A tu per tu con Guarnieri e la sua nuova vita da ex pro’

25.09.2024
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CASTELL’ARQUATO – «Ah, da quando Guarnieri non corre più…». E’ la simpatica dedica social fatta a Jacopo Guarnieri sul suo addio agonistico da Francesco, uno dei suoi cari amici, parafrasando il celebre ritornello di Marmellata #25 di Cesare Cremonini quando parla di Senna e Baggio…

Per il 37enne piacentino d’adozione e per i suoi tifosi adesso “non è più domenica”. Ufficialmente il suo ritiro verrà registrato a fine dicembre, ma Guarnieri è da venti giorni nel pieno della fase ex pro’, anche se era iniziata – col senno di poi – quasi un mese prima. In pratica la sua sedicesima stagione è terminata il 7 agosto con l’ultima tappa della Arctic Race of Norway, che è coincisa anche con la millesima gara (precisa!) della sua carriera nella massima categoria.

Un traguardo all’orizzonte di cui avevamo già parlato con lui, benché ancora un paio di anni fa ci avesse confidato l’intenzione di chiudere a fine 2025, dopo aver contribuito a riportare la sua Lotto-Dstny nel WorldTour. Così siamo andati a suonare al campanello di casa sua, per capire cosa ci sia stato dietro la sua decisione e certi di non trovarlo più fuori in allenamento. E’ stata una lunga chiacchierata, ma Guarnieri ha sempre tanto da raccontare.

La quarta tappa dell’Arctic Race in Norvegia è stata l’ultima gara e la numero 1.000 della sua carriera. Il modo perfetto per dire addio
La quarta tappa dell’Arctic Race in Norvegia è stata l’ultima gara e la numero 1.000 della sua carriera. Il modo perfetto per dire addio
Jacopo come hai vissuto i giorni dal tuo addio ad oggi?

Direi molto bene. Ho chiuso la carriera all’Arctic Race in un Paese come la Norvegia che ha il sole a mezzanotte e che mi piace tantissimo. Sono sempre stato una persona molto decisa una volta intrapresa una strada, anche se la decisione di smettere risale ad inizio luglio. Quando l’ho resa pubblica è stato come liberarmi di un peso, perché sembra assurdo, ma se non lo dici sui social non è vero (sorride, ndr). Mi ha aiutato ad andare oltre. Adesso sono già pronto a partire con nuove cose.

A proposito di social, sui tuoi profili hai ricevuto tanti messaggi da parte di molta gente. Ce n’è stato qualcuno che ti ha sorpreso o ti ha fatto più piacere di altri?

Sicuramente quelli dei miei colleghi sono stati molto belli. Alcuni avevano un tono scherzoso. Se però devo essere un po’ romantico dico quello della Groupama-Fdj. Mi hanno lasciato un messaggio su twitter (l’attuale X, ndr) con un collage di foto ringraziandomi. Lì è dove ho lasciato il mio cuore perché quello che ho vissuto nei sei anni con loro è inarrivabile.

Guarnieri è cresciuto nel CC Cremonese 1891 fino agli allievi. Qui un ricordo dell’album tenuto da una sua zia
Guarnieri è cresciuto nel CC Cremonese 1891 fino agli allievi. Qui un ricordo dell’album tenuto da una sua zia
Invece tra i messaggi privati, qualcuno ti ha detto qualcosa di particolare?

Le prime persone a sapere della mia decisione sono stati i compagni di squadra con cui ero alla Arctic Race e a cui l’ho detto a voce. Dopo una decina di giorni ho mandato un messaggio nella chat di noi corridori della Lotto-Dstny. Al di fuori dell’ambiente di squadra, la prima persona nell’ambito ciclistico a cui l’ho detto è stato Daniel Oss. Era da un po’ di tempo che mi scriveva chiedendomi cosa avrei fatto. L’ho dovuto chiamare perché non potevo scriverglielo e basta. Abbiamo riso assieme, perché lui sta ancora facendo fatiche terribili e un po’ mi invidia.

Hai avuto il tempo di metabolizzare, ma quando e perché hai preso questa decisione a luglio?

In realtà me ne sono fatto una ragione nell’arco di ventiquattro ore. Questa scelta arriva da molto lontano. Quando avevo firmato per la Lotto-Dstny nella mia testa sarebbe stato l’ultimo contratto. In realtà sia in questa stagione che nella scorsa, pur sentendomi molto bene fisicamente, mi sono sentito poco valorizzato. Volevo continuare solo per fare vedere alla squadra che ero ancora “bravo” e che avevo ancora le mie capacità. Così avevo preso contatto con un’altra formazione tra inverno e primavera in cui ero interessato ad andare.

Ciao a tutti. Guarnieri ha annunciato il ritiro ad inizio settembre. Liquigas, Astana, Katusha, Groupama-Fdj e Lotto-Dstny i suoi team
Ciao a tutti. Guarnieri ha annunciato il ritiro ad inizio settembre. Liquigas, Astana, Katusha, Groupama-Fdj e Lotto-Dstny i suoi team
E com’è andata a finire?

Non si è materializzato nulla e già a giugno avevo capito. Era una questione di età, non di valori, visto che l’anno prossimo ne faccio 38. Difficile trovare una nuova squadra che voglia investire su un corridore della mia età per una stagione o due. Ed anch’io ero pienamente d’accordo con questo ragionamento. Nel frattempo era subentrata una seconda squadra, ma anche con loro non si è concretizzato nulla. Mi sono ricordato il mio pensiero di due anni fa. Avrei dovuto fare ancora questa vita ed ora è molto più impegnativa. Anche in quel caso mi sono sentito sollevato.

Quanto ti è costato non fare il Tour de France, considerando la partenza dall’Italia e nello specifico anche da Piacenza?

Ecco, quello mi ha fatto tanto male, più di ricevere un “no” per l’anno prossimo o di decidere di smettere. Questa era veramente un’occasione unica. Per me sarebbe stata veramente la ciliegina sulla torta. Peccato perché stavo bene e andavo forte. C’erano tutte le premesse perché i miei capitani mi volessero al via, però i tecnici non hanno voluto cambiare idea ed andata così. Soprattutto per i modi con cui l’hanno comunicato.

