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Europei, una caduta di troppo ferma Ganna e Trentin

24.09.2023
4 min
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C’è amarezza nella voce di Daniele Bennati, che probabilmente sperava di festeggiare diversamente il compleanno. Il campionato europeo si è concluso davvero da poco e proprio quando sembrava che l’Italia fosse pronta per l’attacco decisivo, un’altra caduta ha tagliato fuori Ganna e Trentin. I due leader si sono ritrovati fuori e poi a inseguire, uno davanti e uno dietro, senza essere consapevoli di lavorare al reciproco sfinimento. L’assenza di radio porta anche a questo. Così se anche ci fosse stata una possibilità di rientrare sul gruppetto che davanti si è giocato la corsa, il destino ci ha impedito di farlo. Ma l’Italia questa volta c’era e ha fatto tutto quel che doveva per vincere il titolo continentale. Ha tenuto testa a Belgio e Danimarca, ma nulla ha potuto contro una banale caduta altrui.

Gli azzurri sono rimasti coperti nelle fasi iniziali, ma nel finale hanno rotto il gruppo: forcing feroce, il gruppo c’era
Gli azzurri sono rimasti coperti nelle fasi iniziali, ma nel finale hanno rotto il gruppo: forcing feroce, il gruppo c’era

Una gara (quasi) perfetta

Torniamo a casa con le pive nel sacco, come era già successo ai mondiali, solo che questa volta la componente della casualità è stata più incisiva della capacità di prestazione, che è parsa all’altezza delle squadre più forti. L’ennesima grande azione di Cattaneo che ha rotto il gruppo e poi la menata di Ganna hanno fatto vedere che i nostri sarebbero stati all’altezza del gran finale.

«Sarebbe stata una gara perfetta – dice con amarezza il toscano – se fossimo restati davanti senza incappare in troppi incidenti, troppe cadute. Purtroppo ancora una volta devo dire che per quello che abbiamo dato, per quello che i ragazzi hanno costruito, abbiamo raccolto veramente poco. Questa volta non abbiamo raccolto davvero nulla. E’ vero che il Belgio e la Danimarca hanno fatto la corsa nella prima parte, ma poi una volta che abbiamo deciso di rompere gli indugi, abbiamo fatto noi l’azione, come eravamo d’accordo sin da ieri sera con i ragazzi».

Troppe due cadute

Strade strette, gara nervosa. I nostri sono abituati alle corse del Nord, ma quando si è entrati nel circuito, gli angoli delle curve erano da piega col ginocchio a terra. E proprio all’uscita di una di queste, è avvenuto il fattaccio che ha tagliato fuori i nostri leader. La caduta maldestra del tedesco Heiduk ha spaccato il gruppo di testa. E se già Ganna era… sopravvissuto alla prima caduta, questa volta la ripartenza non è stata così immediata.

«La prima aduta di Pippo e quella di Pasqualon – riprende Bennati con lucidità – ci hanno un po’ destabilizzato. Però Pippo non ha non ha subito grosse conseguenze, sembrava stare molto bene. La seconda caduta invece ha determinato l’attacco dei dieci che si sono giocati il campionato europeo. L’attacco non è avvenuto di forza, ma proprio perché quando erano rimasti in 20-25, la caduta ha rotto il gruppo e nella seconda parte si sono ritrovati sia Pippo sia Trentin. Ed è svanito tutto.

«Dietro abbiamo cercato di inseguire. Chiaramente senza radioline a un certo punto davanti tiravano, mentre Pippo stava cercando di rientrare, ma non è facile comunicare con i ragazzi quand’è così. E la corsa è andata. Purtroppo è normale che ci siano cadute in un circuito così, soprattutto quando ti giochi una maglia di campione europeo. I ragazzi sono abituati a correre con il famoso coltello tra i denti. E quando poi quel ragazzo è andato fuoristrada, ha tirato giù anche i nostri. Ci si può fare poco…».

Dopo l’arrivo, Ganna con il massaggiatore Santerini: il piemontese porta sulla schiena i segni della caduta
Dopo l’arrivo, Ganna con il massaggiatore Santerini: il piemontese porta sulla schiena i segni della caduta

Ganna rassegnato

Le parole di Ganna dopo l’arrivo sono concilianti, come di chi ha avuto il tempo prima di rendersi conto di avere davvero delle grandi gambe e poi di rassegnarsi chilometro dopo chilometro quando, aiutato prima da Mattia Cattaneo e poi da Arnaud Demare, ha capito che non sarebbe mai riuscito a rientrare.

«Abbiamo avuto un po’ di sfortuna nella prima caduta – dice il piemontese – in cui siamo rimasti coinvolti più corridori. Abbiamo avuto i compagni di squadra per rientrare e abbiamo preso bene il circuito. Eravamo pronti per fare una bella prova, quando purtroppo c’è stata la sfortuna della seconda caduta, quando eravamo usciti a portar via il gruppo giusto. Però ci possiamo rifare al più presto, adesso cerchiamo di recuperare…».

Consonni, la paura, poi nove giri allo sfinimento

08.08.2023
3 min
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GLASGOW – Da sola contro tutte. A bocca aperta, cercando di far entrare più aria possibile. Prima per i sette giri in cui i giudici (un po’ sprovveduti) non hanno fermato la madison femminile, malgrado le due cadute. Poi quando si sono decisi e l’hanno fatta ripartire a 9 giri dalla conclusione, Chiara si è ritrovata sola nuovamente, perché Martina Fidanza non ce l’ha fatta a ripartire. Così Consonni ha stretto i denti e si è appiccicata alla ruota delle polacche: facendo la volata contro di loro avrebbe ancora potuto prendere il bronzo. Ma l’illusione è durata il tempo che le altre iniziassero a darsi i cambi. A quel punto, per lei si è spenta la luce.

Lo racconta con la carica dell’adrenalina ancora in corpo. Fidanza sta bene. Hanno detto che in un primo momento abbia rimesso e che inizialmente non riuscisse a bere. Poi gradualmente la bergamasca è tornata in sé e anche le preoccupazioni della bergamasca vincitrice dell’ultina tappa del Giro sono svanite.

Scoratata da Morini e dal dottor Angelucci, Fidanxa lascia la pista
Scoratata da Morini e dal dottor Angelucci, Fidanza lascia la pista
Come è stato da sola per nove giri?

Bruttissimo, giuro. Ho cercato di stare davanti, ma inseguire da sola, quando tutti si davano i cambi… Negli ultimi due giri sono crollata, non c’è la facevo più, però tutto sommato sono contenta, sto bene. Con Martina avevamo fatto la madison già due volte, siamo state campionesse europee under 23, quindi è stata un’emozione correrla con una compagna che è anche un’amica e la ringrazio. Ringrazio tutta la nazionale che ci ha seguito questa settimana.

