Venturelli archivia la strada e passa in modalità cross

05.10.2022
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Il ciclismo italiano ha voglia e bisogno di Federica Venturelli. Probabilmente è il prezzo del talento e della capacità di andare forte su qualsiasi bici le diano. La cremonese è già in modalità ciclocross (in apertura un’immagine della scorsa stagione), dove Pontoni non fa mistero di aspettarla. Ha concluso la stagione su strada con la maledetta caduta prima del mondiale e in precedenza aveva vinto l’oro nello scratch agli europei juniores e l’oro nell’inseguimento ai mondiali. A 17 anni le energie sono relativamente inesauribili, mentre la maturità della ragazza nel raccontarsi fa capire quale grande scuola di vita sia il ciclismo.

L’ultima immagine che abbiamo negli occhi di Federica è la sua camminata lungo il corridoio dell’hotel, ancora zoppicando dopo la gara su strada.

Wollongong, giorno della crono. Dolore sul volto di Venturelli che prova sui rulli
Wollongong, giorno della crono. Dolore sul volto di Venturelli che prova sui rulli
Com’è stato il ritorno dal mondiale?

Ma sì, abbastanza tranquillo. Il viaggio è stato lungo e ho avuto un po’ di fastidio ancora alle ferite, che non erano ancora del tutto a posto. Però, tutto sommato è stato ricompensato dall’esperienza che ho fatto nelle due settimane precedenti.

Hai fatto pace con quello che è successo, te ne sei fatta una ragione?

Si, certo, sono cose che possono capitare nello sport e non si può sempre avere fortuna. E’ una cosa che bisogna accettare.

Era la prima volta che ti capitava una prova del genere?

Diciamo che una caduta appena prima di una gara importante, in particolare di un mondiale, non mi era mai capitata. Però comunque è già capitato di arrivare a gare abbastanza importanti non nella condizione migliore, quello sì. Comunque ho sempre cercato di dare il meglio e portare a casa un’esperienza.

Dopo la crono, Venturelli ha partecipato anche alla prova in linea, chiudendo così la stagione della strada
Dopo la crono, Venturelli ha partecipato anche alla prova in linea, chiudendo così la stagione della strada
Pontoni ti aspetta con grandi speranze.

Ho iniziato nel weekend ad ambientarmi sulla bici da ciclocross, che mi era appena arrivata. Da questa settimana inizierò le gare, già il prossimo weekend in Spagna. Quindi non staccherò dopo il mondiale su strada, anche se avevo già fatto un periodo di riposo ad agosto. E poi a questo erano seguiti anche tre stop per malattia e quindi altro riposo, sia non forzato che forzato. Diciamo che ne ho già fatto abbastanza (sorride, ndr). Poi, dato che c’è un periodo abbastanza tranquillo dopo gli europei di cross, avrò un po’ di tempo per staccare ancora.

Come si vive il fatto che tutti aspettino la Venturelli?

Bè, alla fine io la vivo abbastanza bene, senza pressioni. Anche perché comunque nella nazionale sia di strada che di ciclocross, si tiene al risultato, però non ci mettono alcuna pressione. Questo mi fa vivere bene le esperienze che faccio. E anche se so che magari posso fare bene, comunque rimango rilassata e cerco di rendere al meglio.

Lunedì mattina, con la Ciabocco prima dell’allenamento in cui Venturelli cadrà
Lunedì mattina, con la Ciabocco prima dell’allenamento in cui Venturelli cadrà
Le pressioni te le metti anche da sola?

In realtà dal mio punto di vista, penso che le pressioni più grandi me le metta da sola. Soprattutto nelle gare nazionali, dove so che posso fare bene e tutti si aspettano qualcosa da me. Invece nelle gare internazionali, comunque con avversarie più forti, forse mi sento meno sotto osservazione, perché so che ci sono più possibilità che le cose non vadano bene.

Strada, pista, cross, cosa c’è in ciascuna che ti piace?

Di base mi piace la bici. Ogni disciplina ha qualcosa di speciale e che mi rende desiderosa di praticarla. La strada mi piace molto, soprattutto per le salite. Le gare piatte sono quelle che meno mi piace, perché sono parecchio noiose e nervose. Il gruppo mi mette anche un po’ di paura. Invece le salite rendono la gara più movimentata e fanno emergere davvero chi è più forte. La cronometro mi piace perché è una gara dentro se stessi, non si corre tanto contro gli altri, quanto appunto contro la propria voglia di migliorare e le pressioni psicologiche che ci si mette da soli.

Ai mondiali di Tel Aviv, oro nell’inseguimento e argento nel quartetto (foto Gilad Kavalerchik)
Ai mondiali di Tel Aviv, oro nell’inseguimento e argento nel quartetto (foto Gilad Kavalerchik)
E il cross?

Secondo me è la disciplina più divertente, perché comunque il fango, le varie condizioni atmosferiche, i percorsi sempre diversi la rendono quella più variabile. Invece la pista mi piace molto da vedere, perché guardando una gara di strada ci si perde tanto, mentre in pista si può sempre vedere tutto. E’ forse la disciplina che mi trasmette più sentimenti perché c’è una maggiore carica di adrenalina che si fa sentire.

Si comincia ad andare all’estero anche fra ragazze, vedi Barale e poi Ciabocco. E’ qualcosa che per il futuro potresti valutare?

Sicuramente non per il prossimo anno, perché avrò ancora la scuola e punto a fare la maturità al meglio. Preferisco concentrarmi ancora sullo studio, soprattutto per il prossimo anno, mentre per il futuro non so ancora niente, vedremo come evolverà la situazione.

Alle radici di Marta Cavalli, parlando con il padre

24.04.2022
7 min
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Se non fosse stato chiaro dopo l’Amstel, la vittoria di Marta Cavalli alla Freccia Vallone ha acceso un riflettore potentissimo sulla ragazza di Cremona. Se infatti la prima volta ha vinto usando la testa, sul Muro d’Huy ha ragionato e atteso fino all’ultimo, poi ha riversato nei pedali la forza che ha piegato la rocciosa Van Vleuten. Non tante atlete possono dire di esserci riuscite.

In quarta elementare

Da dove viene Marta Cavalli? Sappiamo della trafila completa con la maglia della Valcar, ma cosa c’è prima? Sapevamo che suo padre Alberto per qualche anno avesse oragnizzato delle corse e da lui siamo partiti per andare all’origine della campionessa della FDJ Nouvelle Aquitaine Futuroscope. Appuntamento alle 9 del mattino, prima che il lavoro in azienda lo sommerga.

«D’accordo con Valentino Villa – racconta – avevamo messo insieme la Freccia Rosa, una challenge di tre corse in cui la maglia di classifica aveva i colori della Valcar. Villa ci metteva i premi, davanti al primo sbocciare del ciclismo femminile. Però Marta aveva cominciato prima. In terza, quarta elementare, cominciò a dire di voler correre, anche se io cercavo di scoraggiarla».

