Bredewold mette tutte nel sacco. E Persico si mangia le mani

20.04.2025
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Podio tutto olandese nell’Amstel Gold Race delle ragazze, con la SD Worx-Protime ancora sugli scudi e vincitrice con Mischa Bredewold dell’ennesima classica dopo la Sanremo, la Gand e la Roubaix. Il rendimento delle ragazze di Danny Stam colpisce per la regolarità ad alto livello. E quando non si tratta di Kopecky e Wiebes, ecco l’arrivo solitario di questa olandese classe 2000, già campionessa europea nel 2023, lesta a infilarsi nella grande fuga che ha deciso la corsa.

L’Amstel Gold Race si corre nel Limburgo olandese. Non manca il mulino a vento…
L’Amstel Gold Race si corre nel Limburgo olandese. Non manca il mulino a vento…

L’occasione di Persico

Da italiani ce ne andiamo con il rammarico di Silvia Persico, quinta all’arrivo a soli 9 secondi da Bredewold, che ha davvero creduto di poter vincere. Ma quando è rientrata sul Cauberg all’ultima scalata, ha scoperto di non avere più gambe e anche il podio è andato a farsi benedire. La curiosità è che Silvia fu quinta anche quando nel 2023 l’olandese conquistò il titolo europeo.

«Avrei voluto vincere – dice con franchezza la bergamasca del UAE Team Adq – ma davvero ai 400 metri mi si sono bloccate le gambe. Ho fatto un bel rientro e mi dispiace perché il podio almeno poteva esserci. Guardando le ultime edizioni, era difficile pensare che potesse andare via una fuga così numerosa. Io dovevo correre agressiva, per essere in supporto di Eleonora Gasparrini per la volata ed eventualmente di Longo Borghini in caso di attacco. Poi però, una volta nella fuga, ho corso per vincere. Nell’ultimo giro mi sono resa conto che Puck Pieterse e Juliette Labous andavano più di me, mentre Mischa (Bredewold, ndr) è stata furba, ma per vincere serve anche quello».

Già nell’ultimo giro, Persico si era resa conto delle gambe migliori di Labous e Pieterse
Già nell’ultimo giro, Persico si era resa conto delle gambe migliori di Labous e Pieterse

Fra testa e gambe

Bredewold è al settimo cielo. A parte l’europeo, nel palmares di questa ragazza alta 1,81 c’erano finora una tappa alla Valenciana, una al Baloise Tour e una al Simac. L’Amstel è la perla che dimostra la sua capacità di concretizzare le poche occasioni a sua disposizione.

«Sono molto sorpresa – ha detto subito dopo – ho avuto una settimana difficile mentalmente, ma la squadra mi ha davvero aiutato a superarla. Sono grata e felice. Lo sport di alto livello non è facile, si dubita molto e spesso ci si impegna tanto per ottenere scarsi risultati. Vincere una gara è così difficile. La chiave è stata la fuga. Ci siamo concentrati su Lotte (Kopecky, ndr), ma abbiamo visto questa opportunità e l’abbiamo colta. Io stessa forse avevo troppa paura di attaccare, quindi sono contenta che Ellen (Van Dijk, ndr) l’abbia fatto per tutte. Le altre non mi hanno seguito, quindi mi sono buttata. Odio il Cauberg, ma ho continuato, e poi sono rimasta sola in cima. Significa molto per me. Questa è l’Amstel, una gara importantissima nel mio Paese. E’ un sogno».

Elisa Longo Borghini (che ha portato in corsa la V5Rs) ha coperto l’attacco di Persico. Ora fa rotta di Freccia e Liegi
Elisa Longo Borghini (che ha portato in corsa la V5Rs) ha coperto l’attacco di Persico. Ora fa rotta di Freccia e Liegi

Programmi da riscrivere

Di corsa a livello mentale potrebbe parlare in fondo anche Silvia Persico, caduta al Trofeo Binda e recuperata in extremis per il Fiandre. Il progetto era vincerlo accanto a Elisa Longo Borghini, invece si è trovata a scortarla dalla caduta fino al ritiro. Il programma prevede un periodo di stop, ma la corsa per il team emiratino non è andata come speravano. Alena Amaliusik si è ritirata e adesso anche il programma di Silvia rischia la riscrittura.

«Sto tornando a casa dai miei – dice – e da programma non dovrei fare Freccia e Liegi, ma adesso devo aspettare cosa deciderà la squadra. Quattro settimane fa avevo una costola rotta, per cui la mia campagna del Nord finora è tutta da leggere. La squadra ha avuto diversi infortuni e io non sono ancora al top, perché ho poco allenamento alle spalle, ma è ancora tutto da capire. Arrivo a casa, provo a riposarmi domani e poi vediamo cosa mi diranno».

