una barella ed è voluta stare accanto a me. Si è impaurita, ma è stata forte come la sua mamma. Una cosa incredibile. Il mondo del ciclismo è stato veramente una famiglia enorme, non immaginavo tanto sostegno. Mi hanno chiamato da tutte le parti, anche dal Portogallo, dalla Spagna, dal Venezuela. Il presidente Dagnoni e Martinello. Anche ex compagni di squadra, Davide Formolo e Cassani. Damiano Caruso e Pino Toni…».

Di Fresco intanto ha già rimesso la testa sulla squadra juniores di cui è diesse
Di Fresco intanto ha già rimesso la testa sulla squadra juniores di cui è diesse

Colpa dello stress

Con il dolore che va scomparendo e la paura che impiegherà forse del tempo in più, ora Di Fresco deve fare dei controlli, che col tempo saranno meno frequenti. La vita è ripresa normale, con l’invito a ridurre lo stress.

«Il cardiologo ha detto – spiega – che purtroppo lo stress è il peggior nemico del nostro fisico. In più aver fatto ciclismo non aiuta, perché il cuore è stato sottoposto a dei sovraccarichi importanti. Per cui ridurrò un po’ gli impegni, ma ho già ripreso a seguire la squadra. Sento i ragazzi tutti i giorni, stiamo andando avanti col programma. Dal 2 al 6 gennaio faremo un ritiro collegiale vicino casa mia, in modo che possa andare a trovarli. Voglio seguire ancora la squadra, io senza ciclismo che cosa faccio? Muoio di nuovo. Un jolly me lo sono giocato, speriamo di averne altri. I miei collaboratori si sono dimostrati eccezionali, da Mansueto a Pino Toni, passando per Daniele Della Tommasina».

Ritratto di famiglia: con Giuseppe la moglie Sara e la figlia Anna
Ritratto di famiglia: con Giuseppe la moglie Sara e la figlia Anna

Tra la vita e la morte

Il resoconto del suo viaggio fra la vita e la morte parla di 13 giorni in terapia intensiva, un reparto che non si augura a nessuno, ma che gli ha salvato la vita grazie alle persone eccezionali che lo hanno curato.

«Ragazzi giovani – ammette – il più vecchio avrà avuto 40 anni e mi hanno dato un’assistenza incredibile. Ero cosciente e mi rendevo conto di quel che accadeva. Ho avuto due o tre giorni di crisi di panico. La mattina mi svegliavo, anche se non ho mai dormito davvero, e mi ritrovavo sempre con tutti i cateteri e i tubicini attaccati al collo, alle braccia, alla bocca, al naso. E poi arrivavano loro che sono degli angeli e magari mi davano supporto morale. Poi mi hanno portato in un reparto normale per sei giorni e a quel punto hanno iniziato a levarmi i vari tubi e mi hanno avviato alla nutrizione normale. Se sono ancora qui, lo devo ai controlli che ho fatto, che dopo i 50 anni dovrebbero essere un obbligo per tutti. Fateli, ragazzi, non pensate che queste cose accadano soltanto agli altri».

Troppi virus: con l’idoneità (e il cuore) non si scherza

25.10.2024
6 min
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TORINO – Miocarditi, pericarditi e le tante insidie nell’ottenere l’idoneità sportiva. La ricerca medica fa passi da gigante senza dubbio, ma negli ultimi anni sono stati tanti, anche troppi i casi di anomalie cardiache o malori. Alcune hanno stroncato carriere illustri, come quella di Sonny Colbrelli nella primavera del 2022. Altre hanno persino portato via campioni in erba come più recentemente il ventunenne Simone Roganti o nell’ottobre dello scorso anno l’olandese Mark Groeneveld. Senza dimenticare l’ex iridato della mountain bike Dario Acquaroli, che ci ha lasciati ad appena 43 anni durante un’escursione in mountain bike. Sono soltanto alcuni dei tanti casi che vi abbiamo raccontato su queste pagine nell’ultimo periodo.

Tra un’intervista e l’altra ai portacolori della Jayco-AlUla durante le loro canoniche visite all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, abbiamo colto l’occasione per approfondire questo tema che purtroppo resta di attualità. A darci il polso della situazione, al termine delle visite dei corridori del team australiano in vista del 2025, ci ha pensato il dottor Ali Al Mohani.

«E’ il primo anno che seguo la Jayco-AlUla – comincia a raccontare – ma faccio da anni il cardiologo e visito gli atleti dal punto di vista sportivo e cardiologico perché ottengano l’idoneità. La mia percezione è che ci stia stato un aumento di episodi anomali dopo la pandemia, sia tra gli atleti professionisti sia tra la popolazione comune in generale. E’ difficile capirne l’origine, che potrebbe essere anche dovuta proprio al Covid, perché l’infezione virale aumenta il rischio di pericarditi e miocarditi».

Il dottor Ali Al Mohani è cardiolgo del centro Irriba di Torino. Dopo il Lombardia ha svolto le idoneità per i pro’ della Jayco-AlUla
Il dottor Ali Al Mohani è cardiolgo del centro Irriba di Torino. Dopo il Lombardia ha svolto le idoneità per i pro’ della Jayco-AlUla

Il rischio cardiologico

Chiunque faccia attività sportiva agonistica, anche soltanto per partecipare a una granfondo la domenica, necessita di ricevere l’idoneità. Già dopo la prima ondata del Covid, quando si è cominciato a tornare alla normalità, tutti ricordano che alcuni esami erano ancor più approfonditi, soprattutto se si aveva contratto il virus in maniera sintomatica.

«La visita agonistica-sportiva di idoneità e quella cardiologica sull’atleta – spiega il dottor Al Mohani – devono sempre essere svolte con estrema accuratezza. Qualunque dettaglio che esca dallo schema abituale deve attirare la nostra attenzione. Un rischio cardiologico in un atleta può essere la morte improvvisa o un evento aritmico maligno. L’accortezza da guardia alta è su tutti gli atleti in generale. Il ciclismo è uno sport molto comune in età adulta tra i 40 e i 50 anni. Se per i giovani di solito le visite sono più lineari, aumentando l’età, si fa più complessa anche la visita. Oltre al rischio di infezioni virali, aritmie e cardiomiopatie, entra in scena infatti anche il rischio di cardiopatia ischemica che in tutti i pazienti si manifesta col passare degli anni».

