Rui e la Zalf Fior, una storia consegnata alla storia

29.11.2024
8 min
Salva

Si sono ritrovati ed erano più di cento. Le convocazioni sono partite dal cellulare di “Ciano” Rui, classe 1958, il direttore sportivo che dal 1990 ha tenuto sulle ginocchia tutti i campioncini della Zalf Fior. E anche quando ha passato il testimone a Faresin, ne è rimasto l’anima. Dopo 43 anni la squadra di Castelfranco Veneto non sarà più ai nastri di partenza della stagione e per chi segue il ciclismo da tanti anni, sarà una mancanza non da poco. Dire che cosa abbia rappresentato la Zalf Fior per il ciclismo mondiale richiederebbe un libro e forse non basterebbe. Da quelle stanze sono venuti alla luce diversi campioni del mondo e fior di professionisti che hanno reso grande il ciclismo italiano. Negli anni in cui, come ha raccontato ottimamente Gianluca Geremia (altro corridore di Rui e della Zalf), qui si facevano le cose sul serio e i corridori erano prima uomini e poi atleti.

Perciò noi, che di anni con loro ne abbiamo vissuti 33 e assieme a Rui abbiamo trascorso giornate di corsa e serate a parlarne (decifrando il dialetto con una birra o una grappa in mano), lo abbiamo chiamato per un assaggio di quel che è stata la Zalf dei dilettanti. E come per ogni articolo di questa lunga vita in parallelo, la raccomandazione finale del tecnico veneto, che fu per due anni professionista, è stata sempre la stessa: «Mi raccomando, scrivi bene!».

Intervistato accanto a Gaspare Lucchetta, il signor Euromobil, Rui (a destra) racconta la sua Zalf
Intervistato accanto a Gaspare Lucchetta, il signor Euromobil, Rui (a destra) racconta la sua Zalf
Ciano, che cosa è stato questo viaggio con la Zalf?

Ho iniziato dal 1990, dal mondiale di Gualdi fino al 2024. E’ stato un viaggio bellissimo, 34 anni in cui è cambiato tutto. E’ cambiato il modo di rapportarsi e il modo di correre. Io ho avuto la fortuna di avere due famiglie (Lucchetta, titolari della Euromobil, e Fior, ndr) che mi hanno permesso di lavorare in maniera sicura e con lungimiranza, senza problemi economici. Ai primi tempi andavamo alle corse in tre persone. C’eravamo io, un meccanico e un accompagnatore e si facevano le stesse corse di oggi, si vinceva e si perdeva. Adesso è cambiato il mondo e si portano dieci persone per un atleta.

Sei sempre stato un fratello maggiore per i corridori, più che un sergente di ferro…

All’inizio avevo 7-8 anni di più, ero un po’ l’amico confidente, giocavo con loro. Non sono mai stato un grande preparatore, ma un buon comunicatore. Poi mi sono affidato a Gianni Faresin che mi ha permesso di crescere ancora. Ai miei ragazzi dicevo che per diventare corridori servivano tre F: Forza, Fortuna e Furbizia. E’ quello che serviva per fare bene, mentre adesso si guardano solo i wattaggi. Una volta si faceva gruppo, si faceva famiglia. C’era la famosa casetta, ti ricordi? Quanti aneddoti si possono scrivere? C’è stata l’era di Fondriest e poi quella di Gualdi. L’era di Bertolini contro Simoni e Rebellin. L’era di Figueras contro Palumbo, quella di Colbrelli e quella di Moscon. Tutte storie bellissime, sempre correndo a buoni livelli. Magari non abbiamo fatto niente di eccezionale, ma di certo abbiamo fatto qualcosa di importante.

Bertolini e Pontoni, entrambi campioni italiani nel 1993: il primo su strada, il secondo nel cross
Bertolini e Pontoni, entrambi campioni italiani nel 1993: il primo su strada, il secondo nel cross
Era un ciclismo diverso, con gli elite che tenevano a battesimo i giovani e li facevano crescere.

C’erano squadre di corridori già adulti, come la Paultex, che ti insegnavano a correre. Mi ricordo che un anno avevamo un squadrone forte, ma le vittorie più belle le fece Figueras che era un ragazzino di primo anno. E correndo in mezzo a quelli più grandi, maturavano anche come personalità. In quegli anni per un corridore c’erano tre cose fondamentali: la patente, il servizio militare e le prime morose. Maturavano così e rimanevano con noi per quattro anni. C’era un altro spirito. In Veneto c’erano 20 squadre, ma mi ricordo sempre la guerra contro Locatelli, Tortoli e Piccoli. Guerra sportiva, ma amicizia fra noi. Ogni sera alle corse, era una cena. Adesso ci sono solo le e-mail e non c’è più dialogo. Il ciclismo al giorno d’oggi è fatto così e forse per questo tanti sponsor e tante squadre non sono più innamorate.

Quanto orgoglio c’era nell’essere direttore della Zalf?

Senza fare lo sbruffone, dico sempre che non ho mai avuto problemi a prendere un corridore, il problema era dirgli no. Un anno sono andato a Livigno e in 30 secondi ne ho presi cinque della nazionale. Oss, Modolo, Ponzi, Boaro e forse Malacarne, non ricordo bene. Era davvero bello, perché proponevamo un sistema innovativo, in quegli anni era più facile creare delle cose nuove. Dopo i primi anni che si faceva tutto in tre, siamo stati i primi ad andare alle corse col dottore e i primi a prendere il camion per i meccanici. Adesso invece sono tutti legati a questi grandi squadroni, gli juniores vivono come dilettanti, è tutto più grande.

Sul tabellone dei corridori di questi ultimi 43 anni, anche la firma di Cristian Salvato
Sul tabellone dei corridori di questi ultimi 43 anni, anche la firma di Cristian Salvato
Quando è cambiata la situazione?

Da quando le squadre professionistiche hanno iniziato a portarsi via tutto il vivaio, tutta la linfa, perché ormai un corridore, buono o meno buono, preferisce fare la riserva di un grande team che essere protagonista in una squadra normale. Ha cominciato Reverberi, ma capirete bene che con un budget di 4 milioni è facile fare la squadra e farci passare gli juniores. Adesso è cambiato tutto, ma se pensiamo che lui e anche altri devono salvare il bilancio dell’annata con gli under 23, qualcosa di sbagliato c’è.

Sicuramente qualcosa di diverso rispetto alle abitudini.

Abbiamo visto passaggi strani. Ricordiamo il nome dei due che sfondano, ma chi ricorda i nomi degli 80 che si perdono? Mi ricordo corridori non buoni, ma stra-buoni che sono passati da juniores e si sono persi, perché non hanno tempo di maturare. Noi facevamo quello, li lasciavamo maturare, ma ultimamente non eravamo più appetibili sul mercato. Forse eravamo anche abituati troppo bene e alla fine ci è passata la voglia di fare le cose. Forse non abbiamo colto cosa significasse fare una continental, siamo rimasti troppo legati al calendario italiano, che una volta era appetibile in tutto il mondo, mentre adesso le gare regionali o nazionali sono poco più che un ordine d’arrivo. Nelle internazionali invece arrivano i devo team con corridori di livello più alto, quindi è tutto più difficile. Qualche errore è stato fatto, ma è normale che capiti in 43 anni. Però abbiamo fatto anche qualcosa di buono.

