Dagli anni ’90 ad oggi, il settore velocità con Federico Paris

26.08.2022
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Dai mondiali juniores di Tel Aviv stanno arrivando altre buone notizie dal settore velocità. Mattia Predomo ha conquistato la maglia iridata nel keirin e giusto pochissime ore fa anche l’oro nella velocità. Il bolzanino milita nella squadra di Matteo Bianchi, la Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino, che ha collezionato maglie europee ad Anadia tra gli under 23 e medaglie più un record italiano agli europei di Munich 2022. Sono primi segnali di un movimento che sta iniziando a muovere i primi passi, con il coordinamento azzurro di Ivan Quaranta.

Mattia Predomo fra Bragato e Quaranta, tecnico che proprio 30 anni fa conquistò questo titolo
Mattia Predomo fra Bragato e Quaranta, tecnico che proprio 30 anni fa conquistò questo titolo

Ritorno al passato

Giovani che riportano risultati in discipline in cui l’Italia iniziava a soffrire una nostalgia ancorata a nomi che hanno scritto la storia della velocità. Gli anni Novanta per il nostro movimento sono stati forse l’apice di un settore che oggi si sta riscoprendo e movimentando.

Federico Paris, Roberto Chiappa e Gianluca Capitano erano gli interpreti di un decennio costellato da titoli mondiali e vittorie in Coppa del mondo che hanno fatto sognare i tifosi italiani. Lo stesso Sir. Chris Hoy ci ha detto in una recente intervista. «A metà degli anni ’90 voi avevate gente come Roberto Chiappa e Federico Paris. Erano delle vere star. Noi britannici ci siamo ispirati a loro». 

Ripercorriamo ciò che era e chiediamo un parere su ciò che è e potrà essere il movimento velocità in Italia proprio con Federico Paris. Attualmente ricopre il ruolo di Coordinatore dei Responsabili di strada e pista per la Lombardia.

Federico Paris è coordinatore di strada e pista della Lombardia
Federico Paris è coordinatore di strada e pista della Lombardia
Come funzionava negli anni Novanta il settore velocità, c’era una coordinazione federale presente?

La maggior parte di quel periodo è stata coordinata da Mario Valentini (al centro fra Paris e Capitano, nella foto in apertura, ndr). La Federazione seguiva il settore a 360 gradi con le prime prove della Coppa del mondo che in quegli anni cominciavano ad essere organizzate e i mondiali che rappresentavano il fulcro della stagione.

Che momento era per la pista italiana?

C’era un settore solido, la squadra era composta prevalentemente da noi tre ma anche da altri ragazzi. I primi anni che ho iniziato la mia attività su pista, non c’erano le prove di Coppa del mondo così come sono organizzate ora. C’erano ancora i gran premi internazionali, si disputavano principalmente in giro per l’Europa. Ancora oggi ne esiste qualcuno. 

I gruppi sportivi erano importanti per realizzazione di una carriera in questo settore?

Facendo riferimento a noi tre, quindi il sottoscritto più Roberto Chiappa e Gianluca Capitano, facevamo parte tutti e tre di Corpi di Polizia. Io e Roberto alla Forestale e Gianluca nelle Fiamme Azzurre. Per cui sicuramente la cooperazione tra CONI e Corpi di Polizia allora come oggi veniva sfruttata e questo consentiva a noi di fare questa attività con una tranquillità economica. 

Il movimento velocità in quegli anni in cui c’era ancora il tandem ha vissuto uno dei momenti più vittoriosi di sempre
Il movimento velocità in quegli anni in cui c’era ancora il tandem ha vissuto uno dei momenti più vittoriosi di sempre
Che differenze vedi con l’attività attuale?

A livello nazionale c’era una buona attività. Forse oggi manca un po. Negli anni Novanta c’era un bel calendario fitto per i velocisti, fatto di gare nazionali e internazionali. Oggi soffriamo sul nostro territorio. Ma è come un circolo vizioso, senza puntare il dito, oggi ci sono meno praticanti e anche meno gare. La concorrenza in quegli anni era tanta.

La velocità sembra aver ritrovato nuovo entusiasmo…

Quest’anno sono stati fatti sicuramente dei risultati più importanti rispetto agli anni passati. Senza guardare i numeri e vedendo il momento. Quando ho smesso di correre in bici ho seguito per un po’ di anni il settore della velocità sia nella categoria junior che in quelle maggiori. Quando non l’ho seguito più, ho notato che sono mancati i riferimenti. Si è verificato un appiattimento non tanto di risultati ma di praticanti. Il fatto che oggi Ivan Quaranta, una persona con una passione smisurata, segua esclusivamente il settore può dare dei risultati sicuramente importanti. Una sorta di ripotenziamento del settore. 