La mancata convocazione al Tour è stato un duro colpo, ma Guarnieri ha fatto le prime tappe come commentatore della rete britannica ITV
La mancata convocazione al Tour è stato un duro colpo, ma Guarnieri ha fatto le prime tappe come commentatore della rete britannica ITV
Ovvero?

A dire il vero non è stata comunicata. Ho scoperto che non sarei andato consultando il nostro sito in cui vediamo la logistica di ognuno di noi ed il relativo programma gare. L’ho trovato un colpo un po’ basso, mi aspettavo più professionalità. Visto che in un team come Lotto-Dstny che cerca tanti punti e occasioni per fare belle corse, penso che potevano dirmelo portando attenzione e motivazione su altre gare. Questo è un errore che non è stato fatto solo con me, ma so che è una situazione che non capita raramente, anche in squadre più blasonate.

Cosa ti hanno detto i compagni quando avevi scritto nella chat?

Nonostante siano stati due anni nei quali non mi sia sentito veramente espresso, i compagni, soprattutto quelli con cui ho corso di più, mi hanno conosciuto e mi hanno apprezzato per quello che so fare, non solo sulla bici. Anche perché non è una banalità, ma talvolta vivi proprio assieme ai compagni per tantissimo tempo. E questo mi ha fatto molto piacere.

Il primo cartellino di Guarnieri. Da giovanissimo a professionista, una vita in bici lunga 31 anni e piena di soddisfazioni
Il primo cartellino di Guarnieri. Da giovanissimo a professionista, una vita in bici lunga 31 anni e piena di soddisfazioni
E i tuoi diesse?

Qualche giorno prima avevo comunicato la mia decisione al management e malgrado ci fossero stati degli attriti, ho trovato la correttezza che è mancata in altri momenti. Alla fine, posso dire che forse non si sono comportati nella maniera migliore, ma non ci siamo tirati i piatti in testa. Visto che voglio restare nell’ambiente ciclistico, non avrò problemi a fare delle puntate nei ritiri della Lotto-Dstny. Per me non è stata una bella esperienza, ma credo che possa succedere in tanti anni di carriera, così come è successo anche in passato.

Sei stato riconosciuto da tutti come il maestro del lead out. Pensi che questo ruolo improvvisamente sia diventato vecchio? Oppure ti saresti sentito vecchio tu se avessi continuato?

Non lo so onestamente. Le gare sono cambiate tanto, stesso discorso per gli approcci. Si sono ridotte molto le occasioni per le volate. Nei Grandi Giri dove sono rimaste comunque tante tappe per velocisti, specie al Tour, adesso è molto difficile arrivare in fondo se non si è degli ottimi scalatori. Di conseguenza vedo tanto caos. Non c’è un vero treno anche nella squadra più attrezzata e spesso è formato da chi non lo fa durante l’anno. Quindi la figura del “pesce pilota” si vedrà sempre meno, anche se vedo in Simone Consonni un mio erede. La coppia che sta formando con Milan è una bella realtà, anche perché per essere un buon ultimo uomo devi avere un grande finalizzatore.

Guarnieri (qui con Demare) resterà nell’ambiente ciclistico come manager di corridori. Seguirà principalmente juniores e U23
Guarnieri (qui con Demare) resterà nell’ambiente ciclistico come manager di corridori. Seguirà principalmente juniores e U23
Farai il manager di corridori. Che caratteristica deve avere un tuo potenziale assistito?

Inizierò a lavorare con i giovani, sposterò quindi l’attenzione alle gare di U23 e juniores. L’aspetto principale, soprattutto se è in procinto di passare pro’, credo che sarà il talento fisico. Tuttavia una cosa che cercherò molto, e che ho sempre cercato nei rapporti attorno a me quando correvo, è quello di trovare persone intelligenti, ancor prima che corridori. Ad esempio mi piacciono quei ragazzi che mi hanno già detto che continueranno a studiare per avere un’alternativa pronta qualora in bici non dovesse andare bene o come vogliono loro. Chi si immagina un fallimento in bici, è anche pronto a sostenerlo e quindi rialzarsi. Quelli che invece puntano tutto sul ciclismo, a mo’ di “o la va o la spacca”, sono i più fragili.

E quale caratteristica vorresti avere tu come procuratore?

Spero di essere quello che è stato per me Manuel Quinziato, il mio manager negli ultimi anni. Lui è stato come lo scoglio o un’isola di salvezza nel mare aperto. Ho sempre pensato che il manager non è soltanto colui che ti trova il contratto. Alla fine il corridore è da solo e ci sono tanti momenti che possono essere negativi. Sapere di avere un punto fermo che è solo tuo, è molto importante e ti dà molta tranquillità. Vorrei avere un gruppo contenuto di corridori per poterli seguire o aiutare al meglio.

Guarnieri è stato un maestro del lead out, ma i veri treni non esistono più ed il suo ruolo nel ciclismo moderno sta cambiando
Guarnieri è stato un maestro del lead out, ma i veri treni non esistono più ed il suo ruolo nel ciclismo moderno sta cambiando
Nel tuo addio social, hai scritto che vorresti fare anche il commentatore tecnico televisivo, che hai già fatto in occasione del Tour de France. In questo caso che stile vorresti avere?

Faccio subito una premessa. Non c’è nulla di definito perché non è una cosa che dipende da me, ma ho avuto contatti per questo ruolo. Tuttavia, compatibilmente agli altri impegni, avendo smesso da poco mi piacerebbe portare questa esperienza e magari rinfrescare un po’ il linguaggio tecnico. Ho seguito il Tour per ITV (una rete televisiva pubblica britannica, ndr) ed è stato molto stimolante perché era in una lingua diversa dalla mia e mi piaciuto molto farlo, perché vivi la corsa.

Chi è stato Jacopo Guarnieri in tutti questi anni?

Non lo so, ma penso di essere stata una persona professionale. Sono sempre stato fedele a quello in cui credevo. Fedele ai lavori da fare in bici, uscendo con un meteo infame, ma anche fedele a non andare ai ritiri quando so che sono controproducenti. Ovviamente nei primi anni di carriera non ero così solido. Però questo aspetto mi ha formato per diventare quello che ero, a costo di essere difficile da modellare. Sono contento di questo, anche se non sono stato solo quello.