Cauberg, Muro d’Huy e Redoute, Bartoli spiega (e racconta)

20.04.2025
9 min
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Archiviate le corse di pavé e muri, si passa a quelle delle cotes. La Freccia del Brabante ha fatto da ponte, ma da oggi in poi con l’Amstel Gold Race si entra nel regno delle Ardenne. Salite un po’ più lunghe, ma comunque esplosive, di quelle in cui lo spettacolo viene quasi da sé… e in questa era di fenomeni non ne parliamo! Invece delle cotes e di queste strade ardennesi, ne parliamo eccome. E lo facciamo con un campione che lassù non si è solo fatto valere, ma più di qualche volta è stato dominatore: Michele Bartoli.

Con il toscano si parla delle salite simbolo delle tre classiche che mancano per chiudere la campagna del Nord: il Cauberg dell’Amstel, il Muro d’Huy della Freccia Vallone e la Redoute della Liegi-Bastogne-Liegi.

L’imbocco del Cauberg, siamo a Valkenburg, cittadina nel sud dell’Olanda non lontana da Liegi
L’imbocco del Cauberg, siamo a Valkenburg, cittadina nel sud dell’Olanda non lontana da Liegi

Il Cauberg

Il Cauberg è la rampa di lancio quasi sempre decisiva dell’Amstel Gold Race e simbolo, forse, di un’intera terra: Valkenburg. Qui si sono scritte anche pagine iridate e sempre qui andò in scena il famoso “ammutinamento” di Bartali e Coppi che, al mondiale del 1948, per controllarsi a vicenda arrivarono staccatissimi nelle retrovie. I due rimediarono una sonora squalifica da parte dell’allora UVI, antesignana della FCI. Ma torniamo ai nostri tempi e cediamo la parola a Bartoli.

Michele, partiamo dal Cauberg…

In effetti è un simbolo di una zona e non solo di una corsa, come per noi toscani il Monte Serra!

Puoi descriverci la salita?

E’ una salita con buone pendenze ed esplosiva. In realtà non possiamo neanche chiamarla salita, perché le salite vere sono quelle dove serve essere scalatori. No, qui parliamo di un’altra tipologia: strappi, cotes, chiamateli come volete, dove bisogna essere atleti veloci, esplosivi e anche potenti. E’ una salita particolare, più vicina al Fiandre. Per fare un esempio: è più adatta a Van der Poel che a Vingegaard. Non ho detto Pogacar perché per lui vanno bene tutte!

La strada com’è?

E’ molto ampia e la pendenza è abbastanza regolare: nel tratto duro sta attorno al 12 per cento. In tutto dura poco più di un chilometro e poi inizia un lungo falsopiano dove si troverà l’arrivo dell’Amstel. E’ selettiva, perché fatta nel finale riesce a fare la differenza. Tutti tengono duro nel primo tratto per non rimanere staccati, però poi, se inizia a mancarti la gamba, la velocità nel punto dove spiana può essere molto differente tra chi ne ha e chi no.

E a livello di ambiente?

E’ la salita dove c’è più presenza di tifosi all’Amstel: tantissimi. C’è un gran tifo quando si passa dentro Valkenburg e si inizia a salire.

Quando l’hai fatta tu, con che rapporti si affrontava?

Se programmavi un attacco, potevi farla anche con il 53 da sotto: all’epoca 53×19 o 21. Dietro si iniziava già a usare il 23, anche il 25. Adesso con il 54 e le scale posteriori che arrivano al 34 non hai problemi. In una corsa come l’Amstel, il 54 se vuoi non lo togli mai.

Qual è il tuo ricordo del Cauberg?

Che l’aspettavo… molte volte con ansia! Era l’ultimo trampolino di lancio per fare una selezione definitiva. Quindi lo vivevi con uno stato d’animo di attesa vera.

C’era un punto preciso dove attaccare o si seguiva l’andamento della corsa?

Vedevi un po’ gli avversari, come si muovevano. Magari se notavi qualcuno in difficoltà potevi decidere di anticipare. Altrimenti, se c’erano squadre che tiravano, aspettavi il finale. Sono salite brevi in cui devi decidere al momento, in base al comportamento del gruppo, a meno che non si prepari un attacco con tutta la squadra. Ai miei tempi, invece, se avevi un compagno nel primo gruppetto era già un lusso. Cercavi di usarlo in modo diverso, non per una tirata di 200 metri. Invece oggi, se prepari un attacco, puoi farlo in grande stile anche sul Cauberg.

L’azione di Pogacar sul Muro d’Huy nel 2023. Siamo all’uscita dei tornanti, dove si supera per qualche metro il 25 per cento di pendenza
L’azione di Pogacar sul Muro d’Huy nel 2023. Siamo all’uscita dei tornanti, dove si supera per qualche metro il 25 per cento di pendenza

Il Muro d’Huy

Passiamo al Muro d’Huy. Una vera icona. Nella Freccia Vallone si affronta per tre volte e ognuna è una bolgia, uno stadio a cielo aperto. Introdotto nel 1982 (quando vinse Mario Beccia), è diventato il punto d’arrivo della corsa dal 1985. Da allora, gli italiani hanno vinto 11 volte. Bartoli alzò le mani nel 1999.

