Dislivello e corse a tappe: caro Vegni, come si fa?

27.06.2023
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Archiviato il Giro d’Italia e a seguire il Giro Next Gen, anche il direttore Mauro Vegni può tirare il fiato. E’ questo il momento buono per guardarsi un attimo indietro e rivalutare insieme alcuni aspetti delle due corse. In particolare al direttore del Giro abbiamo chiesto della distribuzione del dislivello nell’arco delle corse a tappe.

Come si fa a mantenere vivo un grande Giro, senza mettere però le grandi salite tutte alla fine nella terza settimana? E’ possibile equilibrare il dislivello? E come? Domande dalle risposte non facili e che portano al gancio altre problematiche, spesso invisibili.

Mauro Vegni è il direttore del ciclismo di Rcs Sport
Mauro Vegni è il direttore del ciclismo di Rcs Sport
Signor Vegni, parliamo di dislivello, ma prima ci consenta una curiosità rimasta in sospeso. Tempo fa ci aveva detto: «Il Giro più bello è quello che devo ancora disegnare e che forse mai farò…»

Esatto, è il Giro che esula da ogni logica economica. A quel punto potrei fare il Giro con il percorso dei miei sogni inserendo tappe, salite, passaggi e città che piacciono a me. Mettere ciò che voglio e non “limitarmi” a ciò che mi chiedono i vari Enti, sponsor…

Passiamo al tema del dislivello. Come mantenere viva sfida e non mettere le salite tutte nella terza settimana?

Se andiamo a vedere quest’anno, l’ultima settimana è stata meno importante, altimetricamente parlando, rispetto a quella del Giro scorso. La sua distribuzione era più equilibrata. Poi ci sono certe  logiche di corsa che non mi piacciono, ma sulle quali io posso fare poco. E mi riferisco, per esempio, a Campo Imperatore. Quando ho inserito non solo quella salita, ma quella tappa nella prima settimana, era per poter vedere già qualcosa d’importante. Se poi i corridori hanno paura di perdere, se decidono di “non correre”, allora tutto diventa inutile. Era già successo già sull’Etna in passato. A questo punto se si aspetta la fine della seconda settimana a prescindere, c’è poco da mettere dentro questa o quella salita.

E si assiste alla corsa nella corsa…

Con delle fughe che poi fughe non sono, ma è il gruppo che decide di non farsi male e di lasciare andare alcuni corridori. Non è bello. O almeno a me non piace… Ma io conto poco.

Giro Next sullo Stelvio alla quarta tappa, per molti il grande valico ha “ucciso” l’intera corsa (foto LaPresse)
Giro Next sullo Stelvio alla quarta tappa, per molti il grande valico ha “ucciso” l’intera corsa (foto LaPresse)
Quanto incide la tecnologia in tutto ciò? Dalle radioline alle preparazioni fino alla conoscenza minimale del percorso?

Ormai è tutto troppo tecnologico. C’è programmazione di ogni cosa. Si conoscono già le medie, i watt, le calorie che si andranno a bruciare, quello che si spenderà in funzione delle tappe successive… Poi parliamo di ciclismo dei tempi eroici, ma non è più così. La maglia di lana non c’è più da 50 anni e neanche si può tornare indietro. Pertanto viviamo un ciclismo più veloce, in cui è più difficile fare la differenza.

Sempre in tema di dislivello, si è parlato parecchio dello Stelvio posizionato nella prima parte del Giro Next Gen, in questo modo avrebbe ammazzato la corsa. Lo rimetterebbe in quella “posizione”?

Per me non ha ammazzato la corsa. Su un Giro di otto tappe, lo Stelvio arrivava alla quarta e oltre a quella frazione ce n’era un’altra successivamente molto difficile con oltre 3.800 metri di dislivello. Lo Stelvio era la sola di quella tappa e per di più, tolti i primi chilometri, non è una salita impossibile. Se poi ci facciamo queste domande perché 31 ragazzi hanno fatto i furbi, dico: demerito a loro e merito agli altri che l’hanno fatta con le loro gambe.

Non volevamo andare a parare lì, ma fare un discorso tecnico nella costruzione di un Giro.

Ripeto, a me una tappa con il solo Stelvio non sembra una frazione impossibile, una roba “da impresa”, tra l’altro si faceva una sola volta. La corsa la fanno i corridori. Torno alla tappa di Campo Imperatore. Come ho detto, poteva smuovere la classifica, ma non lo ha fatto e in parte la stessa cosa è successa a Lago Laceno. Oggi purtroppo il modo di correre è questo: si aspetta la terza ed ultima settimana, tanto che quasi sarebbe vano fare le prime due. Ormai si corre al risparmio nelle prime due e si punta sulla terza.

Se a Roma c’è stato grande spettacolo è stato anche per gli sprinter rimasti in gara
Se a Roma c’è stato grande spettacolo è stato anche per gli sprinter rimasti in gara
Verrebbe da pensare di tornare ai vecchi percorsi, coi piattoni nella prima metà e le salite nella seconda…

E poi succede che dopo 12-13 tappe i velocisti vanno tutti a casa. Tutti direbbero che è una vergogna. Ma resterebbero in corsa per fare cosa? E come ce li tengo? Oggi quando si disegna un Giro si deve tenere conto di tutti, per questo metto: 2-3 tappe a crono, 5-6 per i velocisti, 2-3 per i finisseur e  4-5 tappe per gli scalatori o uomini di classifica.