Dopo aver contratto il Covid nel 2021, Sagan fu fermato dai medici della Bora-Hansgrohe per scongiurare ulteriori rischi
Dopo aver contratto il Covid nel 2021, Sagan fu fermato dai medici della Bora-Hansgrohe per scongiurare ulteriori rischi

L’aumento delle anomalie

Quali possono essere i segnali di allerta per i dottori? «Siamo molto attenti sui sintomi di allarme. Ad esempio, in caso di dolore al torace, il nostro compito è quello di interrogare il paziente e capire la tipologia di questo fastidio. Spesso gli sportivi possono confondere dolori muscoli-scheletrici con un dolore cardiaco. Poi ci sono le palpitazioni, ovvero i battiti irregolari. In questo caso, è fondamentale chiedere al paziente se ha avuto dei giramenti di testa o la percezione di perdita di conoscenza: questi sono tutti segnali che possono accendere la prima spia. Poi, c’è la prova sotto sforzo, che ci permette di analizzare che non ci siano altri segnali strumentali. Mettendo insieme tutto, capiamo chi è idoneo a mettere sotto sforzo il suo cuore e chi è da indagare».

L’aumento di anomalie nello sport è un dato di fatto. «Sentiamo sempre di casi particolari sia nel ciclismo sia nel calcio. Non sempre è facile individuarli subito – prosegue – per riuscirci bisogna fare le cose in maniera iper-spinta, soprattutto coi ciclisti, che si mettono sotto sforzo costante per un numero elevato di ore ogni settimana. Poi si allenano in ambienti aperti, per cui sono più sensibili a infezioni del miocardio o del pericardio. Sono spesso persone che non riescono a rinunciare allo sport e che, davanti all’occhio del medico, cercano di esprimere il meno possibile il loro eventuale sintomo».

Sulla morte prematura di Simone Roganti, qui al Giro di Sicilia 2023, è stata aperta un’inchiesta
Sulla morte prematura di Simone Roganti, qui al Giro di Sicilia 2023, è stata aperta un’inchiesta

Il rischio pericardite

Lo sportivo, dentro di sé, vuol solo sentirsi dire che tutto va bene e che è pronto per una nuova annata, ma occorre cautela.

«Fare il ciclista ad alto livello è già un fattore di rischio – spiega il dottore – per quello bisogna essere molto aggressivi sia nell’interrogazione sia nella prova sotto sforzo, per non trascurare nessun possibile valore anomalo. I ciclisti sono maggiormente esposti o magari sono vittime di infezioni virali che non curano e continuano ad allenarsi o persino a correrci sopra. Questo comportamento vizioso può portare a pericarditi e infezioni del muscolo pericardico».

L’aspetto ambientale

Rispetto ad altri sport, infatti, non va dimenticato l’aspetto ambientale delle due ruote. «Un qualunque cicloamatore – aggiunge ancora il dottore dell’istituto torinese – in media fa all’incirca un centinaio di chilometri settimanali, spalmati in un paio di uscite. In particolare, spesso per la maggior parte del tempo della sua uscita è lontano da centri abitati e, se è in solitaria, può essere esposto a rischio elevato, essendo da solo e lontano da possibili soccorsi. Per questa ragione, il nostro obiettivo è metterlo in sicurezza anche in questa eventualità. Un calciatore, invece, se è vittima di un evento acuto, si trova sempre in un campo insieme a compagni di squadra e può ricevere assistenza immediata».

Sulla tecnologia, c’è ancora da lavorare secondo il dottor Al Mohani: «Un orologio con l’intelligenza artificiale o sistemi di monitoraggio può aiutare, ma potrebbe anche confondere un po’ le acque. Tanti ciclisti vengono a farsi visitare perché hanno frequenze anomale registrate sui loro orologi. Poi alla domanda se sono mai stati sintomatici, rispondono di no. Comunque, meglio un controllo in più che uno in meno. Anche se spesso, per fortuna, si tratta di errori del dispositivo tecnologico piuttosto che del loro cuore».

La lettura del battito anomalo sullo smartwatch può dare un’indicazione, ma necessita approfondimenti (depositphotos.com)
La lettura del battito anomalo sullo smartwatch può dare un’indicazione, ma necessita approfondimenti (depositphotos.com)

L’attenzione ai bambini

La prudenza, dunque, è comunque una buona prassi per le famiglie degli atleti e non solo per i diretti interessati. «Essere un atleta premuroso è un buon segnale. Ultimamente, riferendomi alla situazione piemontese che ho sotto i miei occhi, vedo più sensibilità nei confronti della Medicina sportiva e della Cardiologia dello sport. Le mamme e i familiari in generale sono più premurosi adesso. Se viene richiesta dal medico un’ecografia in più, si capisce che è qualcosa di normale, magari soltanto per investigare un piccolo soffio e togliersi il dubbio. In passato invece, si pensava: “Faccio fare la visita a mio figlio, che deve avere l’idoneità a tutti i costi”.

«Posso capire che una mamma si faccia prendere dal panico se sente che qualcosa nel cuore di suo figlio non funziona al 100%. In questi casi noi medici cerchiamo di avere un po’ di sensibilità nell’esprimere il nostro giudizio e nello spiegare il perché dell’eventuale controllo aggiuntivo. Non è mai tempo perso spendere una parola in più, né fare un controllo che magari ci toglie il dubbio. E permette poi al ragazzo o alla ragazza di tornare a fare quello che più ama in sicurezza».

EDITORIALE / Cuori a rischio, chi risparmia sull’idoneità?

14.10.2024
5 min
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Il primo segnale davvero drammatico fu il malore che colse Colbrelli il 21 marzo del 2022. Chi lo vide cadere sul traguardo della prima tappa del Catalunya pensò che non ci fosse più niente da fare, invece il massaggio cardiaco salvò la vita al bresciano che interruppe subito l’attività. Un mese dopo, si fermò Gianmarco Garofoli per una miocardite. Dovette ricorrere a un intervento che dopo qualche mese gli permise di riavere l’idoneità. Quello che però fu raccontato come un semplice malore, pochi giorni fa è stato descritto da suo padre come un principio di infarto a 20 anni. Qualcosa di simile al malore che di recente si è portato via Simone Roganti, che ne aveva 21.

A dicembre 2020 venne fermato per miocardite Diego Ulissi. Nel 2021 l’ablazione cardiaca toccò a Viviani e l’anno precedente a Cipollini. Lorenzo Masciarelli ha scoperto di avere una pericardite grazie a un incidente stradale. Lo hanno ricoverato per un braccio dolorante senza sapere sul momento che gli stavano salvando la vita.