Arriva la bici

Alberto ha giocato a calcio, poi si è appassionato alla bici, correndo da amatore. Bici in casa non sono mai mancate, per cui era prevedibile che la figlia si innamorasse dello sport del padre. Che invece faceva di tutto per sconsigliarla.

«Le dicevo – sorride – che le soddisfazioni sono poche, che è più facile perdere che vincere. Ho cercato di indirizzarla altrove. Finché un giorno tornò a casa annunciando che il suo amico Cristian correva in bici e lei avrebbe voluto fare come lui. Faceva ormai la quinta e visto che conoscevo la Gloria Guarnieri di Cremona, la portai a provare. Cominciammo il martedì e giovedì, facendo piccoli passi. Quando un figlio comincia a correre, la famiglia viene tirata dentro, soprattutto nei primi anni. Sentivo direttori sportivi dire che i genitori dovessero starne fuori, ma da quando Marta ha cominciato, io ho smesso di correre e 3-4 volte a settimana mi dedicavo a lei. Avere la famiglia alle spalle è tanta roba. Nei momenti belli non lo capisci, in quelli storti fa la differenza».

Fra i giovanissimi, già ben determinata e vincente
Nei giovanissimi, già ben determinata e vincente

Se Marta pianta il chiodo

Marta è un tondino d’acciaio. La guardi negli occhi e riconosci una determinazione pazzesca. E’ orgogliosa. E la bicicletta non ha fatto altro che amplificarne le doti del carattere.

«Pedalare insieme – prosegue Alberto – non ha aggiunto molto alla mia conoscenza di Marta. La nostra famiglia è molto unita. Siamo insieme a colazione, pranzo e cena. Siamo sempre presenti, può capitare che il lavoro ci costringa a qualche assenza, ma i figli li abbiamo cresciuti noi per il 90 per cento del tempo. Mia moglie lavora part time proprio per questo.

«Uscendo con lei in bici, ho visto lo stesso carattere che ha sempre messo nelle sue passioni. La conosco molto bene. E’ una che, se pianta il chiodo, poi è quello! E’ consapevole di quel che può fare e questi risultati aumenteranno la convinzione. Non è semplice attaccare certe campionesse, ci vuole un bel coraggio…».

FDJ, un progetto di crescita

Da esordiente alla Valcar e con la Valcar è cresciuta. Poi quando è stato il momento ha spiccato il volo. Si può capire che certe partenze, come quella più recente di Elisa Balsamo, siano ferite per la squadra di Villa, ma al contempo se ne può essere fieri. Le parole di Marta su cosa significhi correre in una squadra estera fa riflettere sulla difficoltà di un trasferimento a 22 anni.

«Quando si è fatta avanti la FDJ – riflette papà Cavalli – abbiamo voluto capire se fossero davvero interessati. Bisognava decidere se fare il salto o rimanere. Con la Valcar-Travel&Service c’erano e ci sono ancora ottimi rapporti. Il secondo che mi ha scritto quando Marta ha vinto l’Amstel è stato Valentino Villa. Così prima abbiamo valutato il progetto. Poi abbiamo fatto un consulto di famiglia, dopo esserci sentiti con il suo procuratore (Fabio Perego, ndr). Si è fatto un ragionamento globale nell’ottica di un’evoluzione nella crescita di Marta. Abbiamo messo sul piatto il discorso economico, ma soprattutto il progetto. Non sarebbe partita per fare numero. Abbiamo deciso insieme e alla fine è andata in Francia».

La Coppa Rosa

Lo ha detto chiaro Cassani nei giorni scorsi: per arrivare in cima alla scalinata serve salire un gradino per volta. Perciò se tanti si sono meravigliati dei risultati di Marta, chi l’ha vissuta più da vicino era lì ad aspettarli, certo che sarebbero venuti.

«Ci sono stati passaggi importanti nella sua carriera – ricorda il padre – il primo di tutti la vittoria della Coppa Rosa a Borgo Valsugana. Lì ha capito di poter fare di più. Purtroppo ebbe quell’incidente nel 2016, cadendo a Montichiari. Rimase quasi per un mese in ospedale a Brescia e poi ferma per altri sei, con il rischio che le asportassero un rene. Però ripartì cocciuta come al solito e tornò a Montichiari per vincere il titolo italiano dell’inseguimento. Ve l’ho detto, aveva piantato il chiodo. E anche l’anno dopo, passando fra le elite e correndo contro i mostri, riuscì a centrare due vittorie. E nel 2018, con il campionato italiano, capì che era la sua strada. Adesso a certi passaggi non ci si pensa più, si guarda solo in avanti».

Dopo le vittorie di Amstel e Freccia e nel giorno in cui si corre la Liegi, andiamo alle origini di Marta Cavalli, parlando con suo padre Alberto
Eccola nel 2013 con Marianne Vos, iridata e all’apice della sua fama
Nel 2013 con Marianne Vos, iridata e all’apice della sua fama

In ginocchio sul pavimento

Il giorno in cui Marta ha vinto l’Amstel, in casa Cavalli c’erano solo tre persone. Alberto, sua moglie Romina e Irene la figlia più piccola.

«Non siamo gente da bar – sorride – anche perché durante le corse a volte do in escandescenze ed è meglio che rimanga tutto tra le mura di casa. Quando hanno iniziato il Cauberg, mi sono messo in ginocchio sul pavimento. Ero consapevole che avesse quella forza, tutto stava arrivare a quel punto per dare la stoccata. Appena ho visto che aveva preso 30-40 metri, ho detto: “Ci siamo!”. Ha vinto da finisseur, sapevo che avrebbe tenuto. La volata non sarebbe stata così sicura, anche se è cresciuta con il mito di Cavendish. Non perché fosse o volesse diventare una velocista, ma perché Cavendish era il fuoco sotto la paglia. Vedendo quelle volate, si esaltava. Quando faceva il quartetto era più veloce, aveva più massa e abitudine. Poi si è specializzata su strada. E adesso quando usciamo in bicicletta insieme, in pianura se lo scorda di staccarmi. Ma appena inizia la salita, le dico: “Figlia mia, aspettami in cima oppure tornami incontro”. E lei fa così. Arriva su e poi gira e la finiamo insieme…».

I pistard della Arvedi Cycling pronti a vincere anche su strada

11.02.2022
4 min
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La filosofia della Arvedi Cycling per il 2022 è chiara ma non scontata. La formazione elite/U23, che ha una forte vocazione per l’attività all’interno dei velodromi, vuole continuare ad affermarsi anche su strada.

Dal 2019, anno della sua nascita, la squadra che ha sede a Cremona si era ritagliata subito uno spazio nel panorama dilettantistico. Nelle ultime due stagioni aveva unito le forze con la Biesse-Carrera (nel 2020 con lo status di team continental). Da quest’anno però sono tornate ad essere due realtà separate.

