Il nuovo cittì del Belgio. Pauwels e l’incarico arrivato in anticipo

04.02.2025
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E’ un’eredità difficile quella che Serge Pauwels (nella foto di apertura Instagram/Photonewsbelgium) ha accettato. Dopo una lunga carriera da corridore, chiusa nel 2021 dopo essere stato per anni una colonna del Team Sky, a poco più di 40 anni Pauwels sale sull’ammiraglia della nazionale belga raccogliendo l’eredità di Sven Vanthourenhout reduce da un quadriennio culminato con il risultato più grande possibile, la doppietta di ori ai Giochi Olimpici.

Van Aert e Evenepoel, i loro successi hanno avuto un notevole effetto traino sulle giovani generazioni
Van Aert e Evenepoel, i loro successi hanno avuto un notevole effetto traino sulle giovani generazioni

Un fardello pesante per Pauwels, da molti visto come ancora giovane e forse troppo inesperto per guidare una macchina complessa come quella della nazionale belga, ma l’uomo di Lier non è tipo da spaventarsi, ancor meno da tirarsi indietro di fronte alle responsabilità.

Quanto è difficile gestire una nazionale come quella belga?

Beh, è una bella sfida. Gli standard nelle squadre su strada sono molto alti e come federazione vuoi davvero essere all’altezza di quegli standard. Non essere da meno di un team del WT. Quindi essere all’avanguardia nel campo della nutrizione, della meccanica, la logistica. Ma soprattutto lavorare sul gruppo, pur avendolo a disposizione per pochissimo tempo e con gente abituata a corrersi contro giorno dopo giorno. Devi mettere corridori che sono leader nelle loro squadre a confronto, in coabitazione. Far loro accettare anche un ruolo di supporto. E’ un grande puzzle, ma è molto impegnativo da realizzare.

Il neo cittì insieme ad Angelo De Clercq che raccoglie la sua eredità fra gli juniores
Il neo cittì era già nei quadri della federazione belga, gestendo gli juniores
Sei all’inizio della tua avventura, che situazione trovi?

Molto buona, abbiamo una generazione molto forte. Non è un caso, dietro i campioni abbiamo ora una filiera di talenti, ci sono molti giovani che sono davvero promettenti, ma sono al loro inizio, vanno seguiti. E’ bello poter lavorare con questi campioni e provare a lottare per la vittoria nei grandi eventi. Ma per farlo questi corridori andranno seguiti e accompagnati, anch’io nel mio ruolo conto di farlo, non solo nei campionati ma anche nelle occasioni che la stagione presenta.

A tuo giudizio, quanto i risultati di Van Aert prima ed Evenepoel poi stanno influendo sulle giovani generazioni?

Oh, non possiamo sottovalutare il loro ruolo di modelli per i più giovani. Io credo che molti dei giovani emergenti siano ispirati da Remco, dalla sua affermazione repentina. Sta influendo anche sul tipo di corridori: 10 anni fa non avevamo specialisti di corse a tappe, puntavamo solo sulle classiche, ora i suoi successi stanno cambiando tutto, vediamo uno spostamento verso i grandi giri, le classifiche generali. E i corridori in grado di emergere si moltiplicano sempre di più.

Su Alec Segaert, Pauwels è pronto a scommettere dopo averlo avuto nelle file nazionali da junior
Su Alec Segaert, Pauwels è pronto a scommettere dopo averlo avuto nelle file nazionali da junior
Tu hai avuto una lunga carriera con molti risultati importanti. Quando hai iniziato fra i professionisti, era un ciclismo diverso da quello che i giovani trovano oggi?

Certo, Oggi c’è molta più trasparenza e cura nel modo in cui i professionisti si allenano e mangiano perché tutto è messo in mostra, su Strava o sui social media. Ciò significa che quelle informazioni sono in un certo senso disponibili per i giovani ciclisti che cercano di copiare già in giovane età. Questo porta a una maggiore professionalità, forse anche precoce. Noi tutto ciò non l’avevamo, ci affidavamo ai direttori sportivi. Infatti oggi la categoria degli juniores sta già diventando anche più importante degli under 23, a 20 anni sei già un corridore formato.