Lello Ferrara e Ivan Basso: due uomini agli antipodi, uniti dal nome della Zalf
Lello Ferrara e Ivan Basso: due uomini agli antipodi, uniti dal nome della Zalf
I vostri corridori sono sempre tornati, anche anni dopo, a salutare, partecipare a cene…

La nostra forza è stata la famiglia. L’altro giorno abbiamo fatto questa piccola rimpatriata con 150 corridori. Io non sono un gran chiacchierone, così ho mandato solo dei whatsapp e su 160 corridori, fra cui dei campioni del mondo, hanno aderito in 150, dopo 30 secondi che avevo scritto. Vuol dire che abbiamo seminato bene. Oggi invece lavoriamo tanto sulle performance, ma non sull’uomo. Attenti, a 18 anni bisogna lavorare anche sull’uomo. Spesso sono viziati, ma che colpa ne hanno? Se tutti ti dicono che sei bello, sei forte, sei grande, è normale che dopo un po’ ci credi. Però il mondo fuori è cattivo e disordinato. E quando vanno in crisi, vengono e ti raccontano. Guardate Moscon, prima bambino felice e adesso fa fatica. Dimentichiamoci di Fondriest o Nibali che duravano vent’anni. Adesso avremo corridori che arrivano a dieci, se va bene.

Che vuoto lascia la Zalf nel ciclismo italiano?

Per i vecchi sicuramente sparisce qualcosa di importante. Mi auguro che la Colpack vada avanti ancora tanti anni, perché se mancano questi punti di riferimento il gruppo si sgretola. Mi hanno chiamato tanti organizzatori dispiaciuti, quelli di Montecassiano o Castelfidardo, corse dove abbiamo lasciato il segno. E loro sono un po’ preoccupati perché noi avevamo il nostro stile e il nostro modo di fare e davamo il ritmo anche agli altri. In fin dei conti era lo stile Zalf: inconfondibile e discutibile finché vuoi, ma abbiamo fatto qualcosa di grande. Per il resto, è normale che per le squadre minori ci siano più possibilità di vincere. Qualcuno sarà felice, come si dice sempre. La federazione va avanti, il mondo va avanti. Sicuramente alle corse sarà un ciclismo più povero. Abbiamo chiuso noi, ha chiuso la Named, ha chiuso la Q36.5 e anche la Work Service fa fatica. Vengono a mancare un po’ di qualità e di guerra sportiva.

La maglia iridata di Mirko Gualdi: presa tra i dilettanti in Giappone nel 1990
La maglia iridata di Mirko Gualdi: presa tra i dilettanti in Giappone nel 1990
La cena dell’altra sera è stata una rimpatriata allegra o un po’ triste?

Quarant’anni anni sono 10 generazioni di corridori. Abbiamo fatto tanto, forse siamo durati anche più di quello che si potesse pensare. Si sono ritrovati i gruppetti degli anni 80 e i gruppetti degli anni 90 e quelli dopo. Era impossibile che De Pretto si mischiasse con Bertolini e Dalla Bianca, ma erano lì. E vedendoli tutti insieme ho capito quanti fossero e quante storie potrebbero raccontare. C’era quello guascone da corridore, che lo è rimasto anche adesso. Tutti hanno avuto parole per raccontare anni bellissimi nella loro vita. Ed è importante essere riusciti a fare qualcosa di buono a quell’età. Penso alle parole di Paolo Lanfranchi. Lui veniva da Bergamo e ha raccontato che passava tre settimane al mese nella casetta dove c’era il ritiro. E ha detto che a un certo punto gli piaceva più stare lì che tornare a casa. Perché si era creata una sinergia tra atleti, personale, la famiglia Fior e la famiglia Lucchetta. Avevamo i presupposti per creare delle persone.

Ci siete riusciti?

Sono diventati uomini. Alcuni sono diventati imprenditori, qualcuno ha fatto fortuna, altri un po’ meno. Alcuni non hanno capito il modo per riciclarsi una volta smesso di correre e questo sarà ogni anno più difficile. Noi in compenso abbiamo i capelli bianchi. Giriamo ancora in pantaloncini corti e ciabatte (ride, ndr), ma sempre con dignità. Mi raccomando una cosa, quando scrivi questa storia.

Scrivo bene?

Esatto, scrivi bene! Sono le cose che dicevo sempre. Come quando guardavo in faccia un corridore e gli chiedevo: «Sei sicuro di avere i mezzi per fare il corridore?». Scrivi bene, mi raccomando. E’ una storia importante.

L’attacco di Rui: il ciclismo è un libro da riscrivere

09.11.2022
6 min
Salva

Luciano Rui è nel ciclismo dei dilettanti da 37 anni e prima ha fatto il professionista. Come dice Wikipedia, ha anche partecipato al Tour de France del 1982, ma questo è solo uno dei suoi meriti. Chi come noi lo conosce da trent’anni potrebbe compilare un elenco ben più lungo. Perciò, quando parla “Ciano”, è bene starlo a sentire.

«Il ciclismo italiano di oggi – dice – è un libro da riscrivere. Ma chi è capace di farlo? E a chi conviene che si faccia?».

Luciano Rui è il general manager della Zalf Fior di Castelfranco. Il diesse è Faresin (photors.it)
Luciano Rui è il general manager della Zalf Fior di Castelfranco. Il diesse è Faresin (photors.it)

Da Gregori a Bragato

Rui è il general manager della Zalf Euromobil Fior e ha 63 anni (in apertura è con Lello Ferrara, che fu a sua volta un suo corridore, immagine photors.it). Lo spunto della conversazione è una riflessione sull’intervista dei giorni scorsi a Diego Bragato. Fra i tanti temi posti, c’è la scarsa abitudine nelle nostre squadre di lavorare per obiettivi con gruppi di atleti. Qualcosa che si fa abitualmente nelle migliori continental europee e che in Italia tenne banco fino a quando la Federazione interruppe i rapporti con Antonio Fusi, che aveva ereditato il metodo impostato da Claudio Gregori e perfezionato da Giosuè Zenoni. Nomi che a molti diranno ormai poco, ma che tennero in piedi il ciclismo italiano negli anni in cui (non per caso) sbocciavano ancora i campioni

La nazionale a quel tempo preparava i corridori, non li selezionava come deve fare oggi Amadori. Il tecnico individuava un gruppo di lavoro per ciascun obiettivo, portava i ragazzi in ritiro e poi a correre in giro per l’Europa. Ad agosto, quando un eccesso di attività nei club avrebbe danneggiato i corridori in ottica mondiale, si facevano sempre due settimane di ritiro a Livigno. Generazioni di corridori hanno imparato così a lavorare per obiettivi.