Il roster della Arvedi Cycling non è numeroso ma qualitativamente attrezzato. Sarà una formazione di nicchia, formata da 9 atleti e guidata dai diesse Massimo Casadei e Giovanni Pedretti.

Su tutti spicca l’oro olimpico e mondiale nell’inseguimento a squadre Francesco Lamon. Poi ancora gli altri azzurri Michele Scartezzini, Stefano Moro, Mattia Pinazzi e Niccolò Galli. Tutti e cinque sono stabilmente nel giro del cittì Marco Villa e nel mirino hanno Parigi 2024. Gli altri quattro sono Michael Cattani, Lino Colosio, Alessandro Sala e Andrea Violato. Tutti provenienti dagli junior e che hanno già un curriculum importante su pista.

Per conoscere meglio i loro programmi abbiamo sentito il presidente e team manager Massimo Rabbaglio, cremasco diventato bresciano d’adozione e da tanti anni immerso nel mondo ciclistico.

Il presidente Rabbaglio con Lamon e la sua medaglia d’oro
Il presidente Rabbaglio con Lamon e la sua medaglia d’oro
Partiamo dalla divisione con la Biesse Carrera. Quali sono stati i motivi?

Essenzialmente due. Volevamo farlo già nel 2021 ma non eravamo ancora pronti. La prima è una ragione tecnica. Era diventato difficile gestire i due gruppi. Noi legati principalmente alla pista, loro alla strada. Il secondo motivo è di carattere commerciale. Le aziende Biesse e Carrera hanno lo stesso proprietario e volevano rilanciare il marchio delle bici mentre abbiamo usato da sempre Pinarello. Non era possibile, c’era un conflitto di interessi. Abbiamo preferito prendere due strade diverse. Con loro è rimasto un ottimo rapporto, ci confrontiamo ancora assieme su certi temi.

Siete una sorta di succursale della nazionale italiana della pista.

E’ vero. Siamo una società che ha sposato la linea guida di Villa. Abbiamo sempre scelto ragazzi con predisposizione alla pista che tuttavia potevano lavorare bene su strada e viceversa. Ritengo che sia stata una scelta che ha ripagato. Al di là delle vittorie conquistate, siamo soddisfatti anche di aver portato al professionismo Attilio Viviani. Siamo contenti di aver avuto, negli ultimi due anni, altri attuali pro’ come Conca e Colleoni.

L’Arvedi Cycling in allenamento questo inverno
L’Arvedi Cycling in allenamento questo inverno
Che obiettivi avete quest’anno?

Abbiamo una squadra composta da gente esperta e da quattro giovani al primo anno. Questi ultimi sono tutti da scoprire anche se conosciamo bene i loro risultati nelle categorie precedenti. Dobbiamo verificare quali siano le loro possibilità di crescita. Se Lamon, Scartezzini e Moro, che fanno parte delle Fiamme Azzurre, correranno su strada solo per tenersi allenati in vista degli appuntamenti su pista, posso dire che i due capitani saranno Pinazzi e Galli. Stanno crescendo bene. Con loro c’è un percorso legato sia col cittì Villa che col cittì Amadori.

Siete una squadra di velocisti. Che tipo di calendario farete su strada?

Faremo gare adatte a loro, sia nazionali che internazionali. Non saranno limitate solo alle loro caratteristiche ma andremo a fare anche quelle più mosse e dure. Esordiamo alla San Geo che non è proprio piatta e facile sul profilo altimetrico. Queste corse più dure serviranno ai nostri ragazzi per fare esperienza e maturare ulteriormente. Abbiamo fatto la richiesta al Giro d’Italia U23 e non so se lo faremo ma mi piacerebbe che alcuni nostri atleti venissero scelti per la rappresentativa interregionale che parteciperà.

Il vostro progetto è supportato da sponsor e fornitori di rilievo. Su questo aspetto ha inciso il fatto di avere tanti atleti legati alla nazionale?

No. Ci tengo a dire che non sono andato dalla federazione per avere eventuali favoritismi. Anzi, forse siamo noi che aiutiamo loro avendo sposato questo programma della pista (sorride, ndr). Noi abbiamo sempre presentato i nostri piani alle aziende con cui abbiamo rapporti e loro decidevano se appoggiarci o meno. D’altronde molti nostri fornitori lo sono anche di altre squadre.

Nel 2021 Pinazzi ha vinto il tricolore dello scratch su Moro e Scartezzini (foto Aivlis/Silvia Colombo)
Nel 2021 Pinazzi ha vinto il tricolore dello scratch su Moro e Scartezzini (foto Aivlis/Silvia Colombo)
Da Arvedi avete un contributo importante che si radica nel vostro territorio.

Sì ed importante. Con questa azienda collaboro da 12 anni. Ho un rapporto sereno con loro. Abbiamo sempre fatto scelte razionali. Io proponevo, loro valutavano e poi avallavano le mie idee che più gli piacevano. Grazie a loro manteniamo la filiera con i giovanissimi del C.C. Cremonese e quest’anno avremo anche quattro esordienti e due allievi tesserati come Arvedi Cycling. Inoltre collaboriamo da anni anche con il settore giovanile della GB Junior. Se possibile vorrei chiudere aggiungendo un’ultima cosa…

Certo Massimo. Quale?

In questi anni abbiamo voluto coinvolgere alcuni dei nostri ex corridori. Quest’anno come secondo diesse c’è Giovanni Pedretti, cremonese doc che ha corso fino al 2019. Poi mi fa piacere che altri due bravi ragazzi come Michel Piccot ed Andrea Zanardini siano ora massaggiatori rispettivamente con Bardiani Csf Faizanè e Drone Hopper-Androni dopo aver fatto esperienza con noi. Certe attitudini non vanno sperperate e sono particolarmente orgoglioso di queste tre nuove carriere.

In punta dei piedi, nel mondo di Federica Venturelli

16.11.2021
4 min
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Un terzo posto in una prova di ciclocross di Coppa del mondo può essere un buon motivo per conoscere meglio chi l’ha conquistato? Certo, specialmente se parliamo di una junior al primo anno. Federica Venturelli – che compirà 17 anni il prossimo 12 gennaioha centrato il bronzo a Tabor, in Repubblica Ceca, destando un misto tra interesse e stupore. Interesse perché è una ragazza che da esordiente e allieva ha vinto tantissimo tra cui tricolori su strada, a crono, in pista e nel ciclocross. Stupore perché corre nella nuova categoria da un paio di mesi e forse nessuno si aspettava già così presto un podio in una gara internazionale.

Da quest’anno è passata alla Selle Italia-Guerciotti per il ciclocross mentre nel 2022 correrà su strada per il Team Gauss Fiorin. Approfondiamo meglio quindi il profilo di questa giovane atleta di San Bassano che frequenta la quarta classe (ha fatto la primina) al Liceo Scientifico Tradizionale “Aselli” di Cremona (che le ha dedicato una news sul sito della scuola per la convocazione agli europei in Olanda). 

