Torna la Bordeaux-Parigi. I ricordi di Vicino e Tinazzi

20.07.2023
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La notizia è in qualche modo clamorosa e va in decisa controtendenza rispetto al ciclismo attuale: dal prossimo anno torna la Bordeaux-Parigi, ripristinata dopo la sua cancellazione che risale al 1988. Si tratta, per chi non lo sapesse, di una delle classiche storiche del ciclismo del secolo scorso, che si disputava solitamente in contemporanea con il Giro d’Italia e aveva caratteristiche uniche.

Innanzitutto la distanza, oltre 500 chilometri con partenza durante la notte per affrontarne quasi metà in gruppo, poi, dopo il punto di sosta, si ripartiva dietro derny, piccoli motocicli normalmente utilizzati su pista, per giocarsi la vittoria viaggiando a 70 all’ora. Una gara diversa da ogni altra, riservata a poche decine di corridori, che solitamente vedeva emergere francesi e altri ciclisti del centro Europa, anche grandi campioni, basti pensare a Hermann Van Springel, il belga grande specialista dello sprint nell’epoca di Merckx che alla Bordeaux-Parigi si esaltava, avendone vinte ben 7.

La partenza della prima edizione della Bordeaux-Parigi. Siamo nel 1891…
La partenza della prima edizione della Bordeaux-Parigi. Siamo nel 1891…

Partenza di notte e gara in gruppo

Una corsa particolare, che la federazione ciclistica francese ha deciso di riesumare anche per i professionisti dopo averla “sdoganata” per amatori e specialisti delle ultramaratone negli ultimi anni. Per capire di che cosa stiamo parlando è giusto però dare la parola a chi quella corsa l’ha disputata, ad esempio Bruno Vicino che l’ha corsa due volte.

«E’ una gara davvero speciale – ricorda Vicino – diversa da ogni altra. Ricordo che si partiva a mezzanotte e i primi 200 chilometri si facevano in bici, ma in pochi avevano il coraggio di dare battaglia già in quella parte del percorso, sapendo quel che c’era da affrontare. Si arrivava in un piccolo paesino e si faceva tappa in una palestra: ci si rifocillava, ci si cambiava, chi voleva riposava un po’. Poi si andava fuori il paese a cercare il proprio accompagnatore con il derny, si partiva insieme e ci si agganciava. Era quello un momento molto delicato, perché avvenuto l’aggancio si iniziava a prendere velocità per raggiungere i 60 chilometri orari di base e la corsa vera e propria iniziava a quel punto».

Vicino dietro il classico derny, con il quale ha vinto 3 titoli mondiali e 6 italiani su pista
Vicino dietro il classico derny, con il quale ha vinto 3 titoli mondiali e 6 italiani su pista

L’aggancio e il sorpasso

Una corsa molto diversa, più simile a quelle che si vedevano su pista: «Si puntava il corridore e si operava il sorpasso in maniera anche violenta per certi versi, nel senso che non si doveva lasciare spazio alle scie, quindi appena operato si andava via. Si cercava di mangiare qualcosa mantenendo sempre però la velocità di base, qualche piccolo panino o gel fatti per l’occasione. Non era una gara facile, si arrivava al traguardo completamente consumati: la prima volta che l’ho fatta ci ho messo tre giorni per riuscire a fare le scale di casa…».

Vicino ha disputato la gara due volte, finendo sempre a ridosso della Top 10: «Pagai la mancanza di esperienza rispetto ai corridori locali, ma era difficile sapersi gestire, anche trovare i momenti giusti per mangiare e non andare in crisi per mancanza di energie, cosa che capitava molto spesso».

Tinazzi impegnato nella Bordeaux-Parigi del 1982, vinta davanti ai connazionali Le Guilloux e Poisson
Tinazzi impegnato nella Bordeaux-Parigi del 1982, vinta davanti ai connazionali Le Guilloux e Poisson

Una marea di punti in palio

Le differenze rispetto a una gara odierna sarebbero molte: «Basti pensare alle bici: ora sono molto più leggere, anche i rapporti sono cambiati. Noi andavamo con il 53×13, il 12 non c’era ancora. Poi era importante avere una piena sintonia con l’allenatore davanti, che sapeva coprirti dal vento e permetterti di sviluppare velocità, che doveva saper tagliare le curve nella maniera giusta. Era però una gara molto sentita in Francia anche perché dava una marea di punti per le classifiche del tempo. Ricordo ad esempio che c’era il Superprestige Pernod e la Bordeaux-Parigi valeva quasi quanto il Giro…».