Una cosa che abbiamo notato è che ci sono meno tapponi con arrivo in discesa… Ve lo chiedono le squadre? E’ una questione di sicurezza?

Ormai i tapponi lunghi non li vogliono più altrimenti succede come a Morbegno due anni fa. Per quanto riguarda la sicurezza, ormai mi sembra diventato quasi uno slogan. La sicurezza, tema importantissimo, è costituita da molti fattori. La prima cosa è: dove corriamo? Su strada e oggi per risparmiare energia elettrica e avere un traffico automobilistico più fluido sono stati inseriti spartitraffico e rotatorie in quantità. Questo è un primo grande elemento che va ad intaccare la sicurezza. Altro problema: il corridore oggi, soprattutto nelle prime tappe di un grande Giro, non tira i freni. E non lo fa perché una vittoria di tappa potrebbe cambiare il suo destino lavorativo. 

Questo è un problema che c’è da sempre…

Vado avanti. La tecnologia: le velocità sono più alte e molti corridori non sono in grado di gestirle… Come vediamo sono tanti i fattori che riguardano la sicurezza e ognuno fa, e deve fare, la sua parte. I corridori spesso se la prendono con gli organizzatori, ma a volte dovrebbero puntare il dito anche contro se stessi. Mi piacerebbe molto che un corridore ancora in attività venisse a seguire un Giro da dietro le quinte, che lavoro c’è dietro, anche in merito alla sicurezza. Perché poi alla fine, okay l’UCI, okay le associazioni dei corridori… Ma se poi succede qualcosa, chiamano me.

Fare solo corse a tappe in vista dei grandi Giri. Giusto o sbagliato?

14.04.2022
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Allenarsi per un grande Giro facendo solo, o quasi, corse a tappe. E’ giusto? E’ sbagliato? Molti atleti stanno adottando questa strategia di preparazione. Perché? Rigoberto Uran per esempio è uno di quelli che sin qui ha preso parte solo a corse a tappe. E la stessa cosa vale per Mikel Landa: prima del Giro d’Italia farà, forse, solo la Liegi visto che è impegnato al Tour of the Alps. In pratica sarebbe come fare una tappa in più. Anche Primoz Roglic più o meno è sulla stessa lunghezza d’onda. E Daniel Martinez addirittura ha fatto solo una corsa di un giorno.

A tal proposito, fece quasi scalpore la richiesta dello sloveno di prendere parte ad una piccola corsa francese di un giorno prima della Parigi-Nizza dopo essere sceso dall’altura. Questo “abuso” delle corse a tappe è un argomento curioso di cui abbiamo voluto parlare con Michele Bartoli, coach di tanti pro’.

Michele, solo corse a tappe prima di un grande Giro: quali vantaggi e svantaggi ci sono?

Premesso però che Rigo farà anche la Freccia e la Liegi. Quest’anno è stato spesso malato, ed anche per questo ha iniziato solo alla Tirreno, dalla quale per altro ne è uscito con la febbre. Io non credo si debba parlare di svantaggi o svantaggi in questa scelta delle corse a tappe, quanto piuttosto di opportunità di risultato. Un Roglic ha minor possibilità di vincere un Fiandre, una Liegi o una Sanremo, piuttosto che una Parigi-Nizza o un Catalunya. E questo incide molto sulla scelte delle corse che si andrà a fare.

E sul piano strettamente legato alla preparazione cosa cambia?

La gara di un giorno porta con sé tante dinamiche utili, come sforzi massimali, ritmo, fuorisoglia… che le gare a tappe non hanno, dove invece è priviligiata la resistenza. Una corsa a tappe è molto più lineare: fuga, gruppo che va di passo e finale in crescendo. In una classica, con un giorno fai certe sollecitazioni massimali che in un grande Giro fai in tre settimane. Prendiamo la Freccia del Brabante di ieri: con decine e decine di rilanci dietro ogni curva, su ogni strappo, sui pezzi in pavè… e sono qualità che ti tornano utili a prescindere dalle corse a tappe.

Oggi con potenziometro, test continui, telemetria e dietro motore, si potrebbe preparare un GT quasi senza correre. Ma non una classica
Oggi con potenziometro, test continui, telemetria e dietro motore, si potrebbe preparare un GT quasi senza correre. Ma non una classica
E quindi non sei d’accordo nel preparare un grande Giro facendo solo corse a tappe?

Non sono in disaccordo se un corridore e un preparatore decidessero di fare così. Dico che la corsa di un giorno può fare bene, ma non è necessaria. Poi non vale neanche la regola contraria: cioè preparare un grande Giro facendo solo corse di un giorno. Corse a tappe e corse di un giorno insieme: sono due approcci utili entrambi.

Okay, ma potendo scegliere, potendo disegnare a tuo piacere il calendario come si regolerebbe il Bartoli preparatore?