I mondiali in Rwanda quali difficoltà comporterebbero, sei favorevole al loro spostamento?

La situazione politica lì è molto complicata, ma io di base non sono favorevole. Perché penso che sia un’ottima occasione per allargare gli orizzonti. Ho in programma di andare in Rwanda il mese prossimo per un sopralluogo se la situazione lo consentirà. Io posso parlare dal punto di vista ciclistico e penso che sarà una corsa super dura per tre fattori di stress. Il primo è l’altitudine, perché si pedala sempre sopra i 1.400 metri. Poi il caldo, siamo sempre tra i 25-30 gradi, infine l’umidità che è piuttosto alta. Tutto ciò unito alla distanza, si farà sentire. Vedremo quel che succederà.

I successi della Kopecky nascondono una situazione del ciclismo femminile belga ancora difficile ma in evoluzione
I successi della Kopecky nascondono una situazione del ciclismo femminile belga ancora difficile ma in evoluzione
Molte nazionali però, se i mondiali restano in Africa, pensano di rinunciare alle categorie giovanili, come successe nel 2020 per il covid. Sarebbe un danno, per l’evoluzione dei giovani?

In un certo senso sì, sarebbe un po’ triste. E’ chiaro che la trasferta è molto costosa e per molti non è possibile sostenerla. Non c’è niente che la federazione possa fare da sola. Noi facciamo affidamento anche sul supporto del governo, degli sponsor e non è così facile sostenere una spedizione che può costare dai 150 mila euro in su. E’ un fattore sul quale ragionare.

Perché c’è così grande disparità fra uomini e donne in Belgio, con poche atlete d’elite dietro la Kopecky?

Lei sta facendo tantissimo con il suo esempio, è un po’ l’effetto di Evenepoel al femminile. Bisogna aspettare che il movimento cresca e dietro di lei ne emergano altre. Ci sono alcune giovani promettenti, come Lore de Schepper. Poi è chiaro che Lotte è la numero 1 in assoluto, un talento così non nasce spesso. Ma lei è anche un’ispirazione per tante ragazze, per provare a seguire le sue orme, i suoi effetti si vedranno negli anni a venire.

La tappa di Faenza al Giro 2009, vinta da Pauwels dopo la squalifica di Bertagnolli (foto Getty Images)
La tappa di Faenza al Giro 2009, vinta da Pauwels dopo la squalifica di Bertagnolli (foto Getty Images)
Quando hai chiuso la tua carriera, ti saresti mai aspettato di arrivare alla guida della nazionale?

Beh, forse non subito, ma quando ho potuto entrare in federazione, curare prima la fascia di sviluppo e poi l’anno scorso come responsabile degli juniores, avevo l’ambizione di arrivare a questo incarico. E naturalmente, i giovani corridori con cui ho lavorato nel mio primo anno ora sono tutti professionisti, come Segaert. Forse è arrivato un po’ prima di quanto pensassi, ma è sempre stata la mia ambizione. Ora sono lì, in quella posizione e sono, ovviamente, super felice e orgoglioso di potermi mettere alla prova.

Se torni indietro nel tempo, qual è stato il tuo momento più bello da corridore?

Difficile a dirsi, ma se dovessi scegliere propenderei per la tappa al Giro d’Italia del 2009. Mi stavo scoprendo come corridore, mi sentivo molto forte allora. Poi nel 2015, il Tour de France corso con la MTN Qhubeka, oppure la partecipazione alle Olimpiadi di Rio nel 2016. Porto con me tanti bei ricordi, difficile sceglierne uno, ognuno è un pezzetto di quel che sono.

Ballerini fa rotta verso il Nord, con Bettiol come alleato

05.01.2025
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La rivoluzione in casa Astana Qazaqstan Team (dal primo gennaio diventata XDS Astana Team) ha portato tante novità sia per la rosa che per lo staff. La ventata di aria fresca ha soffiato forte sulla ex formazione kazaka, ora diventata di impronta cinese. Al centro del progetto sono arrivati tanti corridori italiani, dagli esperti Ulissi e Bettiol fino ad arrivare ai giovani in rampa di lancio. Davide Ballerini è uno degli uomini al centro del progetto, arrivato già lo scorso anno con l’intento di fare bene sul pavé. Un problema al ginocchio gli aveva precluso la campagna del Nord. Al termine di una stagione tribolata facciamo un punto con il valtellinese, per vedere come sta e capire le sue mosse in vista della nuova stagione. 