Antonio Fusi è stato cittì degli U23 dal 1993 al 2005. Dal 1998 al 2000 ha seguito anche i pro’
Antonio Fusi è stato cittì degli U23 dal 1993 al 2005. Dal 1998 al 2000 ha seguito anche i pro’
Il sistema funzionava, non trovi?

Aveva cominciato Gregori. Adesso invece si fanno centomila corse in maglia azzurra che non servono a molto. Zenoni e Fusi prendevano 10-12 atleti e li portavano avanti. Nell’anno in cui Basso vinse il mondiale andarono in Germania, al Gp di Wallonie e alla Montpellier-Barcellona. Forse però adesso non è facile con gli atleti che corrono nelle squadre straniere. La nazionale li avrebbe a disposizione? Una volta erano tutti qui…

Dicono di andare via perché qui non fanno lo stesso livello di attività.

All’estero ci sono 7-8 corse a tappe per le quali vale la pena investire, mentre non ha senso andare in Belgio per fare le kermesse. Il problema è che in Italia una volta c’erano 8-9 corse a tappe per under 23, quindi la voglia di andare fuori non ti veniva. Adesso magari non ti invitano, ma perché siamo fuori dal giro, avendo preferito per anni stare qua. Bisogna ricominciare e piano piano si entra nel giro.

La sensazione guardando oggi i team U23 italiani è che il lavoro sia spesso fine a se stesso.

Di sicuro manca il confronto con una squadra importante e si finisce col lavorare per noi stessi.

La Groupama Continental ha svolto quasi soltanto attività U23 con brevi puntate in Coupe de France (foto Alexis Dancerelle)
La Groupama Continental ha svolto quasi soltanto attività U23 con brevi puntate in Coupe de France (foto Alexis Dancerelle)
Nel ciclismo di oggi, sareste ancora disposti a dare i corridori alla nazionale affinché li prepari per gli eventi?

Le squadre più grandi hanno sempre lavorato in sinergia con la nazionale. Sapevamo che dopo il Giro d’Italia avrebbero scaricato, poi sarebbero andati in altura, a correre all’estero e poi dritti sul mondiale. Se fossero rimasti con noi, quando rimangono con noi, noi corriamo per il risultato immediato. Penso che le squadre sarebbero disponibili, la maglia azzurra ha il suo peso. Se credi in un progetto, devi dare il ragazzo alla nazionale. Sennò tirati fuori! Infatti De Pretto da agosto non l’ho quasi più visto e Moro è fisso col gruppo della pista.

Cosa ti pare della nazionale oggi?

Amadori è bravissimo e i risultati degli ultimi anni gli danno ragione, mentre prima è stato a lungo a secco, forse perché lasciando il vecchio sistema, c’è stato bisogno di tempo per assestarsi. Oggi non ci sono tanti atleti con cui lavorare, perché passano subito. E poi, una volta di là, diventano tutti principini. Io glielo dico sempre: qualche volta meglio provare a vincere fra quelli della propria età, che prendere sempre schiaffi con i più grandi. Bisogna rimanere umili e serve chiarezza. Prima, con il corridore che restava 3-4 anni, avevamo tutti modo di lavorare meglio.

Davide De Pretto, corridore della Zalf Euromobil Fior, con la nazionale ha corso europei e mondiali
Davide De Pretto, corridore della Zalf Euromobil Fior, con la nazionale ha corso europei e mondiali
Mentre adesso?

Adesso passano, ma sono più quelli che si perdono. Hanno fatto la licenza da professionisti, ma non una carriera. E’ possibile che i migliori italiani del Giro siano stati ancora Nibali e Pozzovivo? Chi vedete prendere il loro posto?

Vuoi un nome da noi?

Sì, vediamo.

Per i Giri viene da fare il nome di Garofoli…

E’ un bel corridore e dopo che è rientrato dall’intervento è andato forte. Se adesso sale nel WorldTour, non lo vedremo fra gli U23 e avrà bisogno di un paio di anni per venire fuori. Però è un nome giusto. Ha un carattere particolare, ma è giusto che lo sia. Quelli che sono piatti in bici, poi lo sono anche nella vita. E l’agonismo è parte del gioco. Invece siamo diventati tutti educati e finisce che ci accontentiamo del sistema. Qualche litigata a volte fa bene. Una volta c’era il tempo, adesso non più…

Potrebbe essere Garofoli un giovane da seguire in ottica Giri? Rui non lo esclude (foto Instagram/Getty)
Potrebbe essere Garofoli un giovane da seguire in ottica Giri? Rui non lo esclude (foto Instagram/Getty)
Bruttomesso va al CT Friuli per poi andare al Bahrain…

Bruttomesso lo abbiamo tirato su bene. E se aveva già il contratto con il Bahrain, non poteva rimanere con noi? Chissà, magari Miholjevic ha detto di volerlo seguire nella squadra satellite, ma a noi questo non è stato detto. Quando si trattò di far firmare Gatto alla Gerolsteiner, andammo in macchina in Germania e alla fine ci bevemmo due belle birre. Stessa cosa con Oss alla Liquigas. Oggi non sarebbe più possibile. Oggi i procuratori hanno interesse a farli passare subito, tanto loro non rischiano. Ma se gli dai contro, possono anche farti la guerra. Così però finisce il rapporto umano. Ripeto: secondo me, il ciclismo di oggi è un libro da riscrivere. Ma chi è capace di farlo? E a chi conviene che si faccia?

Palestra e corse simulate, la via di Benfatto per la vittoria

07.06.2022
4 min
Salva

«Giovanni è un ragazzo caparbio – dice Benfatto parlando di Carboni – quando punta un obbiettivo riesce a fare il corridore al 110 per cento. Nel periodo senza gare abbiamo lavorato bene con la palestra per incrementare i suoi livelli di forza, poi in avvicinamento alla competizione lavori più specifici vicini a ritmi gara. Lui e Malucelli si sono supportati a vicenda allenandosi assieme l’ultimo periodo».

Come si fa a stare per quasi due mesi senza correre e farsi poi trovare pronti quando arriva la chiamata? Lo abbiamo chiesto a Marco Benfatto, ex velocista e poi diventato uno dei preparatori della Gazprom-RusVelo, che assieme a Maurizio Mazzoleni ha continuato a seguire i ragazzi della Gazprom che ne hanno avuto voglia e necessità.

La vittoria di Carboni è stata la conferma (sofferta) del buon lavoro svolto a casa
La vittoria di Carboni è stata la conferma (sofferta) del buon lavoro svolto a casa

Il veneto era passato a dare un saluto il mattino di Castelfranco Veneto, sua patria negli anni da corridore, quando indossava la maglia della Zalf. Pizzetto e fisico ancora tirato, ha parlato a lungo con i “suoi” ragazzi alla partenza di tappa della Adriatica Ionica Race e la vittoria di Carboni dell’indomani è stata davvero la ciliegina sulla torta.

E’ vero come dice Scaroni che stanno ancora sfruttando la base di lavoro fatta nell’inverno?

