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De Marchi trova squadra, cattivi pensieri alle spalle

04.11.2022
5 min
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Il rumore della pioggia sul parabrezza è scrosciante, anche se De Marchi ridendo fa notare che all’orizzonte si intravede l’arcobaleno. Deve essere un presagio, annotiamo e lui sorride. Da casa a Varese, dove c’è il magazzino della Bike Exchange-Jayco, c’è un bel pezzo di strada che sa di conquista. Alessandro si è messo in auto di buon mattino per andare a prendersi la bici che lo accompagnerà per tutto l’inverno. La firma del contratto è cosa fatta, quell’arcobaleno non è per caso.

Questo su De Marchi che trova squadra a fine ottobre è uno di quei pezzi che si tengono nel cassetto in attesa che le cose diventino ufficiali. E le cose in questo caso hanno avuto un’accelerazione fulminea il 20 ottobre, quando la squadra australiana ha formalizzato l’offerta, strappando il Rosso di Buja dalla china di pessimismo lungo cui s’era avviato.

Settimo al mondiale gravel, De Marchi ha chiuso il 2022 in Veneto, con la caduta alla Veneto Classic
Settimo al mondiale gravel, De Marchi ha chiuso il 2022 in Veneto, con la caduta alla Veneto Classic

Tre costole rotte

Fino al giorno prima, infatti, Alessandro infatti lottava con le tre costole rotte alla Veneto Classic, che gli impedivano di dormire e andare in bici nell’insolita primavera esplosa per tutto il Friuli.

«Sono stato a lungo in attesa – diceva – fra mille incastri. Situazioni che potrebbero concretizzarsi. Quando perdi il primo giro del mercato, va così. La gente forse si ferma davanti all’età? Sarà pur vero, ma l’anno scorso di questi tempi vincevo la Tre Valli Varesine. Non ero pronto a vivere questa situazione, perché avrò pure 36 anni, ma penso che nel giusto ambiente potrei ancora fare le mie cosette».

E alla fine proprio i tuoi 36 anni sono diventati un valore aggiunto…

E’ l’argomento che hanno usato, anche per spiegare il fatto che siano venuti a cercarmi così tardi. Brent (Copeland, manager del team, ndr) mi ha dato un’interpretazione molto interessante. Per il 2023 hanno inserito parecchi giovani, tra neopro’ e nuova gente. Mi pare 7-8 ragazzi sotto i 23 anni e hanno bisogno di un innesto un po’ più vecchietto e per questo hanno visto in me una buona figura. In particolare mi hanno anticipato il progetto del Giro, nel senso che probabilmente vorrebbero mandare un gruppo relativamente giovane, portando me come… chioccia.

In cima alla salita di San Luca, De Marchi ha chiuso il Giro dell’Emilia al 27° posto
In cima alla salita di San Luca, De Marchi ha chiuso il Giro dell’Emilia al 27° posto
Un bel ruolo, no?

La prima cosa cui ho pensato è che riprendo a fare quello che facevo con i ragazzi del Cycling Team Friuli, anche se ultimamente ci siamo visti un po’ meno. Quest’anno è stato particolare e non li ho seguiti tanto sulla bici. Però l’ho fatto in passato ed era una cosa che mi piaceva un sacco, mi dava soddisfazione. E poterlo fare perché la squadra che ti prende te lo chiede esplicitamente, è proprio una bella cosa.

Il pessimismo è alle spalle?

Sono davvero caduto in piedi. Tra tutte quante, questa era la situazione migliore. Mi avevano cercato già prima della Israel, sono davvero contento. Con Brent mi ero visto durante l’estate, io l’avevo approcciato un attimo e lui è stato molto onesto e chiaro fin da subito, rivelandosi poi di parola. Mi disse che sarebbe venuto a cercarmi, qualora avesse avuto bisogno. Era agosto e ora mi sembra di poter dire che avrò a che fare con delle buone persone.

La fiammella c’è sempre stata oppure ormai si stava spegnendo?

La lucina c’era, però ammetto che a un certo punto era diventata abbastanza piccolina. Avevo iniziato a pensare anche a come potesse essere la vita senza la bici? Perché insomma, alla fine devi essere anche un po’ pratico. Le bollette da pagare ce le hai, quindi dovevo pensare a cosa fare. Chiudere così mi sarebbe davvero scocciato.

Dopo la Vuelta, De Marchi ha corso a Peccioli, lanciando il finale di stagione
Dopo la Vuelta, De Marchi ha corso a Peccioli, lanciando il finale di stagione
E’ stato bravo il tuo procuratore Scimone oppure avevi seminato bene?

Raimondo è stato importante e forse decisivo, perché in un certo periodo ero abbastanza sfiduciato dal fatto di non ricevere offerte. Pensavo: “Ho fatto tanto, ho dato tanto, l’anno scorso erano tutti contenti di vedermi in maglia rosa e adesso non trovo un contratto?”. E lì Raimondo è stato quello che ogni tanto mi faceva rinsavire. Due sberloni e mi ha tenuto a bada. Però indubbiamente, quando ti vengono a chiamare parlando di esperienza, il fatto di aver seminato qualcosa è evidente.

Come ti ponevi davanti al De Marchi demotivato delle ultime settimane?

Ammetto che tutta la stagione, specialmente la parte finale, è stata abbastanza dura. Se mi guardo indietro, non mi riconosco perché ho subito il colpo. Ancora una volta, venivo da un 2021 super, ero pronto a darci dentro, invece la primavera che ho passato mi ha distrutto piano piano. Mi ha lasciato mentalmente un po’ indebolito al momento di preparare la seconda parte di stagione. Alla Vuelta ho iniziato a pedalare, poi c’è stata la caduta. E su tutto, c’era ovviamente questa cosa del contratto che si è sommata e non ha assolutamente aiutato.

E finalmente adesso potrai dedicarti nuovamente bene alle crono: Pinotti ti starà già aspettando…

Questa è stata forse la prima cosa che ho pensato, avendo visto il percorso del Giro. So che Marco è lì che mi aspetta e onestamente non vedo l’ora.

De Marchi in maglia rosa è ora anche l’immagine di una campagna Enel
De Marchi in maglia rosa è ora anche l’immagine di una campagna Enel
Che effetto ha fatto retrocedere fra le professional?

Ci sono dei momenti in cui è stata vissuta, specialmente all’inizio, come una cosa ancora recuperabile e non così grave. Nella fase finale, quando era chiaro che non saremmo riusciti a recuperare, si è cominciato ad attaccare il sistema e dire che non fosse giusto. Ma credo che sia stato tutto la conseguenza dei due anni precedenti.

A casa come l’hanno presa? Tua moglie Anna si era un po’ intristita pure lei, oppure aveva più fiducia di te?

Anna ci credeva più di me. Ogni tanto anche lei mi diceva di smetterla di piangermi addosso. Qualche schiaffone l’ho preso anche in casa, insomma. Perciò adesso vado a conoscere le persone con cui lavorerò e inizio un inverno normale. Ne avevo proprio bisogno.