Si è andati avanti di caso in caso, segnandoci la fronte quando qualcuno se ne andava senza motivazioni apparenti. Come Dario Acquaroli, ex campione del mondo di MTB, morto per un malore ad aprile 2023, mente stava passeggiando sulla sua bici. La morte di Silvano Janes agli europei gravel di ieri ad Asiago potrebbe confluire nello stesso contesto. E’ come se dopo il Covid sul mondo si sia abbattuta un’ondata di virus cardiaci che, se non diagnosticati, portano alla morte. E se questo è vero, in che modo è aumentata l’attenzione di medici, società e atleti per tutelare davvero la salute?

Lorenzo Masciarelli, in ospedale per un incidente stradale, ha scoperto una pericardite potenzialmente letale
Lorenzo Masciarelli, in ospedale per un incidente stradale, ha scoperto una pericardite potenzialmente letale

La difesa che manca

E’ un tema delicato da maneggiare. Da molte parti infatti, più che il Covid si incolpano i vaccini, ma non esiste ancora, a quanto ci risulta, un nesso dimostrato di causa/effetto. In attesa che degli studi vengano portati a termine ed evitando di perderci in chiacchiere, in che modo si tutela la salute di chi fa sport?

Abbiamo la pelle d’oca nel renderci conto della difformità di regolamento a livello internazionale. I medici sportivi parlano fra loro. E l’osservazione anche ironica che vede gli italiani vittime nei congressi internazionali arriva spesso dalla Gran Bretagna. Oltre la Manica infatti, la visita di idoneità non è obbligatoria e ugualmente il tasso di mortalità dei loro atleti è di pochissimo superiore al nostro: perché fare tante visite, dicono, se poi gli esiti sono identici?

Il punto è proprio questo. Il sistema italiano va difeso con ogni mezzo possibile, ma va reso affidabile (in apertura l’Istituto Riba di Torino, eccellenza nazionale). Avremmo il modo per ridurre a zero la percentuale, non trattandosi per fortuna di numeri elevatissimi, ma rinunciamo a farlo. Spendiamo migliaia di euro dal dentista per avere un bel sorriso e ci accontentiamo o pretendiamo che una visita di idoneità agonistica costi meno di una pulizia dei denti. E’ normale?

La visita di idoneità che duri meno di 40 minuti non può essere ben approfondita (foto Gruppo Cidimu IRR)
La visita di idoneità che duri meno di 40 minuti non può essere ben approfondita (foto Gruppo Cidimu IRR)

Le idoneità regalate

Il medico italiano di una squadra WorldTour ci ha raccontato che le visite che esegue privatamente nel suo studio durano fra 40 e 50 minuti. Un altro ci ha detto che per rendersi conto di come sia possibile fare tutto bene e anche in modo rapido, abbia cronometrato una visita, fermando il cronometro a 38 minuti. Nei loro studi non si spende meno di 120 euro. Sono visite importanti, fanno la differenza fra vivere e morire, quindi è giusto che abbiano un costo.

Qual è la qualità o la profondità di una visita di 20 minuti, pagata fra 50 e 90 euro, di cui il medico percepisce a dir tanto il 50 per cento? Con quale tranquillità d’animo egli può rendere abile un atleta di qualunque età, sapendo di non aver fatto il meglio e che, qualora quello morisse, ne dovrebbe rispondere penalmente? E come è possibile che la Federazione dei medici sportivi ritenga accettabile l’idoneità agonistica rilasciata in appena 20 minuti?

Per i giovanissimi occorrono le stesse attenzioni dei più grandi: sbagliato risparmiare sulla salute (photors.it)
Per i giovanissimi occorrono le stesse attenzioni dei più grandi: sbagliato risparmiare sulla salute (photors.it)

La salute dei figli

Probabilmente ai livelli più alti dello sport il problema è relativo, seppure non sia difficile andare con la memoria alle morti di Lambrecht, Nolf, Myngheer, Goolaerts e quelli che hanno perso la vita per malori improvvisi. Nonostante la normativa UCI preveda di eseguire ad anni alterni l’ECG con prova da sforzo e l’ecografia cardiaca, sono sempre di più le squadre che li impongono annualmente e gli atleti che chiedono di farli. Quel che lascia con l’amaro in bocca è invece l’atteggiamento di tanti genitori nelle categorie giovanili.

Si vuole spendere poco, anche se si parla della salute dei propri figli, preferendo semmai vuotarsi le tasche per la bici più leggera. Ci si accontenta di visite di idoneità poco più approfondite di una pacca sulle spalle. Si chiede al dottore di fare presto. Le società fissano appuntamenti presso studi convenzionati in cui si eseguono batterie di test senza il minimo approfondimento. E’ facile rendersi conto che l’approssimazione di certe visite sia legata alla poca attenzione da parte degli utenti, soprattutto delle famiglie dei più piccoli. Perché certe abitudini cessino, sarebbe sufficiente non frequentare più gli studi in cui si lavora con superficialità. Invece si va avanti con la mentalità italiana per cui un ristorante è buono se per 20 euro ti riempie la pancia, senza guardare la qualità di quel che si butta giù. Forse però, parlando di cuore e sopravvivenza, sarebbe meglio puntare su un… ristorante con qualche stella in più.

Il super fuorigiri, quando il cuore schizza (troppo) in alto

15.07.2023
5 min
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Durante questo Tour de France spesso si è sentito parlare di corridori a tutta. E quando si è a tutto gas, i battiti sono alti, a volte troppo e si fanno dei super fuorigiri, nonostante il potenziometro. Ma quando c’è la verve agonistica – e per fortuna consentiteci di dire – tutto salta e il cuore schizza in alto e il cardiofrequenzimetro (nella foto di apertura) registra cifre incredibili.

Emblematico il caso di Tobias Johannessen che proprio nella prima tappa avrebbe toccato le 210 pulsazioni.

Cosa succede al fisico quando si verifica un caso simile? Ne parliamo con il dottor Andrea Giorgi, in forza alla Green Project-Bardiani. Avvenimenti simili sono parecchio al limite e vanno analizzati con referenti esperti.