Diciamo che abbiamo lavorato bene e che Sedun aveva creato un bel gruppo di lavoro. Stiamo ancora raccogliendo i frutti, soprattutto i ragazzi sono tanto motivati, perché alla fine devono trovare una sistemazione, quindi io gli auguro di vincere ancora. Stanno dimostrando sul campo che meritano comunque un posto in un’altra squadra.

Assieme a Mazzoleni avete continuato a lavorare con loro anche se la squadra era stata fermata?

Alcuni hanno voluto arrangiarsi, con altri stiamo lavorando ancora. Li abbiamo seguiti, diciamo ufficialmente, fino a un mese fa poi alcuni hanno preso altre strade. Malucelli e Carboni li sto ancora seguendo, quindi sono venuto anche un po’ per dargli un sostegno morale, anche una pacca sulla spalla. Questi ragazzi hanno bisogno anche di sostegno, di un punto di riferimento.

Prima della vittoria di Carboni a Brisighella, anche Scaroni e Malucelli avevano lasciato il segno
Prima della vittoria di Carboni a Brisighella, anche Scaroni e Malucelli avevano lasciato il segno
Cosa significa allenarsi senza sapere quando si correrà?

E’ molto più duro e molto più stressante, perché praticamente devi simulare le gare. Anche a livello ormonale, non è come essere in competizione. Quindi servono tanta testa e tanta voglia di lavorare.

Un certo tipo di lavoro va programmato, come avete fatto?

Fortunatamente Bennati ci ha confermato quasi subito che ci dava la possibilità di correre con la nazionale, perciò a parte le prime settimane di mantenimento, siamo riusciti a lavorare per obiettivi. Quindi abbiamo puntato prima il Giro di Sicilia dove Malucelli ha vinto e poi siamo andati avanti dove si poteva. Per fortuna c’è la nazionale che li sta sostenendo.

Benfatto con Loris Confortin, cardiologo oggi in pensione, che per anni è stato medico della Zalf Fior
Benfatto con Loris Confortin, cardiologo oggi in pensione, che per anni è stato medico della Zalf Fior
Sedun ci ha parlato di come il gruppo stia vivendo questa fase. Cosa pensi della situazione?

Ci sentiamo spesso, però ormai che c’è poco di cui parlare perché alla fine i discorsi sono sempre gli stessi. Quindi più che altro siamo in contatto per sapere come va. E’ un buon gruppo e speriamo di riprendere l’anno prossimo. Anch’io avevo investito su questa squadra e preso le mie decisioni. Rifarei la scelta comunque perché, anche se per un breve tempo, è stata una bellissima esperienza. Penso che la vita sia una ruota, quindi anche se adesso abbiamo avuto questo stop, prima o dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto ritornerà. Sono fiducioso e penso positivo per il futuro.

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

Carboni, a tutta rabbia: «Adesso una squadra per la Vuelta!»

La prima di Scaroni nell’anno peggiore: «Io non mollo!»

Carboni, calcio alla malinconia, pensando al giorno di Fano

I corridori Gazprom porgono l’altra guancia. E poi?

Sedun racconta i giorni strani dello staff Gazprom

Vlasov, festa al Romandia e un pensiero per la Gazprom

L’UCI prolunga il lockdown della Gazprom

UCI e corridori Gazprom: due domande senza risposta

Malucelli, dietro quell’urlo non c’è solo rabbia

La Gazprom affonda nell’indifferenza generale

Carboni e l’agonia della Gazprom, mentre l’UCi fa spallucce

Gazprom, l’invito di Renat è una richiesta d’aiuto

Gazprom fuori da Laigueglia, per Fedeli compleanno amaro

EDITORIALE / La lezione di Rosola su corridori, rabbia e diesse

06.06.2022
3 min
Salva

Dopo aver seguito il Giro d’Italia sulle moto di RCS Sport, Paolo Rosola, direttore sportivo disoccupato della Gazprom, ha trovato un posticino anche nella carovana della Adriatica Ionica Race. All’indomani della vittoria di Scaroni nella prima tappa, avendolo incontrato nella piazza di Castelfranco Veneto mentre confabulava con Malucelli (foto di apertura: Malucelli è un altro corridore della squadra inopinatamente chiusa dall’Uci, come pure Scaroni e Carboni), Rosola raccontava un interessante episodio.

«Il direttore sportivo di una squadra WorldTour di cui non faccio il nome  – raccontava – ieri mi ha guardato e mi ha detto che fra i suoi corridori ce ne sono alcuni che guadagnano 300.000 euro all’anno e sono svogliati, mentre questi qua non prendono lo stipendio da tre mesi e hanno addosso la rabbia che serve per fare i corridori».

La volontà e la rabbia spesso non bastano. Ieri sul Grappa Carboni ha dovuto stringere i denti e poi mollare
La volontà e la rabbia spesso non bastano. Ieri sul Grappa Carboni ha dovuto stringere i denti e poi mollare

Un fatto di grinta

Sicuramente la motivazione di questi ragazzi è qualcosa fuori dal comune. Però è altrettanto vero che osservando alcuni dei corridori che fanno parte del gruppo, la sensazione che alcuni si accontentino di vivacchiare sui contratti firmati in certi momenti ti assale.

A conferma di ciò valgano le parole di un massaggiatore, ugualmente incontrato in corsa. Parlando di un corridore giovane della sua squadra, annunciato come molto forte e di cui non ha fatto il nome, ci ha chiesto informazioni sulle sue qualità di quando era un under 23.

Quando gli abbiamo chiesto il perché di quella domanda, ci ha raccontato che questa corsa è la prima volta in cui lo abbia massaggiato e che glielo abbiano presentato come un ragazzo di sicuro talento. Ma quando durante il massaggio gli ha chiesto quanto pesasse, il ragazzo gli ha risposto di essere un chilo sopra al suo miglior peso da dilettante. Considerando che di solito il miglior peso da dilettante è soggetto a… dimagrimento, è stato immediato dedurre che probabilmente qualcosa non andasse. Tanto più che nella prima tappa, piena di strappi, la squadra puntava su di lui e lui si è staccato.

La Colpack è una continental: il confronto con i pro’ e un’attività ragionata dovrebbero far crescere
La Colpack è una continental: il confronto con i pro’ e un’attività ragionata dovrebbero far crescere

Chi comanda davvero?

E’ sicuramente sbagliato pretendere che tutti abbiano la fame e la rabbia dei corridori della Gazprom: anche fra loro ce ne sono alcuni che non hanno reagito esattamente in questo modo. E’ sbagliato anche pretendere che un neoprofessionista possa avere capito tutto, ma il livello della Adriatica Ionica Race è tale che un neopro’ uscito da una buona continental possa essere qui a giocarsi le tappe. Altrimenti a cosa servono le continental? Sarebbe bello vederli con il sangue agli occhi e la voglia di recuperare l’indomani qualora la tappa di oggi fosse andata male.

Perché il tempo passa e non c’è niente di peggio di lasciarselo scorrere addosso. Ma lo spunto conclusivo in questo cammino di ragionamento lo ha offerto ancora una volta Rosola nella risposta data a quel direttore sportivo.