Buja fucina di professionisti. E De Marchi è il pioniere

06.02.2022
8 min
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Un campanile, un piccolo centro storico arroccato su una collina, le zone residenziali in basso, un centro sportivo, il palazzo del comune e un bel gruzzolo di campioni: è Buja. Se si fa una percentuale fra corridori professionisti e abitanti di certo questo borgo vincerebbe a mani basse. Alessandro De Marchi, Jonathan e Matteo Milan, Nicola Venchiarutti, Davide Toneatti e Lorenzo Ursella, oltre ai crossisti Alice Papo e Tommaso Bergagna, sono “les enfants du pays”.

Andiamo in questo piccolo paesino della provincia di Udine. Siamo nel cuore del Friuli Venezia Giulia, tra le colline che separano la Carnia e le Prealpi Giulie. Il fiume Torre ad Est, il Tagliamento ad Ovest.

Rosa e oro

Questa estate i suoi circa 6.600 abitanti hanno vissuto una sbornia di gioia con i loro campioni: la maglia rosa di Alessandro De Marchi e la medaglia d’oro di Jonathan Milan. E proprio con il “Rosso di Buja”, Alessandro De Marchi, il pioniere, colui che ha aperto la strada, cerchiamo di capire perché da lì arrivano tanti ragazzi al professionismo.

«Io – spiega De Marchi – direi che si sta premiando il lavoro di una società che non sempre è sotto i riflettori, perché noi in Friuli siamo spesso un po’ lontani dei grandi riflettori. Ed è così un po’ in tutto. A volte è un qualcosa di negativo, a volte è un qualcosa di positivo. Essere un po’ più isolati è ormai parte della nostra identità e questo, tornando al ciclismo, si riflette soprattutto nel settore giovanile.

«Tuttavia giovanissimi ed esordienti sono sempre riusciti a resistere. E’ vero, ci sono meno corridori e meno gare, e lo specchio di tutto ciò è la categoria allievi, ma finché ci sono società che tengono duro le cose prima o poi vengono fuori».

Bujese e Jam’s

Le società che tengono duro: il nocciolo della questione forse è tutto qui. Oggi le squadre che lavorano con i ragazzi navigano in un dedalo di difficoltà, non solo economiche, ma anche burocratiche e tecniche. Pensiamo solo alle responsabilità nel portare un ragazzino in mezzo al traffico. 

«Quasi tutti – riprende Marchi – hanno cominciato nella Ciclistica Bujese. E di questa cosa ci pensavo proprio quest’anno al Giro. Guardavo il gruppo e mi dicevo: siamo in due di Buja e della Ciclistica Bujese. Oltre a me, infatti, c’era Venchiarutti».

«E poi c’è la Jam’s Bike Team. Questa squadra è nata anni dopo. All’inizio era votata solamente al ciclocross e alla mtb, poi si è aperta anche alla strada». Ed è qui, nella squadra creata da suo padre Flavio, che ha mosso i primissimi passi Jonathan Milan.

«La Ciclistica Bujese ha oltre 40 anni di attività, 44 credo. E’ davvero storica. Nacque poco dopo il terremoto del 1976 proprio per dare una possibilità in più ai ragazzi. Ha una tradizione fortissima. Molte delle persone che hanno tirato su me ci sono ancora, ma ce ne sono anche di nuove».

De Marchi, chiaramente tende per la Bujese, dove ha posto un pezzetto di cuore, però ammette che le due società, dopo gli screzi iniziali circa la nascita della Jam’s tutto sommato hanno collaborato. E, conoscendo la forte tradizione campanilistica italiana, non è affatto una cosa da poco.

«Con un paese di 6.000 abitanti o poco più – continua De Marchi – due società che fanno la stessa cosa un po’ mi lascia perplesso, ma loro iniziarono pensando al ciclocross. E tutto sommato si sono ritagliati una fetta specifica di attività.

«Se mi chiedete se sono a favore dei due team, direi che preferirei un’unione delle forze. E a volte tutto ciò è avvenuto, come per esempio nell’aiutarsi reciprocamente quando organizzano le gare. E poi in questo modo i ragazzi possono scegliere fra più attività. Ma questo è possibile perché alla base ci sono persone che si conoscono».

Alessandro De Marchi aveva 7 anni in questa foto. Ha iniziato con le gimkane promozionali
Alessandro De Marchi aveva 7 anni in questa foto. Ha iniziato con le gimkane promozionali

Come li crescono

«Negli anni che ho trascorso alla Bujese e per tutte le categorie non agonistiche (fino agli juniores, ndr) posso dire di aver svolto l’attività con serietà e con impegno, ma al tempo stesso senza stress da risultato. Non ci hanno mai messo fretta: né a me, né agli altri ragazzini e neanche alle famiglie. Anzi anche loro hanno condiviso questo stile».

Il discorso dei genitori pressanti in qualche modo viene toccato. Noi stessi chiediamo a De Marchi se da quelle parti le famiglie ancora sanno rispettare i ruoli della società civile in cui l’allenatore è l’allenatore, il maestro è il maestro… 

«I genitori che rispettano questo stile ti permettono di svolgere un’attività sana per i ragazzi. Se penso alla mia esperienza ricordo che gli allenatori volevano impegno, ma non sono mai stati pressanti».

«E forse io sono proprio l’esempio perfetto per questo discorso. Solo da juniores ho iniziato a fare qualche “risultatino”, ma fino da allievo ero entrato solo qualche volta nei primi dieci. In un’altra società non so se sarebbe andata allo stesso modo.

«Ho più ricordi delle grigliate e delle partite a pallone dopo la gara, che delle gare stesse. Si faceva la corsa, c’erano le premiazioni, si apriva il baule della macchina e si iniziava a mangiare e bere sul posto».

Effetto campioni 

Ma torniamo a quanto accennato all’inizio. Dopo la sbornia di successi di questa estate, i ragazzini di Buja hanno più voglia di fare ciclismo? C’è stato un effetto entusiasmo?

«Sicuro! È automatico che accada quando ci sono dei successi così grandi – riprende De Marchi – Le Olimpiadi e la maglia rosa sono un bel riflettore. Mi aspetto nei prossimi anni una certa risposta dal territorio. E di questo sono molto contento. Sono contento che il nostro esempio stia dando i suoi frutti.

«Io pioniere? Anche per questo sono molto vicino alla Bujese, spero che la mia visibilità sia di riflesso anche per loro».

I campioni però non bastano. La gioia di un oro olimpico è enorme, ma come un’ondata arriva e se ne va. “Per trattenere l’acqua” serve il lavoro costante sul territorio. Serve costruire una base solida e soprattutto che sia concreta.

«Come attraggono i ragazzi? Principalmente si fa promozione nelle scuole, un po’ come accadde con me. E’ lì che si va a proporre l’attività del ciclismo. Io per esempio iniziali ad una sagra di paese: era una gimkana promozionale. La Bujese metteva a disposizione le bici, i caschi e mi buttai… Tempo fa andai ad aiutarli anch’io in un evento simile».