Poteva venire una medaglia?

Lo speravamo, perché ci manca in questa trasferta. L’importante a questo punto è che Martina non si sia fatta niente di grave e per la prossima volta speriamo in qualcosa di meglio. Siamo tanto affiatate, oltre a essere compagne di squadra, siamo anche amiche. Ci vediamo fuori dalle gare, per me è qualcosa in più. In un lavoro come questo, il fatto che siamo tutte coetanee e condividiamo la stessa passione, è qualcosa in più che aiuta tanto.

Consonni e Fidanza sono state campionesse europee della madison: erano in lotta per il podio
Consonni e Fidanza sono state campionesse europee della madison: erano in lotta per il podio
Villa ha tirato le orecchie, senza fare nomi, per le poche presenze in pista…

Il calendario non ci ha permesso di avere tanto tempo libero. Anche questi mondiali sono capitati fra il Tour e i mondiali su strada, sono stati difficili da preparare. Quest’anno non abbiamo potuto fare un avvicinamento mirato come quello dell’anno scorso. Arrivavamo da traumi diversi, da infortuni diversi e siamo contentissime di essere qui a contenderci le medaglie. L’anno prossimo ci concentreremo sicuramente molto di più.

Se ne va ridendo. Giada Borgato, poggiata accanto sulla transenna, dice che in un gruppo in cui magari potrebbe esserci qualche musona, una come Consonni vale oro. La definisce un’artista e forse ha davvero ragione lei…

Fra la caduta e la vittoria, ecco la Slovenia di Zana

21.06.2023
6 min
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Nelle ultime settimane Filippo Zana è pressoché un ospite fisso dei media nazionali. Il suo Giro d’Italia, al di là della tappa vinta non è passato inosservato, la conquista del Giro di Slovenia (nella foto d’apertura premiato da uno speciale padrone di casa, Primoz Roglic) è un altro tassello della sua crescita, ma c’è anche altro. Moltissime piattaforme hanno ripetuto all’infinito le immagini della sua caduta alla corsa slovena, il suo rialzarsi e poi andare addirittura in fuga per vincere la tappa e vestire la maglia di leader portata fino al traguardo.

Una caduta spettacolare e senza conseguenze, come ce ne sono tante nella vita di un corridore, ma questa non era una caduta normale: era due giorni dopo quella ben più tragica che ha portato via Gino Mader e questo ha dato uno straordinario risalto al suo incidente. “Filippo Zana è un miracolato: paurosa caduta in una scarpata, la bici precipita” titolava un importante sito d’informazione sportiva, non si sa quanto per richiamare visualizzazioni o, vogliamo crederlo vedendo le immagini, realmente spaventati dalla meccanica dell’evento.

Nelle prime tappe Zana aveva lavorato per gli sprint di Groenewegen, esultando per le sue vittorie
Nelle prime tappe Zana aveva lavorato per gli sprint di Groenewegen, esultanndo per le sue vittorie

A distanza di qualche giorno la chiacchierata con Filippo non può non prendere spunto da quel che è successo: «E’ stata una caduta tanto scenografica quanto poco significativa. Ho sbagliato l’impostazione della curva, la stessa che nel giro precedente era costata la stessa caduta a un mio compagno di squadra. Veniva alla fine di un pezzo molto veloce e ho commesso un errore di guida. Mi sono rialzato subito notando che non mi ero fatto nulla e ho pensato solo a ripartire».

Eppure quello scivolone ha avuto un enorme risalto…

Posso capirlo. Quando alla sera ho rivisto la scena nei video mi sono spaventato un po’ anch’io, ma capisco che l’enfasi fosse data soprattutto per quanto era successo in Svizzera, la tragedia che è costata la vita a Gino. Lì per lì non ci avevo pensato ma riconosco che vedendo le immagini mi è passato alla mente quel che è successo allo svizzero e ho capito di essere stato fortunato, tanto fortunato

E’ vero che le cadute ci sono sempre state per ogni ciclista, ma ragionandoci sopra, secondo te si potrebbe fare qualcosa in più in tema di sicurezza?

Qui apriremmo un dibattito enorme. Forse in quella curva dove sono caduto, un addetto che la segnalasse sarebbe stato utile. Forse nel caso di Mader non c’era bisogno di porre l’arrivo alla fine della discesa, bastava chiudere la tappa in cima alla salita. Ma bisogna guardare ogni cosa sotto altri aspetti. Nel caso elvetico capisco anche gli organizzatori, che trovano un accordo per arrivare in un dato posto e devono adeguarsi, soprattutto percorrere quelle date strade. A proposito della Slovenia, in una tappa di 200 chilometri quanti addetti dovresti allora spargere per il tracciato? E’ difficile trovare la quadratura del cerchio, anche se un’idea me la sono fatta.

Quale?

Premesso che si va sempre più veloci perché i materiali di gara sono in continua evoluzione, sta anche al ciclista metterci del suo, usare attenzione e prudenza, senza le quali ogni accortezza organizzativa sarà utile. Il nostro è uno sport rischioso, non dimentichiamolo mai e facciamo del nostro per ridurre i pericoli.

Nell’ultima tappa fuga a due con Mohoric. Lo sloveno vince la tappa, Zana è primo in classifica
Nell’ultima tappa fuga a due con Mohoric. Lo sloveno vince la tappa, Zana è primo in classifica
Ti aspettavi questa vittoria, soprattutto dopo le fatiche del Giro?

Sapevamo di essere usciti bene dal Giro e soprattutto sentivo di avere una buona forma, ma poi ci sono anche gli avversari e la partecipazione al Giro di Slovenia era sicuramente molto qualificata. Nessuno partecipa per arrivare secondo, c’è stato da lottare. Alla fine sono rimasto molto contento non solo del risultato, ma per come è arrivato, per la forma che ho mostrato contro gente che andava davvero molto forte.

La sensazione è che il Giro ti abbia fatto fare un altro salto di qualità…

Spero che sia così, ma il cammino è ancora lungo e rispetto ai più forti c’è ancora tanto margine da colmare. Sicuramente questo tipo di corse a tappe, racchiuse in 4-5 giorni, è la mia dimensione ideale al momento.

Alla partenza in tanti a chiedere autografi al nuovo campione del ciclismo italiano
Alla partenza in tanti a chiedere autografi al nuovo campione del ciclismo italiano
Ci sono molti esempi di corridori che in queste corse si sono costruiti una carriera, arrivando poi a emergere anche nei grandi Giri. Può essere il tuo caso?