«Tra pochi giorni, il 6 gennaio – dice Ballerini – ripartiremo con la squadra per Calpe, sarà il secondo ritiro stagionale. Il primo è stato a dicembre, siamo stati una quindicina di giorni ed è andato bene. Sicuramente c’erano temperature migliori rispetto a casa, anche se non era caldissimo».

Ballerini (a destra) con la maglia della XDS Astana Team il giorno della presentazione della squadra per il 2025
Ballerini (a destra) con la maglia della XDS Astana Team il giorno della presentazione della squadra per il 2025

Grandi cambiamenti

La situazione della XDS Astana Team non è delle migliori in vista della stagione 2025, la squadra è all’ultimo posto della classifica WorldTour per quanto riguarda il triennio 2023-2025. Il rischio retrocessione è alto, anche se per ora nulla è compromesso. Tutti, però, sono consapevoli di dover fare la loro parte per raccogliere punti e salvaguardare lo status di formazione WorldTour. 

«Stanno cambiando tante cose – continua a raccontare Ballerini – sia per quanto riguarda lo staff sia per i corridori. Non sarà facile trovare il ritmo giusto fin da subito ma stiamo lavorando per farlo. Ognuno deve fare la propria parte e io sono pronto a mettermi nuovamente in gioco dopo un 2024 difficile. Il problema al ginocchio riscontrato lo scorso inverno è alle spalle, anche se devo ancora tenerlo sotto controllo».

Ogni due settimane Ballerini si sottopone a test e controlli per capire lo stato di salute del ginocchio
Ogni due settimane Ballerini si sottopone a test e controlli per capire lo stato di salute del ginocchio
Come procedono le cure?

Il problema è stato sistemato, chiaramente il dolore non è sparito da un momento all’altro ma è andato via gradualmente. La vera sfida è stata a livello mentale perché un dolore cronico poi arrivi a sentirlo quasi sempre, anche quando piano piano sta andando via.  In questi giorni sono sempre sotto osservazione per contrastarlo. 

Cosa stai facendo in particolare?

Curo bene la parte dei lavori in palestra, per non sovraccaricarlo o per evitare di lavorare male. Ogni due settimane faccio un test di rehability così da vedere se il muscolo lavora bene. Non penso di smettere a breve, questa fase di monitoraggio è importante. Meglio andare a fare dei test ogni due settimane piuttosto che smettere e ritrovarmi punto e a capo. 

Uno dei principali obiettivi del 2024 era supportare Cavendish nel raggiungere il record di tappe vinte al Tour de France
Uno dei principali obiettivi del 2024 era supportare Cavendish nel raggiungere il record di tappe vinte al Tour de France
Nella stagione scorsa hai corso tanto, ma concentrando gli sforzi in pochi mesi.

Sono riuscito a mettere insieme 70 giorni di corsa, che non è male, tutti tra aprile e ottobre. Chiaramente ho fatto fatica a trovare un picco di forma costante, visto che mi mancava tutta la parte del fondo. Cosa che in questo inverno sto curando molto. Diciamo che in linea di massima i principali obiettivi del 2024 sono stati raggiunti. 

Qual è stata la parte più complicata?

Direi quella mentale, comunque in condizione prima o poi ci arrivi ma non riesci a mantenerla per tanto tempo. Uno dei momenti in cui mi sono sentito meglio è stato al Giro, appena rientrato. Lì la freschezza fisica mi ha dato una mano nel momento in cui mi mancava un po’ di condizione. 

Nonostante il problema fisico di inizio anno Ballerini ha messo insieme 70 giorni di corsa
Nonostante il problema fisico di inizio anno Ballerini ha messo insieme 70 giorni di corsa
Ora sei ripartito con in testa sempre le gare sul pavé, nelle quali avrai un nuovo alleato: Bettiol.