Il dottor Andrea Giorgi, dello staff del team Green Project-Bardiani CSF Faizanè
Il dottor Andrea Giorgi, dello staff del team Green Project-Bardiani CSF Faizanè
Dottor Giorgi, i super fuorigiri, chiamiamoli così, quando il cuore va oltre i 195-200 battiti al minuto: cosa succede?

Parliamo di frequenze cardiache massime, quindi molto alte. Per la gente comune la frequenza cardiaca massima si stima con la semplice formula 220 meno l’età. Oppure un altro metodo è quello di moltiplicare la propria età per un coefficiente fisso di 0,7, ma sono tutte approssimative. Per gli atleti si esegue un test massimale. Però di base mi sentirei di dire che al di sopra dei 195-200 battiti al minuto è molto difficile andare, non è qualcosa di normalmente fisiologico.

Cioè?

Posto che molto dipende dal soggetto, quando si va al di sopra delle 200 pulsazioni ci deve essere una forma patologica o comunque un disturbo… Però, ripeto, molto dipende dal soggetto, dalla sua età, dalla freschezza, dalla temperatura esterna. Quei 210 battiti sono davvero tanti, anche per un atleta di 25-30 anni. Sono più normali i 195 a 18-20 anni.

Quanto incide il soggetto, visto che lo ha rimarcato?

Parecchio. Senza fare nomi, durante i test massimali in passato avevo chi arrivava a 195 pulsazioni e chi a 147. Il limite delle 200 pulsazioni è molto alto, raro e può essere causato da patologie. E’ importante valutare l’ambiente circostante.

Tobias Johannessen dovrebbe aver toccato le 210 pulsazioni nella prima tappa. Anche sul Puy de Dome c’è chi ha superato i 195
Tobias Johannessen dovrebbe aver toccato le 210 pulsazioni nella prima tappa. Anche sul Puy de Dome c’è chi ha superato i 195
Johannessen ha detto che sul Pike c’era una grande calore dato dal folto pubblico, poca areazione. Mettiamoci anche che lui era fresco in quanto era la prima tappa. Ma altri hanno detto di aver sfiorato quei battiti sul Puy de Dome…

La temperatura ambientale influisce molto e la temperatura corporea interna ancora di più. Quando quest’ultima tocca i 40 gradi le pulsazioni aumentano di 10-15 battiti al minuto. E se questa sale è facile disidratarsi. Se ci si disidrata diminuisce il volume del sangue e per mantenere la gittata cardiaca il battito aumenta. In pratica il cuore deve battere più forte, deve pompare più sangue, per mantenere quello standard. 

Magari questi atleti che si sono ritrovati ad avere battiti alti erano anche un po’ disidratati…

Quando si superano certi limiti di temperatura e quindi salgono molto i battiti, si arriva a parlare di tachicardia sopraventricolare parossistica ed è una patologia infatti.

Ci sono magari degli integratori che associati al contesto ambientale possono portare a questa situazione?

La caffeina può essere uno stimolante per i battiti, ma non in questa misura. Questi battiti sono difficili da toccare, anche volendolo. Oggi che le prestazioni sono sempre più alte ci si allena a far salire il cuore. Si lavora molto anche con l’interval training: con i 30”-15” o i 40”-30”. Questi lavori si usano ormai di più dei 3′-4′ a tutta proprio perché stimolano di più il cuore a battere forte. Ti portano a lavorare al 110% della loro frequenza massima. Oggi i ragazzi che seguo e fanno questi lavori, mi dicono che in corsa si trovano meglio. Nel caso specifico poi, i norvegesi, grazie anche allo sci di fondo, hanno fatto degli studi importanti sul Vo2Max. Hanno un’ampia letteratura e di certo anche Johannessen si allenerà con battiti alti. Ma comunque quando si toccano i 200 battiti c’è sempre qualcosa che non quadra.

Secondo Giorgi è molto importante analizzare i file post gara, per verificare che non ci sia stato un errore di rilevazione. Il cuore non deve battere così forte
Secondo Giorgi è molto importante analizzare i file post gara, per verificare che non ci sia stato un errore di rilevazione. Il cuore non deve battere così forte
E quando succede il dottore cosa fa?

Innanzi tutto analizzo il file del ragazzo. Verifico se c’è stato un solo picco o se si è trattato di una fase prolungata. Poi contestualmente in quel momento gli chiedo come stava, cosa provava, se aveva il battito in gola… Se c’è stato un errore del cardio, okay: finisce lì. Ma se invece la cosa è vera o si ripete allora vado avanti. Quanto era caldo? Era disidratato? Come si è alimentato? Inizia tutta una serie di esami… tanto più per noi italiani che su questo aspetto siamo severi. Giusto per fare un esempio attuale, Vanmarcke da noi avrebbe smesso già da un po’.

Prima ha detto che ci si allena ad alzare i battiti, ma al tempo stesso che sono frequenze pericolose. Quindi?

I ragazzi devono stimolare il cuore a salire, ma a quel livello non ci devono arrivare. Proprio a Bilbao, prima del Tour, c’è stata una riunione dei medici sportivi e si parlava di un’indice, di matrice australiana, che metteva in relazioni dei fattori come la temperatura esterna, quella corporea interna e altri parametri alle prestazioni… Potrebbe essere proprio quel che si è verificato in quella prima tappa di questo Tour.

EDITORIALE / Questioni di cuore, da non prendere alla leggera

10.07.2023
4 min
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Il primo di cui ho memoria si chiamava Joachim Halupczock, polacco, classe 1968. Vinse il mondiale dilettanti del 1989 a Chambery, dopo aver preso l’argento nella 100 Chilometri vinta dalla Germania Est, che l’anno prima aveva già battuto la sua Polonia alle Olimpiadi di Seoul. Halupczock passò professionista con la Diana Colnago, ma alla fine del primo anno saltò fuori un problema di cuore: un’aritmia cardiaca a causa della quale dovette fermarsi per tutta la stagione successiva.

Lo conobbi nel 1992, quando rientrò alle corse con la MG-GB nata dalla fusione fra la Del Tongo e il gruppo belga di Patrick Lefevere, fra Ballerini e Chioccioli, Museeuw e il connazionale Zenon Jaskula. Corse per un solo anno, ma quel cuore troppo grosso continuò a dargli problemi e lo convinsero a smettere, questa volta definitivamente. Morì per un infarto nel 1994 durante una partita di calcetto.