Per esempio chi fa il Tour e punta alle Ardenne non sbaglia. Può puntare a migliorare le sue qualità atletiche e al tempo stesso può anche cercare il risultato. Prima del Tour de France l’avvicinamento standard ideale è Delfinato, altura e appunto Tour. Ma per quel che mi riguarda un atleta oggi dalla Liegi potrebbe andare direttamente al Tour. Questo ragionando per assurdo e dando per certo che si alleni bene.

Addirittura…

Sì. Quello che voglio dire è che sostanzialmente soprattutto oggi con gli strumenti che ci sono, un grande Giro lo puoi preparare anche solo con l’allenamento. Una corsa di un giorno no. Torniamo al discorso di prima, dei picchi massimali, del ritmo gara… che ti servono in una classica e che solo la corsa di un giorno ti dà. Mentre in un grande Giro lo sforzo è diverso.

Freccia del Brabante, come spiega Bartoli, ci sono moltissimi momenti di fuorisoglia e di sforzi massimali
Freccia del Brabante, come spiega Bartoli, ci sono moltissimi momenti di fuorisoglia e di sforzi massimali
Prima hai detto che l’avvicinamento standard al Tour è Delfinato e altura. Invece una corsa singola dopo l’altura, magari per velocizzare il lavoro fatto, per cercare un po’ ritmo, ci starebbe male?

Non ci sta male. E’ sempre un allenamento utile. In questo caso non sarebbe una corsa che toglie, ma un corsa che dà, tuttavia non è fondamentale.

Ma se un tuo corridore ti chiedesse di fare una corsa in più o di inserire questa o quella gara a tappe, tu cosa fai? Come l’esempio di Roglic all’inizio…

Per me il corridore va sempre ascoltato. Il bravo preparatore deve tirare fuori le potenzialità anche dalla sua testa. Anche perché se poi l’atleta pensa che quello che sta facendo non sia giusto, non va. Non va neanche se si allena. Deve essere convinto di ciò che fa.

Però ci sono dei corridori che preferiscono non pensare e lasciare fare tutto ai loro coach…

A meno che non siano automi totali… ma non ce ne sono molti. A me per esempio piace il corridore che prende decisioni, che dice la sua, che un giorno mi fa: “oggi mi sentivo che dovevo fare una salita a tutta e l’ho fatta”. Significa che ha personalità, che è sicuro, che ragiona. Certo, se poi fa così tre volte a settimana, allora il discorso cambia. Ma generalmente chi sa inserire qualcosa di suo, fosse anche una corsa, si conosce di più.

Argentin, fra classiche e Giri

02.11.2020
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Seconda tappa del nostro viaggio con Moreno Argentin. Dopo aver parlato del mondo juniores, ecco questa volta il suo ricordo del Belgio e delle 4 Liegi vince, a un solo successo dal record di Eddy Merckx. Ma poi il focus si sposta sulla scelta delle corse cui puntare.

Seconda tappa del nostro viaggio con Moreno Argentin. Dopo il capitolo sugli juniores, questa volta spaziando dal Belgio che lo ha reso grande, fino al Giro d’Italia del 1984 che lo vide sul podio, alle spalle di Moser e Fignon.

Obiettivo Giri

Senza sfortune o problemi, dopo un anno il corridore lo vedi e vedi anche su quali terreni può esprimersi al meglio.

«Quando un corridore passa professionista – dice Argentin – deve capire subito dove può essere forte e dove può specializzarsi. Non può dire, senza aver mai vinto una piccola corsa a tappe “punto ai grandi Giri”. Io ne vedo tanti che fanno questi ragionamenti, ma uno deve farsi il suo percorso. Se ha le caratteristiche di essere un corridore a tappe, deve passare attraverso le piccole corse a tappe, perché anche lì si aggiungono tasselli su tasselli. Prima di ambire a un Tour, a un Giro o a una Vuelta».

Liegi del 1991 su Criquielion, Sorensen e Indurain
Liegi del 1991 su Criquielion, Sorensen e Indurain

Capire subito

Quante corse a tappa ha disputato Tadej Pogacar, prima di passare professionista? Il Tour conquistato è stato un fulmine a ciel sereno o non era stato annunciato piuttosto dal Tour de l’Avenir e dal podio alla Vuelta del 2019? Stessa cosa per il vincitore della maglia rosa. Andate a guardare: negli anni scorsi Tao Geoghegan Hart ha disputato quasi esclusivamente gare a tappe.

«Il compito di un direttore sportivo è capire quali sono le attitudini dei ragazzi, cercando di farli ragionare. Non esiste l’atleta che può fare tutto. Già ai miei tempi era necessario specializzarsi. Le mie caratteristiche mi consentivano di essere più brillante nelle corse di un giorno. Quindi ho provato a fare la classifica a un Giro d’Italia. Il Giro d’Italia del 1984, abbastanza facile dal punto di vista altimetrico. Mi sono misurato, poi però ho preferito proseguire assecondando la mia indole. E il Belgio mi ha accolto permettendomi di cogliere 8 classiche importanti, cui ho aggiunto un Lombardia e un mondiale».