Sì. Siamo stati insieme in Belgio a inizio dicembre per fare un po’ di test con i vari materiali. L’arrivo di Bettiol è un innesto importante, come quelli di altri corridori. Non sembra ma avere tre o quattro compagni in più è un bell’aiuto. Magari non sono grandi nomi come Van Der Poel o Van Aert, ma essere in tanti ci consente di essere sempre presenti. 

Come ti sei trovato con lui?

Bene. Siamo stati compagni di stanza nel ritiro di dicembre. Ora lui è partito per l’Australia visto che inizierà a correre al Tour Down Under. Avere accanto una figura come la sua è importante. Senti di avere un buon sostegno. 

Uno dei risultati migliori in stagione è arrivato alla Alfasun Gooikse Pijl p/b Lotto, chiusa al nono posto
Uno dei risultati migliori in stagione è arrivato alla Alfasun Gooikse Pijl p/b Lotto, chiusa al nono posto
Vi siete già parlati?

Lo conoscevo ma non così bene, i giorni insieme in Spagna sono serviti proprio a questo. Abbiamo correnti di pensiero differenti per quanto riguarda lo sviluppo delle gare e questo può essere un vantaggio. Non ci muoveremo negli stessi punti o comunque avremo due visioni diverse. In questo modo la squadra potrà essere sempre presente. 

Tu da quali corse partirai? 

Da Gran Premio Castellon e dalla Valenciana. Poi andrò in ritiro sul Teide per arrivare pronto alle prime gare in Belgio: Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne-Brussel-Kuurne. Salterò il periodo della Tirreno per andare ancora in ritiro e poi farò Sanremo e tutta la stagione delle Classiche e semi classiche. 

Dopo l’anno più bello, Affini riparte sulle stradine del Nord

04.12.2024
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Edoardo Affini risponde dalla sua auto mentre si trova in Olanda ed è in viaggio verso il magazzino della Visma Lease a Bike. E’ arrivato il tempo delle visite mediche per ottenere l’idoneità sportiva. Il ragazzone che ha stupito tutti nel finale di stagione con due prove superbe a cronometro all’europeo e poi al mondiale riallaccia il filo in vista della nuova stagione. I ricordi di questa seconda parte di anno, però, rimangono vivi. D’altronde le due maglie di campione europeo nelle prove contro il tempo non si scordano facilmente. Se a questo poi ci aggiungi un terzo posto al mondiale di Zurigo, sempre a cronometro, allora è facile capire che il morale sia già alto. 

Cambio di vita

Il mantovano da pochi mesi si è trasferito definitivamente in Olanda, trovando casa a pochi metri dalla cittadina dove viveva la sua compagna. Una vita diversa, lassù non troppo lontano dalla sede centrale del team. 

«Ufficialmente – dice – viviamo nella nuova casa da fine maggio. Solamente che da quel periodo a fine stagione me la sono goduta poco. Ho fatto spesso avanti e indietro, ma ci sarò rimasto un mesetto scarso in totale. Ora, con le vacanze di fine anno, me la sono goduta di più. La decisione di venire a vivere in Olanda deriva dal fatto che la mia ragazza lavora qui e dal punto di vista sociale e culturale chiederle di venire in Italia non mi sembrava una grande idea. Ne abbiamo parlato tanto e alla fine siamo arrivati alla conclusione che trasferirmi qui avrebbe fatto al caso nostro».

Dieci giorni dopo l’europeo, a Zurigo è arrivata anche la medaglia di bronzo dietro Evenepoel e Ganna
Dieci giorni dopo l’europeo, a Zurigo è arrivata anche la medaglia di bronzo dietro Evenepoel e Ganna

Ritrovare la condizione

Fermarsi in un momento del genere sembra sempre un peccato, ma la stagione termina e il riposo è necessario per ripartire. Affini questo lo sa bene quindi, nonostante la gamba fosse una delle migliori della carriera, ha riposato e ora pensa già ai primi impegni. 