A Niwki, la sua città natale in Polonia, sorge il monumento a Joachim Halupczock (foto CC BY-SA 3.0)
A Niwki, la sua città natale in Polonia, sorge il monumento a Joachim Halupczock (foto CC BY-SA 3.0)

Haussler, Polanc e Vanmarcke

Il cuore è una cosa seria: la vera differenza. In base alla sua capacità si distinguono i campioni dagli altri. Le leggendarie frequenze bradicardiche di Bartali e Coppi, come pure di Indurain erano la base di quel loro essere tanto resistenti e forti. Del cuore ti devi fidare. Non lo vedi come le gambe, semmai lo senti che pulsa nel collo e nel petto. In certi momenti pompa così forte da superare i 200 battiti: che cosa succede se di colpo senti di non poterti più fidare?

Eppure casi di corridori costretti a smettere per sopraggiunti problemi cardiaci sono sempre stati cosa rara. Basta chiedere ai medici delle squadre. Di recente è capitato semmai di imbattersi in atleti sottoposti ad ablazione per risolvere aritmie o fibrillazioni, che avrebbero potuto metterli a rischio, le cui origini sono state rintracciate in episodi vecchi di anni.

Invece in questa stagione, tre professionisti di squadre WorldTour hanno appeso la bici al chiodo per sopravvenute complicazioni cardiache: Haussler, Polanc, Vanmarcke (nella foto di apertura), atleti già grandicelli, ma per anni in perfetta efficienza. Sommando le loro vicende a quanto successo nel 2022 a Sonny Colbrelli, la voglia di fare una riflessione più approfondita è rimasta a lungo sulla punta della penna. Ogni caso merita infatti una trattazione a parte: cadere nel qualunquismo è l’ultima cosa che si vuole, ma la tempistica è insolita.

Non tutte le federazioni nazionali hanno mantenuto il protocollo di ripresa dopo il Covid (foto WavebreakMediaMicro)
Non tutte le federazioni nazionali hanno mantenuto il protocollo di ripresa dopo il Covid (foto WavebreakMediaMicro)

Il caso Masciarelli

Qualcuno infatti a questo punto sarà già in piedi puntando il dito sui vaccini contro il Covid. Il tema è noto ed è stato dibattuto a lungo, ma si ferma (ancora) contro l’assenza di una letteratura clinica che possa suffragare o sconfessare la tesi. Di certo però gli anni della pandemia hanno lasciato qualche strascico. E se anche non si tratta del vaccino, varrebbe la pena fare una riflessione sui tempi con cui alcuni atleti sono ripartiti dopo aver avuto il virus.

Se infatti le tecniche di indagine clinica sono sempre le stesse e le visite di idoneità non si discostano da quello che erano nel 2019, al momento soltanto l’Italia costringe i suoi atleti al protocollo Return to Play, sia pure più blando di quanto fosse all’inizio, prima di riprendere l’attività agonistica. All’estero ciò non succede. Vanmarcke si è fermato dopo un’aritmia percepita agli ultimi campionati nazionali e la scoperta di tessuto cicatriziale sul muscolo cardiaco (lo stesso che ad esempio deriva dalla miocardite), che in prospettiva avrebbe potuto creare problemi maggiori. Intendiamoci, anche con una ripresa incauta dopo la mononucleosi si incorre nello stesso rischio, ma il Covid potrebbe averlo accentuato.

Polanc si è ritirato quest’anno per irregolarità cardiache: nel 2022 ha corso al Vuelta aiutando Ayuso
Polanc si è ritirato quest’anno per irregolarità cardiache: nel 2022 ha corso al Vuelta aiutando Ayuso

Una visita approfondita fatta con anticipo avrebbe rilevato prima il problema? Probabilmente sì. Il caso di Masciarelli è lampante. Se non fosse stato per la caduta di maggio e il conseguente ricovero in ospedale, l’abruzzese del Team Colpack-Ballan non avrebbe scoperto la pericardite per la quale è stato subito fermato. Lorenzo è rimasto fermo per due mesi, ha da poco ottenuto l’idoneità ed è pronto a ripartire da Livigno. Un percorso simile l’ha seguito Gianmarco Garofoli, fermato a lungo a tutela della sua salute.

Mancata condivisione

Con il cuore non si scherza. Ciò che potrebbe aiutare a fugare i dubbi e ad individuare una via d’uscita comune e sicura per tutti, anche per gli amatori che magari non hanno mai approfondito il loro stato di salute prima di tornare in sella, sarebbe la condivisione delle esperienze, come ha fatto Vanmarcke. Tutti gli altri che si sono chiusi dietro il legittimo diritto alla privacy impediscono di fatto di capire qualcosa di più. E quella letteratura clinica di cui si lamenta la mancanza farà sempre più fatica a formarsi.

Masciarelli e la pericardite scoperta grazie all’incidente

16.05.2023
5 min
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«Sono uscito a fare allenamento – racconta Masciarelli, in apertura col padre Andrea – con Giulio (Ciccone, ndr) e con un gruppo di ragazzi. Quando siamo arrivati vicino alla Tiburtina, ci siamo immessi in una rotonda. C’era una macchina ferma e appena siamo passati è ripartita e noi l’abbiamo presa. Sono caduto e ho battuto il braccio. Ho chiamato l’ambulanza perché mi faceva male. E alla fine mi tocca dire: per fortuna che ho avuto l’incidente, altrimenti mi sarei fatto male in modo diverso e più grave…».

Il cuore dei corridori veri non fa lo stesso lavoro del nostro. Il Covid ma anche una semplice influenza sono una minaccia concreta. Ci sono atleti che hanno smesso di correre dopo una febbre non curata, Ulissi probabilmente per motivi analoghi ha dovuto subire un intervento. In questi giorni, i social e i bar traboccano di facili commenti spesso superficiali sul ritiro di Evenepoel dal Giro, sbagliato probabilmente nei modi ma non nella sostanza. Questa allora è la storia, a suo modo emblematica, di quello che è successo ieri a Lorenzo Masciarelli, abruzzese del Team Colpack, rientrato quest’anno in Italia dopo l’esperienza di ciclismo e vita in Belgio.

L’incidente che ha coinvolto Masciarelli e Ciccone si è verificato in questa rotonda fra Chieti e Pescara
L’incidente che ha coinvolto Masciarelli e Ciccone si è verificato in questa rotonda fra Chieti e Pescara
Che cosa è successo dopo l’incidente?

