Adriatica Ionica Race: iniziata la rincorsa di Viviani a Tokyo

15.06.2021
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La Adriatica Ionica Race e il Friuli erano quello che serviva per rivedere un Elia Viviani raggiante per la vittoria, l’81ª in carriera. Nel 2018, durante la prima AIR, il veronese aveva conquistato quattro successi su cinque tappe, di cui le ultime due consecutive in Friuli, che di fatto, sentimentalmente, è la sua terra d’adozione. E infatti – a distanza di tre anni da quella edizione e a quasi tre mesi dal suo ultimo successo (28 marzo, Cholet Pays de la Loire) – Viviani con la maglia della nazionale domina la volata della Trieste-Aviano, prima frazione di 185,3 chilometri della breve gara a tappe veneta, davanti a Davide Persico (Colpack-Ballan) e Luca Pacioni (Eolo-Kometa).

Che poi se vogliamo nel 2016 il viatico per Rio de Janeiro, risultati alla mano, non era stato tanto migliore di quello attuale per il Giappone. E oggi la maglia di leader della generale riprende due colori cari a Viviani: azzurra come la nazionale, una manica rossa che richiama la Cofidis.

Elia è questo il giusto mix per ritrovarti sorridente per una vittoria?

Sì, è sempre bello vincere, poi dopo una grande corsa a tappe vado sempre bene. Sono uscito molto bene dal Giro d’Italia, è cominciata la preparazione per Tokyo e questa era una prima tappa di avvicinamento.

A cosa servirà questa corsa?

Siamo venuti qua per fare un blocco di tre giorni di lavoro importante con i ragazzi della pista, Lamon e Scartezzini. Però, se la condizione è buona, bisogna ovviamente anche raccogliere. Oggi abbiamo fatto un ottimo lavoro, la squadra si è spesa tutta per chiudere sulla fuga, poi Dainese e Cimolai hanno fatto un capolavoro negli ultimi tre chilometri.

Racconta…

Sapevamo che l’ultima rotonda dovevamo prenderla in testa, così è stato e quando siamo usciti mancavano praticamente 200 metri ed era il mio momento.

Da Trieste, costeggiando il mare, verso Aviano (foto Scanferla)
Da Trieste, costeggiando il mare, verso Aviano (foto Scanferla)
Hai vinto quasi per distacco questo sprint.

Sì, quando Cimolai è uscito dall’ultima curva, io sono andato sulla sinistra sulle transenne facendo la mia volata e guardando solo la riga del traguardo. E questo mi fa piacere perché è un segno di buona condizione.

Quanto è cresciuto il morale dopo oggi?

Le vittorie portano sempre morale, come ho sempre detto, vincere porta a vincere e speriamo che questa ne porti delle altre nei prossimi giorni, prossimo mese e soprattutto in agosto.

A Verona al Giro non era andata benissimo (nono posto) ma Elena è di questa zona e qui giocavi quasi in casa.

La tappa di Verona resta il mio rammarico più grande. E’ vero, è mancata la vittoria ma sono contento di come è andato il mio Giro, le mie sensazioni sono buone e per questo sono fiducioso per Tokyo. Qui mi sentivo a casa, le strade le conoscevo bene, poi per il finale abbiamo sfruttato un video girato da Cimolai che era venuto a vedere l’arrivo. Quindi sapevamo benissimo dove dovevamo andare.

All’arrivo per lui anche i complimenti del suo cane Attila
All’arrivo per lui anche i complimenti del suo cane Attila
Ha funzionato meglio il treno azzurro o quello della Cofidis?

Oggi ha funzionato quello della nazionale e quando funziona quello della Cofidis vanno bene entrambi, ma l’importante è vincere. Il velocista è importante che abbia un lead out e quando funziona significa che va bene. E, ripeto, che vittoria porti vittoria, perché è quello di cui ho bisogno.

Marco Pantani, Piancavallo, Giro d'Italia 1998

Pantani, a Piancavallo quel giorno…

18.10.2020
4 min
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Pantani ha Lago Laceno che brucia ancora nell’orgoglio. Zulle l’ha staccato e questo non gli è andato giù. Non vince al Giro d’Italia dal 1994, da quasi 1.500 giorni, perché dopo quel giorno ad Aprica la sfortuna ha infierito su di lui con una puntualità cinica e spietata. L’incidente del primo maggio nel 1995. Il Giro del 1996 saltato per la gamba spezzata l’anno prima. Il gatto nero del 1997. E siamo dunque al 1998, iniziato con una vittoria a Murcia davanti a Elli e Vinokurov. La Mercatone Uno è tutta per lui e poco importa che il giorno dopo ci sarà la cronometro di Trieste. Il Pirata vive un giorno per volta. E oggi il Giro affronta Piancavallo e c’è l’arrivo in salita. Noè l’ha anticipato nella sua San Marino, ma qui oggi c’è da mettere il punto.