«Questi qui avranno sicuramente una fame fuori dal comune – gli ha detto – ma se da voi ce ne sono alcuni che guadagnano così tanto e sono svogliati è perché come direttori sportivi non comandate più nulla. E i loro manager decidono al posto vostro. Si sveglieranno semmai quando sarà il momento di rinnovare il contratto».

AIR, gastronomia e territorio da Castelfranco Veneto al Monte Grappa

23.05.2022
5 min
Salva

La seconda tappa della Adriatica Ionica Race, scatterà da Castelfranco Veneto il 5 giugno, per affrontare 157,8 chilometri che potrebbero rivelarsi decisivi per le sorti della classifica generale. Ventisette chilometri di ascesa finale con un primo tratto molto impegnativo a cui seguirà una parte conclusiva che metterà alla prova gli scalatori in gara.

A raccontarci il territorio portandoci alla scoperta dei segreti del Monte Grappa ci siamo affidati al campione del mondo Alessandro Ballan. Nato e cresciuto a Castelfranco Veneto, conosce ogni centimetro delle strade che il gruppo andrà ad affontare in questa seconda frazione. 

A valorizzare il territorio e a renderlo unico c’è la gastronomia famosa per formaggi, vini e Prosecco. In particolare con lo Chef Alex De Luca andiamo a scoprire il piatto del giorno, risotto carnaroli al Piave DOP stravecchio.

A tavola con lo Chef

Il viaggio culinario all’interno delle cinque tappe prosegue e abbraccia le specialità del Veneto e le omaggia. «Il Food Project, gestito da Federico Da Re, che caratterizzerà ogni arrivo di tappa con la promozione di prodotti tipici – spiega lo Chef Alex De Luca, di Filo Eventi – è presente per il secondo appuntamento. Per questa tappa proporremo un risotto carnaroli al Piave DOP stravecchio ».

A completare il piatto della tradizione veneta ci sarà appunto il formaggio Piave DOP prodotto da Lattebusche, azienda di Busche con le radici nel territorio Bellunese. Il riso invece verrà proposto dall’azienda La Fagiana di Eraclea, l’unica realtà nella provincia di Venezia, in cui si conserva ancora oggi la coltivazione e trasformazione del riso.

Gastronomia del territorio

La gastronomia castellana mantiene ancora oggi i valori più autentici della cucina contadina del territorio, valorizzando e portando a livelli di raffinatezza prodotti tipici locali.

Tra questi spiccano i famosi grissini artigianali Bibanesi dell’azienda Da Re della provincia di Treviso. A seguire una vasta degustazione di vini proposta dall’azienda vinicola Vanzella, tenute Caldella di Treviso, e dall’azienda agricola Ai Galli della provincia di Venezia. Come dolce tipico verrà invece proposta dalla CNA Asolo, la Ghisola.

Ad arricchire l’Hospitality ci sarà la collaborazione degli studenti dell’istituto IPSSEOA “Giuseppe Maffioli” che saranno presenti allo stand per raccontare l’esperienza e la tradizione veneta. 

Alessandro Ballan è nato e cresciuto tra le strade di Castelfranco Veneto
Alessandro Ballan è nato e cresciuto tra le strade di Castelfranco Veneto

Il Monte Grappa 

Che tipo di salita è? Come potrà essere determinante per la classifica generale? Alessandro Ballan, ci ha risposto così:« Il Monte Grappa è stata la mia palestra d’allenamento. E’ una salita lunga e vicina a casa mia. La facevo spesso. Magari non tutta perché è molto lunga, ma spesso i primi pezzi li facevo anche quattro o cinque volte a settimana anche due o tre volte al giorno. Quest’anno la faranno dal versante un po’ più lontano da casa mia. La parte meno dura è quella del Cadorna, il versante che fanno loro già la lunghezza la rende dura. Va su a scalini, con tratti impegnativi. Stiamo parlando di una salita di più di 20 chilometri quindi ovviamente per scalatori puri.

«Ci saranno dei bei distacchi. Per quanto riguarda la classifica magari non così ampi perché i corridori essendo alla seconda tappa stanno freschi. E’ la classica tappa che non fa capire chi vincerà l’Adriatica Ionica Race ma sicuramante farà capire chi non sarà in grado di farlo».

Il Monte Grappa ospita l’arrivo di tappa dell’Adriatica Ionica Race per il secondo anno (foto di airace.it)
Il Monte Grappa ospita l’arrivo di tappa dell’Adriatica Ionica Race per il secondo anno (foto di airace.it)

Castelfranco Veneto

Il luogo che ospiterà la partenza della seconda tappa di questa Adriatica Ionica Race sarà Castelfranco Veneto, città da sempre famosa per la sua vicinanza al ciclismo. 

«Stiamo parlando – racconta Ballan – della provincia di Treviso, quella con più tesserati, la più ciclistica d’Italia. Ci sono tantissime aziende che lavorano all’interno del settore della bici. Dalle parti meccaniche specifiche, ai telai, al tessile tecnico e molto altro. Si respirano le due ruote in ogni angolo. Questo territorio è stato, ed è una fucina di corridori, un esempio può essere la mia generazione con Tosatto, Gatto, Bandiera e molti altri. Castelfranco si sta sviluppando molto sotto l’aspetto delle piste ciclabili, soprattutto per quanto riguarda le gravel. E’ un comune che crede molto in questa attività.

«Come tutti i paesi del circondario siamo fortunati ad avere una storia viva, per esempio il castello del 1300, dove all’interno c’è la città murata. Poi c’è la piazza, dove ogni settimana si può trovare il mercato che riempie le logge e la piazza. Per chi ama l’arte, è la città natale di Giorgione. E’possibile vedere le sue opere. In particolare uno dei suoi dipinti più caratteristici, “La Pala di Castelfranco”».

Vandenabeele, due podi al Giro U23: il WorldTour lo aspetta

18.06.2021
4 min
Salva

Volto disteso, sguardo da adolescente che vuole conquistare il mondo e una grande maturità nel parlare. E’ questo il rapido quadro che descrive Henri Vandenabeele, il ragazzino belga che per il secondo anno di fila è sul podio del Giro U23. Dopo il secondo posto dell’anno scorso, ecco il terzo di quest’anno.

Sulla sua strada ha incontrato due veri fuoriclasse: Tom Pidcock e Juan Ayuso. Sono davvero pochi i ragazzi che vantano due podi nel “Giro baby”. Tra queste “perle rare” figura anche un certo Marco Pantani, il quale ha il record: terzo, secondo e primo tra il 1990 e il 1992.

Vandenabeele nella crono di Guastalla ha chiuso al 31° posto. Deve lavorare molto su questa specialità (da Instagram)
Vandenabeele nella crono di Guastalla ha chiuso al 31° posto. Deve lavorare molto su questa specialità (da Instagram)

Crono difficile

«Sono contento di come sia finito e di come sia andato il mio Giro – ci ha detto Vandenabeele – Io penso che la tappa di Campo Moro sia stata la più importante per me. E’ lì che si è deciso il podio. Quando Johannessen (Tobias, ndr) ha attaccato ho capito che lui ed io eravamo ad un certo livello e Ayuso ad un altro».