Federica Venturelli è del 2005, frequenta il 4° Liceo Scientifico. In apertura, foto Billiani
Federica Venturelli è del 2005, frequenta il 4° Liceo Scientifico. In apertura, foto Billiani
Federica il podio in Coppa del mondo è un bel biglietto da visita. Te lo aspettavi?

Sinceramente no. Arrivavo da un infortunio. Mi ero sublussata la spalla sinistra e avevo fatto due settimane di stop. Ero rientrata a Corridonia, alla terza tappa del Giro d’Italia del ciclocross (il 24 ottobre, ndr). Ho ritrovato un po’ di condizione, ma non credevo di essere già così competitiva, soprattutto in una corsa internazionale. A Tabor sono partita dietro perché non avevo tanti punti e non pensavo di recuperare. Ma più andavo avanti, più rimontavo fino ad arrivare davanti.

Cosa ti ha dato questo terzo posto?

Un po’ più di consapevolezza e più esperienza. Con queste gare ci si rende conto di quanto il livello sia alto. E quindi anche di quanto devi migliorare.

Nel 2020 ha vinto i campionati italiani crono per allievi a Città di Castello (foto Instagram)
Nel 2020 ha vinto i campionati italiani crono per allievi a Città di Castello (foto Instagram)
Come mai corri nel ciclocross?

Non c’è un motivo vero. In realtà sono stata stimolata a provare questa disciplina quando avevo circa 12 anni, da G6. Vedevo le sfide tra Van Aert e Van der Poel e mi entusiasmavano. Ho voluto iniziare anch’io e mi è piaciuto.

Ed invece quando hai iniziato a correre?

Da G1 e G2 ho corso nella C.C. Cremonese 1891, poi da G3 a G6 nella Madignanese. Esordienti e allieve li ho fatti nella Cicli Fiorin, con cui correvo anche nel ciclocross. Faccio la doppia attività dall’ultimo anno da giovanissima e più seriamente da quello successivo.

Agli europei ha conquistato il sesto posto dopo una gara dispendiosa (foto Uec)
Agli europei ha conquistato il sesto posto dopo una gara dispendiosa (foto Uec)
Da questa stagione di ciclocross cosa ti aspetti?

Nelle gare open corro con ragazze più grandi e mi servono per fare esperienza ed imparare a gestirmi. Ho raggiunto un primo obiettivo, che è stato ricevere la convocazione per gli europei. Vorrei fare altrettanto per i mondiali di fine gennaio negli Stati Uniti. Poi chiaramente vorrei fare bene al campionato italiano di qualche settimana prima (7-9 gennaio, ndr).

E su strada invece?

Direi più o meno le stesse cose, fare bene agli italiani e partecipare a qualche gara internazionale, anche se in questo caso non ho obiettivi precisi. Vedrò strada facendo e lo deciderò col mio allenatore Daniele Fiorin, lo stesso che ho avuto da esordiente e allieva.

Nel 2022 correrà su strada per il Team Gauss Fiorin
Nel 2022 correrà su strada per il Team Gauss Fiorin
Quali sono le tue caratteristiche?

Eh, bella domanda! Passista sicuramente. Vado bene a crono e anche in salita mentre in volata sono un po’ incapace, lo ammetto. Ma non perché non sia veloce, quanto per la paura di stare in gruppo nelle fasi concitate dello sprint a ranghi compatti. Forse sono un po’ troppo prudente, forse è un blocco psicologico. E’ un aspetto sul quale lavorerò.

Nelle categorie giovanili hai vinto tanto e qualcuno dice che sei una predestinata. Forse è un po’ presto per dirlo. Tu come vivi questa situazione? Avverti della pressione attorno a te?

In realtà le uniche pressioni che sento sono quelle che mi faccio da sola. Ovvero di non riuscire a fare bene qualcosa in corsa. Una sorta di ansia pre-gara in quelle più importanti. Da una parte però mi fa bene perché mi mantiene concentrata. Quando poi inizio a pedalare passa tutto. Ormai mi sta passando, ma devo migliorare un po’ per evitare di consumare energie nervose. Ad esempio in nazionale in questi giorni non ne ho avute. Mi ha aiutato l’ambiente nuovo. Lì il gruppo è unito e il clima piacevole. 

Cavalli e Martinelli, come vi trovate con Training Peaks?

04.11.2021
5 min
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La globalizzazione del ciclismo passa anche dal perfezionismo e dalla cura di tanti aspetti. Cosa c’è dietro alle prestazioni dei corridori? Allenamento, certo, ma come viene sviluppato dall’atleta ed elaborato dai coach? La preparazione migliora grazie a certe applicazioni oppure queste ultime nascono perché lo richiede la preparazione stessa? Sembrano dubbi amletici, di sicuro alla base ci sono dei test, dei valori e tanta voglia di impegnarsi e fare fatica. Ed è così da una chiacchierata con Marta Cavalli e Davide Martinelli – incontrati a Cremona durante il Gran Premio Mamma e Papà Guerciotti di ciclocross – il discorso vira su Training Peaks. Ovvero una piattaforma utilizzata rispettivamente sia dalla 23enne della Fdj Nouvelle Aquitaine Futuroscope, dal 28enne della Astana-Premiertech e tanti altri corridori sia dai preparatori per impostare al meglio gli allenamenti in funzione delle gare.

Innanzitutto, da quanto tempo usate questa applicazione?

CAVALLI: «Ho iniziato quest’anno, da quando sono andata in Francia a correre. La mia squadra la utilizzava già da un paio di annate. Onestamente prima non la conoscevo anche se ne avevo già sentito parlare». 

MARTINELLI: «Dal 2016, da quando sono passato professionista nella Quick Step. Ed anche in Astana lo usiamo. La metà delle formazioni ce l’ha».

L’interfaccia di Training Peaks viaggi anche su mobile: ecco la situazione di riposo di Davide proprio oggi
L’interfaccia di Training Peaks viaggi anche su mobile: ecco la situazione di riposo di Davide proprio oggi
Ce ne parlate? Come funziona?

CAVALLI: «E’ una piattaforma in cui vengono caricati, come base, tutti i nostri dati e i valori espressi dai test. Successivamente ci carichiamo dentro tutti i dati degli allenamenti. Dopo di che, in base a tutti questi elementi, viene fatta la tabella di allenamento. Ma attenzione, non è mica un programma che elabora tutto magicamente. Manca la componente più importante».

MARTINELLI: «Su Training Peaks si possono caricare anche tutti gli allenamenti salvati in passato anche se, ad esempio, un corridore non lo utlizzava. Si può veramente creare un database, trovare tutto quanto. Si può vedere e capire, prendendo un periodo a caso, se in quel momento il corridore era in forma o meno. E’ eccezionale».

Marta, dicevi che manca una componente. Quella umana, giusto?

