Era veramente impraticabile l’arrivo di ieri alla Vuelta? Ed è possibile che la decisione sia stata presa sulla base delle immagini social e televisive, senza che un ispettore di percorso e un giudice fossero sul posto per verificare?
In questo ciclismo che va così forte, sembra che alcune componenti siano ancora troppo lente, portando il ridicolo fino ai vertici più alti dello sport. Al Giro d’Italia si decise di moncare la tappa di Crans Montana sulla base di richieste non documentate, non mostrando le foto in possesso a chi aveva il compito di vigilare sul percorso. Al Giro Next Gen alcuni video su Instagram provocarono la squalifica dei corridori attaccati alle ammiraglie, mentre la Giuria aveva già omologato l’arrivo. Così anche questa volta si è neutralizzato il finale senza che un organo ufficiale del ciclismo internazionale si sia preso la briga di andare a verificare. E questo non va bene. Anche perché i corridori della Vuelta hanno poi proseguito fino al traguardo senza alcun problema. L’espressione di Kuss nella foto di apertura denota stupore: forse neppure il leader della Vuelta ha capito il perché della decisione.
Sulla stessa base sarebbe stata azzerata forse la tappa vinta da Quintana sul Terminillo nel 2015 e si sarebbero messe in discussione anche le Tre Cime di Nibali nel 2013. Non vogliamo dire che i corridori debbano andare al martirio e correre in qualunque condizione, ma pretendiamo scelte adottate su basi oggettive.
Social, la giuria parallela?
In questo caso non si tratta neppure di avere un protocollo per le condizioni avverse unificato e indeformabile, si tratta di portare nelle organizzazioni e in chi le sovrintende lo stesso professionismo che si pretende negli atleti e nei gruppi sportivi. Invece continuiamo a vedere percorsi disegnati senza apparenti criteri tecnici (come la cronosquadre di questa Vuelta) e decisioni prese per non doverne discutere dopo l’arrivo, come se chi è chiamato a prenderle abbia sul collo il fiato di rivendicazioni che non è sicuro di poter sostenere. Come se nella scuola il preside togliesse di mezzo le materie più spinose, per non subire le lamentele di alunni e genitori. E anche questo non va bene.
L’organizzatore ha il diritto di proporre il percorso e il dovere di disegnarlo secondo i criteri tecnici previsti dai regolamenti dell’UCI. L’UCI a sua volta ha l’obbligo di verificarlo. Può capitare che condizioni imprevedibili rendano il percorso impraticabile, ma la decisione di cambiarlo richiede ben altra presenza sul terreno. Altro che social…
UCI inadeguata o pigra?
La settimana scorsa, Salvatore Puccio fu purtroppo portatore di una profezia infausta, parlando di regolamenti, di chi dovrebbe prendere le decisioni e delle conseguenze drammatiche di gestioni troppo disinvolte.
Al via della Vuelta, a causa della pioggia e delle troppe curve della crono di Barcellona, De Plus è finito all’ospedale con l’anca fratturata. Quel percorso era sbagliato e la pioggia lo ha teso pericoloso. L’arrivo di ieri era davvero impraticabile? Kamna, Sobrero e i primi otto dell’ordine di arrivo lo hanno affrontato senza problemi, gli altri hanno concluso la corsa in anticipo. Sin dalla vigilia, l’ultimo chilometro (solo quello) appariva invaso dal fango, ma al momento del passaggio della corsa, la strada era pulita. Secondo alcuni, il problema riguardava anche il breve tratto di discesa prima dell’ultimo strappo: scivoloso, secondo Evenepoel, che ha ben accolto la neutralizzazione degli ultimi 2 chilometri. Un punto di vista piuttosto prevedibile il suo, considerando che nell’ultimo chilometro al 12 per cento, il belga avrebbe dovuto difendersi da altri attacchi di Roglic.
Quel che stona è il criterio attraverso il quale si è deciso di modificare il finale. L’UCI drena milioni di euro a tutti gli organizzatori, forse sarebbe il caso che destinasse maggiori risorse per gestire simili situazioni. Non si può accontentare tutti, ma non è improvvisando o chinando ogni volta il capo che si rende il ciclismo più affascinante.