Michele, eccoci dunque al Muro d’Huy. Ulissi ci ha detto che quando si sale si vive il pubblico, ne puoi sentire l’odore…

In generale devo dire che la Freccia Vallone mi è sempre piaciuta tantissimo. L’ho sempre cercata, in tutti i modi. Sì, Ulissi ha fatto una descrizione giusta. Il Muro d’Huy ti dà sempre i brividi, dalla prima all’ultima volta. E rispetto ad altre salite simbolo, penso al Grammont o al Poggio, è l’unica con l’arrivo in cima.

Come prima: descrivici la salita. Si pensa sempre alla “S” dura, ma anche prima non regala niente…

Inizia a salire sin dall’abitato di Huy e già dal chilometro finale, quando si svolta a destra e si entra nel muro vero e proprio, capisci come andrà a finire. Se senti che la gamba non risponde, è bene cambiare tattica e giocare in difesa.

Lì è importante avere un compagno di squadra che ti porta su, o essere già in posizione giusta ma coperto, giusto?

E’ importante, perché quando svolti a destra, se sei anche solo un po’ indietro, spendi energie per tornare davanti. E se in quel momento accelerano, ti manca quell’attimo per respirare. Avere un compagno è l’ideale, ma se non ce l’hai devi comunque stare davanti. Anche perché nel chilometro finale la strada diventa molto stretta.

Chiaro…

E’ molto ripida, siamo oltre il 20 per cento. Però si gestisce. Io cercavo sempre il feeling giusto, risparmiando fino alla S, perché l’attacco da lì in poi “viene da solo”. A quel punto, se hai la gamba, dai tutto fino a dove spiana. Lì capivi se i pochi rimasti andavano in difficoltà. A me piaceva guardare in faccia l’avversario: capire se stava accusando.

In quel tratto finale (tra il 9 e il 6 per cento) si riesce a mettere la corona grande?

No, è improponibile. Lavori dietro con i rapporti.

La Redoute. Qui termina (oggi) questa cotes. I corridori svoltano a destra con una curva a gomito
La Redoute. Qui termina (oggi) questa cotes. I corridori svoltano a destra con una curva a gomito

La Redoute

E veniamo infine alla Redoute, perla della Liegi-Bastogne-Liegi. Siamo “a casa” di Philippe Gilbert, nell’immenso spiazzo dei camper che si radunano alla base, e qualcuno anche lungo la salita, sin dal giovedì dopo la Freccia per gustarsi le ricognizioni.
La Redoute si affronta una sola volta. Quest’anno arriva al chilometro 218, cioè a 34 dalla fine.

Michele, chiudiamo con la Redoute. Rispetto ai tuoi tempi è cambiata: ora in cima al tratto duro si svolta a destra e si scende. Una volta c’era un falsopiano…

La Redoute aveva perso un po’ d’interesse con l’inserimento della Cote de la Roche aux Faucons. Ma adesso, con questi campioni, è tornata in auge. Di certo è cambiata tatticamente. Resta un trampolino di lancio dove misuri l’avversario o decidi di scatenare qualcosa. Per me la gara iniziava sulla Redoute. Lì capivi chi stava bene e chi no. Se era il caso di fare un attacco decisivo.

Come si prende? All’imbocco la strada è stretta, c’è quel dedalo di curve nel paesino…

E’ un bel problema prenderla bene, perché si viene da una discesa ampia che ti fa organizzare male la squadra. Ti passano da tutte le parti. Io lì usavo molto i compagni per stare davanti e dettare il ritmo.

Della salita vera e propria cosa ci dici?

E’ dura davvero. Ti toglie energie. Man mano che sali senti che le sensazioni cambiano, forse per la tensione accumulata. Non è il Mortirolo, ma quando arrivi in cima sei esausto: è un continuo aumentare della pendenza.

Tu dove attaccavi?

Ai 500-600 metri dal termine del tratto duro. Ma sono metri lunghissimi, non passano mai. Hai la percezione che il tempo rallenti: «Ora ci arrivo, ora ci arrivo»… ma non ci arrivi mai!

Sulla Redoute c’è sempre tanta gente. Che atmosfera si percepisce?

Durante la ricognizione, almeno per me, era sempre un test. Capire se era l’anno giusto, se avevi la gamba. Era quasi come una gara. Il tifo si percepisce, anche se sei concentrato. E’ un tratto talmente particolare che riesci a renderti conto di quanto ti urlano.

E questo contribuisce a rendere il momento importante?

Se sei tu a dettare il ritmo sì. Altrimenti, se subisci, il caos ti dà fastidio. Almeno, per me era così.