Abbiamo chiamato l’ambulanza e sono andato in ospedale per farmi controllare il braccio, perché mi faceva male. Appena arrivato, dato che c’era stato un trauma da impatto, mi hanno fatto un elettrocardiogramma e hanno visto che qualcosa non tornava. Poi sono andato a fare la TAC e francamente al cuore non ho più pensato. Venivo da due ore e mezza di allenamento spinto, ho pensato che fosse un po’ affaticato. Le solite cose che succedono anche quando fai la prova da sforzo e ti dicono che sei un po’ stanco.

Per il resto, a parte la botta, stavi bene?

Ero stato male nei giorni precedenti. Avevo un po’ di tosse e di catarro, facevo fatica a respirare. La settimana prima avevo fatto un tampone ed era negativo. Un altro me l’hanno fatto in ospedale ed era negativo, perciò pensavo a un’influenza, tanto che stavo facendo anche l’aerosol. L’unica cosa era la tosse e il fatto che all’inizio mi bruciasse un po’ il petto, infatti in bici non andavo benissimo. Comunque hanno fatto altri esami e hanno visto c’era una leggera bronchite, quasi polmonite, però proprio una macchia piccola. Si vedeva che stava svanendo, però ugualmente hanno voluto ripetere l’elettrocardiogramma.

Lorenzo Masciarelli è stato trasportato in ambulanza all’ospedale di Chieti
Lorenzo Masciarelli è stato trasportato in ambulanza all’ospedale di Chieti
E cosa è venuto fuori?

Mi hanno mandato dal cardiologo per una visita più approfondita, perché hanno riscontrato che il battito non era regolare, c’era qualcosa che non andava. Dalle analisi del sangue avevano visto che avevo la troponina leggermente più alta del normale (è una delle spie di possibili problemi al carico del miocardio o del pericardio, ndr) e quando il cardiologo mi ha visitato, ha visto che c’è un’infiammazione del pericardio. Mi ha detto che è leggera, ma devo rimanere in ospedale per accertamenti. Nel frattempo ho finito di fare altri accertamenti e nel frattempo mi hanno di fatto tre analisi del sangue.

Cosa cercavano?

Hanno controllato la variazione dei parametri e visto che la troponina non si era ancora abbassata, nonostante avessero iniziato a darmi un antinfiammatorio. Mi hanno fatto la coronarografia, cioè hanno inserito un catetere nell’arteria del braccio per vedere se ci fossero lesioni sulle arterie che portano sangue al cuore, per capire se il problema fosse dovuto all’impatto o piuttosto al fatto che stavo male e allenandomi ugualmente era arrivata l’infiammazione.

La pericardite è un’infiammazione del pericardio, la sottile membrana che fascia il cuore (foto La Nurse)
La pericardite è un’infiammazione del pericardio, la sottile membrana che fascia il cuore (foto La Nurse)
Come è andata?

Per fortuna dalla coronarografia non è risultato niente, poi ho rifatto l’ECG da cui si è visto che il cuore sta bene. Rimangono alti i valori della troponina che indicano la leggera infiammazione del pericardio. Per cui adesso dovrò fare un po’ di riposo, perché l’infiammazione è dovuta al fatto che ho continuato ad allenarmi forte nonostante avessi questa influenza addosso. Non si è capito se ci sia di mezzo il Covid, i tamponi sono stati negativi, ma non so se per esempio l’ho avuto nelle settimane precedenti.

Non avevi avuto segni che lo facessero pensare?

Ero stato fermo 2-3 giorni per una caduta nella corsa di Roccastrada, con un piccolo strappo dietro la spalla. Quando poi ho ricominciato mi sembrava strano che avessi perso così tanto in bici, perché mi sentivo un po’ affannato. La tosse persisteva e globalmente non mi sentivo granché. Quando poi è venuto fuori che c’è questa infiammazione, ho collegato anche il fatto che dopo le salite avevo sempre l’affanno e forse dipendeva dall’infiammazione al cuore e da un principio di sinusite.

Se non avessi avuto l’incidente e avessi continuato per altre tre ore e poi anche nei giorni successivi, ti hanno detto cosa avresti rischiato?

Mi hanno detto che rischiavo forte, che se non me ne fossi accorto e magari avessi continuato ad allenarmi e correre, non sarebbe stato piacevole. Il cuore sarebbe peggiorato, l’infiammazione che ora è leggera sarebbe peggiorata e avrei rischiato anche di dover smettere di correre. Così invece con due settimane di recupero, dovrei tornare a posto. C’è gente come Garofoli che è stata ferma per mesi e altri che hanno dovuto smettere di correre per problemi cardiaci (corridori che hanno smesso di correre per miocarditi ci sono sempre stati, anche prima del Covid, ndr).

In azione al Palio del Recioto, Masciarelli corre con la Colpack da quest’anno (photors.it)
In azione al Palio del Recioto, Masciarelli corre con la Colpack da quest’anno (photors.it)
Alla fine bisognerà ringraziare la sorte per l’incidente in quella rotatoria?

Probabilmente sì. E poi bisogna ringraziare i medici dell’ospedale di Chieti, che sono stati bravissimi a farmi tutti quegli esami.

Per quanto tempo ancora dovrai restare in ospedale?

Fino a venerdì, per fare la risonanza magnetica al cuore. Adesso sono collegato a un holter per registrare i battiti e in base a quello vedranno se posso tornare a casa o converrà aspettare qui fino a venerdì.

Garofoli e quell’allenamento shock per ripartire

27.07.2022
6 min
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Finalmente sta per arrivare il momento di Gianmarco Garofoli. Il giovane ragazzo dell’Astana Qazaqstan Development Team dopo lo stop impostogli da un problema al cuore sta per ripartire. Anzi, in realtà il marchigiano è già ripartito.

Manca la ciliegina sulla torta che, incrociando le dita, dovrebbe arrivare giovedì prossimo. Domani in pratica, quando farà la Tac definitiva che scioglierà ogni dubbio. Poi potremmo riabbracciare questo talento cristallino.

Il giorno della ripresa shock. Da sotto la maglia intima spunta l’holter
Il giorno della ripresa shock. Da sotto la maglia intima spunta l’holter

Allenamento shock

Ma andiamo con ordine. L’ultima volta che lo avevamo sentito, Garofoli ci aveva parlato del “suo Giro d’Italia U23” sfumato. Stava bene, poteva tranquillamente essere uno dei protagonisti, specie dopo la dimostrazione di forza e di classe verso Cervinia al Valle d’Aosta dell’anno scorso. Era partito alla grande con il Tour of Oman e altre corse con atleti di spicco. Poi il malore che lo ha costretto al fermo.

