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Imola è dimenticata. La Dygert sta tornando…

20.11.2022
5 min
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Una mattina di Colorado Springs. Un velodromo, una bici. E una ragazza che pedalata dopo pedalata torna alla vita. In fin dei conti sono pochi minuti, il suo tecnico Gary Sutton ha fissato limiti che non vanno oltre i 15 minuti per ogni blocco di allenamento. Ma quei blocchi sono eterni, sono come un addentrarsi nelle pieghe della sua mente. Chloe Dygert sta tornando e non è un personaggio di poco conto.

Ogni minuto di quel semplice allenamento è un viaggio dentro se stessa, anzi per meglio dire assaporare un ritorno alla normalità al quale non sperava neanche più. E non c’entra neanche tanto il ciclismo perché quel che le era successo le aveva precluso anche la vita normale.

«Cosa ne sanno gli altri di quel che ho passato? Anche salire e scendere dall’auto – dice – era portatore di un dolore indicibile, mi muovevo al rallentatore, come un’automa. Pensavo che quel dolore non mi avrebbe lasciato più, mi stavo quasi adagiando nella convinzione che sarebbe stato mio compagno per tutta la vita. Invece ecco qui: pedalo e non lo sento, non c’è. Se n’è andato e non lo rimpiango di certo…».

Il suo ritorno in bici nei test a Colorado Springs: Chloe tornerà sia su strada che su pista (foto Casey Gibson)
Il suo ritorno in bici nei test a Colorado Springs: Chloe tornerà sia su strada che su pista (foto Casey Gibson)

Inizia tutto a Imola 2020

Pedalata dopo pedalata la Dygert ripensa a quando tutto è iniziato: quel giorno, quel maledetto giorno a Imola. 2020. In palio il titolo mondiale a cronometro. L’americana è la campionessa uscente, l’anno prima nello Yorkshire ha sorpreso tutti, anche le favoritissime olandesi. La corsa contro il tempo è il suo forte, lo ha dimostrato anche in pista. Sfreccia, la Dygert e ai rilevamenti è lanciata verso il bis. Poi una curva, la bici che slitta, il guard rail vicino. Troppo vicino. Un attimo, ma è come se un ninja con la sua lama affilata la trafiggesse da parte a parte. La coscia viene tranciata, il metallo va a toccare anche l’osso. Le immagini sono agghiaccianti, le sue urla dicono tutto.

L’80 per cento del muscolo è compromesso, l’operazione e la degenza sono lunghe e dolorose. Quel che Chloe non sa è che quello è l’inizio di un calvario lungo tre anni, fatto di sofferenza, tappe, anche elementi avversi esterni come il Covid. Che poi tanto avverso, nel suo caso non è. Perché? Perché posticipa le Olimpiadi di un anno e le consente comunque di esserci anche se a mezzo servizio, anche se non è la Dygert che avrebbe voluto essere. Ma riesce comunque a esserci, qualificandosi in extremis, portando a casa un 7° posto nella crono e contribuendo al bronzo del quartetto (che senza di lei, diciamocelo, è poca cosa…).

Non bastasse l’infortunio…

Sono risultati eccezionali, se si pensa che da quel maledetto giorno imolese, la Dygert in tre anni ha potuto gareggiare appena per 5 giorni su strada.

«Appena sembrava tutto risolto, ecco che ci ricascavo – pensa mentre l’allenamento procede – in primavera mi è crollato il mondo addosso. Non bastasse il dolore, ci si è messa anche la malattia di Epstein Barr (una forma di herpesvirus che porta affaticamento estremo, mal di gola, ingrossamento dei linfonodi e altri sintomi, ndr). Avevo appena iniziato la campagna del Nord ed era già finita».

Dalla malattia, con tempo e pazienza era uscita fuori, ma quei dolori restavano. Avevano già rimesso mano alla gamba, ma l’operazione non era andata a buon fine e oltre ai dolori, anche i movimenti erano ridotti. Ma Chloe non si è arresa. Non si è rassegnata. Ha continuato a studiare sull’argomento, a informarsi, a cercare una soluzione e alla fine ha trovato chi poteva rimetterla in sesto. Una nuova operazione, complessa, fatta da mani ferme e sicure. Tanto tessuto cicatriziale rimosso dal muscolo. Una lunga convalescenza, scandita però da un fatto nuovo: quel dolore stava svanendo. La Canyon Sram, il suo team, intanto l’aspettava, con pazienza.

