Qualche anno fa, ci rendemmo conto che in ogni intervista Alejandro Valverde continuava a tirar fuori la stessa espressione: «Disfruta de la bicicleta» che in qualche modo significa godersi la bicicletta, divertirsi a praticare lo sport. E’ una frase che per chi scrive è sempre stata alla base della longevità dello spagnolo. Per questo quando qualche giorno fa ci siamo imbattuti in un post su Facebook della Gottardo Giochi Caneva, un passaggio ci ha riportato alla memoria le parole del grande spagnolo. «In questi giorni – si legge – i gialloneri hanno alternato uscite in bicicletta ad attività ludiche con l’intento di mettere chilometri sulle gambe e cementare lo spirito di gruppo. Chilometri, sedute di yoga e torneo di padel hanno riempito le giornate dei gialloneri».
L’ammiraglio Ravaioli
In questi anni di juniores inquadrati e sollecitati ai massimi livelli, il concetto di attività ludica ha richiamato l’attenzione. E dato che il direttore sportivo della squadra friulana è un vecchio amico e spirito libero del ciclismo come Ivan Ravaioli, lo abbiamo contattato per farci raccontare questa dimensione e il suo approccio da direttore sportivo con questo piccolo/grande ciclismo. Ivan, classe 1980, è stato professionista dal 2003 al 2006 e poi ha corso nel circuito della Red Hook su bici fixed.
«Ho sempre pensato che correre in bici, avendolo fatto – dice il romagnolo ormai adottato dal Veneto e tecnico della Gottardo Caneva – sia molto faticoso. Oggi la categoria juniores è diventata molto, molto, molto esigente. Praticamente sono gli under 23 di quando correvo io e forse anche di più. Pretende professionalità, impegno, dedizione e ore di allenamento. C’è già chi ha il mental coach, chi ha il preparatore, chi ha il nutrizionista… Insomma siamo arrivati ad un livello molto serio, però gli anni che questi ragazzi hanno potenzialmente davanti sono sempre gli stessi che avevamo noi. Se un ragazzo merita e da grande farà il corridore, avrà davanti 10-15 anni. Quindi io dico: okay essere seri, impegnarsi, allenarsi, mangiare bene e fare la vita, ma andare avanti è difficile. E allora dall’anno scorso, il mio primo anno con loro, ho sempre cercato e cercherò anche in futuro di trovare un modo divertente per fare le cose sul serio».
Come si fa?
Il lavoro in palestra si può fare in maniera monotona e, se vogliamo, anche un po’ triste. Vai in palestra da solo, ti metti le tue cuffiette, fai le tue ripetute, i tuoi squat, leg extension, la pump, lo stretching. Stai lì dentro per due ore, fai tutto quello che devi fare, però la testa non si è divertita. Allora l’anno scorso, per fare un esempio, durante il primo ritiro di gennaio abbiamo fatto una giornata in campo di addestramento militare all’aperto. Abbiamo fatto più o meno le stesse cose che fai in palestra, forse anche più impegnative a livello fisico. I ragazzi si sono sfidati uno contro uno, tre contro tre, squadre da quattro, squadre da cinque. Insomma abbiamo passato due ore in cui la testa non si è impegnata nel lavoro specifico, ma il fisico sì.
Abbiamo letto del padel…
Va di moda, i Carera l’hanno proposto nella festa con Pogacar e i ragazzi guardano i social. Allora dato che mia moglie ci gioca da un po’ di mesi e io sono andato qualche volta a giocare con lei, mi è sembrata una cosa divertente. E’ comunque un’attività fisica e quindi l’ho voluta inserire nel ritiro. L’anno scorso addirittura avevamo fatto anche una giornata di noleggio e-bike, le mountain bike elettriche.
Come è andata?
Un profano può pensare che non abbiano fatto fatica, io però ho fatto mettere il cardio a 3-4 ragazzi e dopo 4 ore, quando abbiamo finito le batterie, più di un ragazzo è arrivato alla fine del giro con 158-160 battiti medi. Secondo me ci sono modi per rendere le cose divertenti, ma facendole comunque in maniera seria e professionale. Lo stesso discorso può valere per le ripetute, per una salita fatta in soglia o fuori soglia.
Possono essere divertenti anche quelle?
Il preparatore ti dà tre minuti così, due minuti in alto modo e va bene per far capire ai ragazzi come dovranno lavorare negli anni successivi se continueranno a correre. Però più o meno la stessa cosa la posso fare in altro modo, magari mettendo un premio in cima alla salita su cui fai le ripetute. I ragazzi lavorano spesso da soli. Hanno il loro preparatore e difficilmente durante la settimana si riesce ad allenarsi tutti insieme. La domenica però cerco di farmeli lasciare, in modo da lavorarci in modo meno schematico. Domenica abbiamo fatto quattro ore che potevano essere pesanti per la testa, se fatte seguendo delle tabelle. Invece fatte giocando fra loro, hanno speso, ma la testa non ne ha risentito.