C’erano al tempo anche grandi campioni che la facevano, ad esempio Duclos Lassalle la vinse nel 1983, succedendo a Marcel Tinazzi, corridore di chiare origini italiane che da molti anni è tornato nella sua patria d’origine, a Montebelluna (TV) e che ricorda ancora bene quel trionfo: «Ma più che la mia vittoria – racconta – mi torna alla mente quel rumore di motorini a due tempi da 75 centimetri cubici che sentivi avvicinandoti alla zona di partenza dopo la sosta in palestra (eravamo a una trentina di chilometri da Poitiers) e quella nuvola bianca, che ti dava il chiaro riferimento di dove dovevi andare e cercare il tuo compagno d’avventura. Ci voleva un quarto d’ora per scaldare il motore e l’allenatore doveva farsi trovare pronto.

Hermann Van Springel, 7 volte primo, ma vincitore anche di un Lombardia e sul podio in tutti i grandi giri
Hermann Van Springel, 7 volte primo, ma vincitore anche di un Lombardia e sul podio in tutti i grandi giri

Anche i grandi, un giorno…

«Quel giorno avevamo trovato pioggia per tutta la notte – continua Tinazzi – io mi ero ritrovato davanti con altri 3-4 corridori dopo la frazione in linea e si tenga presente che con i derny si ripartiva tenendo conto dei distacchi della prima parte di gara. Ricordo il mio diesse che non faceva altro che dirmi di aspettare, ma io fremevo e volevo portarmi avanti. Su un tratto di discesa accelerai superando i 70 all’ora e vidi il leader, Maurice Le Guilloux che era stato terzo l’anno prima ed era uno dei più fidati gregari di Hinault. Arrivai a 50 metri da lui e aspettai, mangiai in un tratto di falsopiano. Poi lo superai e andai via ma dopo una decina di chilometri andai in crisi, solo che anche lui e gli altri lo erano… Tenni un vantaggio intorno al minuto fino alla fine, ma arrivammo letteralmente cotti…».

Ha senso riprendere una corsa simile nel ciclismo attuale? «Io penso di sì, in fin dei conti nell’albo d’oro ci sono campioni come Anquetil e Simpson, era una corsa ambitissima, per molti di allora al livello di una Roubaix e se la Roubaix ha senso con il suo pavé, perché non può averlo la corsa dietro derny? Molti corridori la farebbero, considerando che più di una quarantina non potrebbero essere ammessi, molti appartenenti alle squadre WorldTour dotati di fondo e per una volta liberi dai compiti di gregariato. Poi magari, col passare del tempo, sono convinto che anche qualche grosso nome vorrebbe provarci, anche solo per capire di che si tratta…».

Bruno Vicino campione del mondo in pista

Vicino chiama Dagnoni: «Rilancia gli stayer…»

26.02.2021
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Con l’arrivo di Cordiano Dagnoni alla guida della Fci, conoscendo il suo passato di stayer, molti sperano che la specialità del ciclismo dietro motori abbia un sussulto. Una volta le gare dietro moto riempivano le tribune delle piste, poi sono andate lentamente scomparendo ed è quasi un miracolo che sia stato tenuto in piedi il Campionato d’Europa, disputato per l’ultima volta a Pordenone nel 2019 e vinto dal tedesco Burkart e dalla nostra Marta Cavalli. Guardando l’albo d’oro si scopre che la specialità continua ad avere interpreti di un certo peso, basti guardare alle vittorie di Viviani nel 2013, il danese Morkov l’anno successivo e, andando un po’ indietro nel tempo, il vincitore del Tour Bradley Wiggins nel 2003.

A Natale c’era il pienone

Chi ha legato la sua storia ciclistica al mondo degli stayer è Bruno Vicino, attualmente nello staff dirigenziale dell’UAE Team Emirates, che ripensando al suo passato non nasconde tanta nostalgia: «E’ un vero peccato che questo patrimonio sia stato lasciato andare: ricordo ad esempio le fantastiche giornate di Natale a Dortmund. Il giorno della festa si pranzava al velodromo e al pomeriggio i campioni della specialità davano spettacolo su pista davanti a molte migliaia di spettatori. Sembrava di essere allo stadio, tanto era il tifo… In Italia era una specialità poco conosciuta, eppure eravamo tra i più forti al mondo».