Guarnieri da G1 con la maglia di campione provinciale di Cremona. «Il mio unico titolo conquistato su strada nella mia carriera»
Guarnieri da G1 con la maglia di campione provinciale di Cremona. «Il mio unico titolo conquistato su strada nella mia carriera»

E prima di lasciare casa sua, sfogliamo l’album dei ricordi con i ritagli di giornali tenuti da una zia su quel promettente bimbo della C.C. Cremonese 1891. Ecco che arriva in piena zona Cesarini l’ultimo scoop della vita ciclistica di Guarnieri: «Ho corso in bici per 31 anni. Mi è capitato di andare in nazionale, vincere italiani in pista, ma l’unico titolo su strada l’ho vinto da G1 nel 1994. Campione provinciale di Cremona. L’unica maglia di campione che sono riuscito a conquistare». E mentre richiudiamo il libro ridendo, salutiamo e ringraziamo il ragazzone di Castell’Arquato. Lo ritroveremo in giro con altre vesti.

Adios, Uran! Dall’infanzia ad oggi, la carriera di un pro’ amatissimo

18.02.2024
7 min
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Dopo Pinot dovremmo salutare anche un altro grande del pedale, Rigoberto Uran. Due dei corridori tra i più amati appendono la bici al chiodo nel giro di dodici mesi. Corridori che sono riusciti a fare breccia nel cuore della gente. Che sono un po’ figli del ciclismo degli anni 2000 e allo stesso tempo padri di quello attuale.

Il colombiano, per tutti Rigo, ha annunciato l’addio tra i campionati nazionali e il Tour Colombia, una manciata di giorni fa. La vetrina era quella giusta. E altrettanto giustamente si è preso l’abbraccio della folla. Congedandosi al meglio davanti alla sua gente.

L’annuncio dell’addio in uno dei suoi super negozi di bici in Colombia (foto Instagram)
L’annuncio dell’addio in uno dei suoi super negozi di bici in Colombia (foto Instagram)

Nuova veste

Ma attenzione. Questi mesi che restano all’Uran corridore saranno mesi da atleta vero. Rigo ha infatti un chiaro obiettivo: prendere parte alle Olimpiadi. Quelle Olimpiadi che già nel 2012 lo videro sul podio, medaglia d’argento alle spalle di Vinokourov.

E partiamo proprio da qui, dal palmares. E quello di Uran è importante. Rigoberto è stato il primo colombiano moderno di altissimo livello. Eravamo rimasti ai corridori come Josè Nelson “Cacaito” Rodriguez. Prima di Uran i colombiani erano gli scalatori che spuntavano fuori nei grandi Giri, ma nulla o poco più. Con lui avviene il salto. Con Uran i colombiani e il ciclismo di quella Nazione cambiano veste.

Rigoberto finisce negli squadroni e si distingue anche come gregario nelle classiche. Magari non quelle del pavé, ma non sfigura affatto. Dalla Caisse d’Epargne, al fianco di assi come Valverde, finisce nella file dell’allora Sky e poi dell’Omega Pharma di Lefevere, antesignana della Quick Step. Pensate che in quel gruppo ancora lo ricordano.

Un esperto del mondo del ciclismo, quale Alessandro Tegner a sua volta punto fisso del gruppo di Lefevere, lo ha definito come uno degli atleti più simpatici e intelligenti che abbia incontrato. 

Dal 2016 è indossa la maglia della Cannondale poi divenuta EF Education- Easy Post

Tra bici e marketing

Uran è attivissimo sui social. E’ in assoluto il corridore più seguito. Ha delle attività legate al ciclismo. Con il suo marchio, gorigogo, si è consolidato nel mercato dell’abbigliamento per il ciclismo, delle bici, ha dei ristoranti e persino un marchio di caffè.

E sempre lui ha un evento, El Giro de Rigo, che raduna ogni anno migliaia di appassionati da tutto il mondo. E ogni anno invita illustri colleghi che non rifiutano l’offerta.

Se un Wout Van Aert nel pieno della carriera e dopo stagioni estenuanti in autunno si mette su un areo, sorvola l’Atlantico per andare da lui, un motivo ci sarà. E come Wout anche altri. Nibali, Sagan, Contador… la lista sarebbe lunghissima.

Infanzia interrotta

Ma ripercorriamo la carriera. Uran nasce ad Urrao cittadina nel Nord Est della Colombia. E’ il 1987 e questo ragazzino che ama lo sport parte da una corsia differente rispetto a molti suoi connazionali. La sua famiglia infatti non era povera, erano dei piccoli imprenditori. Avevano negozi di alimentari, mense. Il papà vendeva biglietti della lotteria per strada. Forse il Dna imprenditoriale di Rigoberto viene proprio da qui.

A scuola Uran era molto irrequieto. Più di qualche volta sua mamma era stata chiamata per il comportamento sin troppo vivace del figlio.

Suo papà, che tra l’altro si chiamava come lui, cosa non rara in Sud America, pedalava e Rigo lo seguiva. Da qui la passione per la bici.

Un giorno, mentre Rigoberto padre era in strada a vendere i biglietti, rimase coinvolto in una sparatoria dei narcos. Lo colpirono e morì.

Rigo figlio era scuola. Era un sabato, si trovava in classe poiché doveva recuperare qualche lacuna. Furono alcuni suoi compagni a dirgli del fattaccio.

Rigoberto divenne grande all’improvviso. Si fece carico delle attività di famiglia. Si riavvicinò moltissimo a sua mamma, visto che nel frattempo i genitori si erano separati e Rigoberto era andato col padre.

Il ragazzo si barcamenava tra il lavoro e la bici. Questa non l’aveva mollata. Correva con la squadra locale, la Sistecredito. Il suo allenatore, vedendo la vita che faceva e i buoni risultati, ne capì la forza fisica e la determinazione mentale. Così lo portò al Centro di Sviluppo Sportivo. Lì, Uran trovò altri ragazzi che poi divennero ottimi corridori: Arrredondo, Betancur… Ormai aveva 17-18 anni e il ciclismo era cosa sempre più importante per Rigo.

Uran iniziava a guadagnare qualcosa, che puntualmente inviava a casa. Nel 2005 vinse la Vuelta del Porvenir (il Giro di Colombia dei dilettanti) e questo convinse Fabio Bordonali a portarlo in Europa con la sua squadra, la Tenax, per l’anno successivo. Bordonali si prese cura di lui anche negli anni successivi, quando lasciò il suo team. Come quando nel 2007 si ruppe due braccia al Giro di Germania in una caduta (e nonostante tutto finì la tappa), Bordonali e il vecchio entourage lo supportarono nel recupero.

