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Vanotti sulle strade del 2014: pensa a Scarponi e ha i brividi

06.07.2022
4 min
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Il Villaggio è un paese. Si fanno incontri. Si fa la fila per il caffè. Si legge il giornale. Si ritrovano sguardi che mancavano da mesi. Qualcuno non lo vedi dalla Liegi, qualcuno dall’anno prima. E nel villaggio di Calais, ieri alla partenza, Alessandro Vanotti era super indaffarato attorno allo stand Santini. Fra maglie di ogni colore e ospiti con la borsa piena e il sorriso soddisfatto, il bergamasco tutto orgoglioso mostrava la foto del colpo di reni nel velodromo di Roubaix. Il giorno prima, approfittando del riposo, sono andati in bici nel finale dell’Inferno del Nord, in una giornata di sole e colori splendenti.

Al Villaggio con Stefano Devicenzi del marketing Santini, Vanotti è al Tour con l’azienda di Bergamo
Al Villaggio con Stefano Devicenzi del marketing Santini, Vanotti è al Tour con l’azienda di Bergamo

Pioggia e risate

Non fu così quella volta nel 2014, proprio no. Quando quel mattino nell’hotel dell’Astana aprirono le finestre. Scarponi alzò gli occhi al cielo e si mise a ridere. Di quelle risate nervose da cui capivi che Michele stava cercando di convincersi della fattibilità dell’impresa.

«Ho i brividi solo a pensarci – dice Vanotti – Michele era energia pura, positività in tutti gli aspetti. E in quelle giornate era fondamentale per il gruppo. Metteva serenità sul pullman, andando alla corsa. Anche sulla linea di partenza, quel giorno, fece le solite cose. Ci sta guidando ancora adesso da lassù, ne sono convinto. Sono certo che un po’ avesse paura, ma lui alla paura reagiva ridendo. Mi ricordo quando alla partenza di una cronosquadre alla Vuelta, con la salita subito, cominciò a ridere sulla rampa e io gli chiedevo di smetterla perché non riuscivo a concentrarmi. Ma lui era fatto così, sdrammatizzava tutto ed era un professionista molto serio».

Il viaggio in giallo di Nibali resta una delle esperienze più intense per i suoi ex compagni: Vanotti fra loro
Il viaggio in giallo di Nibali resta una delle esperienze più intense per i suoi ex compagni: Vanotti fra loro
Tensione a mille?

Per il maltempo e la pioggia. Non era come alla Parigi-Roubaix, che in gruppo ci sono tanti specialisti. E’ quella la differenza. Tanti corridori erano un po’ preoccupati. Io avevo già affrontato il pavé alla Roubaix e in altre corse, quindi non ero troppo agitato. Il rischio però era alto.

Quando il gruppo è nervoso, in corsa cosa succede?

La tattica era di stare davanti fino al primo tratto di pavé. Per cui fu una cronometro a squadre per tutte le squadre, uno sforzo incredibile. Noi conoscevamo l’abilità di Vincenzo sul pavé e nel guidare la bici da quando è ragazzino e questo ci ha avvantaggiato. In più era supportato da una condizione super, fu proprio una giornata magica.

Pensavi fosse capace di domare così il pavé?

Sono sincero, non mi espongo mai prima. Però sapevo delle sue qualità, ma serve anche un pizzico di fortuna, perché è un attimo andare per terra. Oggi non dovrebbe piovere, ma la fortuna servirà per tutti.

Durante tutta la tappa, Nibali riesce a schivare pericoli e cadute
Durante tutta la tappa, Nibali riesce a schivare pericoli e cadute
Quel giorno si risolse la classifica.

Vedendolo in gruppo, Froome non aveva una condizione super e neppure i suoi compagni. Cadde in due curve non sui settori di pavé. Era sicuramente più teso di noi e questo gli giocò un brutto scherzo. Ma secondo me Vincenzo in quel Tour era superiore. Me ne ero già accorto sulle Dolomiti, prima del Tour. Lo conosco, siamo cresciuti insieme. E vedendolo pedalare mi dissi che avrebbe vinto il Tour o sarebbe stato duro staccarlo. E così fu.

Il pavé non cambia, le bici sono diverse.

I materiali cambiano e migliorano. Sono più efficaci. Le squadre sono supportate da staff fortissimi, ormai gli sponsor investono e fanno ricerca. Ma alla fine, sta ai corridori fare la differenza e il fatto che sia asciutto è meglio per tutti…

Gianetti, un giorno pericoloso e il naso rotto 35 anni fa

06.07.2022
5 min
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Non dovrebbe piovere, pensa Gianetti guardando il cielo. Ugualmente la tappa che prenderà il via da Lille all’ora di pranzo si annuncia piena di insidie. Tra polvere, buche e pietre sconnesse, anche una foratura potrebbe rivelarsi fatale. Ieri Van Aert ha colto tutti in castagna, sorprendendo anche Pogacar (che in apertura taglia il traguardo di Calais). Oggi nella tappa che si conclude vicino alle vecchie miniere di Arenberg potrebbe succedere la stessa cosa?