«Come tutti gli anni – spiega – sono ripartito con un po’ di movimento vario: palestra, corsa a piedi e poi bici. Con il passare dei giorni i lavori sono diventati sempre più seri, anche se è ancora presto per caricare, quello lo faremo al primo ritiro del team, settimana prossima. Per il momento ho fatto poca roba, qualche sprint e accelerazione, ma mai al massimo. Ho messo insieme sempre più ore, magari prima del ritiro farò un’uscita lunga giusto per finire di gettare le basi».

«Fermarsi – riprende Affini – dopo l’ultimo periodo è stato quasi un peccato, anche perché per ritrovare la stessa condizione ci sarà da dannarsi. Però questo stacco da un lato è servito per consolidare le emozioni. Devo ammettere che ho trovato una certa carica nel ripartire, non ne ho mai avuto bisogno ma dà uno stimolo in più. Nonostante mi dispiacesse fermarmi, mi sono comunque concentrato sul riposo e il recupero. Ho chiuso la bici a chiave e non l’ho toccata».

Gioie consolidate

Il ventottenne, che dal 2021 veste la maglia della Visma Lease a Bike, ha conquistato due risultati di grande prestigio. La maglia di campione europeo, che potrà indossare con orgoglio nel 2025, è un risultato che premia una carriera lunga e ancora da vivere. Se a questo poi si aggiunge il terzo posto di Zurigo è facile capire che il 2024 di Affini è culminato in una gioia immensa. 

«Quello che mi è rimasto dall’ultimo periodo – riflette – sono sicuramente i risultati. A questi però si affianca la gioia di averli condivisi con la mia famiglia, con la mia compagna e anche i suoi genitori. E’ bello fare una cosa del genere, come all’europeo, e averli lì per condividere il tutto nella vita reale. Dal telefono di certo non manca l’entusiasmo, ma viverlo è un’altra cosa. Anche al mondiale erano presenti i miei genitori. Salire sul podio e vederli in mezzo alla folla è stato un orgoglio e un piacere immensi».

Di nuovo insieme

Nei giorni scorsi i ragazzi della Visma hanno pedalato di nuovo insieme, sulle strade del Belgio. Tra strappi e pavé si sono rivisti tanti corridori, tra loro è spuntato anche Wout Van Aert. Il belga rimasto coinvolto in una caduta alla Vuelta è risalito in sella da poco. La domanda che tutti si pongono è se riuscirà a tornare in forma in vista dell’inizio del 2025

«Il nostro – ci racconta Affini – è un ritrovo che facciamo ogni anno. Partecipa il gruppo delle classiche, una rosa allargata. Facciamo dei test sui materiali e i ragazzi nuovi prendono confidenza con mezzi e attrezzature. Le strade su cui abbiamo pedalato sono quelle della Roubaix e del Fiandre. Il tutto fatto a ritmi tranquilli, ma è sempre un bene rinfrescarsi la memoria.

«Wout (Van Aert, ndr) – conclude Affini – dopo la Vuelta si è ripreso abbastanza bene. Sembra sia in pieno recupero, non ci sono stati problemi troppo grandi o permanenti. Certamente un infortunio al ginocchio chiede tempo per essere assorbito al meglio. Ora vedrà che fare con il ciclocross, è chiaro che nella corsa qualche dolorino in più lo abbia sentito. Le vibrazioni dovute all’impatto con il terreno sono diverse dalla sollecitazione della bici. Ma so che ha ripreso anche a correre, costruendo il tutto dalla base con l’obiettivo di tornare ai ritmi usuali. Personalmente l’ho visto come sempre, senza pensieri particolari».

Casasola, il cross e le scelte necessarie: smettere o continuare?

13.11.2024
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In Belgio ci sono dieci gradi, come in Friuli. Ogni tanto piove e questo ha portato fango sui sentieri. Domenica a Niel ne hanno preso tanto, sorride Sara Casasola, arrivata quarta nel Superprestige vinto da Ceylin Alvarado (foto Instagram in apertura). Siamo di nuovo alla sua porta, avendo già parlato con lei pochi giorni fa della nuova squadra, per cercare di capire l’approccio degli atleti italiani al cross. Quando bici.PRO andò per la prima volta online era d’autunno nell’anno del Covid e il cross fu una delle prime specialità che seguimmo assiduamente. E proprio il gruppo delle ragazze era popolato da nomi che imparammo a conoscere. Francesca Baroni, Gaia Realini, Sara Casasola e Silvia Persico.