Federico Paris ha iniziato a raccogliere i primi risultati da dilettante per poi affermarsi e diventare pistard
Federico Paris ha iniziato a raccogliere i primi risultati da dilettante per poi affermarsi e diventare pistard
Le infrastrutture sono determinanti per il movimento?

Assolutamente si. Le strutture come il nostro Montichiari, un velodromo da 250 metri coperto, è uno strumento indispensabile per lavorare e fare risultati in pista. Soprattutto per il settore veloce che ha bisogno della pista dodici mesi all’anno. E con un velodromo scoperto non è difficile da capire che sia una cosa impossibile. Pe questo molti atleti migravano in altre strutture. Ce ne fossero di più, è facile da dire, ma sarebbe un passaggio determinante. 

Voi come Regione Lombardia vi state muovendo per scovare talenti della velocità?

A livello regionale è difficile occuparsi in maniera specifica di un settore. Un occhio di riguardo per la velocità ce l’ho avendola praticata per tanto tempo. Anche Roberto Chiappa collabora con il comitato regionale attraverso il velodromo di Dalmine e anche con il responsabile tecnico della pista regionale. E’ chiaro che avendo queste caratteristiche c’è una predisposizione immediata. Se in Lomabardia ci accorgessimo di ragazzi motivati, appassionati o attratti dalla velocità quello che possiamo assicurare è un sostegno e un supporto immediato

Le squadre sono importanti per la crescita in questa direzione?

Gli atleti crescono all’interno di società. Per cui quando trovano al suo interno un appoggio e un sostegno per fare questo tipo di attività riescono a fare un certo tipo di percorso.  Bisogna tener presente che il ciclismo in Italia per tradizione è il ciclismo su strada. Quello su pista ad alti livelli si allontana sempre di più da quello tradizionale stradista.

Qui insieme a Gianluca Capitano alla premiazione del campionato del mondo nella specialità tandem
Qui insieme a Gianluca Capitano alla premiazione del campionato del mondo nella specialità tandem
Un esempio che sta facendo scuola è la Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino

Non a caso il diesse è proprio Alessandro Coden. E’ un direttore sportivo che ha un’esperienza in questo settore specifico, ha fatto europei, mondiali e ha corso in pista da protagonista. La passione è l’elemento fondamentale per queste specialità. La velocità è un settore molto difficile, per tante ragioni. Per poterlo seguire ma anche per praticarlo serve una grande passione. Coden e Quaranta hanno recentemente raccolto risultati con i propri ragazzi ed entrambi hanno un background da interpreti di questo sport e non è un caso. 

Le discipline veloci sono differenti da quelle endurance anche come approccio?

La prestazione finale non è solo la realizzazione di un allenamento. Somministrare tabelle e tirare una riga come magari può essere per le discipline endurance che si avvicinano di più ad una scienza esatta, una causa effetto parzialmente prevedibile. Nella velocità c’è un aspetto psicologico che determina tanto ed è molto stressante. Se non c’è passione e dedizione questo non è possibile. Ritengo che Ivan Quaranta su questo possa fare molto bene. 

Chris Hoy vi ha citati come star e come esempi da emulare. Credi che oggi i risultati possano servire anche a creare interesse anche per atleti di altre discipline?

I risultati sono importanti per creare interesse, e farlo una specialità come questa è fondamentale. Noi nei primi anni novanta eravamo molto competitivi. La Gran Bretagna stava muovendo i primi passi. In quel periodo ha gettato le basi per il futuro diventato presente con risultati prestigiosi e un movimento che detta legge.

Viviani Rio 2016

Viviani, una prima volta davvero storica

21.05.2021
4 min
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«Abbiamo scelto Elia Viviani e Jessica Rossi perché sono due medaglie d’oro olimpiche che rappresentano due sport che hanno portato quasi 100 medaglie all’Italia dal 1896 ad oggi, eppure non avevano mai avuto un portabandiera alle Olimpiadi». Le parole del presidente del Coni Giovanni Malagò sintetizzano al meglio la portata della scelta che, oltre alla specialista del tiro a volo, ha premiato lo sprinter veneto, oro a Rio 2016 nell’Omnium.