Una veduta di Buja (foto Turismo FVG)
Una veduta di Buja (foto Turismo FVG)

Poco traffico?

Una cosa che ci colpì quando andammo a Buja proprio per delle interviste con De Marchi e Milan, tra l’altro una delle prime di bici.PRO, fu la tranquillità di questo paesino. Colline dolci da una parte, montagne un po’ più alte dall’altra e una certa scarsità di traffico. Elemento quest’ultimo affatto secondario.

«Traffico tranquillo dite? Sì e no, rispondo io – replica De Marchi – Dipende da cosa si è abituati a vedere. Se mi dite che la situazione è tollerabile dico okay, ma se mi chiedete com’è rispetto a qualche anno fa, dico che le cose sono peggiorate. Non siamo a livelli intollerabili, ma…».

«Gestire un team di giovanissimi non è così facile. Portarli ogni tanto fuori dal pistino è una bella responsabilità. Anche per questi motivi nacque la Jam’s che puntava sull’offroad, fra cross e mtb.

«La Bujese ha una piccola pista nella zona sportiva del paese. E’ un giro che corre attorno ai campi da calcio e va molto bene per la categoria dei giovanissimi, specie quelli più piccoli. In più da qualche anno collaboriamo con la Carnia Bike, società di Tolmezzo. Loro avevano molte richieste da parte di bambini, ma il loro settore erano le granfondo. Sono degli amatori. Quindi hanno chiesto aiuto a noi per iniziare i ragazzi al ciclismo».

«A Tolmezzo, che dista circa 30 chilometri da Buja, c’è un una vera e propria pista per la guida sicura. E lì gli amici della Carnia Bike hanno iniziato ad allenare i giovani. Ma è un luogo ideale anche per i più grandi e così ogni tanto ci portiamo anche i nostri ragazzi».

Il “Rosso di Buja” starebbe ore a parlare di questo argomento. Alessandro risponde davvero in modo appassionato. Quando può dà una mano, partecipa alle riunioni. Gli avevano anche proposto di fare il vicepresidente della Ciclistica Bujese: «Ma – risponde – a quanto pare se sei un professionista non puoi avere anche la tessera da vicepresidente di una società giovanile. Mah…».

Ursella, un altro italiano alla scuola del Team DSM

31.01.2022
5 min
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La valigia sarà migliore amica di Lorenzo Ursella per i prossimi mesi. Il 19enne nato a San Daniele del Friuli (in apertura nella foto Patrick Brunt-DSM) è passato al Development Team DSM, vivaio continental della formazione WorldTour, con cui ha firmato un contratto di due anni.

Fra qualche settimana inizierà a fare un viaggio avanti-indietro dal Friuli all’Olanda. Se esistesse un volo diretto da Buja (il suo paese) a Sittard (città in cui alloggiano gli atleti del team), probabilmente accumulerebbe molto in fretta miglia sulla tessera del frequent flier. In base al calendario agonistico farà un mese e mezzo su per le gare, quasi uno giù per recuperare e allenarsi.

Trofeo del Santo a Noventa Padovana, a fine agosto per Ursella la 10ª vittoria 2021 su strada (foto Scanferla)
Trofeo del Santo a Noventa Padovana, a fine agosto per Ursella la 10ª vittoria 2021 su strada (foto Scanferla)

Un anno importante

Ursella arriva da una stagione incredibile tra gli juniores con la Borgo Molino Rinascita Ormelle. Tredici piazzamenti totali nei dieci: due terzi posti, un secondo e soprattutto dieci vittorie. Che diventano quarantasette complessive nelle categorie giovanili. Il suo 2021 è stato impreziosito anche da quattro medaglie su pista. Due bronzi ai campionati italiani (omnium e velocità a squadre), un argento all’europeo juniores ad Apeldoorn nello scratch e un bronzo ai mondiali al Cairo nella stessa disciplina.

Normale che su di lui mettessero gli occhi tante squadre U23, non scontato invece che scegliesse di emigrare all’estero. E proprio su questa sua nuova esperienza, dopo che ieri Garofoli gli ha regalato alcuni preziosi consigli, abbiamo voluto sentire le sue parole.

Lorenzo, come è nata questa decisione?

Tramite il mio procuratore (Raimondo Scimone, ndr) a giugno erano arrivate diverse offerte, tra cui quella della DSM. Avendo fatto un istituto professionale di tre anni (è diplomato in meccanica aziendale, ndr) e non avendo quindi l’impegno della scuola, ho potuto accettare la loro proposta, anche di trasferirmi lassù. Così facendo credo che si possa entrare prima nel mondo del ciclismo. E poi mi ha influenzato anche il fatto che sarà comunque una scelta di vita sotto il lato umano. Anche i miei genitori sono contenti di questo nonostante ci vedremo poco, però sanno che al momento questo è il mio lavoro.

Dopo il prossimo ritiro di Calpe, Lorenzo si trasferirà nel quartier generale di Sittard, in Olanda (foto Patrick Brunt-DSM)
Dopo il prossimo ritiro di Calpe, Lorenzo si trasferirà in Olanda (foto Patrick Brunt-DSM)
Entriamo nello specifico. Quando inizierai a vivere in Olanda?

Appena finiamo il secondo ritiro a Calpe (dal 7 al 14 febbraio, ndr) farò ancora due settimane a casa, poi il 27 febbraio andrò su in aereo. Ci starò fino a metà aprile inoltrato. Poi tornerò in Italia ed il secondo periodo a Sittard sarà da metà maggio per altri quaranta giorni. E così via sempre, salvo cambiamenti dettati dai programmi delle gare.

Sei pronto a vivere da solo? 

Sì, certo. Per le restrizioni Covid dovrei vivere da solo, o al massimo con un compagno, in uno degli appartamenti di questo villaggio-residence (il Keep Challenging Center, ndr) di proprietà della squadra. Mi piace questo aspetto perché mi responsabilizza molto per quanto riguarda gli allenamenti e l’alimentazione. Poi ho la possibilità di imparare bene l’inglese, di viaggiare e di scoprire posti nuovi.

Con te ci sarà anche Lorenzo Milesi (prelevato dalla Beltrami TSA Tre Colli, ndr).

Sì esatto. Con Milesi sono già in contatto, ci sentiamo praticamente tutti i giorni. Senz’altro avere un altro compagno italiano favorirà il mio, anzi il nostro inserimento. Ci aiuteremo a vicenda, soprattutto nella vita di tutti i giorni. 

Questo è il rendering del centro Keep Challenging, quartier generale del Team DSM, inaugurato a fine 2020
Questo è il rendering del centro Keep Challenging, quartier generale del Team DSM, inaugurato a fine 2020
Dovrai farti da mangiare da solo, curare l’ordine delle tue stanze…

Non sono spaventato particolarmente. Già qui in Italia mi arrangio facendomi da mangiare da solo quando torno dagli allenamenti visto che i miei genitori sono a lavorare. Uguale anche nella gestione della casa. Sono tutte cose che più o meno faccio già anche qua.