A distanza di quattro anni, Gaia Realini è passata in pianta stabile su strada. Francesca Baroni fece l’esperimento, andando anche bene, poi si è trasferita a sua volta in Belgio correndo quasi esclusivamente nel cross. Silvia Persico è stata dirottata su strada già dallo scorso inverno. Mentre Sara Casasola resiste nel cross, passando però nel frattempo nel gruppone Alpecin, che le consentirà di correre anche su strada. Il suo compagno Davide Toneatti, fresco di firma con l’Astana e fino agli U23 ottimo azzurro nel cross, ha appeso quella bici al chiodo.

Francesca Baroni, Sara Casasola, Lecce 2021
Campionati italiani di Lecce, gennaio 2021: vince Baroni, seconda Realini, terza Casasola che qui si congratula
Francesca Baroni, Sara Casasola, Lecce 2021
Campionati italiani di Lecce, gennaio 2021: vince Baroni, seconda Realini, terza Casasola che qui si congratula
Perché in Italia arrivi al punto che il cross devi lasciarlo? A un certo punto va fatta una scelta tecnica?

Diciamo che adesso dipende tanto dalle squadre. Io ho la fortuna di averne trovata una che mi fa fare entrambe le discipline, quindi ovviamente ho più libertà. Nella Lidl-Trek di Gaia (Realini, ndr) c’è chi continua a fare cross, però lì forse sta all’atleta decidere dove va meglio. Lei ha fatto delle stagioni su strada veramente impressionanti e penso che a quei livelli fare anche il cross sarebbe una limitazione. E’ andata forte nelle classiche, è andata forte nei Grandi Giri, è andata forte a fine stagione quindi non si può pretendere altro. Mentre nel caso di Silvia (Persico, ndr), probabilmente la decisione è stata dettata dalla squadra e anche dai risultati che ha fatto su strada. Parliamo di atlete che hanno fatto risultati a livello WorldTour. Nel mio caso, la squadra punta molto sul cross, essendo nel gruppo delle squadre migliori. Però mi lasceranno anche fare una bella attività su strada e questo è fra i motivi che mi hanno spinto a venire qui.

Puntando tanto sul cross sanno gestire meglio gli atleti?

La strada fa bene ed è anche bello farla ad alto livello, magari non per tutta la stagione. Non è facile conciliare entrambe le stagioni e può capitare che l’atleta sia costretto a fare delle scelte, come Gaia e Silvia. Non puoi arrivare dappertutto, altrimenti fai due anni forte su strada e nel cross e poi il terzo ti spegni e ti raccolgono con un cucchiaino. Purtroppo con il livello che c’è adesso, vai a tutta l’inverno, a tutta l’estate e non hai più una fase di riposo: non sono da biasimare gli atleti che preferiscono una disciplina all’altra. Ognuno ha le sue dinamiche, ognuno conosce le sue caratteristiche e dove può rendere meglio. Detto questo, è brutto veder smettere atleti che andavano forte nel cross. Ne parlavo dopo l’europeo, avere avuto anche Silvia davanti sarebbe stato bello. Sarebbero entrate in gioco dinamiche di squadra e sarebbe stato meglio essere in due a battagliare, piuttosto che da sola.

Hai mai avuto la tentazione di fare un anno solo su strada, mollando il cross?

Diciamo che finora non ho mai ottenuto su strada dei risultati che mi consentano di fare questo ragionamento. Però il prossimo anno farò gare differenti e vediamo come andrà con una squadra migliore a livello tecnico e di gestione. Per come sto andando ora nel cross, non è mia intenzione abbandonarlo.

Gennaio 2023, Casasola conquista il tricolore donne elite a Cremona. Ad applaudirla c’è Davide Toneatti
Gennaio 2023, Casasola conquista il tricolore donne elite a Cremona. Ad applaudirla c’è Davide Toneatti
Perché Davide Toneatti ha scelto di mollarlo?