Abbiamo detto che non c’è più il falsopiano dopo il tratto duro: ti piace di più la vecchia versione o la nuova?

Tatticamente, la vecchia era meglio. Anch’io la vera differenza la facevo sul falsopiano. Ora, se non riesci a mettere in difficoltà gli avversari nel segmento duro è finita. La Redoute è passata. Prima, invece, avevi un “secondo round”.

Velasco d’Olanda: «L’Amstel mi piace, non sopporto la Freccia»

19.04.2025
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Con tre piazzamenti nei primi dieci, Simone Velasco è uscito dal Giro dei Paesi Baschi con qualche punto e soprattutto tante certezze in più. Ora si fa rotta verso le Ardenne, dove ci saranno altri avversari e altre storie da raccontare. In questi anni di piazzamenti da pesare col bilancino della classifica UCI, la XDS Astana viaggia stabilmente in terza posizione, dietro UAE Team Emirates e Lidl Trek, anche grazie al rendimento costante dei suoi uomini. E gli italiani in questo gioco un po’ necessario e un po’ perverso stanno svolgendo alacremente la loro parte.

Giovedì sera il bolognese è volato in Olanda. Venerdì ha pedalato con i compagni nel finale dell’Amstel che ha finalmente riscoperto l’arrivo sul Cauberg. E da quella sorta di balconata sul Limburgo olandese con vista sul Belgio, ha potuto ragionare sulla settimana delle Ardenne che sin dall’inverno è stata il suo principale obiettivo.

«Ai Baschi comunque – dice – ho dimostrato una bella condizione. Peccato che un malanno avuto a metà febbraio abbia un po’ stravolto i programmi. Per cui ho corso la Coppi e Bartali che non dovevo fare, ho fatto il GP Indurain e i Baschi che non dovevo fare, mentre sarei dovuto andare in altura. Per cui adesso si tratta di sfruttare ancora la condizione costruita in Spagna. Riuscire a fare qualche bel risultato sulle Ardenne sarebbe sicuramente una ciliegina sulla torta di questo inizio stagione, che finora è stato più che positivo».

Velasco, classe 1995, è professionista dal 2016. E’ alto 1,70 per 59 chili
Velasco, classe 1995, è professionista dal 2016. E’ alto 1,70 per 59 chili
Le Ardenne sono l’insieme di tre corse molto diverse fra loro. Amstel, Freccia Vallone e Liegi: qual è la tua preferita?

Per come è fatta, l’Amstel è quella che si adatta di più alle mie caratteristiche. Delle tre, la Freccia Vallone è quella che non amo. E poi la Liegi ha sempre il suo fascino, ma è un po’ troppo dura per me. Però se ci arrivi con una grande condizione, puoi sempre lottare per fare un bel risultato. Per cui ci proviamo, siamo su con una bella squadra e andremo alla ricerca dei punti. Tanto il ciclismo di oggi si basa su questo, come sempre si corre in quest’ottica e anche noi cercheremo di fare il meglio possibile anche a livello di squadra.

Per uno che come te viene dalla mountain bike, la Freccia Vallone non dovrebbe essere un bel banco di prova?

L’arrivo là in cima non mi ha mai entusiasmato, perché alla fine si risolve tutto sull’ultimo strappo. A me piacciono di più le corse a sfinimento, invece a Huy tante volte ci si ritrova ancora con 50, 60 corridori ai piedi del Muro. Alla fine è anche un discorso di posizioni e non solo di gambe. E a me non vanno tanto a genio gli arrivi in cui c’è da prendersi qualche rischio in più ed essere… sfacciati. Se devo dire la verità, non sono neanche mai arrivato a prendere il Muro con il gruppo dei primi, tra cadute, la volta che c’era una fuga e il gelo dell’anno scorso. Magari quest’anno sarà l’anno buono per provare a vedere se si possa invertire la tendenza.

Al Giro dei Paesi Baschi, per Velasco tre top 10 e l’ottavo posto finale a 3’43” da Almeida
Al Giro dei Paesi Baschi, per Velasco tre top 10 e l’ottavo posto finale a 3’43” da Almeida
La ricerca di punti è necessaria, ma si riesce anche a ragionare in termini di risultato assoluto?

Diciamo che si cerca sempre di fare risultato. E’ chiaro però che per una squadra come la nostra, non avendo un leader dichiarato particolarmente forte, è difficile puntare tutto su un corridore. Per questo, dovendo comunque considerare il ranking, saremo aperti su più fronti. Sicuramente la ricerca di un risultato importante è sempre l’obiettivo principale della gara. Anche ai Paesi Baschi abbiamo cercato di vincere e lo stesso al GP Indurain e in tutte le altre gare fatte sin qui.

L’Amstel è la più adatta e il finale è tornato quello di una volta.