Io me lo auguro. Dopo il Giro molti predicono il mio futuro come uomo da classifica, ma per esserlo davvero c’è ancora tanta strada da fare. I fenomeni come Pogacar capaci di vincere subito sono pochi proprio perché sono fenomeni. Io credo di essere sulla buona strada, ogni gara serve per maturare, queste soddisfazioni danno la spinta a insistere e provarci ancora, continuare a migliorare, sperando che un giorno possa essere anch’io lì a lottare per una maglia importante in un grande Giro.

Ora che cosa ti attende?

Naturalmente il campionato italiano, poi finalmente si stacca la spina per un po’. Avevamo impostato la stagione per essere al massimo al Giro e devo dire che alla fine abbiamo avuto ragione, anche se all’inizio non ero certo molto brillante. Mi prenderò un po’ di riposo e poi si dovrebbe ripartire verso la metà di agosto, per la seconda parte di stagione, vedremo con quali obiettivi.

P.S. Le cadute sono parte del mestiere, Zana lo sa e forse la sua porzione di fortuna l’aveva già riscossa. Fatto sta che stamattina, nel corso dell’allenamento Filippo è caduto riportando la frattura della clavicola destra. Niente campionato italiano e necessità di andare sotto i ferri venerdì per ridurre la frattura, poi si penserà alle tappe della ripresa.

Cavalli, il peggio è passato. Ora in fondo c’è la luce

19.05.2023
6 min
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Che fine ha fatto la Marta Cavalli del 2022? Nelle interviste lette finora, ha sempre parlato di risalita e della necessità di sbloccarsi. Però a un certo punto le domande sono state più delle risposte e così siamo tornati da lei con tutti i nostri dubbi, anche per capire in che modo la stia vivendo. Perché alle gambe magari basta girare, ma la testa come la tieni a bada quando di colpo fai fatica a riconoscerti nelle foto che ti ritraggono?

Il ritorno alla Freccia Vallone, dopo la vittoria 2022, ha visto Cavalli chiudere a 5’02” da Demi Vollering
Il ritorno alla Freccia Vallone, dopo la vittoria 2022, ha visto Cavalli chiudere a 5’02” da Demi Vollering
Cara Marta, abbiamo perso il filo della tua stagione. Quando siamo venuti da te all’inizio dell’anno sembrava che andasse tutto bene e poi di colpo c’è stata questa frenata. Come va adesso?

Va meglio, diciamo. Di preciso, non so neanch’io spiegare cosa sia successo. Sicuramente quest’inverno abbiamo fatto il massimo per recuperare e prepararsi al massimo. Invece in UAE non ho avuto grandi sensazioni e all’Het Nieuwsblad si è confermato quello che avevamo già visto. Così abbiamo deciso di fare il punto della situazione a casa, di recuperare, riprendere una preparazione leggermente diversa. Non tutti gli anni sono uguali, quindi non si può riproporre sempre lo stesso schema, così abbiamo detto: «Okay, vediamo di aggiustare i punti che in questo momento ci sembrano carenti». E da lì abbiamo ripreso a costruire nuovamente dalle basi.

Che cosa ha comportato?

Ho perso il lavoro specifico e il ritmo di gara. E ovviamente, avendo saltato una grande fetta della prima parte di stagione, non ho avuto l’occasione di rientrare in forma grazie alle gare. Sono stata catapultata in una stagione già iniziata, con atlete in forma che avevano una forza clamorosa e l’abitudine a quel tipo di sforzi. Mi sono ritrovata indietro e si è trattato di accettare la situazione, considerandola parte di un processo di recupero che sta richiedendo più tempo.

Perché?

Non so bene perché questa grande botte perda acqua. Sono andata a correre la Vuelta, perché un grande Giro è l’occasione per mettere fatica nelle gambe e migliorare giorno dopo giorno. Mi sono trovata abbastanza bene. Non posso dire di aver avuto le sensazioni dell’anno scorso, ma allo stesso tempo neanche le peggiori di inizio stagione.

Alla Itzulia Women, 53 chilometri di fuga e settimo posto nella terza tappa: il primo bel segnale
Alla Itzulia Women, 53 chilometri di fuga e settimo posto nella terza tappa: il primo bel segnale
Come convivi con questa situazione?

Sto cercando di accettarla. Non tutte le annate sono uguali e spero che questa diventi una buona lezione per me e per il mio preparatore, in modo da creare uno storico di quello che sto facendo, con cui capire ancora meglio come rispondo agli stimoli e a determinati allenamenti. Quindi, anche se i risultati non arrivano, cerco di mantenere una mentalità positiva

Si è capito se tutto questo dipenda dalla caduta del Tour o da un difetto di preparazione?

Sicuramente non aver corso da luglio a febbraio ha influito, potrei essere arrivata con una preparazione incompleta. Non so se la caduta abbia cambiato qualcosa. Il corpo si assesta in base ai colpi, attua degli adattamenti che magari non percepiamo, ma si fanno sentire a livello biomeccanico o fisiologico. Io credo sia questione di tempo. Dopo una prima parte in cui è stato abbastanza difficile per me accettarlo, adesso corro con più serenità, rincorrendo il livello dell’anno scorso.

Andavi davvero forte…

Dopo la primavera, avevo grande fiducia in me. Sapevo qual era il mio livello, quanto e cosa potevo fare. Magari c’era la giornata che stavo bene e quella un po’ meno, per cui potevo fare il numero oppure essere comunque competitiva, invece mi sono ritrovata a vagare nel limbo di chi si stacca dopo un paio di salite e a livello motivazionale non è stato facile. Però, grazie alla Vuelta e alle tappe più impegnative, sto tornando a costruire questa fiducia in me stessa.

I tifosi la cercano per le vittorie 2022: non è stato sempre facile gestire le attese (foto FDJ-Suez)
I tifosi la cercano per le vittorie 2022: non è stato sempre facile gestire le attese (foto FDJ-Suez)
A un certo punto ci è venuto il sospetto che, volendo puntare tutto su Giro e Tour, tu abbia scelto volutamente una prima parte più lenta…

No, il ragionamento non è mai stato questo. Volevo partire subito forte e riconfermare la scorsa stagione. A questo punto però, visto che la partenza è andata male, è meglio gestirsi e poi esplodere nella seconda parte dell’anno. I grandi obiettivi ora sono due: i campionati italiani su un percorso che mi piace molto, poi il Giro. Successivamente dovrei far rotta sul Tour de France.

Le sensazioni in corsa sono migliorate? 

Sì, in modo sensibile. In corsa sono un’altra persona. La squadra ha aiutato tanto. Hanno messo le mani in avanti per tener lontani tutti i malcontenti, i giornalisti troppo invadenti, le televisioni. Il loro interesse principale è che io recuperi in serenità con i miei tempi e il mio staff. Hanno creato una bolla di sicurezza intorno a me, in cui non abbia la tensione di dovermi ripetere. L’hanno accettato prima di me. E infatti sono stata molto contenta di essere andata in Spagna, perché abbiamo creato veramente un grande gruppo di lavoro.