«Ho ripreso il 7 luglio – racconta Garofoli – e come ho ripreso! In pratica in accordo con il dottor Corsetti, che mi aveva messo l’holter, dovevo fare un’uscita con cinque salite “a tutta”. Era un test. Calcolate che io non toccavo la bici da quel famoso 27 marzo. E quando dico che non la toccavo, intendo zero assoluto. Neanche mezzo giretto in giardino».

Quel giorno Garofoli era contento come un bambino. Era anche emozionato se vogliamo.

«E’ stato un bel momento – racconta Gianmarco – avevo i brividi e la pelle d’oca sulle braccia. Però ero anche un po’ teso. Visto l’allenamento che dovevo fare, ho chiesto a mia mamma di seguirmi. Perché non sarebbe successo niente, ma se avessi avuto bisogno di soccorso… ci sarebbe stato qualcuno.

«Inizio così queste salite, di circa 3 chilometri l’una. Dopo la prima ero sfinito, avevo l’acido lattico ovunque. Dovevo farle a tutta. Scendo e risalgo. In cima alla terza scalata metto piede a terra. Avevo i sensi di vomito. In quel momento ho detto a mia madre: “Se non mi succede qualcosa oggi, non mi succede più”».

Si è trattato dunque di una ripresa shock: per testa, polmoni, cuore e muscoli.

«Ho davvero portato il mio fisico al limite. Non era un allenamento banale. Quando sono rientrato ho scritto al dottor Corsetti dicendogli che avevo fatto quanto detto. E lui mi ha risposto: “E hai ancora la forza per scrivermi?”».

In questa fase di stop, Garofoli si è goduto anche il mare, non distante da casa sua (foto Instagram)
In questa fase di stop, Garofoli si è goduto anche il mare, non distante da casa sua (foto Instagram)

Con calma….

Questa uscita però ha spalancato le porte verso un Garofoli nuovo. La testa era quella della primavera, quella del corridore, ma le gambe no. A questa folle uscita, nel pomeriggio sono seguite le visite mediche. E i parametri erano okay.

«Dopo quel giorno ho ripreso con molta calma – continua Garofoli – facevo un’uscita di un’oretta al giorno. Ma davvero blanda: 25 chilometri e tutti in pianura. Poi sempre di più. Dopo tre settimane sono arrivato a fare anche tre ore e mezzo, ma sempre in modo tranquillo. Però sento che le sensazioni migliorano. Riesco a fare tutti i miei giri.

«Se domani il responso sarà okay e potrò iniziare a fare qualche allenamento più serio – prosegue – voglio subito andare in montagna: Livigno o Passo San Pellegrino. Ci voglio andare non tanto per fare dell’altura, ma per sfuggire al caldo record di questi giorni. E poi – aggiunge Garofoli – perché magari per settembre riesco a fare qualche garetta».

Orlando Maini è il suo direttore sportivo. Presto Garofoli, il coach Mazzoleni e lui si riuniranno per fare il programma di rientro
Maini è il suo direttore sportivo. Presto Garofoli, il coach Mazzoleni e lui si riuniranno per fare il programma

Maini sull’attenti

L’Astana non gli mette pressione e Gianmarco lo sa bene. Anzi, Orlando Maini, il suo diesse di riferimento, ci ha confidato che gli avrebbe guardato i files da remoto e che se avesse fatto un solo metro in più del previsto, se lo sarebbe mangiato. «Gianmarco ha 20 anni e non deve avere fretta», ci diceva il “vecchio Maio”.

Ma intanto Garofoli scalpita. «Ogni tanto Orlando mi ha scritto. Mi ha detto che dovevo andare piano, piano. Pianissimo… Ma io non vedo l’ora di ricominciare.

«Non credo che a settembre ci saranno dei problemi, però se dovessi ritardare di una settimana il mio rientro, non sarebbe un problema, anche perché non vorrei andare in corsa per fare ultimo. Sin qui non abbiamo parlato di calendari o tabelle, tutto dipenderà da domani. Ma entro fine stagione qualche gara la faccio. Sicuro!».

Garofoli impegnato in palestra. Il marchigiano ha ripreso da zero chiaramente
Garofoli impegnato in palestra. Il marchigiano ha ripreso da zero chiaramente

Momento di crescita

Che Gianmarco Garofoli abbia una marcia in più non lo si è visto solo dalle gare. In questi mesi ha anche fatto altro, come andare al lavoro con il papà nell’azienda di famiglia (di infissi e mobili). E anche in questo caso non è stato tempo perso. O quantomeno una cosa fine a se stessa.

«Mi sono reso conto – dice Garofoli – che mi mancava qualcosa e così ho maturato la decisione di iscrivermi all’università. Ho fatto domanda alla Luiss, a Roma, per la facoltà di Economia Business. E’ in inglese e c’è la formula per poter seguire il corso come atleta. Adesso aspetto che diano conferma della mia domanda».

«Ho lavorato su me stesso in questo periodo e ho pensato molto a cosa poteva essere il mio futuro, a prescindere dal ciclismo. Ho ricalibrato i miei obiettivi. Mi sono concentrato sulle cose cui nel flusso della vita non hai tempo di pensare. Insomma, ho 20 anni e non so come ci sono arrivato!

«E ho fatto anche cose più semplici come andare ad un concerto, uscire con gli amici o farmene di nuovi… Cose che altrimenti non avrei fatto. Io non sono uno che si piange addosso e cerco di guardare sempre il bicchiere mezzo pieno».

Lo scorso anno nonostante fosse al debutto nella categoria U23, Garofoli ha fatto il Giro U23, il Valle d’Aosta e l’Avenir (in foto)
Lo scorso anno nonostante fosse al debutto nella categoria U23, Garofoli ha fatto il Giro U23, il Valle d’Aosta e l’Avenir (in foto)

E le corse?

Come accennato, avevamo ascoltato Gianmarco prima del Giro U23: ma lui ha seguito le gare? Cosa pensa dei suoi avversari? 

«Un po’ le ho seguite, ma non tantissimo – ammette Garofoli – perché sì, sono stato contento di aver visto dei miei amici andare molto forte, ma un po’…. “ho rosicato”! Pensavo che ci sarei potuto essere io al loro posto. E quindi le ho seguite il giusto. Ma l’occhio mi ci cadeva.