Quello prima del 2019, su cui non ho mai corso. Per questo con Scaroni e gli altri compagni abbiamo ritenuto necessario provare il finale. L’anno scorso sbagliai la volata, altrimenti avrei potuto avvicinarmi alla top 10. Ora c’è da capire se e come cambierà lo svolgimento della corsa, ma cercherò di farmi trovare pronto.

Che differenza c’è tra il Velasco che vinse il tricolore due anni fa e quello di oggi?

Oramai sono cinque anni buoni che riesco a esprimermi su un livello medio alto. Il campionato italiano mi ha portato consapevolezza nei miei mezzi e credo di avere dimostrato, anche se non in toto ma comunque in parte, di aver fatto uno step successivo. Se tutto va come deve, riesco a essere competitivo nelle corse WorldTour e, quando mi chiamano all’appello, rispondo quasi sempre presente. E’ chiaro che quando si va a correre con certi campioni, cercare il grande risultato non è mai semplice. Comunque penso che dal 2023 c’è stata una svolta.

Alla Coppi e Bartali, un terzo posto nella tappa di Cesena, dietro Vine e Sheffield
Alla Coppi e Bartali, un terzo posto nella tappa di Cesena, dietro Vine e Sheffield
Di che tipo?

Sono maturato fisicamente e mentalmente. E comunque a quasi trent’anni, anche se sono professionista da dieci, sento di essere ancora abbastanza giovane. Per il periodo in cui sono passato, anche se avevo solo vent’anni, non sono stressato come alcuni giovani che diventano professionisti adesso. Sono ancora pieno di forze e con tanta voglia di far bene. Questo conta quando vai alle gare.

Dopo la Liegi si stacca la spina?

Nel programma c’è che potrei fare il GP Francoforte del primo maggio, però vediamo come starò fra dieci giorni, perché ho fatto un filotto di un mese e mezzo che mi ha messo abbastanza a dura prova. Ho fatto tante tante gare ravvicinate e non ho mai avuto modo di recuperare. Quindi tirerò il fiato, poi andrò in altura nella seconda parte di maggio e dopo proveremo a fare una bella preparazione per il Tour.

Lavori in corso per l’addio di Gilbert. E Quinziato ricorda

01.10.2022
5 min
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Si dice che Gilbert avrà giusto il tempo di appendere la bici al chiodo e poi diventerà presidente del CPA, il sindacato mondiale dei corridori. Di sicuro assieme a Trentin è uno di quelli che ci ha messo più spesso la faccia. Prima però ci sarà da festeggiare sul Cauberg con la Phil’s Last Ride. Il bilancio della carriera parla di 80 vittorie in 20 anni, con la sola Sanremo che manca alla collezione di Monumenti. Su quel muro olandese invece ha vinto quattro Amstel e il mondiale del 2012 e lassù ha invitato i suoi amici corridori il 15 ottobre. Fra loro, ci sarà Manuel Quinziato. I due hanno corso insieme per tutta la permanenza di Gilbert alla BMC. Per questo gli abbiamo chiesto un ritratto del grande belga che, al pari di Valverde e Nibali, ha scelto il 2022 come ultima stagione.

Gilbert sta annunciando sulla sua pagina Facebook i nomi degli amici per il suo addio. Qui Quinziato
Gilbert sta annunciando sulla sua pagina Facebook i nomi degli amici per il suo addio. Qui Quinziato
Fine 2011, arriva Gilbert. Chi era?

Usciva dall’anno delle 18 vittorie, con Amstel, Freccia, Liegi e San Sebastian, per cui scrisse il libro My Year in Top Gear. Arrivò che era già il corridore più forte al mondo, anche se il primo anno fece un po’ fatica all’inizio. Poi si riprese, vinse due tappe alla Vuelta e alla fine il mondiale.

Che impressione ti diede?

Un bravissimo ragazzo. Sveglio, molto intelligente, uno che aveva visione di corsa. Quando sta bene, non sbaglia niente. Quello che mi ha impressionato, avendo vinto tutte quelle corse, fu che al primo ritiro, se ho capito bene, era la prima volta che usava l’SRM. Praticamente non usava nemmeno il cardio. Faceva tutto a sensazione. E anche quando faceva le SFR, si metteva a ruota di uno, poi scattava dietro a un altro. Una salita la faceva piano, quella dopo la faceva a tutta. Era genio e fantasia.

Il Cauberg è il muro di Gilbert: nel 2012 partì qui per vincere il mondiale, ma ha vinto anche 4 Amstel
Il Cauberg è il muro di Gilbert: nel 2012 partì qui per vincere il mondiale, ma ha vinto anche 4 Amstel
Un tipo sveglio?

Una persona estremamente intelligente. Non ha mai corso in Italia, ad esempio, ma parla perfettamente l’italiano. Perché a Liegi comunque c’è un quartiere di italiani e poi ha corso in squadre belghe dove c’erano altri italiani. E alla fine lo ha imparato. 