Cos’aveva di speciale?

Ho potuto aiutare la mia compagna Evita Muzic, che è giovane ed ha avuto per la prima volta la squadra a disposizione. Per me è stato veramente appagante esserci, anche non al 100 per cento, perché io sento che non sono al massimo. Potrei fare di più, essere più competitiva, però in questo momento qualcosa me lo impedisce.

Marta ha corso la Vuelta in supporto alla compagna Evita Muzic, che ha chiuso al 6° posto (foto FDJ-Suez)
Marta ha corso la Vuelta in supporto alla compagna Evita Muzic, che ha chiuso al 6° posto (foto FDJ-Suez)
Cos’hai nella testa quando sei da sola e pensi a Vollering, Realini e le ragazze che stanno uscendo?

Mi fa rabbia perché l’anno scorso ero lì a giocarmela, invece quest’anno devo stare riguardata e calibrare le mie cartucce col contagocce. Si tratta di aspettare. Per ora vado al massimo con quello che ho, sperando di arrivare più in alto col lavoro.

Si corre per trovare la gamba?

E per rimanere sempre sul pezzo e motivati, anche se non si è al top. Mastico questo mondo perché si percepiscono aspetti che perderei di vista se dovessi allontanarmi per fare una preparazione troppo lunga. E’ importante andare a correre, perché vedo come si muovono gli altri tatticamente e sono lezioni che entrano in testa. Faccio una salita a tutta e non sono tra le prime, però intanto mi riabituo a soffrire. Così il giorno che avrò la gamba, soffrirò allo stesso modo, ma sarò là davanti a giocarmela.

Cosa farai da qui al campionato italiano?

Andrò in ritiro, ma sarà un lungo ritiro “home made”. Non ho intenzione di fare altura e nessun tipo di ritiro specifico, perché sono stata via già parecchio. Preferisco non allontanarmi ancora, farò un ritiro a casa Cavalli, grazie a mia sorella e al mio fidanzato che sono fisioterapisti. Ho il cuoco che è mia mamma, l’autista per il dietro motore che è mio papà. Ho tutto il supporto che mi serve. Ho la mia palestra di fiducia, quindi l’avvicinamento sarà molto tranquillo. Mi concentrerò su me stessa, senza avere distrazioni dall’esterno. Sarà un percorso interessante, una riscoperta, sperando di avere finalmente dei buoni riscontri.

La spalla slogata, poi il Covid: Vendrame si arrende

17.05.2023
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La tappa di Salerno ha fatto cadere tutti, una frazione corsa in condizioni meteo difficili che hanno complicato ancora di più il percorso. Le insidie sono arrivate fino alla linea dell’arrivo, considerando che Cavendish l’ha attraversata scivolando sull’asfalto. Tra gli atleti coinvolti nella caduta finale c’era anche Andrea Vendrame (nella foto Instagram di apertura mentre viene medicato). Il corridore della AG2R Citroen ha riportato una disgiunzione acromioclavicolare di primo grado, con vari punti di sutura sulla spalla. 

Nella volata di Salerno, Vendrame è stato coinvolto nella caduta finale, insieme anche a Mirco Maestri
Nella volata di Salerno, Vendrame è stato coinvolto nella caduta finale, insieme anche a Mirco Maestri

La caduta

Vendrame si è ritrovato a terra non capendo bene come, la volata era praticamente finita, infatti è caduto dopo aver tagliato la linea del traguardo. Le barriere in quel punto non avevano più la protezione e Vendrame ci è franato sopra. L’arrivo non era dei migliori, più volte si è visto pattinare la ruota posteriore di qualche sprinter sulle strisce pedonali poste poco prima dell’arrivo.

«Fiorelli – dice il veneto – è rimasto in piedi appoggiandosi alle barriere, io non ho avuto modo di farlo. La tappa è stata caotica per tutti i 170 chilometri, c’è stata la caduta di Evenepoel all’inizio. Poi ne sono arrivate tante altre, soprattutto negli ultimi chilometri, quando la tensione è salita maggiormente. Al Giro d’Italia è così, tutti vogliono fare del proprio meglio e mettersi in mostra, i finali diventano sempre molto caotici. D’altronde è una grande corsa a tappe».

Il veneto ha lasciato in barella l’arrivo, ma il giorno dopo è tornato in sella nella sesta frazione: la Napoli-Napoli
Il veneto ha lasciato in barella l’arrivo, ma il giorno dopo è tornato in sella nella sesta frazione: la Napoli-Napoli

Il recupero

Andrea Vendrame ci risponde durante il giorno di riposo, dopo che ha finito i massaggi e la seduta di fisioterapia. La caduta non lo ha fermato, e “Vendramix” il giorno dopo si è presentato alla partenza di Napoli

«Insieme alla squadra – continua – ho scelto di dormirci sopra e vedere come sarei stato il giorno dopo. Sono andato avanti momento per momento: come detto, siamo al Giro e la corsa va onorata fino in fondo. Non tutti possono partecipare, noi che abbiamo il privilegio di esserci dobbiamo fare di tutto per correre.

«Grazie allo staff medico del team – dice Vendrame – in questi giorni mi sono sentito sempre meglio. La cosa importante è togliere il dolore dalla parte coinvolta e guarire. La lesione è seria, una persona normale dovrebbe passare quindici giorni con il braccio appeso al collo. La cura che faccio tutti i giorni prevede osteopatia, Tecar e massaggi. Nel giorno di riposo abbiamo lavorato più a fondo a livello intercostale, si è fatta qualche Tecar in più per entrare più profondamente e recuperare il funzionamento della spalla».

Soltanto nella frazione di Fossombrone, Andrea ha provato ad alzarsi nuovamente sui pedali, nonostante il dolore alla spalla
Soltanto nella frazione di Fossombrone ha provato ad alzarsi nuovamente sui pedali, nonostante il dolore alla spalla

Napoli, il giorno più duro

Il giorno dopo le cadute fanno più male, rimettersi in bici non è semplice, soprattutto ai ritmi di un Giro d’Italia che non lascia molto respiro. 

«Il primo obiettivo – ammette Vendrame – era risalire in bici il giorno dopo e finire la tappa. Non è stato affatto semplice, a causa dell’infortunio non potevo alzarmi in piedi sui pedali. Quel movimento di braccia mi causava troppo dolore. Durante la tappa di Napoli dovevo rilanciare la bici da seduto e non è facile, soprattutto quando prendi le “frustate” a fine discesa. In più erano presenti dei tratti di pavé sui quali la spalla mi faceva davvero male.