Tappe nei tre Giri

La carriera di Rigoberto Uran è cresciuta di anno in anno. Ha acquisito credito come leader e come uomo squadra. In gruppo si è guadagnato il rispetto di tutti. Rispetto che ancora oggi gli è riconosciuto. Non c’è un solo corridore che ne parla male. E il colombiano è apprezzato come atleta e come uomo.

E’ salito sul podio del Giro d’Italia (secondo nel 2013 e nel 2014) e del Tour (secondo nel 2017). Ma è stato proprio il podio alle spalle di Nibali a farlo diventare un Dio nella sua terra, nonostante l’argento olimpico dell’anno prima. Per i colombiani infatti il ciclismo è quello dei grandi Giri.

Uran ha vinto tappe in tutti e tre i grandi Giri. Ha messo in bacheca una Milano – Torino, un GP del Quebec e soprattutto dice lui: «Quando vado in bici continuo a divertirmi».

L’addio di Van Vleuten, un gigante nonostante tutto

18.09.2023
6 min
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Verrà il momento che Annemiek Van Vleuten si siederà davanti a un bel paesaggio e inizierà a pensare, a ripercorrere quella lunga strada che l’ha portata fino a lì, magari vedendo passare una ragazzina in bici. Quella bici che le ha regalato delusioni e soprattutto gioie, considerando la messe di vittorie portate a casa dal 2007 a oggi.

Forse penserà che quella bambina ha più diritto di lei di pedalare, correre, sognare. Lei alla bici non ci aveva proprio pensato fino a quando aveva 24 anni. Prima si era dedicata a tutt’altro: calcio, equitazione, ma soprattutto lo studio.

La laurea all’università, il master in epidemiologia, un lavoro già trovato ed avviato. La bici le serviva solo per spostarsi in città, andare a lezione, ma poi, dopo aver subìto due operazioni al menisco, le suggerirono di usarla anche per la ripresa, magari facendo anche un po’ di sport. Approdò al WV Ede, il suo primo team. E lì fece una scoperta che le avrebbe cambiato la vita.

L’ultima vittoria di Annemiek, al Giro di Scandinavia. Chiude con 104 successi tra cui 4 Giri e un Tour
L’ultima vittoria di Annemiek, al Giro di Scandinavia. Chiude con 104 successi tra cui 4 Giri e un Tour

Valori sconcertanti, è nata per pedalare

«Andai a fare dei test a Papendal – ha raccontato – e lì mi dissero che i miei valori di VO2max e di potenza erano inusuali per una ragazza. Non avevo un gran rapporto watt per chilo, ma ci si poteva lavorare. Insomma, mi convinsero a prendere quella cosa più seriamente».

Nel 2007 Annemiek inizia così a competere e si vede subito che ci sa fare. Il fatto che sia così grande d’età per essere una principiante non è inusuale al tempo, ma certo capitano occasioni dove paga dazio: cadute, errori… La gavetta è dura e lunga, anche perché al contempo continua a lavorare e così sarà fino al 2010, quando decide d’investire con tutta se stessa nel ciclismo.

Il suo primo contratto da ciclista le vale 800 euro al mese, molto meno di quel che guadagnava in ufficio, ma va bene così.

La vittoria al Fiandre 2011 che rivincerà 10 anni dopo. Per lei anche 2 Liegi e 4 ori mondiali (foto Getty Images)
La vittoria al Fiandre 2011 che rivincerà 10 anni dopo. Per lei anche 2 Liegi e 4 ori mondiali (foto Getty Images)

Il sogno (e il tarlo) dei Giochi

I risultati si vedono subito: prima vittoria (a fine anno saranno 5) e l’anno successivo porta a casa una classica come il Fiandre. La sua storia di “quasi amatore” fa subito strada fra gli addetti ai lavori, ma Jeroen Blijlevens, il suo diesse è categorico: «Questa è solo la prima, vincerai altre gare». A fine anno conquista tre gare di Coppa del mondo su nove. Il trofeo è suo.

L’anno dopo vince il suo primo titolo nazionale in linea, nel 2014 a cronometro, una specialità che le piace sempre di più e dove fa ancora più la differenza. Inizia a covare un sogno: vincere le Olimpiadi, il massimo traguardo per uno sportivo.

Al tempo l’Olanda non è ancora la sportiva macchina da guerra attuale, uno dei Paesi con il maggior numero di pretendenti all’oro dei Giochi, le reali carte da podio erano limitate e una di esse era questa ragazza di 33 anni, molto più giovane però di tante coetanee cicliste.

Si prepara pensando a “quella” gara. Il giorno prima, guardando la prova maschile rimane impressionata dalla caduta di Nibali lanciato verso una medaglia. Resta colpita dalla sua sfortuna, senza sapere quel che accadrà di lì a poco.

L’attacco decisivo a Rio 2016. L’oro era ormai suo, ma una caduta ha infranto il sogno (foto Getty Images)
L’attacco decisivo a Rio 2016. L’oro era ormai suo, ma una caduta ha infranto il sogno (foto Getty Images)

La paura e l’insegnamento

A Rio de Janeiro, su un percorso che esalta le sue capacità in salita, Van Vleuten fa la differenza, va in fuga e sembra inarrestabile. Sembra. Una curva particolarmente scivolosa, una caduta rovinosa di quel che ti fanno salire il cuore in gola. Sbatte la testa contro il cordolo della strada.

La ricoverano in ospedale, i primi responsi sono drammatici: grave commozione cerebrale e tre fratture spinali. Più approfonditi esami limiteranno poi la portata degli infortuni, dopo tre giorni Annemiek può già ripartire verso casa: «Col tempo – racconterà poi la campionessa olandese – ho imparato a guardare, più che alla caduta, a quel che era successo prima, al fatto che in salita avevo fatto la differenza. Non posso negare che quella giornata abbia comunque segnato la mia carriera, non necessariamente in negativo».