Quando arrivò, quel giorno, Henri era affaticato ma al tempo stesso disteso in volto come chi sa di aver dato tutto, ma non poteva proprio fare di più. Come a dire: “ragazzi, io il mio l’ho fatto”. E infatti dopo aver vinto la volata per il terzo posto fu il primo a complimentarsi con i compagni di scalata, a partire dall’inglese Gloag.

«Non credo di aver avuto mai una vera brutta giornata in questo Giro – riprende il belga – semmai la tappa più dura è stata la cronometro. Ho avuto qualche difficoltà contro il tempo perché non sono abituato a correrle, specie così lunghe. E’ stata la mia prima cronometro nella categoria U23 quest’anno. La squadra però mi è sempre rimasta vicino e questo ha agevolato molto la mia corsa. Anche l’ultimo arrivo in salita è stato molto duro, ma i miei compagni hanno fatto un ottimo lavoro per tutto il giorno e hanno cercato di lanciarmi al meglio nel finale. Li ringrazio per come hanno corso questo Giro U23».

Henri (a destra) con Gloag pochi istanti dopo l’arrivo di Campo Moro: il belga si complimentò subito con l’inglese
Henri (a destra) con Gloag pochi istanti dopo l’arrivo di Campo Moro: il belga si complimentò con l’inglese

Verso il WorldTour

E di questo grande lavoro ne sa qualcosa Gianmarco Garofoli, che ha tirato moltissimo e si è sempre messo al servizio del Development Team Dsm. Che Henri fosse il capitano lo si sapeva. La Dsm ha puntato su di lui sfilandolo alla Lotto Soudal durante l’inverno. E lo ha fatto anche correre già tra i grandi con la prima squadra. Un qualcosa che è già successo alla Coppi e Bartali, ma anche alla Freccia del Brabante, al Tour of the Alps…

«E’ stupendo correre con i pro’ – riprende Vandenabeele – Sono state belle esperienze. Mi sono messo al servizio della squadra, come ho fatto al Tour of the Alps dove ho lavorato per Bardet e Hindley cercando di osservarli bene. Ma ho anche avuto un po’ di spazio per me, come nell’ultima tappa in cui sono arrivato undicesimo. Anche alla Coppi e Bartali ho avuto un po’ di spazio nell’ultima tappa. Ma quando spingono forte ti rendi conto che sono ad un altro livello.

«Qual è il mio terreno preferito? Sono uno scalatore, senza dubbio, magari non puro ma il mio terreno è la salita e ho visto che quelle lunghe mi piacciono. Adesso correrò i campionati nazionali (nel week-end, ndr) e poi farò un piccolo periodo di riposo perché poi tornerò in Italia per il Val d’Aosta e poi andrò in Francia per il Tour de l’Avenir. E dal prossimo anno passerò con il team WorldTour».

Vandenabeele in testa a tirare per la Dsm al Tour of the Alps
Vandenabeele in testa a tirare per la Dsm al Tour of the Alps

Testa bassa e pedalare

Vandenabeele è un cavallo di razza. Il fiammingo appartiene alla categoria dei “bimbi fenomeni”, magari non è un “super bimbo” alla Ayuso, ma fa parte degli osservati speciali. Il suo percorso di crescita è più graduale, senza grandi exploit, ma ha mostrato una buona costanza di rendimento. E anche il passaggio alla Dsm ha segnato un bel cambiamento. Nel nuovo team è seguito in modo diverso rispetto alla Lotto, con una presenza più marcata della squadra anche nel quotidiano.

Henri segue un corso a distanza di management dello sport, ma la strada maestra è quella del ciclismo. E Vandenabeele è consapevole che ne deve fare tanta, di strada appunto, specie a crono. La posizione vista verso Guastalla non è male ma si deve migliorare, soprattutto per chi come lui punta a fare classifica.

Prima di congedarci lo “provochiamo” e gli chiediamo se sia il nuovo Remco Evenepoel. Lui sorride e taglia corto: «Io il nuovo Remco? Non scherziamo, al Giro di “Remco” ce n’era uno e quello era Auyso!». 

Amadori sul Giro U23: «Bene per le tappe, meno per la classifica»

17.06.2021
5 min
Salva

Partenza da San Vito al Tagliamento, mancava solo l’ultima frazione che andava appunto da questa località in Friuli a Castelfranco Veneto. Sotto un sole finalmente estivo (anche il Giro U23 come quello dei grandi ha preso la sua bella dose di pioggia) era tempo di tracciare un bilancio con il cittì degli U23, Marino Amadori.

Un bilancio, lo anticipiamo, positivo. Soprattutto se si pensa a come doveva andare. Lo stesso Amadori (giustamente) non aveva lanciato urli di battaglia o sperato in grandi successi.

Gianmarco Garofoli tra i più attivi in assoluto del Giro U23: ha tirato moltissimo per la sua Dsm
Gianmarco Garofoli tra i più attivi in assoluto del Giro U23: ha tirato moltissimo per la sua Dsm

Marino, da come dovevamo partire a com’è andata c’è stata è bella differenza…

Beh, sul discorso delle tappe direi che è andata benissimo. E non solo per le vittorie, ma per il loro complesso: ho visto tanti e tanti atleti, e le squadre stesse, che hanno corso questo Giro in modo aggressivo. Non hanno subito la corsa, si sono proposti con fughe e controfughe. 

Quattro vittorie per gli italiani, se pensiamo che solo Ayuso se ne è portate via tre…

Esatto, abbiamo vinto quattro bellissime tappe. E lo ammetto è stato un po’ inaspettato. Per quel che riguarda la classifica invece forse è mancato qualcuno che avevo pronosticato. Però c’è anche stata qualche novità. Abbiamo visto un Alessandro Verre molto bravo, un Davide Piganzoli spesso davanti e lui è un primo anno. Lorenzo Milesi, anche lui giovanissimo, sta venendo fuori molto bene. E poi c’è stato un ottimo Gianmarco Garofoli che praticamente ha tirato per tutto il Giro. Ho visto tanti primo anno andare bene e darsi da fare e questo mi fa molto piacere. Ah Riccardo Ciuccarelli, quasi dimenticavo: lui ha vinto una grande tappa. Nella classifica generale abbiamo un sesto, un nono, un decimo… insomma parecchi ragazzi messi bene. Siamo sulla strada giusta.

Andrea Pietrobon con Renzo Boscolo. Il corridore del Ctf non ha reso quanto ci si aspettava
Andrea Pietrobon con Renzo Boscolo. Il corridore del Ctf non ha reso quanto ci si aspettava
Si parlava di nomi che un po’ sono mancati, ci vengono in mente tre ragazzi su tutti: Frigo, Pietrobon e Zambanini…

Vedo che siete attenti! Ognuno di loro ha una scusa. Che poi scusa… una valida motivazione direi. Pietrobon e Zambanini non sono usciti bene dall’altura: era troppo freddo a Livigno. Il livello atletico mostrato non è il loro. Frigo (con Amadori nella foto di apertura, ndr) invece si porta dietro gli strascichi di una caduta al Giro di Rodi e adesso ha paura. Scollina davanti con i primi cinque e in fondo ha un minuto un minuto e mezzo di ritardo, come è successo giù dal Valles. Purtroppo ha questa difficoltà e mi auguro che la risolva presto e non diventi un problema serio. E gli altri due, come detto, purtroppo hanno fatto un avvicinamento che non ha dato i suoi frutti, anzi li ha penalizzati. Però la stagione non finisce qui: dopo il Giro d’Italia ci sono tante belle corse. 