«La frazione con arrivo a Campo Imperatore è stata più semplice, la parte finale in salita mi permetteva di fare il mio ritmo e non rendeva più semplice il fatto di non alzarsi sui pedali. La cronometro non ha portato ulteriori difficoltà. Dal punto di vista della posizione non ho portato modifiche alla bici, si è trattato quasi di un giorno di recupero: quasi».

Nella cronometro di domenica ci sono stati meno problemi, le basse velocità e la posizione lo hanno aiutato
Nella cronometro di domenica ci sono stati meno problemi, le basse velocità e la posizione lo hanno aiutato

Il morale tornerà

La motivazione Vendrame l’ha trovata dentro di sé ed al proprio animo di ciclista professionista. Il morale, invece, un po’ latita, d’altronde il veneto era partito per fare bene a questo Giro. E proprio mentre i suoi obiettivi erano stati rivalutati, è arrivata la tegola del Covid.

«Piano piano – aveva detto giusto ieri prima del tampone fatale – il morale torna. Un grazie va alla mia ragazza e al mio preparatore che mi sono stati vicini in questi giorni. Vedere gli appassionati alla partenza di ogni tappa mi rende felice, c’è un grande amore intorno al Giro, che è quello che mi ha spinto a continuare».

P.S. Purtroppo per Vendrame e i suoi tifosi, quel che non ha fatto la caduta di Salerno è riuscito al Covid. E’ proprio di stamattina la notizia che il veneto è risultato positivo a un tampone ed è stato costretto alla resa. Con lui sono sette i corridori che oggi lasciano la corsa rosa. Si annotano infatti le defezioni di Gandin, Hirt, Cattaneo, Cerny e Vervaeke (questi ultimi tutti compagni di Evenepoel alla Soudal-Quick Step).

La rinascita di Degenkolb in una Roubaix maledetta

15.04.2023
6 min
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Subito dopo la fine della Parigi-Roubaix, John Degenkolb si è eclissato. Al team ha fatto sapere che avrebbe trascorso un periodo a casa per recuperare dalle fatiche delle classiche, ma soprattutto per smaltire l’immensa delusione di un sogno svanito certamente non per colpa sua. Sarebbe stato davvero un colpo a sensazione, il suo nuovo successo nel velodromo, a 8 anni di distanza. Nel “suo” velodromo, perché quella è un po’ diventata la sua corsa e non è un caso se proprio su quelle pietre è avvenuta la sua resurrezione, tanto da fargli attribuire, da qualche appassionato sui social, il soprannome di “immortale”.

Tanto è successo rispetto a quella vittoria di 8 anni fa. Curiosamente, anche lui era riuscito nella clamorosa doppietta Sanremo-Roubaix, solo altri due l’avevano centrata (il belga Van Hauwaert prima della Grande Guerra e Sean Kelly nel 1986) prima di lui, Van Der Poel lo avrebbe eguagliato proprio in quest’occasione, ma dopo essere stato causa (involontaria?) dell’infrangersi delle sue aspirazioni.

Il Grande Slam delle volate

Prima di quella Pasqua di “quasi” resurrezione, Degenkolb era quasi un desaparecido. Per capire bene la portata di quel che stava facendo, bisogna ripercorrere per sommi capi la sua carriera. Nel 2015 aveva completato una sorta di Grande Slam delle classiche adatte ai velocisti, aggiudicandosi nello spazio di 3 stagioni la Cyclassic di Amburgo, la Parigi-Tours e le due Monumento già citate. Nel gennaio 2016 però tutto sembrava cancellato a fronte di un terribile incidente.

Alicante, allenamento in gruppo per il suo team. Un automobilista britannico dimentica completamente che, rispetto alle sue usanze, in Spagna si guida al contrario, quindi si butta colpevolmente a sinistra. Prende il gruppo in pieno, i corridori saltano in aria come birilli.

«Istintivamente siamo andati a sinistra – racconterà qualche tempo più tardi Degenkolb – ma sarebbe stato meglio dall’altra parte. Quando mi sono ripreso dopo qualche attimo ho vissuto il terrore, quello vero: la mano era sformata, con le dita in posizione innaturale, ma questo era il meno, neanche sentivo dolore.

Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce
Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce

Il giorno del terrore

«Vedevo i miei compagni esanimi a terra, come manichini gettati via. Ho urlato i loro nomi, ho chiesto aiuto, ho provato ad alzarmi per prestare loro soccorso. I danni fisici non erano così gravi, ma quegli attimi hanno fatto parte delle mie notti per tanto, tanto tempo».

Già, così gravi. John non ha più recuperato la piena manualità e anche per questo ciò che stava facendo verso il velodromo era qualcosa di clamoroso, di storico. Da quel giorno la ripresa è stata lenta, qualche vittoria è arrivata, ma certamente non all’altezza di quel che poteva essere e non è stato. Dentro di sé, il Degenkolb ciclista non era cambiato, la mentalità da campione era sempre lì, ma il fisico non rispondeva. Fino a domenica 9 aprile.

Provarci, sempre e comunque

In corsa, il tedesco si è presto ritrovato a combattere con VDP e Van Aert, Ganna e Pedersen, insomma con quella ristretta pattuglia di favoriti della vigilia. E lui, da vecchio vincitore della corsa, c’era. Stava mettendo in pratica un assioma che ha sempre fatto parte della sua vita: «Ho capito molto presto che se c’è una possibilità di vincere qualcosa, devi provarci. Anche se non ti senti bene, anche se pensi di non avere buone gambe perché se credi questo hai già perso. Non puoi farti scappare l’occasione quando capita, se anche solo dentro di te accampi scuse, hai già perso. Io non sono così…».

Una forza d’animo figlia delle sue radici, da uomo della Germania Est trapiantato in Baviera a 4 anni dove il padre aveva trovato lavoro per evadere da un’esistenza economicamente difficile. Seguendo la passione del padre aveva cominciato a pedalare, poi finita la scuola prese la decisione di entrare in polizia: «Così avrei potuto gareggiare con una base d’istruzione e la sicurezza di avere un piano B se le cose non fossero andate bene. Posso rientrare quando voglio, con una famiglia alle spalle mi sento più sicuro sapendolo, anche se non avverrà».

Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione
Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione

Un settore a lui dedicato

Torniamo all’ultima Roubaix. Degenkolb non era in quel pregiato manipolo di campioni per caso. Poco importa quel che era avvenuto prima, non solo quest’anno. Su quelle strade il tedesco del Team DSM si sente a casa. Non è neanche un caso se nel settore 17, quello di Hoarming à Wandignies, John si è messo a tirare mettendo alla frusta i rivali: quel tratto è dedicato proprio a lui, porta il suo nome, da quando si è messo in testa di salvare la Parigi-Roubaix juniores che rischiava di sparire per mancanza di fondi. Ha speso il suo nome raccogliendo somme importanti, permettendo a molti giovani di vivere la sua esperienza. L’Aso non ha dimenticato.