Dal 2017 infatti Van Vleuten inizia a collezionare vittorie e a Bergen, in Norvegia, coglie il suo primo titolo iridato, nella prova a cronometro, iniziando una collezione di medaglie e maglie portata avanti fino a quest’anno (ed è molto probabile che la mancata conquista di un podio abbia contribuito a rafforzare la sua scelta d’inizio stagione).

Si pone altri obiettivi: competere ad ogni occasione con Anna Van Der Breggen, l’altro grande nome arancione e mondiale, con la quale condivide una fiera rivalità, senza amicizia ma con rispetto reciproco. Ha un appuntamento con quell’oro sfuggitole nel 2016, ma il Covid la fa aspettare ancora e un po’ incrina la sua superiorità, almeno psicologicamente.

A Tokyo, Van Vleuten conquista finalmente l’oro che cercava, nella cronometro
A Tokyo, Van Vleuten conquista finalmente l’oro che cercava, nella cronometro

Quanto è amaro l’oro altrui…

A Tokyo nel 2021 anche lei commette l’errore di sottovalutare la fuga dell’austriaca Kiesenhofer, quando parte è ormai tardi e non può che accontentarsi di un argento amarissimo, parzialmente mitigato dal successivo oro nella gara a cronometro. Ma intanto si profila un’altra possibilità per imprimere il suo marchio nella storia del ciclismo.

Nel 2022 viene lanciato in grande stile il Tour de France Femmes e Van Vleuten, approdata alla Movistar, si mette in testa un progetto ambizioso: vincere tutti e tre i grandi Giri. E’ vero, la Vuelta è solo una prova in tre giorni come ce ne sono tante, Giro e Tour sono solo lontani parenti di quelli maschili, ma non è certo colpa sua: «Noi saremmo in grado anche di correre gare di tre settimane» afferma interrogata al riguardo e le sue dichiarazioni fanno scalpore.

In gara però la sua superiorità è evidente: quando la strada si rizza sotto le ruote, Annemiek saluta tutte e se ne va. Domina al Giro e al Tour neanche il mal di stomaco che la mette in crisi all’inizio riesce a fiaccarla, rimonta tutte e va a vincere tappe a ripetizione, soprattutto quella a La Planche des Belles Filles in maglia gialla, come si era ripromessa.

Con l’impresa a La Super Planche des Belles Filles, il sigillo definitivo di Van Vleuten sul Tour 2022
Con l’impresa a La Super Planche des Belles Filles, il sigillo definitivo di Van Vleuten sul Tour 2022

La libertà di fare altro

Il resto è storia di questi giorni: un 2023 ricco di soddisfazioni ma nel quale si è vista qualche increspatura nel suo dominio, soprattutto al Tour: «Ma non sono le sconfitte che mi hanno portato a questo – ha spiegato in un’intervista a Velo Outsideonline – è il fatto che sento essere venuta meno la voglia di spingermi oltre i miei limiti, ogni giorno.

«Mi sono sposata con la bici per tanti anni, ora voglio la mia libertà di fare altre cose. Voglio rimanere a casa se fuori il tempo fa schifo o concedermi qualche peccato di gola senza l’ansia di perdere la forma.

«Non so che cosa farò, d’altro canto ho la fortuna di avere sempre coltivato altri interessi oltre al ciclismo. Nel 2024 mi prenderò un anno sabbatico, dedicandomi magari a qualche piccolo progetto in attesa di capire che cosa voglio fare da grande. Parteciperò ai corsi del Comitato Olimpico per chi chiude con lo sport agonistico, per capire che cosa ho imparato e come trasmetterlo, perché non mi dispiacerebbe lavorare con le cicliste del futuro. Insegnando loro a non stressarsi sempre con misuratori di potenza e simili, ma imparando a valutare le proprie sensazioni, che contano sempre di più dei freddi numeri. Se una pesante come me ha domato così tante salite, dipende tutto dalla testa e dal cuore, siatene certi…».

Van Avermaet e il futuro da scrivere dopo l’Amstel

16.04.2023
4 min
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Uno dei volti che più ci ha colpito all’interno del velodromo di Roubaix è stato quello di Greg Van Avermaet. Era stanco, come tutti, ma più di altri sembrava anche un po’ abbattuto, scavato nell’anima, come chi ha la consapevolezza che di armi per combattere ad altissimi livelli non ce ne sono.

Greg è stato un super leader per le corse del Nord e non solo quelle. Ha vinto un’Olimpiade su un percorso durissimo – se pensiamo che il colpaccio lo stava facendo Nibali – e ha dominato su palcoscenici che spaziano dalla Tirreno-Adriatico alla Roubaix.

Greg Van Avermaet (classe 1985) accolto dalla sua famiglia al termine della Roubaix
Greg Van Avermaet (classe 1985) accolto dalla sua famiglia al termine della Roubaix

Perplessità legittime

Eppure domenica aveva l’espressione di chi sembra aver capito che a 37 anni forse il suo tempo è passato o è lì, lì per farlo. Ha spinto, si è impegnato, è stato nel vivo della corsa, sempre sul pezzo tatticamente, ma… Ma là davanti sono andati molto più forte. Il fiammingo è arrivato 37° ad oltre 5′ da Van der Poel.

E’ anche vero che forse il corridore dell’Ag2r-Citroen più di altri ha pagato il post Covid. Già lo scorso autunno si chiamò fuori dalla sfida iridata additando le motivazioni delle sue scarse prestazioni anche al vaccino. E ha ammesso che dopo la pandemia non è più andato forte come prima

Anche in questo inizio di stagione non sempre è stato bene. Forse anche per questo la sua primavera non è stata brillantissima. 

Fiandre 2023: Greg sarà anche “vecchio” ma la classe non si discute: dove gli altri scendono, lui pedala
Fiandre 2023: Greg sarà anche “vecchio” ma la classe non si discute: dove gli altri scendono, lui pedala

Al capolinea?

Noi giornalisti, al termine della corsa delle pietre, gli abbiamo chiesto se quella appena conclusa fosse stata la sua ultima Roubaix e quindi se a fine stagione appenderà la bici al chiodo.

«Questo non lo so – ha risposto Van Avermaet – lo deciderò dopo l’Amstel Gold Race, che sarà la mia ultima corsa di questa prima parte di stagione (giusto dopo la Freccia del Brabante ha ribadito che non correrà la Liegi, ndr). A quel punto mi fermerò e con calma deciderò del mio futuro. Ma per farlo dovrò parlare con molte persone e mi servirà qualche settimana. Vedremo… ».