«Le tappe del Tour rendono nervosi – dice Gianetti – ogni giorno c’è vento, pavé, poi altri tranelli. Il Tour de France è questo e bisogna essere concentrati e pronti in ogni momento. E’ chiaro che se dovesse anche piovere, sarebbe un altro problema. Vorremmo tutti che il Tour si giocasse per le forze in campo e non tanto per le sfortune e le disavventure che possono arrivare. Sarebbe bello che tutti i migliori si potessero confrontare sul pavé e nelle tappe di montagna e che nessuno avesse sfortune…».

Vigilia della tappa sul pavè, ieri dopo l’arrivo a Calais. Gianetti non sta mai fermo
Vigilia della tappa sul pavè, ieri dopo l’arrivo a Calais. Gianetti non sta mai fermo

In casa UAE Emirates è giorno di esami. Ed è soprattutto l’imponderabile a destare qualche apprensione in più. Finché si tratta solo di pedalare, Pogacar non ha problemi: prendete la crono di Copenhagen, stava per vincerla. Ma per la legge dei grandi numeri e il fatto che finora la sfortuna si sia abbattuta soltanto sui suoi avversari, l’ansia viene da sé.

Mauro, in questi giorni Tadej ha fatto da sé, ma sul pavé la squadra potrebbe essere decisiva?

La squadra serve tantissimo e serve sempre. Oggi, come poi nelle tappe di salita, oppure quelle col vento. Ci sono squadre più attrezzate per le tappe mosse e quelle più attrezzate per le montagne. La squadra è fondamentale qui al Tour.

Nella scorsa primavera, Pogacar e Trentin in ricognizione sul pavé, pensando a Fiandre e Tour: per Gianetti una fase cruciale
Nella scorsa primavera, Pogacar e Trentin in ricognizione sul pavé, pensando a Fiandre e Tour
Però intanto aver corso sul pavé ad aprile ha dato a Tadej ancora un po’ di fiducia?

E’ stato un passaggio fondamentale. Prima, perché potesse capire le sue capacità. E poi perché verificasse le sue capacità di fronte agli altri. E’ arrivato quarto al Fiandre, adesso sa che pedala bene sul pavé e questo è importante.

Si farà sentire l’assenza di Trentin?

Tantissimo (lo dice senza lasciarci finire la domanda, ndr)! Soprattutto pensando a queste tappe. La scelta era di avere Matteo Trentin con un’idea ben chiara e ben precisa. Ora abbiamo Marc Hirschi che potrà essere più utile di quanto sarebbe stato Matteo sulle montagne, ma qui il disagio per l’assenza di Matteo sarà evidente.

Il maxi schermo sul pullman del UAE Team Emirates è ogni giorno il ritrovo dei giornalisti
Il maxi schermo sul pullman del UAE Team Emirates è ogni giorno il ritrovo dei giornalisti
Come hai reagito quando ti hanno detto che non ci sarebbe stato?

Incavolarsi serve a poco. Dispiace per la squadra. Dispiace per Matteo, perché anche lui ci credeva. Ho allargato le braccia, c’era poco da fare. La cosa peggiore è che Matteo sta benissimo. E’ semplicemente positivo, senza nessun sintomo. Neanche mal di gola e mal di testa. E’ disarmante pensare che un ragazzo che ha investito dei mesi di lavoro, le emozioni, la famiglia… Per andare al Tour, c’è da fare un investimento personale. Fai dell’altura da solo, stai tanto lontano da casa. E il giorno prima ti dicono che non puoi partire… Non è facile.

Come ti sentiresti, corridore da 62 chili, dovendo fare una tappa come questa?

Direi parole irripetibili. Mi è già capitato una volta, mi pare fosse il 1989. Il giorno prima addirittura caddi e mi ruppi il naso. Ricordo che affrontai il pavé con il naso rotto e gli ultimi due settori, visto che ormai ero ultimo e staccato, li feci a piedi per quanto mi faceva male il naso. Pensavo di ritirarmi e intanto il direttore sportivo mi ripeteva che ormai potevo arrivare a Parigi. Eravamo alla seconda tappa, ma ebbe ragione lui. Fatta Roubaix, arrivai a Parigi.

La stessa bici

Intanto dal camion dei meccanici, Alessandro Mazzi fa sapere che per la tappa di stamattina, Pogacar utilizzerà la stessa Colnago dei giorni scorsi, con l’unica variazione del reggisella, che sarà quello di serie. Per le altre tappe, la squadra sta utilizzando invece una versione Darimo alleggerita per Colnago.