Si è dispiaciuto per la scelta, perché nell’ultimo anno U23 è andato molto bene. Però è entrato in una squadra come l’Astana e, in quel caso, se non prendi la palla al balzo, non passi professionista. Nei maschi conciliare le due attività è ancora più difficile. Lui poi come caratteristiche fisiche è un po’ un diesel, quindi magari esce fuori meglio nelle gare lunghe, dure, logoranti. Nel cross andava forte, perché l’ultima volta ha quasi fatto il podio all’europeo, però sono valutazioni personali. E’ stata una scelta giusta, poi vedremo come andrà in questi anni, ma deve provare. Ha dovuto prendere una decisione immediata e in certi casi devi essere sveglio e buttarti. Se poi non andasse, ha sempre il tempo di tornare indietro e fare nuovamente il cross. E’ brutto da dire, sembra quasi che il cross sia lì e puoi farlo quando vuoi, però il livello su strada è alto e c’è tanta concorrenza.

Per gli uomini è più difficile?

Per noi è più semplice. Dopo il mondiale l’anno scorso c’è stato l’interesse di più di qualche squadra, che comunque mi avrebbero aiutato a conciliare entrambe le discipline. Nei maschi invece c’è Alpecin e poi quali altre squadre WorldTour fanno la doppia attività? Forse la Trek con un paio di atleti e la Visma con Van Aert e Van Empel. Adesso hanno preso qualche altra ragazza giovane, ma sempre di ragazze si tratta. Più che altro il problema negli uomini è che quelli che fanno attività WorldTour adesso stanno già preparando la strada e devono pedalare. Nelle donne c’è ancora lo spazio per fare il cross, staccare un attimo, rientrare e andare comunque forte. Penso alla Pieterse e la stessa Persico quando facevano ancora cross. Negli uomini ci sono più numeri, quindi se salti un mese perché hai fatto il cross, magari perdi il posto perché c’è un altro che va più forte di te. Mentre nelle donne, se una va forte nel cross, vuol dire che il motore ce l’ha e viene tenuta da conto anche su strada.

Il risultato è che appena i migliori U23 italiani passano professionisti, lasciano il cross e presto non avremo più atleti elite per europei e mondiali?

E’ una dinamica un po’ particolare. Agli europei abbiamo visto che i giovani italiani vanno forte, poi sta tutto alle società e nell’avere attorno le persone giuste. Trovare le squadre che ti fanno fare la multidisciplina. La mentalità si sta aprendo, però ci sono tante dinamiche ed è molto personale. Entrano in gioco anche i soldi. Uno potrebbe chiedersi: perché devo fare la fame a correre nel cross, quando a vent’anni posso prendere anche centomila euro nel WorldTour? E’ quello che ingolosisce i ragazzi e lo capisco pienamente.

La strada e la pista si svolgono nella stessa stagione, il cross d’inverno. Qui Venturelli, che li fa tutti e tre
La strada e la pista si svolgono nella stessa stagione, il cross d’inverno. Qui Venturelli, che li fa tutti e tre
Forse c’è un po’ più di elasticità nei confronti della pista.

Non so niente di pista a livello tecnico, ma forse è più facile da conciliare con la strada. Le gare sono sparpagliate durante la stagione e magari il corridore in condizione fa qualche richiamo specifico e può ugualmente vincere. Invece il cross ti porta via quattro mesi in cui sei focalizzato su quello e devi guardare a quello. Perdi volume, non stacchi perché noi corriamo nel periodo in cui gli altri staccano. E’ proprio il periodo della stagione che non ti aiuta a conciliare bene le due cose. Devi valutarla bene e per questo sono contenta di essere entrata in questo gruppo. Adesso si fa il cross. Poi si valuta come recuperare e quando entrare al meglio su strada. Non cercano di finirti, perché sanno che è impossibile fare due stagioni ad alto livello nello stesso anno. 

Essendo venuta in Belgio, hai cambiato qualcosa nella preparazione?