Chloe è pronta a riprendersi il suo posto, anche in nazionale (foto Getty Images)
Chloe è pronta a riprendersi il suo posto, anche in nazionale (foto Getty Images)

L’anno della rinascita

«Potevo sedermi, lamentarmi, piangere, ma sarebbe servito a qualcosa? Oggi metto la parola fine su due anni di black out della mia vita – dice – nei quali non potevo fare quel che mi è sempre piaciuto, quello che avrei voluto. La bici mi aveva portato a questo, la bici mi sta portando verso la luce in fondo al tunnel. E’ vero, pedalo in un velodromo vuoto, contro nessuno, non c’è un cronometro, non c’è una classifica. Ma questa è la gara più importante e difficile, questa è la vittoria più bella. Ogni giro di pedivella senza che senta dolore è un segno di speranza. Preparatevi, gente, Chloe sta tornando…».

L’italiana di Zwift. Chiara Doni è pronta a cambiare vita

08.11.2022
5 min
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Non solo Luca Vergallito. Nella “magica decina” che si giocherà due contratti da pro’, uno per sesso, c’è anche una ragazza italiana. E la sua storia, comunque sarà la sua conclusione, deve insegnare molto. La vita può avere una svolta improvvisa in qualsiasi momento: Chiara Doni lo spera ardentemente, perché a quel contratto ci tiene tantissimo, anche se la sua vita attuale non ha nulla che non vada…

Se Vergallito è un corridore con un passato comunque di peso nel ciclismo giovanile e un presente da vincente nelle gran fondo, la Doni ha radici completamente diverse.

«Sono sempre stata appassionata di sport – racconta – ma non era il ciclismo la mia disciplina. Io correvo a piedi, amavo le mezze maratone. Molti mi chiedono che tempi avessi, ma non lo facevo per agonismo, guardando il cronometro, tanto è vero che un vero primato non ce l’ho. Poi, più di 5 anni fa, ho avuto problemi a un piede così ho dovuto smettere. E’ a quel punto che ho iniziato a usare la bici per la rieducazione».

La Doni sui rulli, ogni sistemazione può essere utile per allenarsi. Ma spesso lo fa all’aperto…
La Doni sui rulli, ogni sistemazione può essere utile per allenarsi. Ma spesso lo fa all’aperto…
Sempre sulla base non competitiva con la quale concepivi l’atletica?

Inizialmente sì, non scaricavo neanche le applicazioni. Gareggiavo a qualche gara amatoriale come non tesserata, mi piaceva il fatto di poter vedere posti che altrimenti non avrei mai visto. Poi però ho cominciato a prenderci gusto e mi sono iscritta a qualche ciclocross e a qualche gran fondo, ho visto che andavo bene tanto che nel 2019 sono giunta seconda sul percorso medio della Maratona dles Dolomites e nella GF di Nizza sono arrivata seconda alle spalle di una belga che poi sarebbe diventata professionista.

Com’è nata l’idea di Zwift?

Un anno fa sono stata contattata dal diesse del Team Castelli per gareggiare nel Team Italia nel circuito di prove virtuali. Io avevo già utilizzato la piattaforma come tanti, nel periodo del lockdown. Non nascondo che mi piaceva molto piazzare tutto l’armamentario in giardino e pedalare all’aria aperta, collegandomi con altri amici e contatti, era un modo per stare comunque insieme. Pensavo inizialmente che pedalare indoor fosse una noia, una costrizione, invece mi divertivo davvero. E poi era liberatorio anche mentalmente e psicologicamente visto il periodo.

L’atleta lombarda ama la montagna e preferisce i tracciati duri, è stata anche seconda alla Maratona
L’atleta lombarda ama la montagna e preferisce i tracciati duri, è stata anche seconda alla Maratona
Tu lavori nel settore farmaceutico: eri particolarmente impegnata in quei giorni?