Difficile dire se ce l’avrebbe fatta. Non lo sapremo mai. Forse, in un universo parallelo, Degenkolb ha evitato quel gomito di Van Der Poel che, seguendo il compagno di squadra Philipsen costretto a uno scarto improvviso, lo ha spinto a terra, forse ha anche vinto. Ma non qui, non in questa realtà. Questa lo ha visto chiudere settimo e accasciarsi sull’erba del velodromo, sentendo improvvisamente tutto il dolore della caduta sulla clavicola, con i due dell’Alpecin che si chinavano per chiedergli scusa, consci del male che gli avevano fatto, anche solo involontariamente.

Lontano, nel suo rifugio

C’era anche Laura, in quel velodromo. Sua moglie da tanti anni: «La famiglia è il mio rifugio, ha cambiato completamente la prospettiva con cui vivo il mio lavoro. Importante sì, ma non è tutto». Insieme si sono avviati verso casa, a Oberunsel, nord-ovest di Francoforte, staccando ogni contatto anche virtuale con il mondo. Per ritrovare il suo equilibrio. Per far pace con quel sogno infranto, di quel che poteva essere e non è stato (e non per colpa sua…).

Baroncini: il radio fa di nuovo “crack”, capiamo il perché

08.03.2023
5 min
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Una cicatrice sempre più marcata sul braccio destro. Un brutto infortunio che riporta Baroncini esattamente a un anno fa. Fortunatamente “brutto” solo dal punto di vista sportivo e non ai fini del suo proseguimento della carriera. Il radio destro di Filippo ha fatto di nuovo “crack” (per la terza volta, ndr) in seguito ad una caduta alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne. 

Il primo pensiero va alla sfortuna che purtroppo ricade e colpisce spesso nello stesso punto. Ci siamo però chiesti se dietro a queste coincidenze ci possa essere una qualche variabile. Scopriamo insieme al Dottor Maurizio Radi del FisioRadi Medical Center che cosa aspetta a Filippo e perché è capitato un’altra volta…

Qui una foto d’esempio di una placca installata sul radio (foto di Daniele Bernabei fisioterapista)
Qui una foto d’esempio di una placca installata sul radio (foto di Daniele Bernabei fisioterapista)
C’è una correlazione tra queste fratture? Si può ipotizzare una predisposizione a questo tipo di infortuni?

Assolutamente no, considerando la giovane età e il fatto che sia un atleta professionista, che dal punto di vista fisico sta bene. Discordo analogo per l’assunzione vitaminica corretta, soprattutto per quanto riguarda la vitamina D. Quindi escluderei una fragilità ossea

Per lui è la terza volta in un anno…

Il rischio di nuova frattura se si ricade sopra una vecchia frattura, soprattutto se ha ancora la placca installata, è ricorrente. E questo è il caso che ha coinvolto Baroncini.

E’ una fattura comune?

Cadendo in bici, quando si ha un impatto a terra, si creano sia un colpo diretto, ma anche delle leve che portano alla frattura ossea. Purtroppo è ricorrente. 

Qual’è la dinamica che porta a questo tipo di infortuni?

E’ facile che si vada giù con la mano e a quel punto andare a fratturare il polso è facile. Nei ciclisti sono ricorrenti le rotture di polso, spalla, clavicola o femore. Si cade su un’articolazione e se c’è un impatto importante a certe velocità è facile incorrere in questo tipo di infortuni. 

La terza frattura al radio sempre alla mano destra l’ha subita alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne
La terza frattura al radio sempre alla mano destra l’ha subita alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne
Il fisico quindi non c’entra niente?

La sfortuna è il principale fattore. Non esistono corporature più o meno predisposte in questi atleti allenati. Curano ogni dettaglio ed escluderei queste supposizioni che implicano una fragilità ossea dell’atleta. Banalmente se cadeva a sinistra rompeva quello sinistro. Credo sia una triste coincidenza.

Come si recupera da un infortunio di questo genere?

Possiamo dire che se l’hanno operato è sicuramente una frattura scomposta che necessitava di un intervento chirurgico. C’è da dire che negli atleti di alto livello spesso e volentieri succede che se c’è il dubbio di operare o meno si cerca di effettuare l’intervento chirurgico e avere quindi una certezza di un recupero magari migliore e in tempi più brevi. Mettendo una placca, il recupero e la calcificazione ossea avviene meglio e prima. 

Che fisioterapia viene prevista?

Ridurre e stabilizzare la frattura. Di solito viene posizionata una placca che si salda con delle viti che devono garantire la stabilità della frattura. Questa stabilità velocizza anche il callo osseo. Il velocizzare il callo osseo, ci permette di ottimizzare la ripresa. Dopo l’intervento vieni immobilizzato mettendo un gesso o in questo caso viene sostituito oggi da dei tutori termoplastici. Questo permette di far muovere le dita fin da subito all’atleta e non perdere quella parte di funzionalità che è importante tenere attiva. 

Fisioradi si occupa di riabilitazione e fisioterapia anche specifica per il ciclismo
Fisioradi si occupa di riabilitazione e fisioterapia anche specifica per il ciclismo
Quanto tempo ci vuole per riprendersi?

Sono fratture che si possono risolvere nel giro di 5 o 6 settimane. A distanza di 15 giorni si fa una radiografia di controllo e si valuta che tutto vada bene. Si valuta se il tutore può essere già tolto per fare della fisioterapia antifiammatoria e passiva. Essendo un ciclista gli si può fare un tutore particolare per pedalare sui rulli già dopo una quindicina di giorni. 

E’ difficile risalire in sella?

Con un intervento di questo tipo e un trattamento tempestivo, la frattura si può considerare superata nel giro di due o tre mesi. Quando risalirà in bici, continuerà a fare esercizi specifici per la mano, poi però la potrà concludere senza strascichi salvo imprevisti o complicazioni. 

Un anno fa la frattura del radio alla Volta au Algarve (foto Instagram)
Un anno fa la frattura del radio alla Volta au Algarve (foto Instagram)
La si può incasellare quindi tra gli infortuni con una ripresa più rapida?

Sì. A differenza delle articolazioni di caviglia, ginocchio o femore dove si è direttamente bloccati nell’atto della pedalata. Quando vengono interessate zone come polso, spalla e clavicola permettono di accorciare i tempi di recupero ma sopratutto di perdere meno tono muscolare in quanto si va a riprendere più velocemente la bicicletta anche solo sui rulli. 

E’ una frattura che ci si porta dietro negli anni?

C’è un recupero effettivo. Più avanti ci sarà anche la possibilità di rimuovere la placca per evitare che in futuro crei fastidio al polso. Questo avviene di solito dopo un anno.