CAVALLI: «Esatto, quella del preparatore atletico per essere precisi. E’ lui che, incrociando i dati e considerando il calendario delle gare, compone le tabelle di allenamento. Ovviamente ci vuole un coach che conosca bene la piattaforma, però vedo che ormai tutti la sanno usare». 

MARTINELLI: «Concordo con Marta. Il ruolo del preparatore è chiaramente fondamentale per fare tutto. Ad esempio lavoro da tempo con Mazzoleni (il coach della Astana, ndr), c’è fiducia reciproca e talvolta modifico leggermente io la mia tabella in base a certe situazioni. Questo forse succede con corridori un po’ più esperti e che hanno un rapporto più profondo con i propri allenatori».

In sostanza cosa produce Training Peaks?

CAVALLI: «E’ uno strumento che ottimizza gli allenamenti e i vari periodi di lavoro. Da quelli di carico a quelli di scarico e recupero. Oppure ti evita l’overtraining. C’è un range entro il quale restare per sapere di essere in condizione. Più ci sono bilanciamento ed equilibrio, più sei vicino al picco di forma. Addirittura è possibile avere una stima di come andrai o come starai il giorno della gara. Però bisogna assolutamente dire che non è una piattaforma infallibile».

MARTINELLI: «In pratica lì dentro abbiamo tutte le nostre tabelle. Nel periodo di fondo, in preparazione alle corse, abbiamo il programma di lavoro dei prossimi 15/20 giorni. Mentre durante il periodo delle gare è limitato al massimo alla settimana perché subentrano altre variabile di cui tenere conto. Anche se molto precisa, qualcosa non viene sempre calcolato».

Sulla piattaforma vengono caricate le prestazioni in allenamento per impostare meglio la gara. Qui Cavalli al Giro d’Italia Donne
Sulla piattaforma vengono caricate le prestazioni in allenamento per impostare meglio la gara. Qui Cavalli al Giro d’Italia Donne
Perchè dite che non è infallibile?

CAVALLI: «Beh, non tiene conto delle sensazioni che abbiamo in gara o in allenamento. I dati di Training Peaks sono un ottimo riferimento su cui basare il proprio lavoro, ma alla fine i valori devono essere associati alle nostre sensazioni. Ad esempio quando i miei dati indicano che potrei essere stanca, io solitamente in gara vado bene e poi ancora meglio in quella successiva, specie se ravvicinata. E’ come se avessi bisogno di sbloccare il mio motore, in Francia lo chiamamo “déblocage”. Dobbiamo sì tenere sotto controllo i valori, ma anche ascoltare noi stessi».

MARTINELLI: «Le sensazioni sono quello che devi riferire al tuo preparatore, perché la piattaforma non può capirle o calcolarle. E torniamo al discorso che facevo del rapporto di fiducia che si ha con lui».

E come vi trovate? Si può rischiare di diventarne troppo dipendenti?

CAVALLI: «Mi trovo bene. E’ semplice da usare e non è condizionante negli allenamenti. Anzi, so cosa mi dice il mio corpo e col passare del tempo prendo sempre più le misure a questo modo di allenarsi. Certo, va detto che il ciclismo adesso è sempre più performante, già dalle prime gare sono tutti in formissima e quindi queste metodologie sono all’ordine del giorno.

MARTINELLI: «Benissimo, è uno strumento utile per preparare le gare che hai già fatto in passato, andando a ripescare nel famoso database i valori che avevi in quel periodo. A quel punto puoi ripeterli o modificare in modo o l’altro. Vi dirò che ormai i preparatori preferiscono vedere una ventina di allenamenti caricati, piuttosto che fare il classico test alla soglia che si fa solitamente. Sono più veritieri».

Training Peaks non riesce a leggere nelle sensazioni: per quelle si parla con il preparatore (foto Instagram)
Training Peaks non leggere le sensazioni: per quelle si parla con il preparatore (foto Instagram)
Marta quest’anno sei cresciuta ancora e sei stata tra le più costanti in termini di risultati.  Visto che utilizzi Training Peaks da un anno, quanto e in cosa ti ha cambiato?

CAVALLI: «Mi ha cambiato tanto, soprattutto in termini di gestione dello sforzo o dei periodi di carico e recupero. Ora che so meglio come mi devo allenare, devo curare qualche dettaglio per completare il mio processo di crescita. Ad esempio nel 2022 mi aiuterà a ritrovare un po’ di esplosività».

Davide tu invece che usi Training Peaks da tanto tempo che differenze hai trovato dal primo anno ad oggi?

MARTINELLI: «Direi che negli ultimi anni guardo di più tre aspetti. Le ore settimanali di allenamento. Poi il TSS (training stress score, ndr), ovvero il carico e l’intensità delle ore di allenamento. Chiaramente un’ora tranquilla non è uguale ad un’ora a tutta. E infatti per questo c’è un ulteriore range, che va da 30 a 100, per parametrare l’intensità di queste ore di allenamento. Infine il terzo aspetto è legato alla critical power, che per me è la chiave di tutto. Ossia vedere che wattaggio puoi tenere su determinati periodi di tempo. Da quello puoi capire se sei performante o meno. Ormai il ciclismo viene calcolato tutto in minuti. Una salita non è più di tot chilometri ma di tot minuti. E su quel tempo devi calcolare la tua prestazione in base ai watt. Il watt non mente mai». 

Guerciotti: dopo la gara, il punto della situazione

03.11.2021
6 min
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«Pensate che quando correvo io, partivamo in settanta e solo in 3-4 avevano una bici Guerciotti. A Cremona nella gara junior ho contato 74 partenti e ben 34 avevano una nostra bici. Quasi il cinquanta percento. Ecco, questo per me è motivo di grande soddisfazione».

Parole e musica di Paolo Guerciotti al termine del cerimoniale del Gran Premio Mamma e Papà Guerciotti di lunedì scorso, disputato per la prima volta al Parco del Po di Cremona. Già, quest’anno l’evento ha lasciato Milano e così l’area verde in riva al grande fiume è diventata la grande novità e contemporaneamente il quarto campo di gara della storia dopo il Parco Lambro, Parco Paini e l’Idroscalo.

Di Tano Mondiali
Vito Di Tano con la maglia iridata marcata Guerciotti. Il pugliese ha vinto il titolo mondiale nel 1979 e 1986
Di Tano Mondiali
Vito Di Tano con la maglia iridata marcata Guerciotti. Il pugliese ha vinto il mondiale nel 1979 e 1986

Parla il padre Paolo

Il tipico clima autunnale, condito da una pioggia divenuta sempre più battente, rende più suggestiva la giornata per chi del ciclocross fa la principale attività lavorativa ed organizzativa. Paolo Guerciotti, col figlio Alessandro poco, si trova a suo agio a parlare della propria gara sotto l’acquazzone, malgrado sia dovuto ricorrere a una protezione di fortuna per ripararsi meglio. 