Io lavoro in ortopedia, nel campo delle protesi e in quel periodo abbiamo potuto riscontrare una forte contrazione del mercato. Era tutto concentrato sul covid, ma questo ha comportato anche problemi per seguire chi aveva bisogno di assistenza per le proprie difficoltà fisiche. Non è stato un bel periodo…

Torniamo all’argomento Zwift: come ti sei ritrovata nel concorso?

Seguivo le puntate del podcast e Alessio Caggiula, il diesse, un giorno mi ha suggerito di provarci, tanto non avevo nulla da perdere. La vicinanza con Luca (Vergallito, ndr) è stata fondamentale nel cammino, ci sentivamo e organizzavamo insieme.

Chiara Doni ha vinto il Team Mixed nel Tour Transalp 2022, insieme a Francesco Visconti (foto Instagram)
Chiara Doni ha vinto il Team Mixed nel Tour Transalp 2022, insieme a Francesco Visconti (foto Instagram)
Sai quante eravate in partenza?

Non di preciso, ho sentito anche numeri astronomici, tipo 90 mila, ma non so se fossero solo donne o tutti insieme. Passata la prima scrematura, come ha raccontato Luca, anch’io sono stata contattata per inviare un mio curriculum e una serie di dati ulteriori.

Hanno voluto sapere anche del tuo passato di podista?

L’ho segnalato, non so fino a che punto possa avere influito, come anche i miei risultati nelle gran fondo. Io credo che a fare la differenza siano stati i numeri nudi e crudi, quelli del rapporto watt per chilogrammo. Siamo rimaste una ventina a partecipare a una conference call nella quale siamo state tutte intervistate, poi ho avuto notizia che eravamo in 5 a giocarci il contratto con la Canyon-Sram.

Gli allenamenti sono legati agli orari di lavoro, ma da dicembre tutto potrebbe cambiare
Gli allenamenti sono legati agli orari di lavoro, ma da dicembre tutto potrebbe cambiare
Quindi andrai anche tu alle finali nel ritiro delle squadre pro’ in Spagna…

Sì, lì faremo sia pedalate di gruppo che test specifici, ma so che valuteranno anche la nostra capacità di stare in gruppo, le nostre abilità tecniche e anche le capacità relazionali, il “fare squadra”. Io parto con molte speranze anche se so che rispetto alle altre ho minori chance legate alla scheda anagrafica, avendo 37 anni, ma non voglio pensarci. Voglio credere di potercela fare. D’altronde so che anche le altre non hanno specifiche esperienze agonistiche.

Tu hai una carriera professionale avviata. Che cosa succederebbe se scegliessero te?

Vedremo se sarà possibile prendere un’aspettativa, altrimenti non avrò dubbi. Forse qualcuno penserà che sia folle buttare via 12 anni di lavoro, i progressi di carriera che ho fatto, ma quello è il mio sogno. Poter gareggiare con le professioniste, entrare in un mondo che penso anche possa darmi molti sbocchi professionali al di là di quello agonistico. Non riesco neanche a pensarci, sarebbe davvero la miglior dimostrazione che i sogni non hanno età.

Dall’Olanda torna una Paladin più carica che mai

09.09.2022
4 min
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Di Soraya Paladin avevamo un po’ perso le tracce. Protagonista indiscussa della prepotente crescita del ciclismo femminile italiano, a inizio anno era partita alla grande, con il podio di tappa alla Settimana Valenciana e soprattutto con il terzo posto al Trofeo Alfredo Binda. E poi? Qualche buon piazzamento in Spagna e al Giro della Svizzera e nulla più, meno di quel che il folgorante avvio di stagione aveva promesso.

Al Simac Ladies Tour si sono rivisti sprazzi della vera Soraya, anche se interpretare la corsa olandese non è stato facile: «Ho ottenuto buoni risultati, considerando che il primo obiettivo con il quale mi ero presentata al via era… non cadere. Ho chiuso quarta nella classifica della montagna e con tre Top 10 in carniere, ma sinceramente speravo almeno in un podio. Ci ho anche provato l’ultimo giorno con una fuga ristretta, ma ci hanno riprese a 15 chilometri dal traguardo».