Bruno Vicino campione del mondo
Bruno Vicino sul gradino più alto del podio al Campionato del mondo di Zurigo 1983
Bruno vicino campione del mondo
Bruno Vicino vittorioso al Campionato del mondo di Zurigo 1983

La fine delle Sei Giorni

A che cosa si deve il suo declino?

Le ragioni possono essere tante, certamente molto ha influito un certo abbandono della pista e soprattutto il tramonto delle 6 Giorni, che in Europa riempivano i velodromi di tutte le principali città. Io poi credo anche che ci sia stato un certo disinteresse da parte dei Paesi dell’Est europeo, che a livello di politica sportiva nel nostro ambiente hanno sempre avuto molto peso.

Vicino con maglia della nazionale
Bruno Vicino in azione con la maglia azzurra ai Campionati del mondo di Barcellona 1984
Vicino con maglia della nazionale
Bruno Vicino in azione ai mondiali di Barcellona 1984
L’andare dietro motori, nell’ambito dell’allenamento, ha ancora un senso?

Certamente, moltissimo. E’ lo strumento migliore per preparare il ritmo di agilità. Una sbagliata percezione della specialità ad esempio fa credere che emergano soprattutto i velocisti, invece è ideale per i passisti, perché si va di regola sui 72-73 km orari, le gambe frullano sempre sullo stesso ritmo e lo stesso rapporto. E’ ideale ad esempio per chi prepara le cronometro, oppure per chi va forte nei circuiti. Io ad esempio grazie agli stayer avevo preso l’abitudine di rilanciare l’azione dopo le curve scattando da seduto, mantenendo la posizione e riducendo lo sforzo.

Bruno Vicino con medaglia argento
Bruno Vicino è argento ai mondiali di Brno 1981 con il vincitore Rene Kos e Wilfried Peffgen
Bruno Vicino con medaglia argento
Bruno Vicino, a sinistra, con la medaglia d’argento ai mondiali di Brno 1981

Si corre in due

Che cosa serve per emergere tra gli stayer?

Il fattore principale, che non deve essere mai dimenticato, è che la gara la si fa in due, chi guida la moto e chi la bici. Tra i due ci deve essere feeling, un buon corridore senza un buon pilota non vincerà mai. Sono come due teste che devono ragionare all’unisono per emergere, capire quando accelerare, quando mantenere il ritmo e così via.

Allenarsi dietro moto ha ancora un senso?

Altroché… E’ ideale per dare il ritmo nelle pedalate, per fare riscaldamento e sciogliere i muscoli, prima di una crono la consiglio sempre anche ai ragazzi del team, anche meglio dei rulli. E’ chiaro che anche in allenamento serve un certo accordo tra i due mezzi, anche perché su strada ci sono avvallamenti e soprattutto le auto, serve massima attenzione, ma la sua utilità è innegabile.

Dietro motore in pista
Il tedesco Wilfried Peffgen e Bruno Vicino, in basso, ai mondiali di Besancon 1980
Bruno Vicino con De Lillo ai mondiali di Besancon 1980
Bruno Vicino ai mondiali di Besancon 1980

Pianura e niente fisso

Quali percorsi sono più adatti?

Bisogna cercare i tracciati più pianeggianti possibile, proprio perché quel che va allenato è il ritmo di pedalata. Un errore da non fare è utilizzare per gli allenamenti su strada dietro motori bici a scatto fisso, che vanno benissimo su pista ma all’aperto serve sempre avere la possibilità di cambiare e soprattutto frenare.

Oggi Bruno Vicino è nello staff della UAE Team Emirates
Oggi Bruno Vicino è nello staff della UAE Team Emirates
Oggi Bruno Vicino è nello staff della UAE Team Emirates
Oggi Bruno Vicino è nello staff della UAE Team Emirates

La pista è più sicura

Con l’arrivo di Dagnoni, che cosa ti aspetti per il tuo antico amore?

Ci unisce la stessa passione, il presidente sa bene quale spettacolo questa specialità sa regalare, spero tanto che riprenda vigore sia in Italia che in Europa, ricordiamoci sempre che andare su pista è molto meno pericoloso che su strada quindi può essere un grande richiamo per i ragazzi e si sa che il rombo dei motori piace sempre…