«Che dire, sono stato contento che abbia vinto Hayter al Giro d’Italia. Leo è proprio un amico, amico… Pensate che è stato un mese a casa mia lo scorso anno. E anche Lorenzo Germani è andato fortissimo, ha vinto l’italiano. Anche lui è venuto a trovarmi per qualche giorno».

Garofoli, la miocardite, gli esami e le difficoltà dei medici

13.04.2022
5 min
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Con il cuore non si scherza e mai come in questo periodo ce ne stiamo rendendo conto. Quello che sta succedendo non è normale e forse alla fine l’atteggiamento più onesto è ammettere che le conseguenze del Covid sulle carriere degli atleti sono ancora da studiare. E’ quello che si capisce alla fine del confronto con Emilio Magni, medico della Astana Qazaqstan Team e sin dall’inizio nel gruppo ristretto di Vincenzo Nibali, che nel ciclismo c’è dalla fine degli anni 90. Con lui abbiamo parlato della miocardite.

Il miocardio è la componente muscolare del cuore: la sua infiammazione può avere gravi conseguenze (foto Newence)
Il miocardio è la componente muscolare del cuore: la sua infiammazione può avere gravi conseguenze (foto Newence)

Il caso Garofoli

Lo spunto per questo approfondimento è stata infatti la diagnosi che ha fermato per tre mesi Gianmarco Garofoli, corridore marchigiano della continental kazaka. Lo avevamo incontrato alla Coppi e Bartali, trovandolo ambizioso e in forma. Eppure dopo pochi giorni, mentre correva l’internazionale di San Vendemiano, il problema è venuto a galla.

«Garofoli – conferma Magni – è stato poco bene a San Vendemiano. Alla Coppi e Bartali era brillantissimo, si è fermato dopo tre tappe perché così era previsto, dovendo poi correre in Veneto con gli under 23. Eppure in quei pochi giorni è stato bene accanto a Vincenzo, cedendo soltanto nel finale della tappa di San Marino. A San Vendemiano invece, mentre faceva uno sforzo importante anche se non massimale, ha avvertito difficoltà respiratoria e ha dovuto mollare. Alla fine stava anche bene, tanto che fra le svariate volte che ci siamo sentiti quella sera, l’ultima era al ristorante con i genitori sulla via di casa. In ogni caso gli ho consigliato un controllo cardiologico per il giorno dopo. E siccome il suo medico non c’era, è andato dritto in ospedale e dai vari esami è venuta fuori l’infiammazione del miocardio».

Con questa immagine su Instagram Garofoli ha comunicato ai suoi tifosi di stare bene, ma di doversi fermare per tre mesi
Con questa foto su Instagram Garofoli ha comunicato ai tifosi lo stop di tre mesi

Il miocardio è la componente muscolare del cuore, ne compone le pareti e lo fa funzionare come una pompa. E’ composto per il 70% da fibre muscolari, mentre il restante 30% è costituito principalmente da tessuto connettivo e da vasi. La miocardite è la sua infiammazione.

Di cosa si tratta?

La miocardite è un quadro clinico datato nel tempo, non la scopriamo ora. E’ sempre un bruttissimo cliente, che si può manifestare all’improvviso. Essendo il Covid un virus aggressivo, il cuore è diventato il suo organo bersaglio favorito. Quando si parla di miocardite, si accende la spia rossa per chiunque, ma soprattutto per gli atleti. E’ uno dei motivi per cui per riprendere dopo il Covid c’è da mettere in atto il protocollo Return to Play, che prevede anche vari controlli del cuore.

Quindi permette di rintracciare anche la miocardite?

No, perché se non si manifesta in modo particolarmente grave, non viene evidenziata dall’ecocardiogramma. Per scoprirla serve una risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto, che non rientra fra gli esami di routine. Non può essere un esame di screening primario (a questo punto ci chiediamo se non sia il caso di introdurla invece nel protocollo di esami per il ritorno alle gare, ndr).

Il solo modo per diagnosticare la miocardite è una risonanza magnetica cardiaca con contrasto (foto GVM)
Il solo modo per diagnosticare la miocardite è una risonanza magnetica cardiaca con contrasto (foto GVM)
Quindi ci si deve affidare ai sintomi?

Che di solito sono la difficoltà respiratoria, che è la sensazione più sgradevole. A volte un po’ di palpitazione. Oppure un senso generale di affaticamento, che però rientra anche tra i sintomi del post influenza, per cui è difficile rintracciarla.

Una volta trovata, scatta il riposo obbligatorio?

Tre mesi, come per Garofoli. Non bisogna sottoporre il cuore a sforzi. Non servono antibiotici, perché si tratta di un virus e non di una comune infiammazione. Semmai si danno antinfiammatori. Dire se tre mesi sia il tempo giusto è complicato. In molti casi magari è un eccesso di prudenza, forse quando sapremo di più del Covid e delle sue conseguenze, magari basterà meno. Ad ora è tutto molto nuovo.

Durante i tre mesi si fanno altri esami?

No, il protocollo è ripeterli dopo tre mesi per valutare se i segni dell’infiammazione sono ancora presenti. Se non ci sono, allora riparti con carichi graduali, fino al momento in cui puoi tornare a lavorare come un professionista. Non si fanno esami prima, perché di certo dopo un mese non vedresti miglioramenti. E poi dare tre mesi serve anche per ridurre l’ansia nell’atleta, che altrimenti sarebbe sempre con la testa a voler bruciare le tappe.

Il dottor Magni è nel ciclismo dal 1996. Fa parte da 16 anni del gruppo di lavoro di Nibali
Il dottor Magni è nel ciclismo dal 1996. Fa parte da 16 anni del gruppo di lavoro di Nibali
Questo problema riguarda tutti, anche il cicloturista che dopo il Covid si rimette a macinare chilometri?

Certamente, con tutta la difficoltà del caso nel riconoscere i sintomi. Per cui non vorrei che passasse il messaggio che siamo tutti a rischio. L’affaticamento nel fare le cose o il fiato corto appartengono anche a una normale convalescenza.

Ecco, appunto. Che cosa si prova da medico nel non riuscire a fare distinzioni e diagnosi subito esatte?

Sono situazioni che ci mettono in grande difficoltà. Il Covid è una bestiaccia, perché non esiste una casistica ancora completa, non c’è letteratura medica. E le continue mutazioni non rendono certo le cose più facili.