La portacolori della Canyon/Sram in fuga con l’australiana Amanda Spratt e la britannica Elynor Backstedt
La portacolori della Canyon/Sram in fuga con l’australiana Amanda Spratt e la britannica Elynor Backstedt
Perché dicevi che puntavi a non cadere?

Le gare in Olanda sono sempre caotiche. Bisogna saperle interpretare, per fortuna la squadra ha aiutato molto, ci siamo sempre tenute nell’avanguardia del gruppo. Gli scivoloni non sono mancati, ma per fortuna ci siamo salvate.

Da che cosa dipende?

Da molti fattori. Innanzitutto la conformazione delle strade, che sono sempre piuttosto strette, l’Olanda come il Belgio sono famose per questo. Bisogna stare sempre molto attente. Poi ho notato che le tappe non sono state gestite con la sicurezza che sarebbe servita: abbiamo trovato molte auto parcheggiate il che, per una gara WorldTour non è usuale.

Soraya Paladin in gara al Simac Ladies Tour. Ha chiuso al 12° posto a 1’28” dalla Wiebes (foto Thomas Maheux)
Soraya Paladin in gara al Simac Ladies Tour. Ha chiuso al 12° posto a 1’28” dalla Wiebes (foto Thomas Maheux)
E’ un fatto curioso, visto che l’Olanda è da sempre considerata il Paese ciclisticamente più evoluto intendendo la bici come mezzo di trasporto…

Infatti è per questo che sono rimasta sorpresa: le piste ciclabili sono sempre ottime e abbondanti, l’ideale per allenarsi in sicurezza, ma le gare sono un’altra cosa e trovare queste disfunzioni non è cosa abituale. Ne parlavo anche con altre ragazze: una situazione come quella trovata in Olanda, se fosse stato al Giro d’Italia avrebbe scatenato molto più rumore…

Veniamo alla tua stagione: che cosa è successo dopo Cittiglio?

Non c’è una risposta univoca, sicuramente non mi sono mai sentita realmente me stessa. Al Giro ero partita con molte ambizioni ma non ho mai trovato la tappa giusta per esprimermi, al Tour ho contratto un virus e ho tirato avanti con fatica, ho corso anche con la febbre. Avrei anche mollato, ma mi ha tenuto su il pensiero della squadra, di chi avrebbe tanto voluto esserci e non era stata scelta. Eravamo in lotta per il successo nella classifica a squadre e io volevo fortemente salire su quel podio, alla fine ce l’abbiamo fatta.

Lo sprint di Cittiglio, con la Paladin a un soffio dalla Balsamo. Poi poche gioie per la trevigiana
Lo sprint di Cittiglio, con la Paladin a un soffio dalla Balsamo. Poi poche gioie per la trevigiana
Che cosa ti aspetti ora?

Il Simac Ladies Tour mi ha detto che la condizione sta tornando, spero solo di essere in tempo per guadagnarmi la convocazione per i Mondiali. Aspetto di sapere se rientro nella nazionale, perché indossare la maglia azzurra è sempre un onore e una responsabilità che ti porta a dare il 110 per cento di quello che hai. Io spero di essere chiamata, poi si vedrà che cosa fare.

Il tuo programma che cosa prevede di qui alla fine dell’anno?

C’è un altro impegno che già mi è stato comunicato ed è il Romandia, spero di far bene e magari dimostrare di essere ancora più in forma, magari con un risultato da podio. Voglio far vedere il mio vero valore se la condizione fisica è quella giusta, ho mandato giù un po’ di bocconi amari quest’anno e voglio rifarmi.

