Imboscata francese a Chiavari: vince Decomble, terzo Mottes

01.09.2023
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CHIAVARI – Quando lo speaker annuncia che c’è un uomo solo al comando nel tratto in discesa, e che si tratta di Lorenzo Finn, ci vengono in mente le sue parole di questa mattina. Il giovane ligure corre a pochi chilometri da casa e conosce bene quelle curve. Un allungo a 30 chilometri dal traguardo che però non porta un vantaggio in termini di tempo. A Chiavari si è presentato un gruppetto di nove corridori e la volata viene vinta dal francese Maxime Decomble, che anticipa Storm Ingebrigtsen e Lorenzo Mottes (foto Fruzzetti in apertura). Una volta tagliata la linea di arrivo in centro a Chiavari Lorenzo Finn ci spiega tutto: 

«Non volevo attaccare – dice confrontandosi anche con Lorenzo Mottes, della rappresentativa trentina – quella strada la conosco così bene che mi è bastato semplicemente far correre la bici per prendere un po’ di vantaggio. Secondi importanti che una volta finita la discesa mi sono serviti per rifiatare, mancavano 30 chilometri alla fine, non potevo pretendere di andare via da solo». 

Finn, a sinistra e Mottes, a destra, si confrontano sulla tappa appena conclusa
Finn, a sinistra e Mottes, a destra, si confrontano sulla tappa appena conclusa

Sigillo francese

La nazionale transalpina ha fatto il diavolo a quattro oggi, anzi a tre, come i corridori inseriti nella fuga. Sin da questa mattina a Portofino si parlava del disegno particolare di questa seconda tappa del Giro della Lunigiana. Poco meno di 100 chilometri, ma con tutte le difficoltà altimetriche racchiuse nella prima metà. Tre GPM: di terza, seconda e prima categoria, “denti aguzzi” pronti a ribaltare la classifica generale. 

I francesi hanno preso in mano la corsa dai primi chilometri, con l’intento di attaccare e mettere in difficoltà il leader della generale, Jarno Widar. Il belga è rimasto fuori dal primo attacco, e insieme a Nordhagen, secondo in classifica, ha cercato di rientrare. Il punto di svolta è arrivato nei chilometri finali del Passo del Portello, terza e ultima salita di giornata, quando Nordhagen è rientrato sui primi, mentre Widar non ha colmato il buco, rimanendo ad una manciata di secondi.

«L’attacco di Bisiaux – racconta il vincitore di oggi, Decomble – era previsto, una volta andati via siamo rientrati in due: Sanchez ed io. Appena abbiamo capito che Widar era rimasto indietro siamo andati a tutta. Bisiaux è il nostro leader, ma oggi era necessario che tutti tirassero per fare in modo di ridurre i pretendenti alla vittoria finale».

«Quando è rientrato anche Nordhagen – gli fa eco Finn – abbiamo iniziato a girare per guadagnare sempre più tempo. Un belga si è fermato ad aspettare Widar, ma in due non avevano tante chance di rientrare. Anche io avevo il mio interesse, perché Gualdi, il migliore degli italiani, era rimasto in gruppo. Infatti sono riuscito a strappargli la maglia azzurra».

Il sorriso di Mottes

Lorenzo Mottes taglia il traguardo contento e soddisfatto, si è lanciato nella volata e ne è uscito terzo. L’azione di oggi gli ha permesso di guadagnare tempo sui diretti rivali e di consolidare la sua posizione in classifica generale. Il suo tecnico, però, gli dà una “tiratina” di orecchie quando scopre che ai meno 3 dall’arrivo gli sono venuti i crampi. «Dovevi alzare la mano – gli dice – farti furbo, venire in ammiraglia e prendere un gel, qualcosa. Respiravi un attimo e poi saresti tornato nel gruppetto».