Siete amici?

Sicuramente c’è un rapporto d’amicizia. Un anno, il 2013, è venuto a Bologna per vedere un concerto dei Placebo con mio cugino e degli amici. Io conoscevo uno dei membri della band e siccome aveva origini belghe, a lui era venuta voglia di vedere un concerto. Anche quando poi ha cambiato squadra, era uno dei corridori con cui mi fermavo sempre a parlare. Quindi mi ha fatto molto piacere che mi abbia chiamato, anche se abbasserò il livello (ride, ndr), visti quelli che ci saranno.

Lombardia 2012, Gilbert fresco iridato: al via da Bergamo non sfugge al bagno di folla
Lombardia 2012, Gilbert fresco iridato: al via da Bergamo non sfugge al bagno di folla
Un vero leader?

Mi ricordo un Giro del Belgio in cui mi impressionò la sua mentalità vincente. Perché lui, che stesse bene o meno, faceva sempre la corsa. Ci sono corridori che sono più timidi o hanno meno personalità e anche se stanno bene e non si prendono responsabilità. Lui faceva sempre la corsa, non importava come stesse. Quella è una cosa che mi aveva colpito. A volte andava male, però quando stava bene e la squadra lavorava per lui, quello era sicuramente un giorno positivo. Ha carattere vincente, una mentalità che non tanti hanno così forte.

Quanto era pesante essere campione del mondo in Belgio?

Gli sono stato vicino quell’anno. Mi ricordo che quell’inverno facemmo un ritiro a ottobre: a Gand, senza biciclette. Era come girare con Cristiano Ronaldo, negli anni belli del Real Madrid. Una cosa impressionante.

Ti è mai parso infastidito?

Ecco, questa è un’altra cosa positiva di Philippe. Si ferma con tutti i tifosi, sta con le persone. Questa è una cosa che mi piace molto, più diventi famoso e importante, più devi fare attenzione a questi aspetti. E lui si fa le foto con i fan che vogliono un autografo, si ferma con i bambini, è veramente disponibile con tutti.

Credi abbia sempre la stessa motivazione?

Quest’anno a 40 anni ha vinto una tappa e la classifica finale a Dunkerque. Se non sei estremamente motivato, è difficile vincere nell’ultimo anno. E anche se vince meno, comunque è un corridore che aiuta a vincere. Quindi in una squadra giovane come la Lotto Soudal in cui era quest’anno, sicuramente è stato utile per l’esperienza. E’ uno sport dove comunque avere accanto un corridore con la sua esperienza è importante.

Anche Quinziato è volato in Australia. Qui assieme a Ganna il giorno dopo la crono
Anche Quinziato è volato in Australia. Qui assieme a Ganna il giorno dopo la crono
Cosa ti aspetti dalla festa del Cauberg?

Non sarà il fine carriera di Federer, oppure magari sarà quello e sarà anche emozionante. Non so, non penso. Quando ha cambiato squadra, l’amicizia è rimasta uguale. Andremo per fare festa. I belgi su quello sono imbattibili.

Cavalli chirurgica sul Cauberg. L’Amstel Gold Race è sua

10.04.2022
5 min
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Splendida, immensa, bravissima… aggiungete pure tutti gli aggettivi che volete. Marta Cavalli ha vinto l’Amstel Gold Race femminile con un’azione magistrale. Perfetta nei tempi e nella forza delle gambe.

Il volto della portacolori della Fdj – Nouvelle Aquitaine Futuroscope stamattina era il ritratto della serenità. Non che Marta non lo sia, ma conoscendola, a volte è più tesa. O quantomeno concentrata. Invece chi le era vicino ha esaltato questa sua serenità. Tranquilla e sorridente, si preparava al via.

Quei gambali…

Anche se stavolta siamo in Olanda, lassù il clima non è ancora primaverile. Non è freddo come al Fiandre di domenica scorsa, ma neanche fa caldo. E per questo Marta, quasi unica in gruppo, decide di correre con i gambali. Scelta che forse alla fine paga.

Forse, perché come diciamo sempre oggi spesso sono i dettagli a fare la differenza e per chi è super magra come lei il freddo si sente di più. E fa consumare di più. Magari anche per questo nel finale aveva un briciolo di energia in più.

Ma torniamo in corsa. L’Amstel è un budello: un saliscendi, un destra-sinistra continuo. Per assurdo è quasi peggio della Ronde. Bisogna stare davanti e la Cavalli con le sue compagne è sempre guardinga in testa al gruppo.

Si fa selezione, ma alla fine è il Cauberg il giudice supremo. Restano sempre in meno. Scappa una decina di atlete, forse anche meno. Proprio allo scollinamento il drappello rallenta e come una freccia esce Marta Cavalli. Un chilometro e mezzo da fare a tutta. Pancia e sguardo a terra. Non si vede il suo volto ma solo il suo casco. Spinge, vola. Guadagna un decina di secondi che in quel frangente sono oro.