Come per la corporatura non esistono cause per quanto riguarda il modo di cadere…

Lo si può rompere o perché si butta la mano a terra oppure perché c’è un impatto diretto. Diciamo che la dinamica è semplice e istintiva. Quando si cade, questo tipo di fratture sono conseguenti a una dispersione di energia sull’asfalto o terreno che sia. 

Dieci del mattino, sale in cattedra “prof” Cavalli

07.03.2023
6 min
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Stamattina Marta Cavalli è entrata nuovamente dal portone nell’Istituto Comprensivo Marco Gerolamo Vida di San Bassano, invitata a parlare della sua vita, del ciclismo, dello sport e di come lo si possa collegare alla scuola. Ha parlato di cultura alimentare e di sicurezza stradale, poi è tornata a casa ed è uscita per allenarsi.

«E’ stata una bella emozione – racconta – perché mi sono proprio rivista nei ragazzi e nella loro sorpresa nell’avere a che fare con qualcuno di più giovane, perché comunque sono sempre con professori che hanno un’età superiore. Avere davanti una ragazza più giovane li ha resi più partecipi e questo mi ha fatto piacere. E mi sembrato di tornare indietro nelle stesse emozioni. Anche a me è piaciuto molto perché mi sono raccontata in un modo diverso e ho visto lo stupore negli occhi dei ragazzi. Spero che abbiano trovato anche loro la stessa motivazione che ho io.

«E’ stata proprio una bella esperienza. Sono stata dalle 10 alle 12. Ho parlato per un’oretta, poi quando ho chiesto se ci fossero domande, i ragazzi si sono scatenati. La domanda più interessante è stata se mi sarei mai immaginata di arrivare dove sono adesso. Mentre per la più strana mi hanno chiesto la velocità massima mai raggiunta. Ero indecisa se dire la verità o meno. I ragazzi tendono ad emulare le cose pericolose, quindi non sapevo se dire che in discesa si arriva “facilmente” a 100 all’ora. Alla fine ho detto la verità. E a quel punto… boato di sorpresa generale!!!».».

La FDJ Suez non le mette fretta: il suo processo di crescita è ancora nel pieno
La FDJ Suez non le mette fretta: il suo processo di crescita è ancora nel pieno

Inizio faticoso

Il suo inizio di stagione è stato problematico. Dopo un inverno positivo, all’inizio delle corse Marta non ha avvertito le sensazioni che si aspettava. E così, con una decisione inattesa ma fondata, la squadra l’ha vista correre al UAE Tour e poi alla Het Nieuwsblad e poi l’ha fermata.

«Sto facendo un po’ fatica – spiega – più che altro con il ritmo gara, quando proprio la corsa si fa dura, anche in pianura. Ho sentito di essere un po’ in deficit. I tecnici dicono che può risalire tutto alla caduta del Tour. E proprio guardando questo aspetto, ho capito che era necessario prendersi ancora qualche giorno, qualche settimana per definire bene la condizione e riparare queste piccole mancanze».

Dopo le prime due gare, il 2023 di Cavalli si è interrotto per un supplemento di preparazione (foto FDJ Suez)
Dopo le prime due gare, il 2023 di Cavalli si è interrotto per un supplemento di preparazione (foto FDJ Suez)
Sei sempre rimasta a casa per lavorare?

Nessun ritiro, sono a casa. Adesso il clima è più gradevole, quindi si lavora bene. La preparazione è tutta proiettata sul miglioramento, perché le basi le ho fatte e sono anche belle solide. Quindi si lavora più per cercare lucidità, brillantezza e ritmo gara.

Non sarà anche che dovendo fare classiche, Giro, Tour, mondiale e tutte le corse che vengono dopo il mondiale, sia anche utile partire un po’ più piano?

Dipende dagli obiettivi. Come primo avevo fissato la Strade Bianche e comunque avevamo visto che, gestendo bene una fase di recupero a metà stagione, si sarebbe potuto fare tutto il programma. In questo modo, con meno gare nelle gambe, sicuramente rivedremo il calendario. Detto questo, non c’è ancora una data di rientro. Guardiamo ai prossimi giorni, magari si potrebbe correre al Binda o magari no. Il giorno in cui dovessi star bene, sarei la prima a dire di provare e loro mi inserirebbero. Però l’importante è prendersi il tempo giusto, non c’è la fretta di rientrare a tutti i costi.

Longoo Borghini e Cavalli: sul fronte delle corse dure, due colonne del ciclismo italiano
Longoo Borghini e Cavalli: sul fronte delle corse dure, due colonne del ciclismo italiano
La stai vivendo sorprendentemente bene…

Allora, con calma (sorride, ndr). I primi giorni non è stato facile, però adesso la sto prendendo giorno per giorno. Anche come un’opportunità per capire meglio quali effetti abbiano su di me certi allenamenti. Il 2022 è stato un anno importante, dove ho ottenuto dei risultati veramente sorprendenti, ma lo considero parte di un processo di crescita. Quest’anno non devo arrivare ancora a quel livello, ma devo cercare di migliorarmi e per farlo a volte può esserci anche l’inconveniente di non vincere. Il problema è che ormai si è creata l’aspettativa, quindi se non vinco, la gente si interroga. Noi invece lo vediamo più razionalmente, come un processo di crescita.

Aspettativa della gente, oppure anche di Marta?

No, bè, anche mia.

Il UAE Tour ha fatto capire a Cavalli che manca la necessaria brillantezza anche in pianura
Il UAE Tour ha fatto capire a Cavalli che manca la necessaria brillantezza anche in pianura
Che tipo di preparazione stai facendo?

L’attività principale è il dietro motore. Un esercizio di sforzi brevi, ma intensi. Un’intensità non troppo protratta nel tempo, quindi più volate, allunghi, accelerazioni. Anche se non lo abbiamo ancora definito, stavo pensando anche a fare qualche passaggio in pista. 

Hai seguito la Strade Bianche?

Ho visto la replica quando sono rientrata, perché prima ero fuori in bici. E’ uscita una bella corsa. Quando ho visto Vollering e Kopecky, inizialmente pensavo che dall’ammiraglia gli avessero comunicato di giocarsela. E così è stato, ma inizialmente sembrava che non fossero proprio contente l’una dell’altra. Riguardando i video, si vede che comunque appena dopo l’arrivo si sorridono. Quindi credo che sia emersa forse più la stanchezza di una gara dura, rispetto all’emozione di aver fatto prima e seconda. Avremo comunque l’occasione nelle prossime settimane e nelle prossime gare, di vedere se fra loro c’è della ruggine, per poterne magari approfittare.

L’Het Nieuwsblad è stato l’ultima corsa finora di Marta Cavalli e si è conclusa con il ritiro
L’Het Nieuwsblad è stato l’ultima corsa finora di Marta Cavalli e si è conclusa con il ritiro
Cosa ti è parso di Van Vleuten che non è riuscita a rispondere?