«L’obiettivo di giornata – racconta Mottes – era quello di anticipare, non credevo di poter fare così bene su una salita così lunga (il riferimento è al Passo del Portello, ndr). Quando ho visto Finn entrare nella fuga l’ho inseguito, ci divideva un solo secondo e potevo giocarmi la maglia di miglior italiano. Con il passare dei chilometri mi sentivo bene, ho sofferto un po’ gli ultimi 3 chilometri, dove siamo andati veramente forte. Lì mi si sono “inacidite” un po’ le gambe. Non sono abituato a questi livelli (dice con una risata, ndr) ma rispetto allo scorso anno ho visto che sono più vicino ai loro ritmi. Prima li vedevo quasi irraggiungibili, ora riesco a starci attaccato più facilmente».

Mottes riceve un “tiratina” di orecchie dopo l’arrivo, ma tutto sommato è contento per quanto fatto
Mottes riceve un “tiratina” di orecchie dopo l’arrivo, ma tutto sommato è contento per quanto fatto

I problemi al ginocchio

In questa stagione il nome di Lorenzo Mottes è uscito maggiormente nei primi posti degli ordini di arrivo. Ha lottato spesso con lo stesso Finn, l’ultima volta nella Collegno-Sestriere, dove i due hanno occupato il primo ed il secondo posto. 

«Nel 2023 riesco ad avere molta più continuità – dice – ho risolto un problema al ginocchio che mi ha dato fastidio lo scorso autunno. Avevo un problema alla cartilagine, sistemato grazie a degli esercizi di stretching che mi permettono di non avere dolore. Negli allenamenti spingo molto meglio e in corsa questo si vede. Ultimamente sto andando davvero bene, peccato per oggi, avrei preferito prendere la maglia azzurra (quella del miglior italiano, ndr). Però ho visto che è un obiettivo che può essere sempre più concreto, nelle prossime due tappe proverò ad attaccare Finn. Ci separa un solo secondo al momento, in più nella classifica generale sono solidamente in top 10, grazie ai quasi 3 minuti guadagnati oggi sugli altri».

Chiavari ci ricorda che è ancora estate, con un sole che batte forte sulle teste dei presenti, mentre l’aria si riempie del profumo di salsedine. Il centro si svuota in fretta, rimangono i curiosi sotto al palco delle premiazioni e qualche corridore che fa “girare” le gambe per defaticare. Domani la battaglia si accenderà di nuovo e tocca essere pronti.

L’addio di Raggio e qualche risposta in sospeso

06.04.2021
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Luca Raggio era passato professionista nel 2018 dopo che nella stagione precedente aveva vinto il Trofeo Matteotti di Marcialla e il Giro della Provincia di Biella, centrando fra gli altri piazzamenti il 4° posto alla Coppa della Pace e il 5° alla Piccola Sanremo di Sovizzo e al Trofeo Capodarco. Correva con la maglia della Viris Maserati diretta da Matteo Provini e, come il suo compagno di squadra Jacopo Mosca l’anno prima, approdò alla Wilier Triestina di Scinto e Citracca. Con Mosca rimase per un anno appena, perché a fine 2018 il piemontese venne lasciato a piedi sentendosi dire per giunta di non essere un corridore. Andò all’Area Zero e ora è uno dei gregari più stimati della Trek-Segafredo. Anche Luca Raggio lo scorso anno ha provato a correre nella squadra di Ivan De Paolis, ma l’anno del Covid non ha fatto sconti neanche a lui. Classe 1995, casa in campagna nell’entroterra di Chiavari, oggi si occupa di preparazione. E anche se al momento di alzare bandiera bianca scrisse una lettera piena di passione, la voglia di fargli due domande più approfondite c’è venuta. Nel frattempo Luca ha seguito il corso da direttore sportivo e sta mettendo a punto il suo piano B.

Al Tour de Lankkawi 2019, Raggio è 8° nell’arrivo in salita di Gentling Highlands
Al Tour de Lankkawi 2019, Raggio 8° a Gentling Highlands
E così alla fine hai smesso.

Ho fatto una scelta di senso. Non perché non avessi voglia di correre, ma perché era diventato difficile continuare nelle condizioni in cui ero.