Van Aert (a destra) ha raccolto l’eredità del campione olimpico di Rio 2016
Van Aert (a destra) ha raccolto l’eredità del campione olimpico di Rio 2016

Confronto generazionale

«Una cosa è certa – ha detto Van Avermaet – sono contento che nel mio periodo migliore non abbia dovuto competere con questi fenomeni. È difficile confrontare le generazioni. Ma non si può negare che abbiamo tre fenomeni che possono competere per la vittoria ovunque. Quando decidono di attaccare vanno davvero forte anche se questo forse da fuori non si vede. Oggi se riesci ad entrare nei primi dieci devi ritenerti soddisfatto.

«Mi dispiace più per corridori bravi e forti come Stefan Kung o Valentin Madouas che sono sempre ad alto livello, ma lottano sempre per un posto d’onore. Dev’essere frustrante».

Quanto ha inciso il cambio di tecnologia in tutto ciò? Quanto è diverso rispetto ai suoi tempi? Che poi messa così sembra di parlare di chissà quante stagioni fa, ma non sono più di cinque o sei…

«Io penso che sia sempre lo stesso e ogni tempo fa il suo corso. Tra l’altro il discorso della tecnologia vale per tutti. Alla fine conta solo questa “stupida” gamba».

Per Van Avermaet 17 stagioni da pro’ e ancora una grande voglia di divertirsi in bici (foto Ag2R-Citroen)
Per Van Avermaet 17 stagioni da pro’ e ancora una grande voglia di divertirsi in bici (foto Ag2R-Citroen)

Niente Giro

Greg guarda avanti dunque. Anche quest’inverno aveva ribadito che fare la vita da corridore gli piace ancora, che sapeva che non aveva ancora cinque anni di carriera davanti e che proprio per questo vuole godersi appieno queste ultime annate da professionista.

Ma al netto di quella che sarà la sua decisione sul proseguimento o meno della sua carriera, su una cosa Van Avermaet è stato netto, vale a dire quando gli abbiamo chiesto del Giro d’Italia.

«No, non ci sarò – ha replicato il belga – puntando sulle classiche non è facile fare bene anche al Giro. Se farò il Tour? Vedremo…». E questo ci spiace. Un corridore del suo spessore si ritrova con uno zero nella casella di partecipazioni alla corsa rosa. 

Rosa e il ritorno in mtb: retroscena e lavoro per la nuova avventura

29.11.2022
5 min
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A soli 33 anni Diego Rosa lascia la strada… ma non il ciclismo. L’atleta piemontese, infatti passerà, o meglio tornerà, alla mountain bike. La sua vecchia casa. Il suo primo amore. E si sa: il primo amore non si scorda mai.

Rosa difendeva, e difende ufficialmente fino a fine anno, i colori della Eolo-Kometa. Con questo team ha corso due stagioni. Si è ben difeso e quest’anno al Giro d’Italia ha lottato a lungo per vestire la maglia blu di miglior scalatore.

Domenica scorsa, Rosa (classe 1989) era a Monaco per l’evento Beking
Domenica scorsa, Rosa (classe 1989) era a Monaco per l’evento Beking
Diego, come va? Come ti sembra questo “nuovo vecchio” inverno?

Eh, sono un po’ spaesato. Cambiare aria ci sta! Ma per il resto tutto è molto simile. Esco in allenamento, la preparazione è più o meno quella… cambia il mezzo.

E come ti stai trovando?

Diciamo che come ho lasciato ho ripreso. Abbandonai la mtb che arrivavano le prime full, ho ripreso la mtb con una full. Quella volta quando provai quel tipo di bici dopo un chilometro di discesa “pizzicai” la posteriore. E stavolta dopo il primo chilometro di discesa di nuovo ho bucato. Nonostante liquidi, mousse… non è cambiato niente! Scherzi a parte, con le 29” faccio un po’ di fatica a girare nei tornanti stretti. Rispetto alle bici di una volta sono più grosse, ma per il resto la guida si è molto semplificata.

Definisci semplificata…

Queste bici ti perdonano molto. Se prima sbagliavi, arrivavi troppo veloce o cambiavi idea nell’approcciare un sasso, per dire, erano problemi. Con queste bici invece ci passi sopra. Ti permettono di correggere, magari la traiettoria non è ideale, ma non cadi.

Diego sta insistendo molto con la palestra e in particolare con la parte alta del corpo
Diego sta insistendo molto con la palestra e in particolare con la parte alta del corpo
Come ci stai lavorando?

Ho iniziato in queste settimane e dal punto di vista tecnico, del setup non è così semplice. Una volta la forcella era aperta o chiusa, adesso ne uso una elettronica: devi regolare l’affondo, il ritorno, la pressione… e anche per questo non sto facendo molte uscite su strada in allenamento: quattro uscite su sei sono in mtb, voglio riabituarmi a questo mezzo. Magari più in là farò la metà su strada e la metà offroad. 

E’ comprensibile…

E poi ogni giorno mi viene in mente una cosa nuova. Esco sempre regolando qualcosa. Nei primi giorni per la pressione mi regolavo col vecchio metodo del dito. E a forza di sgonfiare ero arrivato a 0.9 bar… un po’ poco! E infatti mi sono detto: “Ecco perché bucavo!”. Quindi per ora sono molto concentrato sul setup.

Hai accennato che la preparazione è molto simile, ma qualcosa di diverso ci sarà pure?

Ho fatto uno stacco identico alle altre stagioni su strada. Quindi tre settimane di vacanza, una settimana di ripresa molto calma e poi la preparazione vera e propria. Di certo faccio più palestra, soprattutto per la parte alta del corpo. Avevo perso tanto in questi anni su strada. Quello è peso da portare in giro, qui invece sono muscoli che servono. In allenamento quando faccio le discese lunghe a volte mi devo fermare. Mi fanno male le braccia, le mani… per non parlare delle scapole. Anche per questo preferisco uscire di più in mtb.

In estate, quando in Italia non c’erano gare, Rosa ha preso parte ad un paio di marathon in Mtb
In estate, quando in Italia non c’erano gare, Rosa ha preso parte ad un paio di marathon in Mtb
Parliamo invece un po’ del recente passato. Come hai vissuto il momento dell’addio alla strada?