Mani sul casco per la cremonese. A Valkenburg precede Vollering e Lippert
Mani sul casco per la cremonese. A Valkenburg precede Vollering e Lippert

Finale chirurgico

Solo ai 900 metri si volta e capisce che davvero può farcela. E ce la fa. Ha persino il tempo di godersi il finale e di capire che ha vinto l’Amstel.

«In settimana – ha spiegato dopo l’arrivo – avevamo provato il percorso e due cose erano importanti. Pendere bene la curva a sinistra che immetteva sul Cauberg e la possibilità di un rallentamento in cima. E così è stato. A quel punto, ho messo in pratica il nostro motto: o tutto o niente. E sono andata.

«Col nostro diesse ne avevamo parlato. Sapevamo che si sarebbero potute controllare e partire con velocità da dietro significava sprecare energie per inseguire e non per fare la volata».

Dalla radio il suo diesse Nicolas Maire, la incita e per quel che è possibile le dà i distacchi. Questo fa sì che Marta non si volti mai. Può pensare solo a spingere.

«E’ sicuramente il successo più importante della mia carriera. Devo ringraziare tutto lo staff. E’ un sogno. Da parte mia ho spinto fino alla fine. Fino agli ultimi 20 metri, mai mi sarei perdonata di perdere perché non avevo dato tutto.

«Quando mi sono voltata -spiega con passione la Cavalli – ho visto che avevo margine. In quel momento ho capito che il più era fatto, ma che anche bisognava spingere. La cosa bella è che di solito queste immagini le vedevo in Tv con altre protagoniste. Stavolta invece ero io, in prima persona. E’ stata una vera emozione. Le energie si sono moltiplicate».

Dopo l’arrivo scoppia la gioia. La FDJ – Nouvelle Aquitaine ha lavorato benissimo, soprattutto con la Borgli (qui l’abbraccio con Le Net)
Dopo l’arrivo scoppia la gioia. La FDJ – Nouvelle Aquitaine ha lavorato benissimo, soprattutto con la Borgli (qui l’abbraccio con Le Net)

Vittoria nata al Fiandre

Sul podio Marta dà un sorso al mega boccale di birra. Si gode il momento. Ha scritto una pagina di storia. E’ la prima italiana che vince questa classica. Tra l’altro infilando una delle favorite di casa, Demi Vollering.

E dire che le cose non si erano messe bene per lei, dopo le prime gare. Il problema con il lattosio l’aveva costretta allo stop. Tanto che al via della Strade Bianche la incontrammo, stupiti, in borghese.

Il suo successo, se vogliamo, è iniziato il giorno dopo il Fiandre. Era tornata in Italia visto che era al Nord già da un bel po’ e che poi sarebbe dovuta tornare per le Ardenne. E archiviata una Ronde nella quale sarebbe voluta andare meglio ad un certo punto aveva voltato pagina. Su Instagram aveva scritto: «Ronde alla spalle, tempo di guardare avanti, all’Amstel Gold Race». Oggi era la capitana.

La prova del percorso, la voglia di arrivare, il fatto che dai tempi della Valcar – Travel & Service abbia modificato il suo fisico e da velocista si sia trasformata quasi in una scalatrice: c’erano tutti gli ingredienti per fare bene. Alla fine è perfetta per corse così. 

La ricognizione è stata vitale. Marta sa osservare ed ascoltare come poche. Già lo scorso anno la osservammo da vicino durante quella della Liegi, che per un problema al ginocchio, fece in auto. Studiò ogni millimetro del tracciato con la massima attenzione. E con la squadra hanno messo in pratica tutto alla perfezione. Anche gli applausi, unite sotto al podio.

«Sono tornata su, in Olanda, venerdì – conclude la Cavalli diretta in aeroporto – all’ultimo ho deciso di fare qualche giorno a casa e adesso sto già ritornando. Dicevo: sono arrivata venerdì. Sabato ho fatto questa accurata sgambata con la squadra. Il colloquio con il diesse e oggi la corsa. Se me la sentivo? A dire il vero no. Non stavo male, ma neanche benissimo nel finale. E come spesso succede le corse si vincono anche così, con sensazioni non super, proprio perché essendo meno spavalda sprechi meno energie».

L’Amstel dei millimetri e delle dure lezioni

18.04.2021
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Se nessuno si è lamentato, vuol dire che il risultato del fotofinish sta bene a tutti, anche se a guardare le immagini, Pidcock dà ancora adesso la sensazione di esserci passato per primo. L’Amstel si è conclusa da poco e dalla valutazione dei pixel della fotocamera dell’arrivo emerge che il vantaggio di Van Aert sulla linea è di 6 millimetri. Il podio ha posto fine a ogni possibile dubbio, il belga ha capito al Brabante che del piccolo inglese non poteva fidarsi e lo ha preso sul solo piano in cui era certo di poterlo sopraffare: quello della potenza. Ma c’è mancato davvero poco.