Paolo fonda l’azienda di famiglia nel 1964 insieme al fratello Italo, partendo da un piccolo negozio di biciclette a Milano. Nel 1975 si allarga in una sede più adatta, incrementa la produzione di bici da corsa e da ciclocross. Due anni dopo nasce il Gs Guerciotti, la squadra ciclocrossistica.

Paolo nel frattempo riesce a partecipare in maglia azzurra al mondiale del 1979 a Saccolongo, nella pianura padovana, vinto da Vito Di Tano. Proprio colui che è stato il simbolo della formazione milanese per 13 stagioni e che l’anno prima aveva conquistato il primo Trofeo Guerciotti. Il resto è storia.

Paolo Guerciotti, come è andata la manifestazione?

Il bilancio è positivo. Aver spostato il Gran Premio Mamma e Papà Guerciotti a Cremona è stata una prova che abbiamo voluto fare e siamo molto soddisfatti. A Cremona abbiamo trovato gente disponibile in persone come Fulvio Feraboli e Marco Baccin (del Velo Club Cremonese, ndr) che hanno dei bei collaboratori. Per fare tutto questo lavoro hanno iniziato presto, pensate che Vito Di Tano ed un suo collega erano qui già da una settimana per tracciare e fettucciare il percorso. Tutte cose che per un evento come il nostro richiedono esperienza. C’è una bella area parcheggio per camper, perché ormai tutti i corridori si spostano così. Quando correvo io, cinquant’anni fa, mettevamo le bici sopra le auto, mentre ora non le usa quasi più nessuno. Sono organizzati diversamente, quindi giusto pensare anche a questo aspetto della logistica. 

E dal punto di vista della vostra squadra?

Abbiamo fatto un terzo posto con Gaia Realini nella prova femminile e poi la doppietta Dorigoni-Bertolini nella gara più importante (in apertura padre e figlio sono con Dorigoni, ndr). Questo primo e secondo ci volevano perché il giorno prima a Brugherio c’è stata un po’ di confusione a giochi quasi fatti, però sono cose che capitano. Due scivolate ai 200 metri ed è andata come sappiamo tutti. 

Quindi per la gara, appuntamento e testa già al 2022?

Dopo quarantadue gran premi, guardando l’albo d’oro, ho pensato: “Come sono vecchio!”. In realtà sono ben contento e anche mio figlio Alessandro è appassionato, sta facendo un gran lavoro in azienda. Per cui è una soddisfazione personale vedere il nome Guerciotti che va avanti nel tempo, sia con le bici sia con le organizzazioni delle gare. 

Risponde il figlio Alessandro

Alessandro Guerciotti, che dal 2000 è entrato in azienda proprio quando il marchio è sbarcato nuovamente tra i professionisti, completa il bilancio e spiega che a Milano mancava uno staff che potesse aiutarli ad organizzare, cosa che invece hanno trovato a Cremona. Così hanno cambiato scenari…

Un po’ colore e un po’ banda di amici, nel 2016 li guidano Arzuffi e Dorigoni
Un po’ colore e un po’ banda di amici, nel 2016 li guidano Arzuffi e Dorigoni
Per questo vi siete spostati?

Per organizzare gare di alto livello come le nostre serve sempre più avere un pool di sponsor e un gruppo di lavoro importante e imponente, specie attualmente con le normative anticovid che sono molto difficili. Sicuramente abbiamo trovato una location spettacolare. Il percorso è migliore rispetto all’Idroscalo, è più tecnico e in tanti lo hanno paragonato ad alcune corse del Belgio. Il clima tipicamente nordico ha reso tutto più impegnativo.

Tornerete nei prossimi anni?

L’obiettivo è rimanere. Abbiamo trovato un partner ottimo nel Velo Club Cremonese. Poi abbiamo avuto l’appoggio da parte dell’assessorato dello sport del Comune di Cremona che è stato fondamentale per organizzare una corsa di questo livello. Quello di quest’anno è stato un po’ un evento zero, vista la nuova location. Ma abbiamo già ricevuto dei complimenti da parte chi ha provato e corso su questo circuito. In futuro qui potremmo anche organizzare nuovamente un campionato italiano (già successo nel 1998, 2010 e 2019, ndr).

Sei il team manager anche della Selle Italia Guerciotti…

Abbiamo una squadra, la più storica del ciclocross italiano, con elementi importanti come Dorigoni, Bertolini e Realini, che saranno senz’altro protagonisti della stagione sia nazionale che internazionale.

Gaia Realini è la punta di diamante del team per questa stagione
Gaia Realini è la punta di diamante del team per questa stagione
Torniamo un attimo sulla questione Baroni. Vuoi aggiungere qualcosa?

Noi non recriminiamo nulla. Abbiamo fatto le nostre scelte, abbiamo Realini che è la giovane di maggior talento, che potrà portarci grandi risultati, anche internazionali. Francesca ha cambiato squadra. La ringraziamo per quello che ha fatto con noi vincendo due titoli italiani, ma guardiamo avanti.

Visto ciò che è successo, ti senti di dare un messaggio per evitare che in futuro possano verificarsi ancora casi del genere?

Dipende dagli accordi che ci sono tra le squadre. Con il Covid si sono allungate le stagioni su strada, creando quell’accavallamento che in passato non c’era. Noi di problemi non ne abbiamo mai avuti. E’ ovvio che ci debba essere una giusta comunicazione tra le squadra di cross, strada e mountain bike. Con le formazioni dei nostri atleti abbiamo ottime partnership, senza alcun problema. Tuttavia credo che le squadre su strada debbano capire che il ciclocross è importante e propedeutico. Oggi gli esempi di Van Aert, Pidcock e Van der Poel dimostrano che se uno ha talento può vincere da una parte e dall’altra. E che il dialogo è alla base di tutto.

Trofeo Guerciotti, nuova sede, diluvio e brindisi finale

01.11.2021
5 min
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Freddo, nebbia e pioggia. Tantissima, incessante. Terra, erba e fogliame che diventano fango. Insomma il clima ideale del ciclocross. E non poteva essere altrimenti per il battesimo nel Parco del Po a Cremona – per un giorno, con condizioni del genere, enclave del Belgio – del 42° Gran Premio Mamma e Papà Guerciotti.

Dopo tante edizioni all’Idroscalo di Milano, gli argini del grande fiume hanno fatto da cornice ad un evento atteso e che, nella nuova location, sperava di diventare ancora più importante. Ad anticipare le gare del pomeriggio – junior, donne e uomini elite – si è disputato al mattino il Memorial Baccin e Baraldi, riservato ai più giovani e agli amatori.