Mercatone in testa

La tappa misura 165 chilometri, si parte da Schio. Noè ha la maglia rosa, il suo capitano Michele Bartoli ha vinto a Schio proprio alla vigilia. La Mercatone Uno si defila, ma quando serve prende la testa.

Marco Pantani, Piancavallo, Giro d'Italia 1998
Marco Pantani conquista Piancavallo: è il Giro d’Italia 1998
Marco Pantani, Piancavallo, Giro d'Italia 1998
Pantani conquista Piancavallo: è il Giro 1998

Pantani al Giro d’Italia è come Maradona nella finale dei mondiali. L’Italia si ferma e ne ha motivo. Quando in corsa c’è il Panta e la strada va in salita, è sicuro che lui farà il suo show. Che non è come le smorfie di Virenque o le fughe di Coppolillo. Quando Marco getta via la bandana e mette le mani sotto, significa che sta per attaccare i primi della classifica. Loro lo sanno e si attrezzano per capire come possono per rispondergli. L’anno prima sull’Alpe d’Huez ha spezzato la resistenza di Ullrich e Virenque, mentre Indurain ha smesso di correre da un paio di stagioni e anche lui quel giorno sul Mortirolo capì che sarebbe stato meglio girarsi dall’altra parte e lasciarlo passare.

Il solito Marco

Marco è sempre lo stesso che d’inverno si diverte con i rollerblade nelle strade coperte di foglie a Cesenatico. Che canta al karaoke con gli amici. Che si ferma ogni giorno a mangiare una piada al chiosco di Tonina. E che se glielo chiedi viene anche a provare le salite del prossimo Giro, solo perché glielo hai chiesto tu che gli fai simpatia. Dicono che sia magro per vincere un Giro, ma quando adesso la telecamera lo inquadra da dietro, i glutei e il quadricipiti dicono esattamente il contrario. Il ragazzino dei primi anni è cresciuto e quando a 12 chilometri dall’arrivo va all’attacco, si capisce che non ci sarà fumo ma soltanto arrosto.

Via il cappello

Il cappellino vola via. Garzelli ha quasi finito la sua spinta e Marco scatta. Zulle è orgoglioso. Lago Laceno per lui è stato la dimostrazione di una qualche forma di superiorità elvetica sul piccolo italiano. A ben vedere, l’errore dei passisti con Marco è sempre stato lo stesso. Nell’era in cui a supportare la fatica dei più pesanti intervengono altri fattori, la sensazione di onnipotenza dettata dai super watt ha indotto tanti nella tentazione di rispondere. E così succede anche questa volta.

Zulle risponde, ma poco dopo apre la bocca e le gambe. Tonkov invece no, perché il russo è a suo modo uno scalatore. Ha vinto il Giro del 1996, senza Pantani. E’ arrivato secondo l’anno dopo dietro Gotti, senza Pantani. E questa volta vuole battere il colpo contro quel rivale, evocato come un fantasma per ridimensionare ogni sua impresa.

Piancavallo, cartello Marco Pantani 1998
Piancavallo è da quest’anno una “Salita Pantani”
Piancavallo, cartello Marco Pantani 1998
Piancavallo è da quest’anno una “Salita Pantani”

Pantani da solo

Ma oggi Marco vuole arrivare da solo. Così scatta ancora. Scatta ancora. E scatta ancora. Tonkov più o meno resiste. Zulle soffre. Gotti si aggrappa al suo numero uno pregando di non cedere. I tifosi esplodono, il gruppo si è sbriciolato. L’arrivo sulla montagna friulana arriva rapido, perché alla fine la strada spiana e il vantaggio smette di crescere. Marco vince e cancella Lago Laceno. Tonkov arriva a 13 secondi, ripreso da Zulle proprio nel finale meno ripido. 

La classifica non si è smossa di molto. Zulle riprende la maglia rosa e guarda già alla cronometro del giorno dopo a Trieste. L’indomani il passivo di Marco sarà di 3’26”, ma poco importa. A Piancavallo il Panta ha capito che in montagna potrà affondare i denti. La Marmolada è in fondo alla strada. La storia della maglia rosa sta per essere riscritta. 

Sono passati più di vent’anni, ormai se ne può parlare. Chi scrive aveva perso il papà da cinque giorni, non aveva testa per il Giro. La sera di Piancavallo il telefono squillò inatteso. Era Marco. «Spero – disse – che questa vittoria ti sollevi un po’ il morale. Si vince il Giro, adesso ne sono sicuro».