La corsa olandese ha esaltato la splendida forma della Wiebes, ben 21 vittorie per lei nell’anno in corso
La corsa olandese ha esaltato la splendida forma della Wiebes, ben 21 vittorie per lei nell’anno in corso
D’altronde tu sei tranquilla, hai già la riconferma per il prossimo anno…

Sì e sicuramente spero che il 2023 sia migliore, più fortunato, ma intanto c’è un 2022 da finire nel migliore dei modi. C’è ancora tempo per fare qualcosa di buono…

Paladin, morale alto in vista delle Ardenne

03.03.2022
5 min
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Si è presentata brillante, Soraya Paladin, alla nuova squadra. Due buoni piazzamenti – un sesto e un secondo posto – nelle prime due tappe della Volta Comunitat Valenciana che le sono valse anche un giorno da leader della generale. Giornate che le hanno dato tanto morale. La 28enne trevigiana di Cimadolmo ha iniziato bene la sua decima stagione da elite, la prima con i colori della Canyon Sram Racing, team WT tedesco con cui ha firmato un contratto biennale.

Dicevamo dei suoi risultati. Nella prima frazione della gara a tappe spagnola si è buttata nello sprint dominato dall’iridata Elisa Balsamo. Il giorno successivo, in un finale piuttosto mosso, si è lanciata in una fuga a due con la campionessa europea Ellen Van Dijk. La delusione della piazza d’onore dietro l’olandese della Trek-Segafredo è stata tuttavia mitigata dalla maglia arancio di capoclassifica.

Al termine della terza frazione, l’ha dovuta cedere alla scatenata Van Vleuten (vincitrice di tappa e poi della Volta CV) ma la Paladin guarda alle prossime gare con una bella iniezione di fiducia e ottimismo. L’abbiamo sentita a pochi giorni dall’inizio dell’attività agonistica italiana.

Paladin in fuga con Van Dijk nella seconda tappa della Volta CV. La trevigiana ha mostrato brillantezza alla corsa spagnola.
Paladin in fuga con Van Dijk nella seconda tappa della Volta CV
Soraya, come ti sei trovata con la nuova squadra?

Molto bene sinceramente. Sono professionali ed hanno un’organizzazione al top. Dietro le quinte c’è veramente tanto personale che lavora sodo e non ci fa mancare nulla. I due ritiri, prima a Mallorca e poi a Gandia, vicino a Valencia, sono serviti tanto a conoscerci meglio. Siamo un bel gruppo di persone.

Che impressione hai avuto delle nuove compagne?

Molto buona, andiamo già d’accordo ed è un piacere stare assieme. Ho trovato tante atlete forti che sono ben disponibili sia a dare consigli che ad ascoltare o condividere punti di vista diversi. Sono molto predisposte al confronto e credo che sia davvero una cosa buona. Qua trovo Pauliena Rooijakkers che è stata mia compagna alla Liv nelle ultime due stagioni e sono contenta di essere ancora assieme a lei. C’è Alena Amialiusik, una bravissima ragazza che vive in Italia da tanti anni. Le altre le conoscevo già quasi tutte, perché in gruppo fai sempre una chiacchiera un po’ con tutte le avversarie.

Dopo aver fatto le prime corse, che tipo di squadra siete?

Mi piace il modo che abbiamo di correre. Poco attendista, molto aggressivo. Vogliamo fare la gara, portare fuori la fuga. E’ un approccio mentale che apprezzo, molto simile al mio. Forse dobbiamo ancora trovare l’affiatamento giusto, quello si vedrà col passare del tempo, ma dalle prime corse sembravamo già in sintonia. Eravamo un po’ emozionate prima della prima tappa alla Valenciana, però dopo qualche chilometro ci siamo capite al volo, soprattutto nelle fasi più concitate.

Soraya Paladin ripensa al secondo posto nella seconda tappa della Volta CV che le varrà la maglia di leader della generale.
Soraya Paladin dopo il secondo posto nella 2ª tappa della Volta CV
Che ruolo avrai in questa formazione?

Il bello di questo gruppo è che non abbiamo ruoli definiti. Solo per le volate pure o per gli arrivi in salita c’è una leader. Per le altre gare invece, specialmente le classiche, la squadra punta ad avere più atlete nel finale in modo da poter sfruttare una superiorità numerica. Che poi si giochi la vittoria una ragazza o un’altra non importa. L’importante è avere un obiettivo comune e correre per quello. Il mio ruolo è quello di aiutare le compagne forti nel finale di gara, specialmente quelle con le mie caratteristiche. Sarò in appoggio a Niewiadoma, Chabbey e Barnes, però cercherò di cogliere l’occasione di giocarmi le mie carte quando si presenterà.