Ora la palla passa a Pontoni che dovrà fare le convocazioni per gli europei del prossimo weekend (foto Billiani)
Ora la palla passa a Pontoni che dovrà fare le convocazioni per gli europei del prossimo weekend (foto Billiani)

Paletti cresce

Tra gli junior si è imposto Luca Paletti (Team Paletti), figlio d’arte di Michele (ex pro’ di Ariostea e Mapei) che ha colto la sua quinta vittoria consecutiva in questo inizio di stagione di ciclocross, mentre tra le donne Silvia Persico (Fas Airport Service) ha superato Sara Casasola (Dp66 Giant Smp) e Gaia Realini (Selle Italia Guerciotti). Nella gara elite maschile doppietta della Selle Italia Guerciotti con Jakob Dorigoni ed il tricolore Gioele Bertolini (davanti a Filippo Fontana del CS Carabinieri) che così si riscattano dopo il loro patatrac del giorno prima a Brugherio (si erano ostacolati nel finale) che aveva favorito la vittoria di Davide Toneatti, oggi giunto quarto.

Gaia Realini, terza al Guerciotti dietro Silvia Persico e Sara Casasola, parla del cross, della strada e del suo futuro

Soddisfazione Persico

Al termine delle premiazioni abbiamo avvicinato Silvia Persico, reduce dal nono posto ottenuto sabato scorso in Belgio ad Overijse nella prova di Coppa del mondo (vinta dalla ungherese Blanka Vas).

«Sono soddisfatta – dice – perchè è la prima vittoria nel ciclocross. Volevo fare bene perché arrivo da un periodo con un buon colpo di pedale. Sono partita un po’ malino, ho cercato di prendere le prime posizioni fino a raggiungere la ruota di Sara Casasola, che nel frattempo aveva preso un po’ di margine. Quando l’ho recuperata ci siamo date dei cambi a tirare. A due giri dalla fine ho provato ad allungare da sola, ma sono rimasta bloccata da un problema meccanico. Sara mi ha ripassato e sono arrivata ai box correndo per cambiare bici. Mi sono rimessa al suo inseguimento fino a riprenderla nuovamente.

Il cross di Brugherio è stata una parentesi sfortunata per gli atleti del team Selle Italia-Guerciotti (foto Billiani)
Il cross di Brugherio è stata una parentesi sfortunata per gli atleti del team Selle Italia-Guerciotti (foto Billiani)

«Nelle ultime curve l’ho passata prima di fare lo sprint, anche se ero tranquilla perché sapevo che forse sarei stata un po’ più veloce di lei. Con il fango che si è creato, l’argine è diventato molto selettivo però io avevo già corso in questo parco in passato in una tappa del Trofeo Lombardia-Piemonte. E’ un circuito misto che richiama uno belga e anche quello dell’Idroscalo. Ora aspetto la convocazione ufficiale per l’europeo però spero di essermela guadagnata con la vittoria di oggi. Vorrei fare bene anche qui in Italia, in Val di Sole, il 12 dicembre nella prova di Coppa del mondo. Poi guarderò per un eventuale mondiale prima di iniziare a pensare alla strada».

Surplace Guerciotti

La doppietta della Selle Italia Guerciotti è figlia di ciò che era accaduto ventiquattro ore prima. Jakob Dorigoni negli ultimi cento metri rallenta, si volta indietro per vedere dov’è Gioele Bertolini e quasi fa surplace prima della linea per attenderlo. Il campione italiano arriva e trova la mano tesa del suo compagno per tagliare il traguardo assieme, mettendo a tacere i malumori del giorno prima. 

«A Brugherio – spiega Dorigoni – è stata una giornata sfortunata, con errori, non positiva. Noi cerchiamo sempre di dare spettacolo ed il meglio per la squadra, però non è andata bene. Qui a Cremona invece abbiamo cercato di aiutarci e quando Filippo Fontana ha commesso l’errore, io ho provato ad allungare un po’ per tirare il collo a tutti gli altri. Nel finale poi Gioele è partito e l’ho aspettato proprio negli ultimissimi metri per conquistare la vittoria a braccia alzate assieme. L’avrei lasciata molto volentieri a lui visto l’errore di ieri, ma l’importante che abbiamo vinto come squadra.

Sara Casasola si è arresa soltanto alla maggior potenza di Silvia Persico in volata
Sara Casasola si è arresa soltanto alla maggior potenza di Silvia Persico in volata

«Il percorso era piuttosto simile a quello tradizionale dell’Idroscalo, ci siamo divertiti sotto la pioggia. Certo, durante le prove e nel riscaldamento diventa tutto più difficile. Però facendo un’ora a tutta ci scaldiamo. Un meteo così fa la differenza nel pre-gara. Credo che sia io che Bertolini ci siamo guadagnati la convocazione per l’europeo ma è importante fare un passo alla volta e fare bene in campo internazionale».

A casa Deda Elementi, dove nascono le ruote

28.10.2021
4 min
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Come si monta una ruota, quando sul tavolo hai un cerchio, un mozzo, un fascio di raggi, qualche elastico, dei nipples e degli adesivi? Un viaggio curioso e... musicale su passaggi che permettono ogni giorno agli uomini di Deda Elementi di comporre le loro ruote super veloci e super efficienti.

Siete mai stati dal panettiere che ha appena sfornato il pane e vi frena dal tentativo di allungare le mani, perché è ancora caldo e non si può? Bene, alcuni giorni fa la sensazione nella sede di Deda Elementi è stata esattamente la stessa.

Avevamo davanti tutto il bello che finirà a breve sul banco. Abbiamo visto. Maneggiato. Fotografato. Parlato. Approfondito. Ma non abbiamo potuto offrirvelo. E così, in attesa di farlo, ci siamo intrufolati nel laboratorio al piano terra dove prendono forma le ruote. Mozzi. Raggi. Cerchi. Nipples. Elastici. E una serie di macchine che agevolano la vita di coloro che le ruote le montano ogni santo giorno.

Una gamma completa

La gamma di ruote Deda Elementi è completa e soddisfa le esigenze di ogni tipo di ciclista. Alluminio e carbonio, freni a disco e freni tradizionali.

Le Zero2DB tubeless-ready per chi cerca una soluzione in alluminio e leggera per l’allenamento quotidiano.

La serie SLDB in carbonio per freni a disco, con i modelli tubeless-ready SL30DB, SL45DB e SL62DB, ad altissime prestazioni di leggerezza o velocità in qualsiasi condizione.

La serie SL in carbonio dedicata per bici con freni tradizionali, che comprende i modelli tubeless-ready SL38C, SL48C e SL62C.

Queste sono le nuove ruote Gera Alloy, con la finitura Ghiaia, usate dalla Bardiani alla Serenissima Gravel
Queste sono le nuove ruote Gera Alloy, con la finitura Ghiaia, usate dalla Bardiani alla Serenissima Gravel

Per gara e gravel

E poi ci sono le ruote da gara, quelle che si riconoscono nel gruppo dei più forti. Modelli per tubolari sia in versione rim brake che disc brake. SL45 è adatto a tutti i tipi di gare e percorsi, la SL88 e la SLHero sono dedicate alle crono o al triathlon. Trenta2 è stata introdotta nel 2021 per il gravel: ruote in carbonio tubeless-ready che associano leggerezza e affidabilità per molteplici utilizzi. Di recente, ugualmente per il gravel, Deda ha lanciato le Gera Alloy, di cui vi abbiamo raccontato subito dopo la Serenissima gravel.

