Lo scorso anno l’avevamo lasciata che gioiva sul mitico traguardo del Muro d’Huy. Dopo aver conquistato l’Amstel Gold Race, Marta Cavalli (in apertura foto @aymeric.lassak) proseguiva la sua settimana d’oro alla Freccia Vallone. Fu un grande colpo. Una doppietta che di fatto lanciò la portacolori della Fdj-Suez in un’altra dimensione.
La raggiungiamo in un giorno “da Belgio”, come ci racconta, tra post-Amstel e pre-Freccia. Quest’anno, ma lo si sapeva, le cose non sono le stesse della passata stagione. Ce lo aveva detto al Trofeo Binda. Tutto è meno brillante, dall’umore che comunque non è affatto male, alla condizione.
Marta, come stai?
Abbastanza bene. Atleticamente non sono ancora proprio al massimo. Il non aver corso per quasi tutta la primavera si sente e lo sto un po’ pagando. Però continuo a vedere dei miglioramenti che da questo inverno comunque ci sono stati. Ci vuole ancora qualche settimana di pazienza.
In percentuale si può quantificare quanto ti manca per essere la Cavalli dello scorso anno?
Questo non lo so. Difficile giudicare o mettere il tutto su una scala numerica. Rispetto a quei giorni è passato solo un anno, ma nel mezzo sono successe tante cose e passate tante corse. E tanto è cambiato. Per dire, domenica scorsa l’Amstel era più lunga di 20 chilometri rispetto al 2022 e questo è parecchio differente ai fini della gara. Noi, il mio staff, il mio coach e la mia squadra, cerchiamo di analizzare ogni cosa, di prendere i piccoli spunti che arrivano… Per cercare di capire dove migliorare. Io non ho fretta, la squadra non ha fretta, i tifosi forse un po’ ne hanno!
Hai detto che stavi facendo fatica in questa primavera. Si sente evidentemente la mancanza di ritmo che invece hanno le tue colleghe. E’ in questa ottica che va letta la tua partecipazione alla Freccia del Brabante della scorsa settimana?
Esatto, l’idea era quella di sbloccarsi un po’, di ritrovare un po’ di ritmo, di fare quegli sforzi che in allenamento non puoi fare. Quindi è stata utile per riabituarmi a stringere i denti e ritrovarmi in una corsa.
Come ci arrivi a questi appuntamenti delle Ardenne? Cosa ci possiamo aspettare?
Di crescere passo, passo. Io so di non essere all’altezza e per questo neanche voglio alzare troppo l’asticella poi disattendere l’obiettivo. Bisogna essere razionali. L’anno scorso volavo, ora no. La carriera di un’atleta è fatta di alti e bassi. Adesso siamo in un momento di basso.
Ma che volge verso l’alto…
Sì, vero, ma sul fronte dei risultati siamo in basso. Tanto più che io ero abituata a fare delle primavere esplosive. Però abbiamo di fronte tante gare e ho un gran bel programma da fare.
Cosa manca dunque alla tua condizione per spiccare il volo?
Eh, è quello su cui stiamo ragionando. Non credo ci sia una risposta precisa, ma un insieme di fattori. Per esempio vedo che ho un recupero più lento.
Domani e domenica quindi ti vedremo a disposizione del team?
Credo di sì. L’obiettivo è quello di correre il più possibile e di conseguenza essere anche utile alla squadra. Poi va detto che ho anche avuto carta bianca sul provare a tenere duro per fare la fatica giusta.
Marta, hai parlato di un bel programma…
A maggio farò la Vuelta, poi i Paesi Baschi. Poi ancora valuterò con lo staff se allenarmi a casa o andare in altura, in vista del Tour de France Femmes, dell’italiano che quest’anno farò sia a crono che su strada. Voglio anche essere utile alla causa del mondiale e vedere di fare bene il finale di stagione, pensando anche all’Europeo che si disputa qui in Belgio, nella zona di Drenthe. Magari ci arriverò con delle piccole corse a tappe. Vedremo.
Chiudiamo con bel ricordo dell’anno scorso. Cosa hai provato sul muro d’Huy mentre le staccavi tutte?
A distanza di un anno, il ricordo che più ho impresso è io che mi giro e quel metro e mezzo tra me e la Van Veluten. «Non è vero – pensai – è un sogno». Invece era tutto vero. E questo mi aiuta anche a trovare le motivazioni e magari un giorno a rivivere quei momenti.