In pratica quello che ti è successo nella seconda tappa della Volta CV. Cosa è mancato per centrare la vittoria?

Subito dopo l’arrivo ero abbastanza triste per il secondo posto. Però a mente fredda ho pensato che ho perso dalla campionessa europea che ha dimostrato in questo periodo di essere veramente in forma. Forse nel finale avrei potuto anticiparla, ma credo che sarebbe finita allo stesso modo. Come inizio di stagione non è andato male, mi ha dato morale. Gli appuntamenti a cui tengo sono più avanti.

Come proseguirà il tuo calendario?

Correrò la Strade Bianche e a Cittiglio, poi andrò al Nord. Voglio fare bene le classiche, che sono sempre importanti. Le gare delle Ardenne sono quelle che mi si addicono di più. Vorrò mettermi in mostra alla Freccia Vallone, che forse è quella che soffro di più, alla Liegi e all’Amstel. A fine aprile deciderò con la squadra cosa fare. Se Giro o Tour o entrambi, anche se sarebbe difficile. Poi ci sono le manifestazioni con la nazionale. Ho un dialogo aperto col cittì Sangalli, cercherò di capire anche cosa vorrà lui da me per pianificare quella parte di stagione. Naturalmente indossare la maglia azzurra è sempre un grande onore.

Soraya Paladin, un selfie sul podio olimpico di Tokyo con Longo Borghini (bronzo) e Bastianelli
Soraya Paladin, un selfie sul podio olimpico di Tokyo con Longo Borghini (bronzo) e Bastianelli
Sei elite dal 2012 e sei stata sempre in squadre importanti. Qual è la differenza più grande che hai notato in questo decennio?

Direi la cura dei dettagli. Penso sia dovuto al cambiamento del ciclismo in generale, specialmente il femminile. Il nostro livello si sta alzando tantissimo ed è diventato davvero importante. I team stanno investendo sempre di più. Noi atlete abbiamo sempre più cose a nostra disposizione. Abbiamo figure dello staff o mezzi che prima non avevamo.

Soraya un’ultima domanda. A parte la vittoria, c’è qualcosa che vorresti realizzare da atleta a breve o lungo termine?

Sì. Mi piacerebbe continuare a divertirmi correndo in bici. Negli anni ho visto sempre più atlete smettere di correre perché avevano nausea del ciclismo. Un mio obiettivo sarebbe quello di finire senza arrivare a quel punto. Magari vincendo meno gare di quello che vorrei però continuando ad apprezzare la bicicletta. Mi ritengo fortunata perché sto facendo uno sport che mi piace come lavoro.

Cecchini riparte dall’Olanda con Van der Breggen

21.01.2021
4 min
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«Ero arrivata al punto di non riconoscermi più – dice Elena Cecchini – soprattutto perché sono molto ambiziosa e faccio fatica ad accettare la sconfitta. Dover lavorare per una compagna, se magari avevo una buona condizione, mi sembrava un’opportunità persa. Stessa cosa se avevo spazio per fare la mia corsa e sbagliavo qualcosa: un’altra opportunità persa. Era diventato logorante e al contempo era come se alla squadra andasse bene lo stesso. Non è stato facile andar via, perché la Canyon ormai era una famiglia, ma non avevo stimoli. Come se la prestazione non fosse più utile. Avevo bisogno di uscire dalla mia comfort zone, soprattutto dopo un 2020 così pesante».

La friulana racconta così il cambio di squadra, che l’ha vista passare dalla tedesca Canyon Sram Racing in cui correva dal 2016, alla olandese SD Worx, squadra Specialized, contattata addirittura da Anna Van der Breggen, la campionessa delle due maglie iridate di Imola, che alla fine del 2021 si ritirerà per diventarne direttore sportivo.

A Plouay, Cecchini è 5ª, piazzandosi nella volata per il 3° posto dietro Consonni e Bastianelli
A Plouay 2020, Cecchini coglie il 5° posto,
Ti ha davvero cercato lei?