In quali condizioni eri?

Non ho mai trovato il colpo di pedale giusto. Il 2020 è stato un anno strano. E’ stato difficile tutto, anche uscire dal lockdown. Tanti viaggi per fare i tamponi. Poche corse. Pochi risultati. L’idea di fare un altro anno così tosto non mi attirava. Mi sono allenato tanto, anche più del necessario. Ho fatto giornate intere dietro macchina. Forse ho anche esagerato.

Più che il passaggio alla continental, forse il punto è perché non hai continuato con la Neri Sottoli?

Per un po’ ho sperato di rimanere, poi ho cominciato a riconoscere i segnali e ho capito. Sapevo com’era l’andazzo, anche se apparentemente non avevano nulla contro di me. Semplicemente sono stato lasciato andare come Mosca e come Turrin. Jacopo ha avuto la forza per tenere duro, Turrin ha smesso. Eppure con Visconti sarei potuto rimanere per dare una mano. Sono sempre stato corretto e me lo hanno riconosciuto. Speravo ci fosse il budget per pagarmi e invece mi sbagliavo. E ho anche sperato che potesse servirgli una mano quest’anno, dato che gli è andata via metà squadra.

Andando all’Area Zero speravi di fare come Mosca?

C’era anche una parola con la Gazprom e magari si sarebbe concretizzata senza il Covid. Ma quando tutto si è fermato, anche loro hanno preferito tenere chi già avevano e le porte si sono chiuse.

Dopo i tre anni fra Wilier e Neri Sottoli, Raggio è passato alla Area Zero
Dopo i tre anni fra Wilier e Neri Sottoli, Raggio è passato alla Area Zero
Perché non tenerti?

Mi sono chiesto spesso la motivazione. Ho sempre svolto il mio lavoro, mi sono messo a disposizione della squadra. Poi però ho cominciato a riconoscere i segni di quello che era capitato a Mosca. Se mi avessero detto qualcosa a ottobre, avrei potuto organizzarmi, invece il gioco è di tirarti sempre più avanti…

E poi cosa succede?

Ti dicono che non c’è budget e di pensare semmai a una soluzione. Solo che nel frattempo firmavano altri corridori.

Hai pagato per passare professionista?

Io meritavo di passare, ci sono i risultati che lo dimostrano. Non so su quale base scelgano i corridori, ma vennero loro a cercarmi a luglio. Poi ognuno ha il suo carattere. Sono arrivato ad aspettare fino a Natale, senza sapere niente. Speravo in un occhio di riguardo, anche nel rispetto di dirmelo prima, in modo che potessi cercare altrove.

Quello che è successo con De Bonis ti ha stupito?

Non lo conosco, ma credo che se costruisci le squadre prendendo corridori di spessore, corri meno rischi.

In che cosa consiste il piano B?

Sto collaborando con Leonardo Piepoli nel fare la preparazione a piccoli corridori, sperando che con il passa parola le cose si smuovano. Per ora da esterno, un domani magari in una squadra. Resto nel ciclismo. Staccarmene del tutto sarebbe stato troppo.

L’addio di Podestà: «Senza Alex non vado a Tokyo»

15.01.2021
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L’handbike di Vittorio Podestà non sfreccerà a Tokyo. Dopo aver filato lesta da Pechino a Rio via Londra e aver portato in dote 6 medaglie (2 per ciascun metallo) in 3 Paralimpiadi, rimarrà nel garage del 47enne ligure che è stato tra i pionieri del movimento in Italia, quando ancora la disciplina era semisconosciuta.

Un altro dei meriti di Vittorio è di aver convinto a gettarsi nella mischia anche quel fenomeno di Alex Zanardi, con cui ha condiviso diverse gioie, la più intensa delle quali quattro anni e mezzo fa in Brasile con l’oro ai Giochi Paralimpici, conquistato nella staffetta a tre insieme a Luca Mazzone. Il sogno era di bissarlo in Giappone, ma dopo l’incidente della scorsa estate, Vittorio ha deciso che era arrivato il momento di dire basta.