Mai nella sua storia il ciclismo aveva avuto un proprio rappresentante come portabandiera, il che è incredibile considerando che stiamo parlando della seconda disciplina sportiva per numero di medaglie olimpiche, superata solo da quella scherma considerata da sempre il “serbatoio” di allori italiani.

Eppure altri sport hanno avuto maggiore presenza sul palcoscenico della cerimonia d’apertura, spesso per merito della fama dei campioni scelti (basti pensare a Sara Simeoni, Pietro Mennea o a Federica Pellegrini, ultima nostra portabandiera), qualche volta anche per mandare un messaggio sociale forte (vedi la scelta di Carlton Myers a Sydney 2000 come espressione di un’Italia più integrata).

Pellegrini Rio 2016
L’ultima portabandiera olimpica, Federica Pellegrini a Rio 2016 (foto Repubblica.it)
Pellegrini Rio 2016
L’ultima portabandiera olimpica, Federica Pellegrini a Rio 2016 (foto Repubblica.it)

Tanti Paesi ancora all’asciutto

Se allarghiamo un po’ il discorso, ci accorgiamo però che il ciclismo ha sempre avuto poca considerazione in sede olimpica: contando tutti i 213 Paesi che fanno o hanno fatto parte del Cio, il totale dei portabandiera legati al ciclismo prima di Viviani è appena di 42. Ci sono nazioni come Belgio, Olanda, Germania, Spagna che non hanno mai portato un proprio atleta a sventolare il vessillo nazionale. Com’è possibile questo?

Probabilmente molto ha influito il fatto che il ciclismo professionistico è stato escluso dai Giochi fino al 1996. Chi otteneva risultati di spicco era destinato a passare pro e quindi a lasciare l’ambiente olimpico, ad eccezione dei Paesi del blocco comunista dove il ciclismo non era uno sport di spicco.

Chris Hoy
Chris Hoy: 6 titoli olimpici e 11 mondiali gli sono valsi il titolo di “sir”
Chris Hoy
Chris Hoy: 6 titoli olimpici e 11 mondiali gli sono valsi il titolo di “sir”

Le stelle della pista

Eppure alcuni nomi importanti vanno menzionati: nel 1976 la Francia affidò il tricolore a Daniel Morelon, uno dei più grandi sprinter su pista della storia (3 ori olimpici fra il 1968 e il ’72), che curiosamente proprio per il suo amore per la pista e l’agone olimpico rifiutò di passare professionista se non nel 1980, a 36 anni, togliendosi lo sfizio di vincere il titolo europeo e conquistare due medaglie mondiali.

A Chris Hoy venne addirittura concesso di portare la bandiera nella cerimonia dei Giochi di casa, nel 2012, l’onore più ambito da ogni sportivo britannico. Al tempo Hoy, già insignito del titolo di “baronetto”, aveva vinto 4 titoli olimpici su pista, ma a Londra ne conquistò altri due, completando una carriera straordinaria.

Kiryenka Doha 2016
Vasyl Kiryenka, iridato a cronometro, colonna del Team Sky, portabandiera nel 2016
Kiryenka Doha 2016
Vasyl Kiryenka, iridato a cronometro, colonna del Team Sky, portabandiera nel 2016

Un solo precedente su strada

La pista è la specialità che più è stata “vista” al fine di eleggere i portabandiera, ma è curioso il fatto che altre discipline più “giovani”, come Bmx e Mtb, siano state premiate più del ciclismo su strada. A ben guardare, prima di Viviani solamente un altro professionista di un certo nome aveva avuto questo onore: fu nel 2016 il bielorusso Vasil Kiryenka, vincitore del titolo mondiale a cronometro nel 2015 e a lungo membro del Team Sky fino allo scorso anno.

Per questo la scelta di Viviani è davvero un evento storico e il veronese ne è consapevole: «Tokyo parte come meglio non si potrebbe – ha affermato alla partenza della tappa del Giro da Ravenna – neanche posso immaginare che emozione sarà. Poi per fortuna avrò tempo per smaltire le emozioni e preparare le gare, perché chi porta la bandiera ha un ruolo guida, deve essere d’esempio e portare medaglie. Io ci proverò». Se ci riuscirà, avrà un significato ancora più profondo, come per Chechi ad Atene 2004 o la Vezzali a Londra 2012.