In modo molto leggero. Credevo mi sarebbe pesato di più, invece è stato tranquillo. Avendolo già in prospettiva, non mi è pesato. Se invece non avessi avuto già un contratto pronto magari sarei stato depresso.

Quindi questa estate quando hai preso parte alla Dolomiti Superbike già sapevi che saresti tornato su strada?

No, no… avevo chiesto alla squadra già a febbraio di partecipare a quel paio di corse estive. Coincidevano con un periodo di lontananza dalle gare su strada. Vero, ho sempre detto che il giorno che avrei chiuso con la strada avrei fatto un anno in mtb, ma in quel momento non immaginavo ancora che sarebbe successo quest’anno.

C’è qualcosa che non ha funzionato?

Diciamo che ci sono stati un po’ di problemi di comunicazione con la squadra. Io avrei fatto ancora un anno, ma forse questa è stata la mia fortuna.

Al Giro d’Italia, Rosa ha indossato la maglia blu per sei giorni. Chiude la sua carriera su strada dopo 10 stagioni
Al Giro d’Italia, Rosa ha indossato la maglia blu per sei giorni. Chiude la sua carriera su strada dopo 10 stagioni
Perché?

Io ero in grado di continuare e credevo di avere ancora una stagione davanti. E a dire il vero avevo avuto anche delle offerte buone da team WorldTour. Io non volevo cambiare squadra. Sembrava tutto okay, poi quando mi hanno detto che non mi avrebbero rinnovato il contratto era tardi. Non volevo tornare indietro a chiedere con la coda tra le gambe a chi mi aveva fatto un’offerta… Un po’ mi “giravano”. Ma va bene così: a 33 anni va bene così e va bene come sto adesso.

Dal canto tuo pensi di aver fatto qualche errore, di aver dato sempre il 100 per cento?

Col senno del poi sempre qualcosa si può fare meglio, ma se tornassi indietro farei esattamente ciò che ho fatto e quindi gli stessi eventuali errori. Sì, ci sono stati dei periodi di riposo in mezzo alla stagione, ma quando dovevo fare il corridore l’ho fatto al 100 per cento. Sì, rifarei tutto.

Torniamo alla mtb: sai già che calendario farai?

Al 99 per cento dovremmo partire dall’Andalucia Bike Race (un’importante corsa a tappe in mtb, ndr) e poi fare le maggiori corse del calendario italiano. A me piacerebbe molto anche fare la Coppa del mondo che, dovrebbe tornare anche nelle marathon. O comunque prendere parte alle prove della Marathon Series, vale a dire le più importanti gare internazionali. Vediamo l’UCI cosa ci farà sapere.

I graffi di Gatto, capitano e gregario

24.10.2020
5 min
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Qualche giorno fa Oscar Gatto ha chiuso la sua carriera. Il corridore veneto ha disputato le ultime gare in Belgio. E proprio lassù ha preso la decisione: basta con il ciclismo.

Oscar appende la bici al chiodo dopo 14 anni di professionismo. Corridore molto veloce e uomo squadra, capitano e gregario. Ma quando ha avuto le sue possibilità se le è giocate alla grande.

Il feeling perduto

«Ad un tratto – racconta Gatto – ho sentito dentro di me che mancava qualcosa per correre in bici. Ho capito che era il momento di dire basta. Io non faccio mai le cose a caso. Ci pensavo già da un po’, ma alla fine la decisione l’ho presa la settimana scorsa. Un altro anno lo avrei potuto fare di sicuro. Ma il feeling con la bici, con gli allenamenti, con la corsa non c’era più».

Oscar Gatto (35 anni) sui muri del Fiandre
Gatto (35 anni) sui muri del Fiandre

Tra i primissimi a chiamare Oscar sono stati Luca Scinto e Angelo Citracca, coloro che hanno vissuto forse il miglior Gatto della carriera. Un rapporto verace, spontaneo il loro. Anche noi assistemmo a quelle trasferte in Belgio. E la battuta nel clan di Citracca era sempre pronta. 

«Devo dire che loro due mi hanno chiamato subito, ma lo hanno fatto in tanti. Anche il mio massaggiatore da dilettante, Raniero Gradi».

Un ragazzino grintoso

Primi passi nel professionismo sul finire del 2006, quando esordì nel Gp Beghelli. Oscar arrivò nel drappello di testa. L’anno dopo passò alla Gerolsteiner, prima di approdare alla corte di Scinto, all’epoca Isd Cycling Team. WolrdTour, Professional, ancora WorldTour. Il ragazzo diventa uomo. Si sposa, diventa papà…

«In tanti anni il ciclismo mi ha insegnato molto. Sono pronto a pedalare anche nella vita. Si dice sempre che se hai fatto il ciclista non sai fare nulla. Penso che la bici t’insegni a stringere i denti. E questa cosa te la ritrovi anche dopo. La fatica non si fa solo in sella.

«Ho girato il mondo. Ho imparato a vedere le cose sotto più punti di vista e non solo dal nostro mondo. Viaggiare ti dà prospettive più ampie. E ho imparato anche a conoscere le persone più a fondo, di alcuni ti puoi fidare e di altri no».

Il ragazzo di Montebelluna era senza dubbio un uomo veloce, però se la cavava quando le strade erano ondulate o c’erano momenti difficili. Strappi, vento e pavé. Se la cavava per lui e per i suoi capitani. Non è un caso che i suoi ricordi più belli siano legati a queste situazioni.

Giro 2011, Oscar alza le braccia davanti a Contador
Giro 2011, Oscar alza le braccia davanti a Contador

La perla di Tropea

Il clou è certamente quella mitica tappa del Giro d’Italia 2011. Si andava da Sapri a Tropea, 217 chilometri sotto il sole e i colori del Sud. Mare ed entroterra si alternavano senza sosta. La star del Giro era un certo Alberto Contador e in rosa c’era Peter Weening.