«Avrà poi ruote tubeless Bora WTO da 45 millimetri con pneumatici da 30 millimetri – dice – con un inserto all’interno, mentre ad aprile per il Fiandre ha usato le 28. Davanti terrà il 39-54 e dietro un 11-29. La stessa sella e anche il nastro manubrio sarà il solito. Ha fatto delle ricognizioni con la bici settata a questo modo e si è trovato a suo agio».

Van Aert, un bel ceffone giallo alla vigilia del pavé

05.07.2022
6 min
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«Non potrei immaginare – dice Van Aert con la maglia gialla che lo illumina – di correre il Tour nascosto nel gruppo, a guardarmi intorno. Voglio avere un obiettivo ogni giorno. E noi a questa tappa pensavamo da parecchio tempo. Quando sul traguardo ho mimato il volo di un uccello, è stato per dimostrare che questa maglia mi ha fatto volare. E che quello degli ultimi dieci chilometri, è stato davvero un volo».

Tutto calcolato

Dopo tre secondi posti consecutivi, è arrivata la vittoria. Ed è stata una vittoria alla Van Aert, prepotente, arrogante come si conviene a chi attacca in maglia gialla. Persino eccessiva, almeno fino al momento in cui parleremo con lui scoprendone la freschezza, alla vigilia di una tappa cattiva come quella del pavé che agita il gruppo. Le persone normali dosano le energie, i supereroi se ne fanno un baffo. Al punto che nella diretta televisiva francese, persino un gigante altrettanto arrogante come Bernard Hinault ha detto che non si stupirebbe se a fine Tour Van Aert avesse una classifica molto buona.

Uno dei primi ad abbracciare il vincitore Van Aert è stato Roglic
Uno dei primi ad abbracciare il vincitore Van Aert è stato Roglic

«Era una tappa cerchiata di rosso – racconta Van Aert – un percorso severo, senza un metro di pianura. Da giorni ci dicevamo di provare qualcosa che fosse buono per la classifica con Vingegaard e Roglic e per la mia maglia verde. Sapevamo che facendo a tutta l’ultima salita, avremmo potuto centrare i due obiettivi e così è stato».

Strade più cattive

In quel momento, è sparito dall’interesse anche il “povero” Anthony Perez, coriaceo superstite della prima fuga, risucchiato dalla Jumbo Visma che ha corso come se il traguardo fosse in cima alla Cote du Cap Blanc-Nez, 900 metri al 7,5 per cento di pendenza media.

«Van Hooydonck – continua a spiegare Van Aert – è stato fortissimo. Lui è l’unico in gruppo a poter fare certe cose. Quindi è toccato a Benoot e poi sono partito io. Ci siamo detti di andare a tutta fino alla cima, poi di vedere. E quando gli uomini di classifica mi hanno dato luce verde e ho visto che gli inseguitori si guardavano, ho corso per vincere la tappa. Ma era ancora lunga. Sapevo che la vittoria sarebbe venuta. I secondi posti in Danimarca non sono mai stati un problema. E’ stato bello partire da lassù, ma quei percorsi erano troppo facili. E io per vincere ho bisogno di strade più impegnative».

I 5 secondi di Philipsen

La volata di Philipsen alle sue spalle è stata di una violenza unica, come la sua esultanza sulla riga, come quando raggiungi il grande sogno. E così dopo l’esultanza di Bettiol al Giro di Svizzera, che ha ricordato quella di Pozzato alla Roma Maxima, anche il velocista belga della Alpecin-Deceuninck, dovrà convivere per qualche giorno con gli sfottò.

«Per cinque secondi – sorride – ho creduto di aver vinto ed è stato bellissimo. Poi mi hanno detto di abbassare le braccia e ho capito. Temo che anche queste immagini rimarranno nel tempo (sorride con mestizia, ndr). Eravamo troppo ammucchiati in salita, non l’ho visto partire. Anche Kristoff a un certo punto ha fatto la volata per vincere, ma sono stato io a tagliare il traguardo per primo e ad esultare, quindi sarò io a dover gestire l’imbarazzo».

Un altro sguardo mesto dopo l’arrivo ce l’aveva anche Luca Mozzato, quinto nello sprint per il secondo posto, quindi sesto finale.

«Neppure io – dice – sapevo che ci fosse davanti Van Aert, me lo state dicendo adesso voi. Peccato, ero contento di aver centrato una top 5. Sono stanco, poteva essere la mia tappa e sono contento di essere arrivato davanti. Vediamo domani sul pavé…».

La danza sulle pietre

L’incubo è arrivato, anche se le previsioni del tempo non parlano di pioggia e sul pavé asciutto, viste le bici stratosferiche e le ruote più… comode a disposizione dei corridori, i problemi potrebbero essere meno e meno seri di quanto si sia prospettato per mesi.