Tasto crono: ti aspettavi la vittoria di Filippo Baroncini?

Mah, sicuramente è un atleta in crescita. Lui fa parte di questi giovani che non sai dove possono arrivare. Filippo per primo non lo sa. E forse è anche giusto che sia così. Ogni anno deve mettere su un tassello e lui lo ha fatto. E’ anche veloce e in salita non va piano. Di conseguenza diventa un ragazzo molto importante anche in prospettiva della nazionale.

Prima hai nominato Garofoli, che giudizio dai sulla tattica di corsa della Dsm?

Eh – allarga le braccia Amadori – non mi pronuncio! Posso dire che hanno corso come se avessero loro la maglia rosa. Tiri forte per cercare di mettere in difficoltà Ayuso? Se ti va bene arrivi secondo o terzo. Forse non hanno visto come andava…

La Aran Cucine – Vejus è tra le piccole squadre che hanno tenuto botta contro team più attrezzati
La Aran Cucine – Vejus è tra le piccole squadre che hanno tenuto botta contro team più attrezzati

Colpack, Dsm, Uno-X… hanno dominato. Sembra di vedere Ineos, Deceuninck e Uae nel WorldTour in cui agli altri restano solo le briciole. Insomma un bel gap dalle altre, anche grandi come General Store, Palazzago…

Un po’ si sapeva. Il Giro d’Italia è una grande corsa. D’altra parte è così quando presenti 17 squadre straniere di questo livello. Ed è giusto che lo sia. Il Giro d’Italia deve essere una vetrina importante per i nostri migliori under 23. Si dà ai nostri ragazzi una grande occasione di confronto. Ci sono squadre molto attrezzate a livello mondiale che fanno regolarmente gare 1.1, 2,1 2.2… quando vengono a fare queste manifestazioni sono “cattive” e hanno dei corridori talentuosi. E purtroppo i nostri team dilettantistici, ma anche continental, hanno qualche difficoltà ad essere competitivi. Tuttavia questa è la strada se vogliamo crescere.

Però un ragazzo che fa parte di team più piccoli e deve confrontarsi con questi squadroni cosa deve pensare? Dice a sé stesso che non ce la farà mai o deve avere come obiettivo quello di approdare in uno quegli stessi team?

Innanzitutto devono riuscire a finire Giro d’Italia U23, come hanno fatto del resto, e per questo faccio i complimenti a tutti loro: davvero bravissimi. Da qui devono imparare a vedere i loro coetanei a che livello sono. Devono avere uno stimolo in più per fare le cose al meglio a casa, per fare certi allenamenti anche più intensi è più “cattivi”. Il livello internazionale è questo. Però abbiamo visto che si possono fare bene le cose anche essendo “piccoli”. La squadra dell’Emilia-Romagna per esempio ha vinto una tappa con Cantoni, ha preso la maglia rosa. Un team che seppur dilettantistico è ben organizzato. Quando hanno potuto non hanno subito la corsa. E per me è tanta roba.

Castelfranco premia Healy e onora Ayuso. Festa al Giro U23

12.06.2021
6 min
Salva

Il classico ultimo giorno di scuola. Eppure la San Vito al Tagliamento-Castelfranco, che ha chiuso il Giro U23, non era proprio una tappa passerella: 164 chilometri e anche qualche strappo giusto per assegnare gli ultimi punti della classifica dei Gpm.

Sarà stato il sole, sarà stato che il peggio era passato, sarà tutto quello che volete, ma oggi persino il protagonista della corsa, Juan Ayuso, si è sciolto in lunghi sorrisi. Il suo volto era decisamente più rilassato. Specie dopo l’arrivo. A lui sono andate tutte le maglie, tranne quella blu dell’Intergiro.

Anche Ayuso ride

«Oggi mi annoiavo in corsa», diceva lo spagnolo al diesse Valoti. In realtà la tensione c’era, eccome. 

«No, io sono rimasto tranquillo. Dovevo solo passare la giornata. E’ stata una tappa facile – racconta la maglia rosa dopo il traguardo – nessuna paura. Neanche ieri dopo la caduta. Sono rimasto tranquillo, ho capito subito che potevo ripartire e poi volevo ringraziare la Dsm che stava tirando e ha mollato. La squadra mi è rimasta vicino e poi sapevo che c’era la gamba e un’altra salita ancora, quindi potevo recuperare. Il giorno più difficile invece è stato quello della crono con la sella che mi è scesa».

Mentre il gruppo sfilava via dopo l’arrivo Ayuso dava una pacca sulla spalla del primo compagno che aveva vicino.

«E’ stato un Giro comunque duro. Credo che la vera differenza l’abbia fatta a Sestola, quel giorno ho creato i distacchi maggiori. Okay, il giorno dopo ho perso la maglia, ma il grosso lo avevo fatto lì. Poi si è trattato soprattutto di controllare, specialmente dopo la vittoria nella “etapa reina”.

«Se sono mai stato a tutta? A Sestola sì – risponde Ayuso con tono più che sincero – poi ammetto di aver sempre avuto tutto sotto controllo. Anche se poi ho vinto a Campo Moro. Sapete, quel giorno stavo bene, mi sono girato, ho visto che eravamo in cinque e a quel punto ho colto l’occasione. Era la tappa più bella!».

Debutto all’Appennino

Juan adesso saluterà il mondo degli U23 e passerà con i grandi. Realizzerà un grande sogno, consapevole che si tratta di un punto di partenza. Fino a lunedì sera sarà ancora con la famiglia della Colpack Ballan, poi da martedì mattina lo aspetta la Uae che comunque qui al Giro era molto presente, sia con Gianetti, sia con Matxin, il suo “papà sportivo”. A proposito ci mancava solo che ieri i tre punti di sutura li mettesse il manager spagnolo anziché il medico, tanto gli era vicino!

«Adesso correrò al Giro dell’Appennino e poi anche a San Sebastian. Intanto è stato importante vincere il Giro. Era il mio obiettivo e per me era la prima esperienza in una corsa a tappe così lunga. Oggi sono davvero emozionato».

Intanto si avvicina Marco Selleri per dargli una medaglia e gli chiediamo se gli sia piaciuto il percorso che ha ideato questo signore al suo fianco. «Sì, molto. Un percorso da grandi. Molto duro ma anche molto vario. C’era spazio per tutti».