«E’ ancora è un’emozione quella tappa per me. Ricordo la scarica di adrenalina mentre taglio la linea d’arrivo. A metà corsa vado in ammiraglia e sparo anche due cavolate con Scinto. Gli dico: “Pitone (il soprannome del ds toscano, ndr), sull’ultima salita stacco tutti e arrivo solo”. Mi guarda ridendo e io stesso me ne vado sorridendo. Fatto sta che prendo lo strappo finale davanti. E non fu neanche così difficile quella “limata”. Sapete, la giornata perfetta. Mi alzo, scatto forte e vado. Solo ad un certo punto ho avuto paura. Fu l’unico momento duro della giornata. Vedo la sagoma di uno che mi insegue. Solo dopo ho saputo che era Contador».

Vincere davanti al Pistolero esaltò quella vittoria, che fu un vero capolavoro tecnico, tattico e atletico. La presa della salita, i tempi e la forza dello scatto furono perfetti.

Con Luca Scinto un rapporto di amicizia…
Con Scinto un rapporto di amicizia…

Quella volta da capitano

Il Nord è la seconda casa di Oscar. Con il Belgio ha sempre avuto un grande feeling. Tante volte è stato respinto, ma tante altre gli è andata bene, come alla Dwars door Vlaanderen 2013, importante classica.

«Era un giorno freddissimo – ricorda il corridore della Bora Hansgrohe – a tratti nevicava. Più andavamo avanti e più la gente si staccava. Io ero lì e stavo bene. Ai meno tre, parte Thomas Voekler e tra me e me dico: è andata. Poi Ian Stannard inizia a tirare sempre di più. Voekler sta quasi per arrivare e così penso: parto lungo, perso per perso… E invece la gamba rispondeva bene, spingevo forte e vinsi.

«Alla fine di quella stagione litigai anche con Scinto, perché avrei cambiato squadra. Poi le cose negli anni le abbiamo sistemate benone».

Sagan lo ha voluto con sé anche alla Bora-Hansgrohe
Sagan lo ha voluto con sé anche alla Bora-Hansgrohe

Quella volta da gregario

«Un altro ricordo a cui sono legatissimo – racconta Oscar – è la vittoria di Peter Sagan al Giro delle Fiandre. Correvo con lui alla Tinkoff. Quel giorno avevamo anticipato. Ad una trentina di chilometri ci riprendono. Peter si avvicina a me e mi fa: come stai? Io: bene. E lui: okay, proviamo una volta per uno. Allora io gli feci: Peter aspetta, il mio bene è diverso dal tuo! Così mi disse di tirare. Poco dopo partì come un fulmine. Lo seguì Kwiatkowsy, che lo aveva battuto pochi giorni prima ad Harelbeke. Però Sagan lo staccò. Per radio sentivo il vantaggio che aumentava e fu bellissimo. Io ero pronto a chiudere, ma mi godevo lo spettacolo di Peter. All’arrivo lui mi ringraziò subito e il suo abbraccio fu sincero. La sera dovevo rientrare, ma non presi quell’aereo. Restammo tutti insieme a fare festa nel mitico Park Hotel di Kortrijk».

E adesso? Adesso Oscar si godrà la famiglia. Ha in serbo diversi progetti, tutti fuori dal mondo del ciclismo. Prima però vuole fermarsi un po’, rilassarsi e schiarirsi le idee. In fin dei conti la sua volata l’ha appena finita.

Smarzaro, mattatore senza squadra

20.10.2020
3 min
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Daniel Smarzaro è stato il mattatore del finale di stagione. Il corridore della General Store dopo aver passato un’estate a rincorrere la forma, ha trovato il picco proprio nelle ultime gare. Due secondi posti e una vittoria. E che vittoria. Il trentino si è portato a casa la prestigiosa Coppa San Daniele.

Corridore completo

«Ho iniziato con i pro’ – dice Daniel – a Laigueglia. Dopo il lockdown ho ripreso ad ExtraGiro. Rispetto ad altri ho capito subito che la quarantena sarebbe stata lunga. Così ho mollato del tutto all’inizio. Poi ho fatto rulli ed esercizi a corpo libero. Quando ci hanno liberato ho cercato di ricostruire subito il fondo, facendo tanti chilometri».

Daniel, 23 anni appena compiuti, con il covid ci ha rimesso più di altri. Per un ragazzo della sua età, questa stagione era fondamentale. Aveva impostato la preparazione invernale molto bene. L’idea era quella di partire forte e ci era anche riuscito.

«Speravo di raccogliere di più. Volevo partire forte visto che c’erano gare adatte alle mie caratteristiche. Sono un corridore completo, con un ottimo spunto veloce. Tengo bene sulle salite brevi. Però non ho potuto fare quelle corse su cui avevo puntato. Alla ripresa abbiamo corso spesso con i pro’. Le gare con loro sì sono belle, ti fanno crescere, ma è anche vero fai tanta fatica e prendi tante bastonate. Questo lavoro almeno ha fatto arrivare la condizione a fine anno».

Smarzaro corre con la General Store dal 2018 (foto Scanferla)
Smarzaro corre con la General Store dal 2018 (foto Scanferla)

A scuola da Fruet e Conci

Smarzaro è trentino della Valsugana. “Vicino di casa” di Nicola Conci e del grande biker Martino Fruet, spaziale nella guida.

«Da due come loro c’è sempre da imparare. Con Conci usciamo spesso insieme. I suoi consigli sono utili. Si vede che viene dal WorldTour. E Martino è un maestro, in discesa cerca di fare i Kom e ogni planata con lui si fa a tutta. E’ un kamikaze. Non riusciamo a tenerlo, però ti dà sicurezza».

E adesso?

Purtroppo il futuro immediato di Smarzaro non è sgombro di nuvole. La General Store sembra non lo riconfermi e a questo punto dell’anno non è facile trovare squadra. 

«Sinceramente non so neanche se continuerò a correre. Il mio team mi ha comunicato tardi che non voleva più tenermi. Le altre Continental sono già piene. E con due squadre WorldTour che chiudono anche le Professional si riempiono. Deciderò a fine mese».

Sarebbe un peccato se un ragazzo, che in questi anni ha dimostrato costanza di rendimento, dovesse dire addio ai suoi sogni a soli 23 anni, nonostante il bel finale di stagione.

«Quella di San Daniel è stata una vittoria cercata, a tutti i costi. Anche perché pochi giorni dopo sarebbe stato il mio compleanno e quello della mia ragazza Valentina. Volevo farle un regalo. Quando ho visto quell’arrivo su quello strappo mi sono detto che non avrei potuto sbagliare».