In questo video vi proponiamo le fasi di passaggio nel montaggio della ruota. In attesa di svelarvi la più grossa novità dell’azienda in tema di ruote in carbonio e soluzioni davvero strepitose in tema di mozzo, cerchio e raggi.

Cavalli, la testa a Nord, il cuore a Tokyo

12.02.2021
5 min
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Marta Cavalli non fa che sorridere e adesso inizia a rendersene conto anche lei. Da quando ha cominciato a vestirsi con i colori della FDJ Nouvelle Aquitaine Futuroscope il mondo ha cambiato colore.

«Me lo dicono tutti – dice, ovviamente col sorriso – che sembro di ottimo umore. Che quando parlo sprizzo entusiasmo, che nelle interviste sembro contenta e che rido anche nelle foto. Ma devo ammettere che ho trovato qualcosa che non mi aspettavo e che mi è piaciuto molto. Nulla che sia lasciato al caso. Organizzazione e pianificazione. Due settimane prima del ritiro, ho ricevuto via mail il piano di allenamento che avremmo svolto, in modo da lavorare con il mio allenatore a un avvicinamento che mi permettesse di arrivare pronta».

Nel ritiro sono state dedicate sessioni di lavoro alla cronosquadre (foto Thomas Maheux)
Nel ritiro tanto lavoro sulla cronosquadre (foto Thomas Maheux)

Debutto sui muri

Ventidue anni. Esperienza azzurra su strada e su pista con 6 titoli europei. Piazzamenti in classiche come la Freccia del Brabante (2ª nel 2019), la Gand-Wevelgem (5ª nel 2020) e Plouay (4ª nel 2019). Piazzamenti in corse a tappe impegnative (2ª al Giro delle Marche 2019). Seconda al campionato italiano 2020. Questo il suo curriculum su strada.

Il debutto avverrà in Belgio all’Omloop Het Nieuwsblad. Il piano originale prevedeva l’inizio in Spagna per arrivare alla Strade Bianche avendo già corso. Per lo stesso motivo, cancellato l’esordio iberico, la corsa belga servirà anche per avere un riscontro ai primi allenamenti, a capo di un inverno di grandi cambiamenti.

«Non avendo le gare di Coppa del mondo in pista – spiega Marta – ho staccato per tre settimane. Il 2020 è stato intenso e frenetico, recuperare mi ha fatto bene. Poi ho avuto due settimane di adattamento alla nuova tipologia di allenamento, con un preparatore che mi è stato consigliato dal team. La differenza più evidente è la pianificazione. Svolgo grossi blocchi di lavoro intervallati da una fase di recupero e per ora sto avendo buone sensazioni, in attesa del verdetto delle corse».

Un bel gruppo, che ha Cecile Ludwig come leader
Un bel gruppo, che ha Cecile Ludwig come leader

Per vincere

Il primo cerchio rosso sul calendario comprende le corse di aprile – Gand, Fiandre e Roubaix – le classiche che si addicono a lei e a Cecile Ludwig che è la leader riconosciuta della squadra. Su Marta il progetto è invece a lungo termine.

«Ho avuto finalmente l’occasione – spiega Cavalli – di confrontarmi con Stephen Delcourt, che è il team manager, e i direttori sportivi Maire e Barre. Mi hanno preso come una sfida. Sono giovane, ho ottenuto buoni piazzamenti e vogliono portarmi a un livello più alto. Per farlo hanno molto a cuore il benessere della persona, gliel’ho sentito dire più volte. Avrò accanto un preparatore di livello, uno staff al top, materiali adeguati. L’investimento darà i suoi frutti magari fra un anno, consapevoli che magari mi servirà un po’ di tempo per metabolizzare il cambiamento. Io farò del mio meglio per stare vicino a Cecile, ma se starò bene avrò anche io carta bianca. Hanno detto che con me vogliono vincere, per cui sarò nelle migliori condizioni per farlo. Aprile sarà il mese del top di forma, ma non nascondo che le cose migliori vengono spesso dopo, quando la tensione dei grandi appuntamenti è calata e magari vinci senza quasi rendertene conto».

Hanno investito sulla crescita di Marta Cavalli, contando sulla sua esperienza nel quartetto
Hanno investito sulla crescita di Marta Cavalli

Testa al Tour

Il ritiro ha vissuto di due fasi. La prima incentrata sul volume di lavoro, la seconda dedicata alla tecnica, con un occhio di riguardo per la cronometro a squadre.

«Nella prima parte – racconta Cavalli – abbiamo fatto blocchi di 4 giorni parecchio intensi, con ore di sella, lavori specifici e test. Nella seconda abbiamo preso contatto con la bici da crono e gli automatismi della cronosquadre e in questo la mia esperienza del quartetto è molto apprezzata. Al Giro Rosa lo scorso anno hanno perso terreno proprio in questa specialità. E dato che l’obiettivo dichiarato sarà il Tour de France del 2022, vogliamo farci trovare pronte in queste tappe, che sono poche ma incidono tanto. Servono grande affiatamento e comunicazioni chiare. Dopo tre giorni, andavamo già meglio, ma se ci saranno buchi di calendario, faremo raduni specifici proprio per lavorarci. La prima ci sarà al Giro rosa, poi si vedrà».

Si lavora per il debutto che sarà in Belgio all’Omloop Het Nieuwsblad
Debutto in Belgio all’Omloop Het Nieuwsblad

Idea Tokyo

La pista non l’ha mollata, anche se in questa fase dell’anno e della carriera è più una fase di allenamento, dato che Tokyo è nei suoi pensieri, ma come vedremo più per la strada.

«Sto sfruttando Montichiari – dice – come metodo alternativo di lavoro. Facciamo volate, partenze, lavoro sui riflessi. E poi il tempo qua in Pianura Padana non è troppo buono, per cui il velodromo è sempre un approdo sicuro. Ma certo, se continua a fare così freddo, da qui in avanti, oltre alla pista mi sposterò magari sul lago per allenarmi al caldo. Tutto in giornata, per fortuna da questo punto di vista, Cremona è messa bene. Quanto a Tokyo, ho sentito che Dino (Salvoldi, cittì della nazionale, ndr) a maggio vorrebbe andare a vedere il percorso. So che porta anche delle atlete e non nascondo che mi piacerebbe esserci, perché sarebbe una prova di fiducia. Ma c’è tempo. Il programma con la squadra è per la prima parte, fino ad aprile. Ci sono tutti i chilometri per capire se il lavoro fatto fin qui avrà dato buoni frutti».