Ma quale volata

E a proposito di spazio per tutti. Oggi nessuno avrebbe scommesso su un arrivo non in volata. Già ieri vedevamo le ruote veloci fare melina al penultimo passaggio sul Nevegal. Stavano risparmiando energie in vista di oggi. Invece un ragazzo alla presentazione sul palco al mattino, intervistato da Ivan Cecchini (lo speaker), aveva detto: «Occhio, non è detto che si arrivi in volata. Fa caldo, la tappa è lunga, veniamo da tre giorni durissimi ed è il decimo giorno di gara». Quel ragazzo, che ci scusiamo non poter citare poiché in quel momento eravamo lontani dal palco e sentivamo solo l’audio, aveva ragione.

Nella fuga buona nata negli ultimi 60 chilometri circa, c’era Jacopo Menegotto che ha menato forte dopo il passaggio su Ca’ del Poggio e si è ritrovato con due super big del Nord Europa: Healy e Hoole (sembra uno scioglilingua!).

«Ai 200 metri dallo scollinamento – racconta il ragazzo della General Store – sono partito e mi sono buttato giù in discesa più forte che potevo. Queste sono le mie strade. Quando hanno presentato il Giro ho detto subito a mio papà che in questa tappa avrei fatto bene. Peccato che sia arrivato solo secondo. Ma in questo Giro volevo lasciare il segno e ci sono riuscito. E adesso? Adesso vorrei un contratto da pro’… perché me lo merito».

Healy beffa Menegotto

La tappa finale è andata al campione irlandese Ben Healy. Uno che forse ha molto da recriminare. Era atteso sul podio finale e invece spesso si è staccato. Oggi era la sua ultima occasione, anche se va detto che ci aveva provato spesso. A poco meno di 5 chilometri dalla fine ha staccato Menegotto e Daan Hoole, il gigante del gruppo, e di potenza si è preso l’arrivo finale».

E poi? Poi grande festa di tutti, anche dello staff di Selleri e Pavarini, che hanno regalato dieci giorni di grande ciclismo. «Guarda qua che bello – dice Selleri (quasi commosso) mentre muove il braccio verso la piazza – guarda quanto pubblico. Dai, dai… è andata bene».

Gianni Faresin, Zalf Fior

Il ritorno di Faresin alla corte di Fior

29.12.2020
4 min
Salva

Gianni Faresin è tornato a casa. A dire il vero era già sembrato strano che se ne fosse andato. Parlandoci all’inizio del 2019 aveva spiegato come secondo lui si potesse fare una buona attività U23 anche senza diventare continental. Eppure alla fine della stessa stagione ha accettato l’offerta della Casillo e ha raggiunto Matteo Provini portando anche suo figlio. Il 2020 è andato come sappiamo. E quando nel corso dell’estate Luciano Rui ha annunciato che anche la Zalf Fior avrebbe fatto il salto tra le continental, Faresin ha fatto nuovamente i bagagli ed è tornato.

«Non è peccato cambiare idea – dice – soprattutto quando ti rendi conto che i ragazzi più giovani ormai vogliono soltanto le continental. Il messaggio che passa è questo. Ed è innegabile che fare corse di 200 chilometri con i professionisti a un ritmo gara superiore ti aiuta quando vai a misurarti nelle internazionali U23».

Edoardo Zambanini, Zalf Fior, 2020
Edoardo Zambanini ha vinto la maglia di miglior giovane al Giro d’Italia U23 (foto Scanferla)
Edoardo Zambanini, Zalf Fior, 2020
Zambanini, miglior giovane al Giro U23 (foto Scanferla)
Come è nato il riavvicinamento tra Faresin e la Zalf?

Parlando con “Ciano” Rui. Alla Casillo stavo bene, ma c’era il limite della distanza. Quei 250 chilometri da casa alla sede della squadra erano un bel freno al mio modo di lavorare, che prevede il fatto di seguire i ragazzi ogni giorno in allenamento. Ci pensava Provini e per la preparazione avevamo adottato una linea quasi professionistica, con il programma mandato via mail. Poi i ritiri sono saltati a causa del Covid e si è potuto lavorare poco. Detto questo, i 13 anni fatti con la Zalf non si dimenticano e io qui ero stato bene.

C’erano state discussioni?

Più che discussioni, parlerei di riflessioni. I corridori continuavano ad andare via, soprattutto Dainese e Battistella bruciavano parecchio. Erano corridori nostri, cresciuti qua, che se ne sono andati e hanno vinto il campionato europeo e il mondiale con altre maglie. Poi se ne è andato anche Frigo, da campione italiano. Tutto intorno erano venute fuori delle realtà che ai loro occhi erano più appetibili.

Matteo Zurlo, Team Casillo 2020
Dalla Casillo, oltre a Faresin, è tornato anche Matteo Zurlo (foto Scanferla)
Matteo Zurlo, Team Casillo 2020
Dalla Casillo è tornato anche Zurlo (foto Scanferla)
Ma Faresin non era convinto…

Io continuo a pensare che la continental dà il vantaggio di correre fra i pro’, ma ti toglie la possibilità di avere una crescita calma. Se però guardiamo a come è andato il 2020 tra i professionisti, dovremo ragionare anche su questa gradualità.

Nel gruppo dei pro’ si parla tanto di questo aspetto.

Lo so bene, soprattutto in termini di longevità e di carriera, perché secondo me è difficile che arrivino a correre fino a 35 anni. Perciò bisogna che vincano e guadagnino bene nei prossimi cinque/sei anni, perché poi avranno davanti una vita intera da inventarsi. Del resto è sempre andata che chi vince da giovane guadagna sempre di più di uno che ci arriva dopo.

Che cosa possiamo aspettarci dalla Zalf continental?

Sicuramente, essendo il primo anno, faremo qualche puntata tra i professionisti e qualche corsa all’estero. Il grosso della nostra attività sarà comunque incentrata sugli under 23, puntando a farli crescere in casa. Se hanno la prospettiva di correre con noi tra i professionisti, magari si riesce a convincerli a fare un anno in più.

Samuel Slomp, Zalf Fior 2020
E poi c’è Samuel Slomp, 19 anni, passista scalatore trentino (foto Scanferla)
Samuel Slomp, Zalf Fior 2020
Slomp, passista scalatore trentino (foto Scanferla)
Come andrà la convivenza con Ilario Contessa, che nel 2020 è stato il tecnico della squadra?

Avevamo già lavorato insieme tre anni fa. Lui si occupa della parte gestionale e logistica, io torno a fare quello che facevo prima, seguendo la preparazione. Io ho una certa età e sono una persona tranquilla, lui è maturato. Andrà bene.

Tutto sui giovani, allora?

Ne abbiamo di promettenti, da vedere sul campo. Dai test abbiamo avuto delle belle sorprese, per cui sicuramente avremo un bel gruppo. L’unico neo forse è la mancanza di un velocista stagionato che possa portare il numero di vittorie, ma ne abbiamo 3-4 veloci che, se ben allenati, possono farsi valere.

Ci sono ritiri in programma a gennaio?

Aspettiamo le direttive del Governo e le previsioni del tempo. L’idea sarebbe di rimanere a Castelfranco appoggiandoci all’hotel Fior. Se dovesse fare brutto, al massimo andremo in Toscana.