Col cibo come farai?

Ci arrangeremo, facendo la spesa o portandoci dall’Italia prodotti che in Olanda non si trovano. Non credo che avrò problemi. Avremo sempre a disposizione allenatori e preparatori che, oltre a controllare che tutto sia a posto come ci chiedono, potranno aiutarci nelle nostre esigenze. In ogni caso la mia intenzione è quella di abituarmi allo stile di vita olandese.

E il clima invece?

Sono già abituato a quello del Friuli, una delle regioni più fredde e piovose d’Italia. Non sono troppo preoccupato, anche perché poi inizieremo a girare per le gare.

Lorenzo Ursella ha compiuto 19 anni il 20 gennaio
Lorenzo Ursella ha compiuto 19 anni il 20 gennaio
E’ già stato fatto un programma di corse? Quando debutterai?

Farò il mio esordio il 5 marzo alla Craft Ster van Zwolle. Poi sempre gare di un giorno tra Olanda e Belgio. Non è previsto per me il Giro d’Italia U23, ma potrei fare il Giro di Sicilia (in programma dal 12 al 15 aprile, ndr). Infine mi hanno già inserito come riserva con il team WorldTour per il Giro di Danimarca (gara 2.Pro dal 16 al 20 agosto, ndr). Quella sarebbe una grande occasione, ma ora non ci penso.

Lorenzo, classica domanda di chiusura. Cosa ti aspetti dal 2022?

Voglio crescere mentalmente, questa è bella esperienza di vita. Ho già visto che la DSM ha una filosofia piuttosto rigida, molto metodica e a me questa cosa piace, perché anch’io sono più o meno così. Non ho troppa pressione dalla squadra, sanno che devo migliorare. Sono un velocista ma devo lavorare sulla resistenza, il fondo e la tenuta in certi tipi di salite. Sarò al servizio dei compagni più grandi e più forti ma so che, in base al mio stato di forma, potrei trovare spazio come prima punta. Al momento la mia condizione è buona. Sono emozionato, in fermento e non vedo l’ora di iniziare a correre.

Quel Milan corridore prima di Jonathan e Matteo

28.12.2021
6 min
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La prima volta che incontrammo Jonathan Milan era alla fine del 2019 e il gigante di Buja si era recato con suo nonno presso la sede del CTF Lab per mettere a punto la posizione. Villa lo aveva notato in pista e lo aveva convocato per un ritiro. Solo dopo qualche ora, parlando con il diesse Renzo Boscolo, facemmo il collegamento tra quel cognome e un corridore friulano classe 1969 che quasi trent’anni prima avevamo visto passare professionista con l’Amore e Vita. Era l’estate del 1992 e scaduto il blocco olimpico quasi 40 dilettanti italiani si riversarono tra i professionisti.

«Solo una decina di loro tenne banco – racconta Flavio Milan – i più, fra cui anche io, smisero nel giro di un paio di stagioni. In quegli anni era così, non eravamo poi così maturi per passare. E io in casa non avevo nessuno per consigliarmi, a parte mio padre che aveva imparato da sé. Per i miei figli è stato diverso. Avere in famiglia uno che ha corso fa una bella differenza».

Flavio Milan passò professionista nell’estate del 1992 (foto Amore & Vita)
Flavio Milan passò professionista nell’estate del 1992 (foto Amore & Vita)

Flavio Milan, classe 1969

Flavio Milan è il padre di Jonathan e Matteo, figlio di quel nonno che tre anni fa accompagnò l’altissimo nipote biondo. Da dilettante in tre anni, Flavio vinse le internazionali più belle. Il Buffoni e il Belvedere, il Trofeo Zssdi e l’Astico-Brenta, il Trofeo Del Rosso e una tappa del Val d’Aosta, una tappa alla Settimana Bergamasca e il Trofeo De Gasperi. Se non avesse avuto davanti nomi come Bartoli e Casagrande, Pantani, Casartelli e Belli, probabilmente avrebbe meritato spazio in una squadra più grande.

I figli hanno seguito le sue orme – uno già professionista al Team Bahrain Victorious e campione olimpico e mondiale, l’altro U23 di primo anno al CT Friuli – anche se all’inizio lui fece di tutto perché provassero altro.

Un panino durante l’allenamento e poi si riparte: a sinistra Matteo, a destra Jonathan
Un panino durante l’allenamento e poi si riparte: a sinistra Matteo, a destra Jonathan
Li mettesti tu in bicicletta?

Le ho provate tutte perché si dedicassero ad altro. Jonathan ha fatto tennis, nuoto, judo e basket, però si vedeva che non fosse contento. Idem suo fratello Matteo. Finché ci trovammo con un amico, Marco Zontone con cui correvo fra gli amatori, e fondammo la Jam’s Bike Team Buja, smettendo a nostra volta di far gare. Iniziò tutto così. Jonathan cominciò a 5 anni con la mountain bike. Ci tenevo che all’inizio fosse per gioco, sviluppando le abilità alla guida.

Che effetto fa ora pensare che quel bambino è un campione olimpico?

Un bell’effetto, ma anche strano. Non pensavo che sarebbe arrivato così rapidamente a certi risultati, così come che passasse così presto tra i professionisti. Per i nonni e per la mamma è una grandissima emozione. Per me che ho corso è diverso. Da ex corridore, avrei voluto correrle le Olimpiadi. Sono il sogno di tutti, ci vedo un po’ i miei sogni. Avevo vinto i mondiali militari 1988 nella Cento Chilometri, ma non sono riuscito ad andare ai Giochi.

La Jam’s Bike Team Buja, creata anche dal padre, è stata la squadra d’esordio per Jonathan e Matteo (foto Facebook)
La Jam’s Bike Team Buja è stata la squadra d’esordio per entrambi (foto Facebook)
Che idea ti sei fatto dei tuoi figli come corridori?

Jonathan è un passista veloce, che però riuscirà a buttarsi anche nelle volate. Ha quel pizzico di follia che serve per farlo. E poi, avendo tutta questa resistenza sui 4 chilometri, potrà fare anche volate più lunghe.

Invece Matteo?

Matteo è tutto da capire, perché è giovane. Tiene bene sulle salite medie ed è veloce. Al confronto con Jonathan, lui somiglia a me, perché è più piccolino. Jonathan è più pesante, le salite di 4 chilometri sono il suo limite.

Sono due ragazzi molto educati.

Gli abbiamo dato i valori di una famiglia normale, in cui più che con le parole si insegna con l’esempio. Insegnamenti che imprimi quotidianamente.

I ragazzi sembrano molto legati fra loro.

Jonathan non lo dà a vedere, ma si preoccupa per Matteo. Lo controlla tramite i suoi compagni di squadra, i tecnici e lo stesso Andrea Fusaz del CTF Lab, che li prepara entrambi.