Che rapporto hai con i loro preparatori?
Mi sono accorto da subito che gli juniores e gli under 23 che ho fatto io non hanno nulla in comune con quello che hanno ora. Da junior, io prendevo la bici 2-3 volte a settimana. E da U23 mi allenavo a intensità inferiori a quelle degli attuali juniores, si faceva tanto fondo. Se vedi la tabella di uno junior di oggi, prendi paura. E io sto cercando di fargli vivere due anni nel modo più bello possibile. A volte anche con il rigore che serve, ma in modo leggero. Mi affido molto ai preparatori. Credevo che la mia esperienza sarebbe bastata anche per la preparazione, invece non mi ero reso conto che il ciclismo fosse cambiato così tanto. E così ho capito che il direttore sportivo ha un ruolo ridimensionato per quanto riguarda la preparazione, mentre lavora di più sul lato mentale per spronarli. Chi con una parolina, chi con una carezza, chi battendo il pugno sul tavolo. Il lavoro del direttore sportivo non è diminuito, è solo cambiato.
Esci mai in bici con i ragazzi?
La testa vorrebbe uscire tutti i giorni con loro, il fisico monterebbe in macchina e questa lotta va a periodi. L’anno scorso durante le ferie di Natale ho ripreso a pedalare e a gennaio e febbraio sono andato per due mesi con loro. Non pretendo di arrivare in cima alle salite con il primo, mi basta arrivare a tiro dell’ultimo in modo da non farli aspettare tanto. E poi in pianura in un qualche modo ci si arrangia. Quest’anno sto facendo la stessa cosa e vedo che ogni allenamento vado sempre meglio.
Uscire con loro ti dà qualche ritorno?
Mi piace e mi fa star bene, non lo nascondo. E poi secondo me stando in bici con loro, vedi qualcosa che dall’ammiraglia ti sfugge. In più, spesso un allenamento di 3-4 ore mi consente di risparmiarmi un sacco di telefonate. Dieci minuti in coppia con uno, dieci minuti con l’altro e si tirano fuori un sacco di argomenti. In più riesco a intervenire in tempo reale, magari le dinamiche di una doppia fila, come si fa il treno. Io mi metto a ruota, chiaramente finché ce la faccio, vedo come lavorano e come svolgono il compito che gli viene assegnato, quindi secondo me è utile. Alcuni direttori sportivi non sono favorevoli, però io vado avanti con la mia testa e penso che sia utile.
Il tuo direttore sportivo alla Zalf, Luciano Rui, ha sempre interpretato il ciclismo cercando anche il divertimento. Qualcosa che porti con te?
Un anno ho fatto un post su Facebook dove ho ringraziato lui, Angelo Gentilini, il mio direttore sportivo da junior e un’altra persona. Sono le tre persone che mi hanno insegnato tantissimo, sia a livello ciclistico ma soprattutto a livello umano. Io cerco di prendere il buono da ogni persona che incontro nella mia vita. In quei quattro anni che ho passato alla Zalf Fior, Ciano per me è stato quasi un secondo padre. Sono andato da Faenza a Castelfranco Veneto che avevo 18 anni, non era semplice. Mi sono affidato molto a lui e mi è stato d’aiuto anche dopo che è finita la storia con la Zalf, soprattutto quando ho smesso di correre.
Come?
Io non ho smesso per scelta mia, ma ho smesso per scelta d’altri e non è stata una cosa semplice da metabolizzare. Mi ricordo benissimo che ho chiamato Ciano e ci siamo visti, dato che abita a dieci chilometri da me. Ci siamo trovati una sera e mi è stato tanto vicino. Ciano è una persona importante, lo è stato e lo è tuttora, perché ogni tanto quando voglio fare una chiacchierata su certe cose delicate, lui è sempre presente. Quei quattro anni sono stati importanti, mi hanno permesso di fare dei risultati negli U23 e a passare professionista. Il fatto che la Zalf abbia chiuso è stata la fine di un cammino di 40 anni. Probabilmente non hanno capito il cambio di passo che c’è stato 4-5 anni fa.
L’anno scorso a febbraio andaste in Sicilia, quest’anno a Calpe: come mai?
L’esperienza in Sicilia è stata bella, perché avevo tre o quattro ragazzi che addirittura non avevano mai preso l’aereo. Anche quella per dei ragazzi di 17-18 anni è un’esperienza di vita. Quest’anno abbiamo deciso di cambiare e andare a Calpe, per dare loro qualcosina in più a livello mentale. Calpe è diventata molto famosa perché tutti i pro’ vanno là, così abbiamo deciso di fare questo sforzo per dargli questa ulteriore possibilità. Quindi dal 28 febbraio al 6 di marzo, durante la settimana delle vacanze di Carnevale, saremo in Spagna. E poi sarà tempo di cominciare con le corse.