I ritiri di fine stagione sono quegli appuntamenti dove si gettano le basi per l’anno successivo. Momenti collettivi di transizione dove le ultime arrivate conoscono la nuova squadra. Un periodo di giorni vissuto intensamente, alcune volte in contesti poco affini al ciclismo, altre volte in modo un po’ alternativo, ma sempre con divertimento. Soraya Paladin è rientrata da poco da un training camp in California nel quale si è ritrovata a fare anche da… tour operator.
Tutto ruota attorno al gravel e al profondo concetto di team building. E’ l’unica anticipazione che vi diamo perché sarà proprio la trentenne di Cimadolmo a portarci dentro ai dettagli di questa trasferta della Canyon-Sram, così originale sia per la preparazione che per lo svolgimento.
Soraya da dove iniziamo col racconto?
Col viaggio della speranza che ho fatto per giungere a San Diego. Sono arrivata il 2 dicembre al mattino, con più di mezza giornata di ritardo perché la neve aveva bloccato l’aeroporto di Monaco, in cui avevo la coincidenza del volo intercontinentale. A cavallo del mezzogiorno però ero già in bici per abituarmi al fuso e mettere in moto le gambe, prima del primo impegno istituzionale.
Quale era?
A metà pomeriggio avevamo una piccola presentazione della squadra a Carlsbad, 50 chilometri a nord di San Diego, sempre sulla costa pacifica dove c’è la sede statunitense della Canyon. La squadra ha scelto la California per questo team building perché così potevamo fare visita ad alcuni nostri sponsor. Siamo stati da Giro, Oakley e Zwift. Bisogna dire però che durante quei dieci giorni non abbiamo quasi mai parlato di calendari e programmi di corse. Lo faremo al prossimo ritiro, qui dovevamo solo fare gruppo.
Come si è sviluppato il vostro training camp?
In realtà è iniziato da casa nostra (dice sorridendo, ndr). I nostri tecnici avevano diviso la squadra in coppie. Ognuna di esse doveva organizzare una tappa del nostro viaggio con le gravel tra San Diego e Los Angeles, conoscendo solo l’hotel in cui avremmo dormito. Inoltre dovevamo pianificare anche le attività ricreative di quella giornata. Dalle soste per il pranzo o per il caffè a quelle per i migliori punti panoramici fino alla serata. Al mattino la coppia che aveva organizzato quella tappa indicava il percorso e si pedalava tutti assieme. Qualche giorno anche i nostri diesse sono venuti con noi, a volte con la bici normale, altre con e-bike.
Come erano le tappe?
Abbiamo fatto circa dieci giorni, il 12 dicembre siamo ripartite da Los Angeles per l’Europa. In media facevamo 80/90 chilometri o circa 4-5 ore al giorno. Avevamo creato anche le tracce con altimetria e planimetria. Non è stato così scontato però perché non conoscevamo la zona. Abbiamo dovuto studiare le mappe del posto affidandoci alle app o piattaforme usate dai pedalatori. E’ stato un bel lavoro d’equipe. Ci siamo divertite, anche nel confrontarci per stabilire chi aveva programmato il giorno migliore.
La tua coppia che tappa ha organizzato?
La pianificazione l’ho fatta con Antonia Niedermaier. Ci sentivamo via whatsapp o tramite videochiamate per allineare le informazioni che avevamo raccolto. Purtroppo lei è stata male qualche giorno prima di partire e non ha potuto essere con il resto della squadra. Alla fine abbiamo tracciato un percorso di 120 chilometri, prevalentemente pianeggiante, fino ad Hermosa Beach, nella periferia sud di Los Angeles. E per la sera avevamo previsto un bell’intrattenimento.
Cosa?
Sono una appassionata di basket, spesso vado a vedere la Famila Schio (la più titolata formazione femminile italiana, ndr). Così ho controllato se c’erano partite dell’NBA e allo Staples Center c’era in programma Lakers-Phoenix Suns dei quarti di finale della NBA Cup. Una competizione nuovissima che poi hanno vinto proprio i Lakers. Insomma, ho scelto bene, ho fatto vedere alle mie compagne i futuri campioni (sorride, ndr).
Avevate mezzi al seguito?
No, anche perché sarebbe stato impossibile. C’erano molti tratti sterrati, alcuni dei quali si sono rivelati particolarmente impervi anche per le bici stesse, le Mtb sarebbero state più utili. In alcuni punti abbiamo guadato dei piccoli corsi d’acqua oppure abbiamo spinto la bici sia in salita che in discesa per evitare di farci male. Un paio di pulmini viaggiavano con le nostre valigie da un hotel all’altro. Avevamo attrezzato le bici con una borsa da manubrio dove inserivamo tutto l’occorrente per le forature o altri problemi meccanici. Dovevamo fare tutto in autonomia ed è stata una bella esperienza anche quella (ride, ndr). Il buon clima poi ha reso tutto più semplice e bello.
Però tu sembri avere un bel rapporto col gravel…
Sì, diciamo il giusto. Devo ringraziare mia sorella Asja che mi ha introdotto nel mondo gravel qualche anno fa. Per fortuna mi ha anche indottrinato su tante cose che mi sono servite in California. Quando esco in bici con Asja ed il suo gruppo, li seguo e faccio fare a loro quando capitano inconvenienti. Nel nostro training camp invece ero una delle più esperte, così come Tiffany e Kasia, che è campionessa del mondo gravel (rispettivamente Cromwell e Niewiadoma, ndr). Entrambe pedalano tantissimo con quel tipo di bici.
Cosa rappresenta il gravel per Soraya Paladin?
Per me è un buon modo di tenermi allenata durante l’off season. Mi serve soprattutto a livello mentale, perché mi aiuta a scaricare tanto la tensione accumulata. E’ vero che si fatica, perché in discesa non puoi rilassarti come su strada, dove puoi recuperare fiato, però ti pesa meno fare anche cinque ore. Le gare a cui ho partecipato, le ho fatte con uno spirito differente pur dando sempre il massimo. Quando si stacca tra un blocco di gare e l’altro, si potrebbe pensare di fare gravel anche a metà stagione, ma a quel punto subentra la paura di farsi male e gli allenamenti sarebbero differenti. Di sicuro col gravel mi diverto. Si impara sempre qualcosa e ti dà la possibilità di scoprire posti nuovi, anche dietro casa o in vacanza, in una maniera più tranquilla.