Le due vittorie di Matteo non hanno aiutato nella ricerca di un team U23 (foto Scanferla)
Le due vittorie di Matteo non hanno aiutato nella ricerca di un team U23 (foto Scanferla)
Si è un po’ discusso lo scorso anno sull’età di Jonathan e sul suo passaggio…

Ha visto l’opportunità di passare e si è detto che magari il treno non sarebbe ripassato e che poteva succedergli qualcosa per cui non lo avrebbero più voluto e non si sarebbe riconfermato. Adesso non si passa più a 25 anni, adesso a 25 anni si smette. Per cui o si mettono delle regole, oppure si continua così.

Così come?

Tutti parlano di tenerli calmi, ma intanto iniziano a prepararli da esordienti. Io li ho fatti crescere entrambi tranquilli, ma col senno di poi, avrei potuto aumentare del 10 per cento i carichi ai 12-13 anni. Forse con qualche risultato di più, avrei avuto meno difficoltà a trovare una squadra per Matteo. Dicono di tenerli calmi da juniores e poi però vanno a vedere i risultati delle categorie precedenti. Secondo me è tutto sbagliato, ma succede perché i pro’ li cercano a 19 anni. Bisognerebbe che restassero per tre anni fra gli under 23.

Credi che Jonathan sia passato presto?

Ne sono certo e gli mancano le corse a tappe. Al secondo anno da U23 ha fatto il Giro d’Italia, spero che ora possa farne in modo graduale. Non si può buttarli nei primi anni a fare i grandi Giri.

Quando ti sei accorto che avessero qualcosa di speciale?

Jonathan prendeva la bici come gioco anche una volta passato su strada, forse perché veniva dalla MTB. Non ci metteva la grinta necessaria. Se faceva una salita con il nonno, a metà si stancava di stringere i denti e si metteva a fare le impennate, con mio padre che si infuriava fuori misura. La prima volta in cui si è impegnato fu ai regionali su pista al primo anno da junior.

Jonathan Milan è passato dopo due anni da U23: qui nel 2019 (foto Scanferla)
Jonathan Milan è passato dopo due anni da U23: qui nel 2019 (foto Scanferla)
Cosa successe?

Si trovò in finale contro Amadio. Jonathan partiva più forte, l’altro veniva fuori alla distanza. La pista gli piaceva forse perché le gare duravano solo 4 minuti. Così partì a tutta e poi tenne, con Floreani, il direttore sportivo del Team Danieli, che si stupì per il suo rendimento. La pista ce l’ha nel sangue…

Invece Matteo?

A lui la pista non piace, la trova stressante, fra rulli, gare e il pubblico addosso. A Matteo piace la strada e vuole migliorare in salita, ma credo che 2-3 anni da under 23 per lui saranno necessari. Con Fusaz che è molto bravo a leggere i dati.

Un ciclismo diverso dal tuo…

Qualcosa posso ancora spiegargli a livello di tattica. Per il resto ognuno si allena da solo, mentre noi uscivamo in gruppetti. Non è facile allenarsi sempre da soli, devi essere molto motivato. Quanto ad altri consigli… Dico loro di ascoltare tutti, anche il vecchietto che prima della partenza li avvisa di un passaggio particolare. Ascoltare tutti e poi farsi la propria opinione. E’ importante ragionare con la propria testa. Anche se il consiglio gli arriva dal padre…

Jonathan e Matteo: botta e risposta tra i fratelli Milan

12.12.2021
7 min
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I fratelli Sagan. Gli Yates e i Bessega, addirittura gemelli. I fratelli Bais e i due Consonni. Le sorelle Fidanza, per un po’ i Frapporti e tutti quelli che abbiamo sicuramente dimenticato. Quando il ciclismo diventa un affare di famiglia, è curioso andare a vedere in che modo condizioni le vite e il modo di pensare

Così questa volta mettiamo nel mirino i fratelli Milan: Jonathan, classe 2000, campione olimpico e del mondo nell’inseguimento a squadre che corre al Team Bahrain Victorious; Matteo, classe 2003, due vittorie nel 2021 fra gli juniores, in procinto di passare al CT Friuli da cui è sbocciato anche suo fratello. Il papà, Flavio Milan classe 1968, fece una bella carriera da dilettante, vincendo corse come il De Gasperi, il Trofeo Zssdi e il Del Rosso.

Con un po’ di fortuna e se Matteo continuerà a crescere come i tecnici pensano possa fare, i due potrebbero ritrovarsi a correre assieme tra i professionisti, dato che la continental friulana ha un rapporto di collaborazione tecnica con il team WorldTour del Bahrein.

Difficilmente i fratelli si somigliano in tutto, persino i gemelli Yates sono completamente diversi. Perciò proviamo a leggere i due ragazzi di Buja attraverso le risposte che daranno alle stesse domande.

Quando hai iniziato a correre in bici?

MATTEO: «Ho iniziato a correre in bici all’età di quattro anni, alla Jam’s Bike Team Buja».

JONATHAN: «Ho iniziato a correre da giovanissimo, avevo quattro anni».

Hai subito pensato che saresti diventato un corridore?

MATTEO: «Per me correre è sempre stato un divertimento e la passione è cresciuta piano piano, nel tempo».

JONATHAN: «All’inizio era molto un divertimento, ho iniziato con la mountain bike. Poi in età più avanzata sono passato alla strada e lentamente sono riuscito a scoprire le mie doti. Da lì piano piano ho iniziato a sognare di diventare un corridore forte e riuscire a passare professionista. E’ stata una cosa graduale».

Si diventa forti con le gambe o con la testa?

MATTEO: «Si diventa forte con entrambe, una cosa aiuta l’altra».

JONATHAN: «Avendo sia gambe che testa. Ci vuole molta testa per allenarsi e di conseguenza arriveranno anche le gambe».

Una cosa che hai imparato da tuo padre?

MATTEO: «Da mio padre la precisione nei dettagli e a dare sempre il massimo. Invece da mia madre ha imparato a cucinare».

JONATHAN: «La determinazione, cioè che comunque non bisogna mai aver paura di faticare, di rimboccarsi le maniche».

Due aggettivi per descrivere tuo fratello corridore?

MATTEO: «Io descriverei mio fratello come un grande passista veloce».

JONATHAN: «Determinato. Penso che determinato comprenda molte altre sue caratteristiche, quindi lo descriverei con una parola soltanto».

Sin da bambino la corsa dei sogni qual era?

MATTEO: «Sin da bambino la mia corsa dei sogni è sempre stata la Tirreno-Adriatico».

JONATHAN: «E’ sempre stata la Roubaix, ma adesso sinceramente sono molte. Però la Roubaix è una di quelle».

La prima volta che ti sei sentito orgoglioso di tuo fratello?

MATTEO: «Quando ha vinto il regionale in pista da juniores».

JONATHAN: «Ho sempre avuto orgoglio per mio fratello, qualsiasi obiettivo lui riuscisse a raggiungere. Quando si fissa una cosa e riesce a ottenerla con determinazione e impegno, questo è un orgoglio, perché vuol dire che ci sta mettendo del suo».