Credo che sia frutto di una preparazione. Ora come ora, il livello è cresciuto tantissimo rispetto agli ultimi due anni. Ora il gruppo di atlete che possono giocarsi le gare è molto più ampio. Sono tante quelle che riescono ad arrivare brillanti nei momenti chiave. E se lei ora è in preparazione per le Ardenne, non essendo già al 100 per cento, non è più una bomba come al solito. Una volta il suo 90 per cento le bastava per fare la differenza, ora non è più così. Sa di non avere ulteriori margini di miglioramento. E avendo deciso di ritirarsi a fine anno, avrà concentrato i suoi sforzi sugli obiettivi che vuole davvero centrare.

Ferron, Axel Laurance e quel ponte. Una storia a lieto fine

11.02.2023
5 min
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Momenti. Pochi secondi. Attimi nei quali tutta la tua vita ti passa davanti. A Valentin Ferron è capitato pochi giorni fa. Era il 3 febbraio, seconda tappa dell’Etoile de Bessèges, a 24 chilometri dalla conclusione. Un momento era in bici a controllare la corsa, in mezzo al gruppo. Neanche qualche secondo dopo era sul bordo del ponte, ma non affacciato ad ammirare il panorama, no, appeso con le braccia al parapetto, le gambe penzoloni, con il forte rischio di cadere senza sapere che cosa ci fosse sotto.

Oggi Ferron ci ride sopra, divertito da quelle immagini che si ripetono di continuo su Internet senza soluzione di continuità. Allora però non rideva. In quei secondi gli è passato davanti di tutto: gli inizi in bici, il seguire la sua passione trovando approdo a 19 anni nel Vendee U Pays de la Loire, i lunghi anni di apprendistato alla TotalEnergies dove milita dal 2019 e con la quale ha conquistato una tappa al Tour du Rwanda nel 2021 e al Delfinato l’anno successivo. Tutto bello, tutto giusto, ma rischiava di finire tutto anzitempo.

L’ultimo successo del 25enne di Vienne, all’ultimo Giro del Delfinato
L’ultimo successo del 25enne di Vienne, all’ultimo Giro del Delfinato

Una tragedia scampata

Il ciclismo non è nuovo a storie tristi. Ne abbiamo raccontate fin troppe sulle strade. In corsa, come Simpson cotto dal sole del Ventoux o Casartelli su quel maledetto paracarro del Portet d’Aspet. Fuori corsa, come le scomparse di Scarponi e Rebellin che gridano ancora vendetta. Di raccontarne un’altra, francamente si faceva anche a meno. Ferron rischiava di essere l’ennesimo, l’ultimo prima che la serie riprendesse.

E’ stato proprio lui a raccontare come tutto è successo, appena dopo l’arrivo di tutta la carovana e la neutralizzazione della corsa (foto di apertura). Con voce calma, ma quel leggero tremolio faceva capire che dentro, la paura ancora era padrona del suo corpo.

«C’è stato un grosso incidente mentre eravamo sul ponte – racconta – io sono rimasto coinvolto, poi altri corridori da dietro si sono ammucchiati su di noi. Sembravano non finire mai, come un’onda del mare. Io sono stato spinto sulla destra contro il muro, poi mi sono staccato dal suolo e riversato oltre. Neanche mi sono accorto di come sono finito fuori dal ponte…».

Una voce indimenticabile

Secondi interminabili, aspettando che qualcuno si accorga della situazione. Ma da quel caos di uomini misti a carbonio e tubolari, trovare qualcuno che riuscisse nel bailamme a sentire la sua voce non era semplice.

«Era una brutta situazione – dice – solo dopo mi sono accorto che il ponte non era poi così alto. Ma se fossi caduto, come minimo mi facevo molto male a caviglie e ginocchia. E io con le gambe ci lavoro… In quei momenti è difficile mantenere la calma. A un certo punto ho sentito una mano che con forza mi ha preso e mi ha tirato su, non dimenticherò mai quella voce».

Quella voce era di Axel Laurance, uno dei tanti coinvolti, uno dei giovani appena passati al team Devo dell’Alpecin Deceuninck, che era stato chiamato proprio per la corsa francese a rinforzare la squadra maggiore. Un esordio fra i pro’ davvero indimenticabile, ma per motivi inaspettati.

«Ho cercato di liberarmi dal groviglio prima possibile – ricorda – avevo visto che nella caduta qualcosa era andato storto. Il ponte era abbastanza stretto e i bordi non così alti. Ho sentito gridare e mi sono accorto che Valentin non era in una bella situazione. Lì non pensi certo a chi sia, a che maglia indossi, se è un compagno di squadra. In quei frangenti il ciclismo passa in second’ordine, eravamo uomini coinvolti nello stesso casino».

Un sorridente Laurance all’arrivo della tappa “incriminata”. Un giorno da ricordare
Un sorridente Laurance all’arrivo della tappa “incriminata”. Un giorno da ricordare

Alla fine fortunato

Quelle mani lo afferrano, forse per l’adrenalina, forse per quella voglia di dire no a un destino infausto, Axel lo tira su quasi fosse un fuscello. Altri si accorgono, si precipitano a dare una mano. Ferron è in salvo.

«Alla fine sono stato fortunato – sentenzia davanti ai giornalisti – c’è chi in quella baraonda se l’è passata peggio di me». Il riferimento è ai due principali infortunati della gigantesca caduta, Lars Van den Berg con una frattura al gomito e Ben Healy che si è rotto una mano.

Di fatto la corsa è finita lì. Claudine Fangille, che ha raccolto l’eredità dal padre nell’allestimento della prima corsa a tappe francese dell’anno, non ha avuto dubbi nella scelta: «I corridori erano rimasti fermi per più di 10 minuti, erano ormai freddi e non aveva più senso ripartire. Tanto più che le 3 ambulanze al seguito della gara avevano dovuto lasciare la carovana per portare i feriti al più vicino ospedale, non c’erano quindi le condizioni di sicurezza per far ripartire la corsa».

La volata della terza tappa. Ferron è subito protagonista, ma De Lie lo priva del successo
La volata della terza tappa. Ferron è subito protagonista, ma De Lie lo priva del successo

Senza quel De Lie…

Capita anche che le storie più difficili possano avere un lieto fine. Ferron nella notte ha messo da parte tutte le paure e il giorno dopo è tornato in carovana come se nulla fosse, anzi si è messo a battagliare fino alla volata finale è c’è voluto il sontuoso Arnaud De Lie di questo inizio stagione per togliergli quella vittoria che avrebbe avuto un sapore particolare. In mezzo al gruppo, 33°, arrivava Laurance, la sua vittoria più bella l’aveva avuta 24 ore prima…