«E’ difficile prevedere cosa succederà domani – dice Van Aert – per me sarà importante prima di tutto tenere fuori dai problemi Roglic e Vingegaard. Come oggi, si può provare per la tappa e per la classifica, perché abbiamo corridori molto forti per le classiche, che non vedono l’ora di ritrovare certe strade. Bisognerà aspettare e vedere cosa succede».

Inizia un altro Tour

E a chi sornione gli chiede che cosa avrebbe fatto se i suoi due compagni non gli avessero dato via libera sull’ultima salita, risponde con un ghigno ancor più sornione.

«Non è il mio ruolo averli dietro nella classifica generale – dice – per cui cercherò di combinare le reciproche esigenze. Se non mi avessero dato via libera? Mi sarei fermato, avrei girato e sarei tornato accanto a loro. Non c’è il minimo dubbio…».

Una risata chiude il giorno praticamente perfetto della Jumbo Visma. Van Aert sparisce sulla sua Cervélo gialla e già con la testa è sulle pietre della Roubaix. Da domani, in un modo o nell’altro, inizia un altro Tour.

Ewan: velocisti, non sempre gentiluomini

05.07.2022
3 min
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Nervi tesi tra i velocisti alla vigilia di un’altra tappa che a Calais si concluderà probabilmente in volata, prima del pavé che domani potrebbe dare il primo scossone al Tour. Il giorno di riposo è servito per raccogliere voci e capire che c’è una corsa nella corsa. Quella dei velocisti, da Jakobsen a Groenewegen, passando per Ewan. Gente dal sangue bollente e che non la manda a dire.

Nessun perdono

Nonostante si pensasse che quel primo incontro e poi le corse insieme avessero in qualche modo lenito il dolore, si è avuta la conferma che Jakobsen non ha ancora alcuna intenzione di riconciliarsi con Groenewegen.

«Un tempo lo ammiravo – ha detto – guardando il suo palmares quasi speravo di diventare come lui. Ma dopo l’errore al Giro di Polonia, tutto questo non c’è più, credo sia normale. Perciò sono contento per lui che sia tornato a vincere, ma non mi interessa molto».

La vittoria di Groenewegen non tocca Jakobsen: oggi si sfideranno?
La vittoria di Groenewegen non tocca Jakobsen: oggi si sfideranno?

Il disinteresse, per quello che si è raccolto nei giorni scorsi, deriva anche dal fatto che nel giorno di Groenewegen, la Quick Step-Alpha Vinyl si è disunita, in quella preparazione di volata caotica e resa ancor più folle dalla trenata di Van der Poel che ha fatto saltare i loro piani. Pare che sul pullman del team si siano confrontati a parole anche Lampaert e Cattaneo per qualche meccanismo saltato nel finale.

Né onesto né gentile

Un altro che vive giornate tese è Caleb Ewan, la cui estate era già cominciata male con il ritiro dal Giro d’Italia, lasciato senza neanche una vittoria, come d’abitudine in anni più recenti.

«Ovviamente avrei voluto iniziare bene – ha detto – perché una vittoria in apertura toglie molta pressione per il resto del Tour. E perché so che se non vinci, cominciano le critiche. Penso che sia solo una parte dell’essere uno sportivo, qualunque cosa tu faccia sarai sempre criticato. Le volate non sono un posto normale, non devi pensare a essere onesto o gentile. Sono qui solo per tentare di vincere e vedere cosa succede dopo. I gesti come quelli di Sagan ci saranno sempre».

Una spallata non si nega a nessuno, che sia per vincere o restare in piedi. Qui a Nyborg, 2ª tappa
Una spallata non si nega a nessuno, che sia per vincere o restare in piedi. Qui a Nyborg, 2ª tappa

Concorrenza interna

Il ricordo della caduta del 2021, in cui coinvolse proprio lo slovacco, deve essergli balenato davanti agli occhi. E se Jakobsen non ha perdonato Groenewegen, Ewan non riesce a farsi una ragione per il fatto che la stessa squadra abbia lasciato a casa il suo amico Cavendish. E forse in questa osservazione, il piccolo corridore della Lotto Soudal ha annusato un’anticipazione di quel che potrebbe accadere in casa sua con i progressi di Arnaud De Lie.

«Mark aveva dimostrato di meritare un posto – ha detto – ma è difficile quando sei in una squadra del genere con molti buoni velocisti. Per conto mio, preferirei fare uno sprint contro lui che contro Jakobsen. Con De Lie, la situazione è simile, ma non devo viverla come un problema, quanto uno stimolo. Se vuoi essere il miglior velocista del mondo devi prima esserlo prima di tutto nella tua squadra. Quindi se avrò in casa un altro velocista con cui gareggiare, non mi tirerò indietro. Per ora il numero uno sono io e oggi spero di vincere finalmente una tappa».