Siete sempre andati d’accordo?

MATTEO: «Tra noi c’è stata sempre una bella complicità. Ogni tanto è normale che litighiamo per stupidaggini, ma niente di che…».

JONATHAN: «Il nostro è un normalissimo rapporto fra fratelli. Ci sono volte in cui si discute, però mai discussioni accese. Magari i fraintendimenti ci stanno, ma abbiamo un bellissimo rapporto e sono contento di averlo».

Che cosa ti piace di Buja?

MATTEO: «Mi piace la posizione geografica, perché mi permette di passare da percorsi collinari a pianeggianti con facilità. E per quanto riguarda la popolazione, è molto presente sia quando si tratta di aiutare nel momento del bisogno, che quando c’è da festeggiare».

JONATHAN: «Mi piace la gente e mi piace soprattutto la città tranquilla. Ci si conosce più o meno tutti e mi piacciono le sue radici, la sua storia… Mi piace tutto di Buja, ecco!».

Che cosa è per te la fatica?

MATTEO: «Per me la fatica è uno stimolo a fare sempre meglio».

JONATHAN: «La fatica per me è quella soglia in cui iniziamo ad avvicinarci ai nostri limiti, che sono soprattutto mentali. Per me la fatica è questo».

Che cosa è per te la salita?

MATTEO: «La salita non è una discesa…».

JONATHAN: «La salita per me è fatica, in pratica avevo già risposto nella domanda precedente».

Che cos’è per te la cronometro?

MATTEO: «Per me la cronometro è una disciplina che… la lascio a mio fratello!».

JONATHAN: «In primis una gara contro te stesso. Poi ovvio, devi basarti su un tempo e sul tempo che ha fatto l’altro. E’ anche una gara contro gli altri, però in primis contro se stessi. Spingerti contro gli ostacoli mentali e fisici, quindi si torna al concetto di fatica».

Ti sei emozionato mai per una vittoria di tuo fratello?

MATTEO: «Sicuramente la vittoria che mi ha emozionato di più è stata quella alle Olimpiadi che finora è stata anche la più grande».

JONATHAN: «Mi emoziono un po’ quasi tutte le volte, però non glielo dico. E’ un segreto fra di noi…».

Tra i due fratelli ci sono tre anni di differenza e caratteristiche tecniche diverse (foto Instagram)
Tra i due fratelli ci sono tre anni di differenza e caratteristiche tecniche diverse (foto Instagram)
Una dote tecnica che lui ha e tu vorresti avere?

MATTEO: «Sicuramente la digestione veloce e boh… scherzo! La dote vera che vorrei avere la sua lucidità negli sprint».

JONATHAN: «E’ un ragazzo veloce, ma tiene molto bene anche sulle salite. In più sta iniziando a essere anche un bel passistone. A me piacerebbe tenere come lui nelle salite medio lunghe di 5/6 chilometri. Almeno fino a quest’anno è stato così, adesso farà il salto di categoria e si dovrà rivedere tutto, ma per me diventerà un ottimo corridore da classiche».

Una tua qualità che gli vorresti regalare?

MATTEO: «Saper cucinare!».

JONATHAN: «Non lo so, sinceramente è una domanda molto grande. Non lo so se ne ho… Sinceramente lo sprint un po’ più forte, ecco».

Piatto preferito?

MATTEO: «La pizza mozzarella di bufala e prosciutto».

JONATHAN: «Ce n’è più di uno. Il primo sono le lasagne e poi mettiamo dentro anche il tiramisù, sono veramente matto per questi due piatti!».

Salita preferita?

MATTEO: «La mia salita preferita è Porzus, vicino ad Attimis».

JONATHAN: «Attimis, ci vado spesso. Una salita famosa dove si allenano anche Fabbro e De Marchi, quindi molto frequentata dalle mie parti. Ma di solito (fra virgolette e fra parentesi) non ne faccio molta di salita, essendo un passistone…».

Sognate in giorno di correre insieme?

MATTEO: «Sicuramente correre assieme è uno dei nostri sogni e, perché no, anche tirargli una volata qualche volta».

JONATHAN: «Mi piacerebbe un sacco correre insieme nella stessa squadra e quindi, dai, è un sogno che spero si realizzerà».

Alessandro De Marchi, Andrea, Anna, Artegna, dicembre 2020

A casa del Rosso, padre, marito e ciclista

25.12.2020
6 min
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La dimora del Rosso non è più a Buja, ma dal giardino ne vedi il campanile. La famiglia De Marchi si è trasferita da pochi giorni nella casa nuova ad Artegna, in un campo su cui Stefania, amica e architetto di Udine, ha immaginato la struttura piena di finestre che la luce attraversa e scalda. Nel giardino in cui presto crescerà il prato, infagottato nella giacca a vento e gli stivali gialli, Andrea ha un gran da fare a spostare sassolini. Alessandro lo guarda e alza gli occhi al cielo, lasciando capire che è toccato a lui nei giorni scorsi sistemare il brecciolino lungo il perimetro. Anna spunta dietro il figlio, due anni il 2 novembre, con il sorriso più dolce e i capelli corti del colore degli occhi. Erano compagni alle elementari, poi si persero di vista. Di Alessandro ricorda che fosse un bambino davvero molto serio. Andrea ha lo stesso colore di capelli del padre, ma è una piccola furia.

Alessandro De Marchi, Artegna, dicembre 2020
Per il rosso, bici da allenamento Factor e ancora abbigliamento CCC fino al 31 dicembre
Alessandro De Marchi, Artegna, dicembre 2020
La nuova bici e la vecchia maglia, fino al 31 dicembre

Nuovi stimoli

Abbiamo bussato alla porta del Rosso in un giorno di fine dicembre. Il cielo è chiaro, la casa super luminosa. Il 2020 lo ha visto uscire di scena con un diavolo per capello per l’esclusione dal Giro. E adesso che le porte della Israel Start-Up Nation stanno per aprirsi, ripartire dalla giusta serenità sarà un utile esercizio.

«Sei anni nello stesso gruppo sono tanti – dice – un grosso pezzo della mia carriera. Già quando venne fuori che Bmc avrebbe chiuso, avevamo iniziato a pensare di cambiare aria. Poi arrivò la Ccc e decidemmo di restare. Però mi sono accorto che davo per scontate delle cose e la squadra ne dava per scontate altre. La routine può risultare utile, ma l’imprevedibilità porta nuovi stimoli. Per questo probabilmente avrò anche un diverso programma di corse».

Alessandro De Marchi, Artegna, dicembre 2020
Il numero rosso del Tour 2014, la combattività è il suo segno distintivo
Alessandro De Marchi, Artegna, dicembre 2020
Al Tour 2014 sul podio di Parigi con il numero rosso
Cosa si guarda nel cambiare squadra: solo i soldi o anche altro?