Ad aprile, con un messaggio. Ci ho pensato per un po’ e poi sono saltata sul treno. Fare l’ultima stagione con lei, per quello che potrà trasmettermi, è un lusso cui non ho voluto rinunciare.

Sicura che non andrai soltanto per tirare?

Sicuramente avrò i miei spazi. Anna è un’atleta che a fine anno vince tantissimo, ma ci saranno opportunità se le gambe parleranno nel modo giusto. Questo è un bene, perché se sono troppo rilassata, non vado benissimo. Ed essere in un team di ragazze che lavorano duro e devono guadagnarsi il posto sarà sicuramente contagioso.

Perché il 2020 è stato pesante?

Il lockdown mi ha permesso di passare dei buoni mesi a casa con Elia (Elena è da anni la compagna di Elia Viviani, ndr), ma ho lavorato troppo e sono arrivata sfinita alla ripresa. Non vedevo l’ora che arrivasse il 31 ottobre, per fare il campionato italiano e staccare. Non mi pareva di aver fatto chissà cosa sui rulli, ma il mio fisico non ha metabolizzato niente. Quando ho fatto la prima uscita, sono tornata a casa dopo due ore e volevo piangere per i dolori muscolari. Quindi sono stata in altura ed è andata benino fino agli europei, poi è stato tutto un calare.

Serviva un bel reset…

E c’è stato. Tre settimane senza bici, anche se noi ciclisti abbiamo sempre paura di riposare, credendo di perdere chissà cosa.

Chi segue la tua preparazione?

Dal 2018 lavoro con Marco Pinotti, un altro che aveva bisogno di nuovi stimoli dopo l’ultimo anno alla CCC. Ora al Team Bike Exchange è molto motivato e tranquillo. Ci sentiamo spesso al telefono, ogni giorno se il lavoro da fare è specifico. Mi trovo bene, perché verifica quello che faccio e se qualcosa si discosta dal lavoro impostato, mi chiama e ci spieghiamo. Posso parlarci liberamente.

Come sei arrivata a lui?

Me lo ha consigliato Elia. Avevano condiviso la camera alle Olimpiadi di Londra ed era rimasto stupito dal fatto che la sera prima avesse dichiarato il wattaggio medio che avrebbe fatto l’indomani nella crono e si fosse discostato di pochissimo. «Uno così – mi ha detto – è quello che ci vuole per una precisina come te». E aveva ragione.

Nel 2016, Elena Cecchini ha vinto la maglia tricolore a Darfo Boario. Qui con Elia Viviani
Nel 2016, Cecchini ha vinto la maglia tricolore. Qui con Elia Viviani
Hai già un programma?

Inizierò dall’Het Nieuwsblad, senza fare la Valenciana. Poi Strade Bianche e il Trofeo Binda a Cittiglio, che sarà il mio primo obiettivo. Sono stata selezionata per il Fiandre, mentre aspetto di fare una ricognizione per capire se fare la Roubaix. Non ho mai corso su quel pavé, non so cosa aspettarmi, anche se la squadra mi vorrebbe portare.

Mondiale oppure Olimpiadi?

Il mondiale è il primo obiettivo. Su Tokyo sono arrivata al mio pensiero Zen. Sono stata a Rio, l’highlight di una carriera. Tutti mi dicevano quanto fosse spettacolare partecipare e al momento l’ho pensato. La realtà è che se mi guardo indietro, scopro che ciò che conta è la medaglia. Per cui il mio obiettivo sarà andar forte e poi semmai sarò considerata. Sarebbe anche bello andare a vedere il percorso, perché c’è chi dice che sia durissimo e chi lo dipinge più scorrevole…

E nel frattempo la vita di Cecchini e Viviani scorre tra il Friuli e Monaco?

Esatto. Abbiamo passato le Feste in Italia e ora siamo a Monaco. Ci organizziamo dei blocchi di vita e di lavoro, anche se adesso staremo per un po’ qua, con l’aeroporto di Nizza vicino che è molto comodo e un clima migliore. Ma non so se quando smetterò vorrò continuare così. Per ora mi godo la mia nuova vita e più avanti, si vedrà.