La vittoria è stata assegnata a Van Aert con margine di 6 millimetri
La vittoria è stata assegnata a Van Aert con margine di 6 millimetri

Rammarico Pidcock

Pidcock ha tirato su col naso ed è tornato verso il pullman. Il suo programma prevede che resti al Nord fino alla Freccia e poi torni a casa, ma non ci stupiremmo se gli chiedessero di farsi un giretto anche sulle colline fra Liegi e Bastogne.

«Sarei dovuto partire per primo – ha detto Pidcock – perché ero più veloce. Questa è stata una grande lezione. Ho lasciato a Wout un piccolo margine, ma eravamo troppo vicini al traguardo. Ero dietro di lui, mentre sarei dovuto restare al comando. Ho fatto una buona gara. Penso di essere stato il più forte e sono contento di quella sensazione. Ma è frustrante che la differenza sia stata così piccola».

Alaphilippe ha provato a fare il forcing sul Cauberg, ma non ha fatto male
Alaphilippe ha provato a fare il forcing sul Cauberg, ma non ha fatto male

Miglior italiano

«C’è mancato poco anche che li prendessimo – scherza Kristian Sbaragli, settimo all’arrivo – sono stati fortunati che Chaves ha bucato. Stava tirando per Matthews e di colpo, ciao… Sennò con lui che tirava e anche un mio compagno, non so se ce la facevano. Ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte, per cui onore al vincitore».

Il migliore degli italiani si è reso conto subito che nella sua squadra mancava un nome importante e che se ci fosse stato lui, la corsa probabilmente non sarebbe arrivata tutta impacchettata fino agli ultimi 40 chilometri.

L’attacco decisivo di Pidcock, che si è dimostrato il più brillante in salita
L’attacco decisivo di Pidcock, che si è dimostrato il più brillante in salita

«Ma secondo me – dice – oltre che per l’assenza di Van der Poel, siamo andati tutti cauti perché nessuno conosceva il nuovo percorso. Compatti fino all’ingresso nel circuito del Cauberg, poi sono iniziate a saltare ugualmente le gambe, perché è venuta ugualmente dura. Eppure gli siamo arrivati a 3 secondi. Ho fatto una bella volata, mi porto a casa una bella top 10, un settimo posto tutto in linea con gli altri. Potevo benissimo essere quarto. Siamo arrivati a tanto così dal giocarci un’Amstel nonostante, senza Mathieu, nessuno ci desse un soldo bucato».

Lezione imparata

Van Aert è rimasto per un paio di minuti lunghi una vita al centro della strada, cercando nello sguardo dell’altro la conferma per una sensazione che non è mai stata davvero netta.

Per 5 minuti sullarrivo, Van Aert non credeva di aver vinto l’Amstel
Per 5 minuti sullarrivo, Van Aert non credeva di aver vinto l’Amstel

«Il margine è stato davvero piccolo – ha detto – perché dopo il traguardo non riuscivo a rendermi conto di nulla. Pochi istanti dopo, mentre alla radio mi dicevano che avevo vinto, sul maxi schermo ho rivisto le immagini e mi sono tornati i dubbi. Ci ho creduto solo quando la Giuria è entrata nel locale in cui ci stavamo cambiando e mi ha dato la conferma. Io da solo non ci sarei riuscito. La sola lezione che ho imparato mercoledì alla Freccia del Brabante è di non sottovalutare mai più Pidcock, anche se onestamente non credevo di averlo fatto. Oggi è stato uno sprint diverso, più veloce e piatto, quindi sapevo che era a mio favore. Ma a giudicare dal margine risicato, devo dire che ho trovato un grande avversario. Quel ragazzino è davvero forte».

Sul podio dell’Amstel, prima il momento dei fiori, poi quello della birra
Amstel, prima il momento dei fiori, poi quello della birra

Cosa fa Valverde?

Il resto è sparito nel segno della fatica che si è insinuata nelle gambe nonostante un dislivello non certo proibitivo. Come dice Sbaragli, ogni cinque minuti c’era una salita e questo alla lunga ha messo il piombo nelle gambe di tutti, soprattutto di quelli che sono arrivati a questo inizio di sfide al Nord con la riserva già accesa. Potrebbe essere il caso di Alaphilippe, ad esempio, che ha chiuso al sesto posto: forse il finale non si addiceva alla sua esplosività, ma per sapere come stanno davvero le cose, basterà aspettare un paio di giorni. Mentre Van Aert annuncia che ora la bici finirà in garage e Van der Poel ha annunciato un bel mese lontano dalle corse, per Julian arriva il clou della stagione. Cresce intanto il vecchio Valverde. Forse darlo per morto troppo presto non è stata la scelta migliore.