Dopo i 30 anni, l’aspetto economico diventa importante. Non mi voglio lamentare, ma in alcune occasioni ho acconsentito a fare un passo indietro. Però quello che ha fatto la differenza è che mi hanno cercato loro. Si sono rivolti a Raimondo Scimone, con cui lavoro dopo gli anni con Lombardi, mi pare a maggio, quando era già chiaro che la Ccc ci avrebbe mollato.

C’è Froome, c’è una nuova prospettiva di lavoro…

Ero scettico che lo avrebbero preso, invece hanno messo insieme delle belle prospettive. Non so se per me cambierà qualcosa, ma di fatto posso essere spalmato su più ruoli. Sarò di supporto, ma avrò il mio spazio. E anche questa è una sfida, subordinata a come starà Chris. Finora con il team ci sono stati pochi contatti. Telefonate con Karlstrom e Cozzi, che mi pare davvero una persona seria. Per ora le cose sono andate aventi in modo un po’ macchinoso, ma su questo sono abituato troppo bene dagli anni in Bmc.

Verità per Regeni

Il Rosso si è fatto una reputazione di sinistra, quasi che il colore dei capelli coincida con quello del cuore. Lui lo sa e dopo un po’ si scalda. E così, nonostante ci sia qualcuno come Roberto Bressan, tecnico ai tempi del Ct Friuli, che gli dice di non occuparsi di certi argomenti finché correrà, lui tira su la manica e mostra il braccialetto con cui si chiede la verità per Giulio Regeni.

«Su queste cose – dice – non arretro. Si identifica la giustizia per Regeni con un’appartenenza partitica, quando in realtà si tratta di una famiglia che chiede giustizia per il figlio. Io sono marito, padre e poi ciclista. E’ politica andare in bicicletta ed esporre un’opinione sull’ambiente, oppure partecipare al Consiglio comunale. I partiti sono un’altra cosa, in cui non mi trovo».

Alessandro De Marchi, Artegna, dicembre 2020
Zero traffico, strade in ottimo stato, pianura e montagne: c’è tutto per fare il corridore
Alessandro De Marchi, Artegna, dicembre 2020
Poco traffico e varietà di percorsi: il Rosso ha tutto
Certo però viene facile adesso punzecchiarti, vista la squadra in cui vai e quello che immaginiamo potresti pensare sulla condizione della Palestina…

Su questo argomento abbiamo scherzato con Trentin per tutto il Tour. Lui prendeva in giro me e io gli rispondevo che andrà con gli arabi e non potrà bere alcolici. Però sono ragionamenti troppo facili, non si può fare di tutta l’erba un fascio. Non vedo niente di oltraggioso nel fatto che una squadra voglia promuovere un Paese, che è ricchissimo di storia e cultura. Questo deve essere, a prescindere dalle mie convinzioni che mi tengo strette.

E’ vero che hai litigato con Matteo Fabbro per motivi politici?

Ci sono stati momenti in cui con Fabbro ho alzato la voce, richiamandolo al mestiere. Capita che esca con i ragazzi del Ct Friuli e capita che lo faccia anche lui. Una volta l’ho ripreso per l’uso del cellulare in bici, dicendogli che dobbiamo dare l’esempio e non va bene farsi i selfie mentre si pedala. Lui da quella volta ha chiuso i rapporti e mi dispiace. Ma mi viene da ridere che qualcuno vada in giro a dire che abbiamo discusso perché lui è di destra e io di sinistra.

Cambio della guardia

Ogni anno ha le sue sfide, ma nessuno avrebbe potuto immaginare che nel 2020 un’orda di ragazzini – animati dalla stessa furia con cui Andrea continua a lanciare la pallina contro la lampada – spazzasse ogni gerarchia dal ciclismo. Dove trovi la forza per controbattere sei hai già tante stagioni nelle gambe?

«Nel riaccendere ogni volta l’interruttore della testa – dice piano il Rosso – per rimettere in moto ogni cosa. Con gli anni devi esercitarti a selezionare gli obiettivi, imparando a capire cosa ti serve e su cosa devi concentrarti. Il fatto di avere un’età ti obbliga a scegliere».

Alessandro De Marchi, Anna, Andrea, cane Tennents, Artegna, dicembre 2020
E poi l’incontro con Anna, Andrea e la piccola Tennent’s, tributo alla birra preferita
Alessandro De Marchi, Andrea, cane Tennents, Artegna, dicembre 2020
Il figlio Andrea, la cagnetta Tennent’s, tributo alla birra
C’è da sentirsi vecchi a 30 anni?

Per la mentalità con cui siamo cresciuti noi, c’è stata una grossa accelerata. Difficilmente vedremo più atleti longevi come quelli di adesso. I tempi si accorciano. I corridori della mia generazione e quelli nati fino al 1990 potranno arrivare a una certa età, gli altri forse avranno una carriera distribuita diversamente.

Si anticipa tutto di 5 anni e il gioco è fatto?

Essere spremuti nelle categorie giovanili è ormai la regola del gioco. Lo vedo con i ragazzi del Ct Friuli, che pure è di quelli la lavora bene. Se non si adattano alla categoria, diventano elite e spariscono. Io sono passato a 25 anni, Ballan stessa storia. Non so quale sia la strada giusta.

Sei a tuo agio in questo frullatore?

Sta diventando difficile anche per me trovare un posto da occupare. E’ il nuovo stimolo, perché non si può pensare di cambiare il ciclismo. E la soddisfazione è ripartire per l’ennesima volta, avendo digerito tutti questi passaggi. La vita va avanti.

E la vita ora è anche una famiglia…

Un figlio aggiunge un elemento nella bussola che continua a girare. Ti condiziona tanto. Un cambiamento grosso, ma al netto di tutto, hai un sacco di soddisfazioni. Io fisicamente ero uguale a lui, ma forse ero più tranquillo. Ci sono foto mie alla sua età in cui fai fatica a riconoscerci.

Riesci a trovare il tempo per fare tutto?

Mi sveglio molto presto e faccio le mie cose, prima che lui cominci. Adesso sono in piena ripresa, sto attento a tavola perché sono sui 5 chili sopra. E’ difficile invertire la tendenza. Sto solo aspettando di sentire quel clic per cui il metabolismo si sbloccherà di colpo. Per adesso sto facendo ore in bici, ma piano. E invece della palestra ho spalato la ghiaia, portato scatoloni e bancali. Le prime due bottiglie che sono entrate nel frigo sono state due Leffe, ma sono ancora lì…

Olimpiadi e classiche, in arrivo De Marchi

10.11.2020
6 min
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Alessandro De Marchi è indaffarato tra scatoloni, mobili e scartoffie. Il “Rosso di Buja” ha comprato una nuova casa e in questi giorni più che un corridore è un addetto ai traslochi. Ma come sempre, quando c’è da fare il Dema non si tira indietro. Da buon friulano, l’ormai ex corridore della CCC Sprandi, si tira su le maniche e si tuffa corpo e anima nel suo lavoro.

Come va il trasloco?