A Londra, Podestà vince l’argento nella staffetta e due bronzi nella crono e nella partenza di massa (foto Mauro Ujetto)
A Londra, Podestà vince l’argento nella staffetta e due bronzi (foto Mauro Ujetto)
Ti stai preparando per la Paralimpiade di Tokyo?

Vorrei rispondere di sì, ma alla fine ho deciso di abbandonare. Dopo quanto accaduto a Zanardi, ho fatto la mia scelta e ho deciso di fermarmi a quota tre Giochi: sono soddisfatto così.

Quando hai maturato questa decisione?

Già pochi giorni dopo l’incidente di Alex. Mi sono reso conto che l’unica motivazione era di divertirsi ancora insieme. Andare a Tokyo senza di lui sarebbe stato un po’ come continuare a fare il tuo gioco preferito senza il tuo migliore amico. Ci ho messo un po’ a metabolizzarla, ma alla fine è giunto il momento di renderla pubblica.

Una scelta di cuore, anche perché l’handbike è una componente fondamentale della tua vita.

Ormai sono 17 anni che ci macino chilometri, ho cominciato un annetto e mezzo dopo l’incidente. Gli ultimi 13 li ho condivisi con Alex, per cui si è creato un legame fortissimo e lui è stato determinante per me in tanti aspetti, come quello motivazionale.

Sei contento di dove lasci l’handbike, visto che sei stato uno dei precursori del nostro movimento?

Non mi sento il pioniere, però sono stato il primo italiano a vincere qualcosa di importante a livello internazionale, ovvero un mondiale e la prima medaglia paralimpica. Quando sono arrivato, l’handbike era già presente in Italia da alcuni anni e sono contento di aver contribuito a far crescere il movimento, facendo aumentare il numero dei praticanti. E nel frattempo, è arrivato Alex.

A Rio 2016, Podestà vince l’oro nella crono e nella staffetta con Mazzone e Zanardi(foto Mauro Ujetto)
A Rio 2016, per Podestà oro nella crono e nella staffetta (foto Mauro Ujetto)
Ricordi gli inizi?

Era nel settembre del 2007, quando mi ha detto che voleva fare la maratona di New York. Io l’ho assecondato, pensando che parlasse di quella del 2008, invece lui pensava al novembre successivo. Gli ho dato una mano a trovare un mezzo e lui si è preparato in un mese. Si è allenato quasi tutti i giorni, ma per fortuna ha dovuto spedire la bicicletta una settimana prima, altrimenti ci sarebbe arrivato troppo stanco. Si preparava come quando doveva fare i giri veloci in pista e io continuavo a dirgli: «Guarda che il motore sei tu, non sei in macchina. Se ti ingolfi, poi non ce la fai a fare 42 chilometri». Da quel momento, si è appassionato tantissimo, migliorando anno dopo anno.

E’ vero che durante il primo lockdown ti motivava?

Avevo già deciso di mollare dopo Tokyo, per dedicare più tempo alla mia famiglia, visto che ho una figlia piccola. Dopo il rinvio della Paralimpiade, gli ho detto che avrei mollato subito. Lui mi aveva fatto desistere, dicendo che aveva progettato una handbike speciale per gli atleti sdraiati come me e che ci avremmo lavorato. Era una bella iniezione di fiducia e lui era quasi contento del rinvio perché aveva deciso come me di smettere dopo Tokyo, per cui vedere la carriera allungarsi di un anno non gli era dispiaciuto.

Podestà ha 47 anni e vive a Chiavari con la moglie Barbara. Hanno una bimba (foto Mauro Ujetto)
Podestà vive a Chiavari con la moglie Barbara e una bimba piccola (foto Mauro Ujetto)
Poi quel maledetto 19 giugno…

Diciamo che la situazione critica è scongiurata. Il recupero sta andando bene e i progressi per il momento sono notevoli. Sarà lunga, ma sono fiducioso.