La notizia è in qualche modo clamorosa e va in decisa controtendenza rispetto al ciclismo attuale: dal prossimo anno torna la Bordeaux-Parigi, ripristinata dopo la sua cancellazione che risale al 1988. Si tratta, per chi non lo sapesse, di una delle classiche storiche del ciclismo del secolo scorso, che si disputava solitamente in contemporanea con il Giro d’Italia e aveva caratteristiche uniche.
Innanzitutto la distanza, oltre 500 chilometri con partenza durante la notte per affrontarne quasi metà in gruppo, poi, dopo il punto di sosta, si ripartiva dietro derny, piccoli motocicli normalmente utilizzati su pista, per giocarsi la vittoria viaggiando a 70 all’ora. Una gara diversa da ogni altra, riservata a poche decine di corridori, che solitamente vedeva emergere francesi e altri ciclisti del centro Europa, anche grandi campioni, basti pensare a Hermann Van Springel, il belga grande specialista dello sprint nell’epoca di Merckx che alla Bordeaux-Parigi si esaltava, avendone vinte ben 7.
Partenza di notte e gara in gruppo
Una corsa particolare, che la federazione ciclistica francese ha deciso di riesumare anche per i professionisti dopo averla “sdoganata” per amatori e specialisti delle ultramaratone negli ultimi anni. Per capire di che cosa stiamo parlando è giusto però dare la parola a chi quella corsa l’ha disputata, ad esempio Bruno Vicino che l’ha corsa due volte.
«E’ una gara davvero speciale – ricorda Vicino – diversa da ogni altra. Ricordo che si partiva a mezzanotte e i primi 200 chilometri si facevano in bici, ma in pochi avevano il coraggio di dare battaglia già in quella parte del percorso, sapendo quel che c’era da affrontare. Si arrivava in un piccolo paesino e si faceva tappa in una palestra: ci si rifocillava, ci si cambiava, chi voleva riposava un po’. Poi si andava fuori il paese a cercare il proprio accompagnatore con il derny, si partiva insieme e ci si agganciava. Era quello un momento molto delicato, perché avvenuto l’aggancio si iniziava a prendere velocità per raggiungere i 60 chilometri orari di base e la corsa vera e propria iniziava a quel punto».
L’aggancio e il sorpasso
Una corsa molto diversa, più simile a quelle che si vedevano su pista: «Si puntava il corridore e si operava il sorpasso in maniera anche violenta per certi versi, nel senso che non si doveva lasciare spazio alle scie, quindi appena operato si andava via. Si cercava di mangiare qualcosa mantenendo sempre però la velocità di base, qualche piccolo panino o gel fatti per l’occasione. Non era una gara facile, si arrivava al traguardo completamente consumati: la prima volta che l’ho fatta ci ho messo tre giorni per riuscire a fare le scale di casa…».
Vicino ha disputato la gara due volte, finendo sempre a ridosso della Top 10: «Pagai la mancanza di esperienza rispetto ai corridori locali, ma era difficile sapersi gestire, anche trovare i momenti giusti per mangiare e non andare in crisi per mancanza di energie, cosa che capitava molto spesso».
Una marea di punti in palio
Le differenze rispetto a una gara odierna sarebbero molte: «Basti pensare alle bici: ora sono molto più leggere, anche i rapporti sono cambiati. Noi andavamo con il 53×13, il 12 non c’era ancora. Poi era importante avere una piena sintonia con l’allenatore davanti, che sapeva coprirti dal vento e permetterti di sviluppare velocità, che doveva saper tagliare le curve nella maniera giusta. Era però una gara molto sentita in Francia anche perché dava una marea di punti per le classifiche del tempo. Ricordo ad esempio che c’era il Superprestige Pernod e la Bordeaux-Parigi valeva quasi quanto il Giro…».
C’erano al tempo anche grandi campioni che la facevano, ad esempio Duclos Lassalle la vinse nel 1983, succedendo a Marcel Tinazzi, corridore di chiare origini italiane che da molti anni è tornato nella sua patria d’origine, a Montebelluna (TV) e che ricorda ancora bene quel trionfo: «Ma più che la mia vittoria – racconta – mi torna alla mente quel rumore di motorini a due tempi da 75 centimetri cubici che sentivi avvicinandoti alla zona di partenza dopo la sosta in palestra (eravamo a una trentina di chilometri da Poitiers) e quella nuvola bianca, che ti dava il chiaro riferimento di dove dovevi andare e cercare il tuo compagno d’avventura. Ci voleva un quarto d’ora per scaldare il motore e l’allenatore doveva farsi trovare pronto.
Anche i grandi, un giorno…
«Quel giorno avevamo trovato pioggia per tutta la notte – continua Tinazzi – io mi ero ritrovato davanti con altri 3-4 corridori dopo la frazione in linea e si tenga presente che con i derny si ripartiva tenendo conto dei distacchi della prima parte di gara. Ricordo il mio diesse che non faceva altro che dirmi di aspettare, ma io fremevo e volevo portarmi avanti. Su un tratto di discesa accelerai superando i 70 all’ora e vidi il leader, Maurice Le Guilloux che era stato terzo l’anno prima ed era uno dei più fidati gregari di Hinault. Arrivai a 50 metri da lui e aspettai, mangiai in un tratto di falsopiano. Poi lo superai e andai via ma dopo una decina di chilometri andai in crisi, solo che anche lui e gli altri lo erano… Tenni un vantaggio intorno al minuto fino alla fine, ma arrivammo letteralmente cotti…».
Ha senso riprendere una corsa simile nel ciclismo attuale? «Io penso di sì, in fin dei conti nell’albo d’oro ci sono campioni come Anquetil e Simpson, era una corsa ambitissima, per molti di allora al livello di una Roubaix e se la Roubaix ha senso con il suo pavé, perché non può averlo la corsa dietro derny? Molti corridori la farebbero, considerando che più di una quarantina non potrebbero essere ammessi, molti appartenenti alle squadre WorldTour dotati di fondo e per una volta liberi dai compiti di gregariato. Poi magari, col passare del tempo, sono convinto che anche qualche grosso nome vorrebbe provarci, anche solo per capire di che si tratta…».