Sto tentando di finire casa. Ci siamo quasi, ma alla fine manca sempre sempre qualcosa. Poi mia moglie si è anche infortunata, gira con le stampelle, e tutto va un po’ a rilento. La nuova abitazione è sempre in zona di Buja. 

De Marchi tra gli scatoloni di casa, in pieno trasloco
De Marchi tra gli scatoloni di casa
Partiamo da questa folle stagione. Come è andata?

Non come pensavo. Almeno non sempre. Fino ad agosto anche bene direi, poi al Tour le cose si sono complicate, è arrivata della “foschia” e fino alla fine è stata così. Questa cosa del Giro che mi ha visto tagliato fuori all’ultimo mi ha colpito parecchio e di fatto la mia stagione è finita lì. Sì, ho fatto le classiche, ma senza mordente.

Come hai reagito? Se ci si ferma presto l’inverno può diventare molto lungo…

Con tutte le cose in ballo non mi annoio! La storia del Giro è stata una grossa delusione. A giugno i programmi erano di fare questa doppietta Tour-Giro e contavo molto sulla corsa rosa, tutto era in sua funzione, mi ispirava. Al Tour è sorto qualche problemino, anche qui a casa, e con la mente non c’ero, ma continuavo a pensare che mi sarei rifatto al Giro. 

Dopo la terribile caduta dello scorso anno, questo è stato un anno di “rodaggio”?

Sì, c’era parecchia emotività su questa stagione proprio perché avevo finito l’anno precedente in quel modo. Le prime gare mi avevano dato fiducia. Ero contento di quel secondo posto nel campionato nazionale a crono. Era un buon segnale, potevo non essere una delle tante pecorelle del gruppo. 

Cosa avresti fatto al Giro?

Che bella corsa è stata. Avrei puntato alle tappe. Già nella prima settimana ce n’era più di qualcuna adatta alle fughe. Senza contare quelle due in Friuli, ci tenevo molto. C’erano tappe lunghe, adatte alle fughe… insomma l’ideale per me. Al Tour non è stato così. Si è corso con un tatticismo esagerato. Bisognava essere al 101 per cento, perché al 99 sarebbe stato un bel problema.

Adesso però è già tempo di ripresa…

Dovrei ripartire la prossima settimana. Sono molto autonomo, ormai so cosa e come devo fare. Dalla Israel Start-Up Nation non abbiamo ricevuto notizie in merito ad eventuali ritiri. Ci sono delle cause di forza maggiore. Teoricamente si prospetta un inverno tranquillo a casa e tutto sommato la cosa non mi dispiace. Riprenderò con tranquillità visto che i miei obiettivi sono più in là.

E quali sono?

I grandi Giri e l’Olimpiade. Tokyo era il mio grande obiettivo 2020. Ero concentrato su questo e spero di riprendere il discorso nel 2021.

Il friulano nella crono tricolore 2020, conclusa al secondo posto
Il friulano nella crono tricolore 2020
Continuerai a lavorare con il gruppo friulano o con i nuovi tecnici della Israel?

Siamo liberi, loro hanno solo chiesto di condividere ciò che facciamo. Io continuerò con il mio gruppo di lavoro, con Andrea Fusaz e il CTF Lab e anche con due persone esterne al mondo del ciclismo che mi seguono dall’anno scorso. Sono Mauro Berruto (ex tecnico della pallavolo) e Giuseppe Vercelli (psicologo dello sport). Con loro ho gettato le basi per un lavoro individualizzato.

Come sei arrivato a queste due figure?

Nel 2014, tramite Cassani durante un camp. Mauro è venuto a presentare un libro. Da lì siamo rimasti in contatto. Poi i rapporti si sono intensificati l’anno scorso dopo la mia caduta. Mauro è l’head-coach. Ha una capacità incredibile di gestire la parte atletica, quella mentale e coordinare ogni aspetto della preparazione. Per esempio lui e Giuseppe mi hanno visto approcciare una crono. Per me c’è un iter consolidato dalla ricognizione al riscaldamento che però non mi portava in gara con il mood giusto. Qualcosa che solo chi è fuori dal ciclismo può vedere.

Invece alla Israel come ci sei arrivato?

In realtà sono stati loro i primi a contattarmi. E il ruolo a cui puntavano era l’ideale per me. Cercavano un corridore da utilizzare in più situazioni. Se prendi Chris Froome hai nelle corse a tappe i tuoi maggiori obiettivi e io chiaramente devo stargli vicino. Però loro volevano anche un uomo per le classiche, il mio profilo era quello giusto. E questa cosa mi ha fatto piacere. Io non sono mai stato una cosa o l’altra, ma ho sempre ricoperto più ruoli.

Hai già parlato con Froome?

In realtà no, perché abbiamo fatto calendari diversi. Ci siamo incrociati alla Liegi, ma entrambi eravamo presi ognuno nelle proprie cose. Ho il suo numero, ma non lo ho ancora “disturbato”. Siamo una squadra nuova. Spero ci si possa incontrare prima di entrare nel vivo, altrimenti saranno problemi.

De Marchi in ammiraglia CTF
De Marchi in ammiraglia CTF
Cambiamo discorso. I ragazzi del CTF ti adorano. Li segui molto?

In realtà non così tanto. Diciamo che quando posso cerco di essere presente. Qualche settimana fa li ho seguiti in ammiraglia in corsa. Purtroppo però non ci sono tante occasioni.

E non uscite insieme?

Se vengono alla “casetta” (il ritiro del CTF, ndr) ci proviamo. Abbiamo una chat e cerchiamo di organizzarci. In passato quando non conoscevano bene le strade uscivamo di più, adesso sono autonomi. Per assurdo Milan che abita a 300 metri da me è quello con cui esco meno. Lui è molto preciso con i suoi allenamenti e non sempre riusciamo ad “incastrarci” se non per brevi tratti. Il CTF è una bella realtà e a volte a forze di associarla a me si rischia che si parli più di De Marchi che non del team. Adesso tocca a Fabbro, Aleotti, Milan, i fratelli Bais dare il giusto merito a questo team.

Dema in versione scalatore!
Dema in versione scalatore!
Nel tempo libero cosa fai?

Tempo cosa? Avrei voglia di fare mille cose ma davvero ce n’è poco. Però devo dire mi sono avvicinato all’arrampicata. Ho iniziato a giugno e ho fatto altre sedute la settimana scorsa. Mi appoggio a delle guide alpine. Mi piace perché sei lì, in bilico, solo con te stesso. Ti devi concentrare solo su quello che stai facendo. Solo quando sono tornato a casa mi sono reso conto di aver staccato per davvero. Per questo mi piace.

Prima ti abbiamo sentito parlare del Giro in modo davvero appassionato: cosa ti ha colpito della corsa rosa?

Che si è corso in un periodo diverso dal solito. Ci ha dato paesaggi, colori e profumi insoliti. E’ stata una sorpresa. Ed era una delle cose che mi attirava: correre in Italia in un periodo nuovo. Dallo Stelvio innevato ai colori della Sicilia.