Più che gli allenamenti, ho cambiato coach. Me ne è stato assegnato uno della squadra, ma non ci sono grosse differenze da quello che facevo prima. Forse un po’ più di intensità, ma soprattutto nell’allenamento specifico di cross. Quando sono in Belgio, il mercoledì abbiamo sempre un allenamento di cross da un’ora e mezza, due ore. Fai solo quello, ti alleni in gruppo quindi anche l’intensità è più alta. E hai dei coach appositi che ti dicono cosa fare e come, che ti correggono. Anche quello secondo me aiuta tanto. Magari su strada fai più o meno gli stessi lavori, però l’allenamento di gruppo fa la differenza. Anche volendo, quando ero a casa facevo il mio allenamento di cross con ritmo gara, ma un conto è farlo da sola e un altro con le stesse ragazze con cui correrò la domenica.

Il terzo posto di Overijse, dietro Brand e Van Empel, è uno dei quattro podi già ottenuti da Casasola
Il terzo posto di Overijse, dietro Brand e Van Empel, è uno dei quattro podi già ottenuti da Casasola
Cambia tanto?

Già solo guardandole si impara qualcosa, ma è comunque un metodo che ti sprona ad andare di più, quindi migliori. E poi ci sono i coach che ti correggono e ti danno delle dritte. Ci si allena proprio tutti assieme, allenamenti con dieci maschi e dieci femmine. Per forza poi alzi l’asticella. Se trovi una che va più forte, magari provo a tenerle la ruota e a copiare le traiettorie. Se sei da solo, la tecnica di guida resta la stessa e non vedi i passaggi in cui puoi migliorare.

Prossime gare?

Sarà un inverno abbastanza impegnativo. Sto qua fino alla Coppa di Anversa, poi andiamo in training camp fino al 7 dicembre e da lì voliamo in Sardegna e facciamo la Coppa a Oristano. A quel punto finalmente torno a casa qualche giorno. Ma non mi lamento, sto facendo quello per cui sono venuta in Belgio e mi sta andando davvero bene.

Borgo e la maturazione passo dopo passo insieme al CTF

10.11.2024
6 min
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Uno dei corridori che ha fatto passi da gigante al suo primo anno da under 23 è Alessandro Borgo (in apertura photors.it). Il passaggio di categoria sembra non averlo sofferto, o comunque si è adattato in maniera molto rapida. Con il CTF Victorious si è messo subito alla prova in gare di alto livello, uscendo spesso nei chilometri finali quando le gambe contano. Delle prime risposte che fanno sperare in un talento pronto a sbocciare, ma servono pazienza e i passi giusti. Per questo il corridore veneto rimarrà per un altro anno nel team CTF Victorious. Intanto si gode gli ultimi giorni di vacanza, anche se la voglia di ripartire è tanta. 

«Sono tornato dalle Canarie venerdì 1° novembre – racconta – e ora mi godo gli ultimi giorni senza far nulla. Mi sono fatto i miei 9 giorni di vacanza nei quali ho riposato e mi sono rilassato. Penso sia meglio partire per qualche giorno, così da staccare la testa, fare un bagno al mare, divertirsi. Cose normali, che un ragazzo di 19 anni fa in estate e che io mi sono goduto ora, a stagione conclusa. Tra poco si comincerà a fare un po’ di attivazione muscolare, con palestra e uscite in bici leggere. In questi giorni ho fatto anche una pedalata in gravel, giusto per godermi il panorama».

Nelle corse di inizio stagione Borgo (il primo a sinistra) ha fatto fatica ad adattarsi alla distanza
Nelle corse di inizio stagione Borgo (il primo a sinistra) ha fatto fatica ad adattarsi alla distanza

Step di crescita

Nel 2023 Alessandro Borgo ha fatto passi da gigante, arrivando a giocarsi tanti risultati importanti. Il suo ultimo anno da junior ci aveva regalato un corridore sul quale riporre buone aspettative, ma il passaggio di categoria è sempre complicato. Borgo ha attutito il colpo alzando il proprio livello mese dopo mese. Abbiamo così deciso di individuare insieme a lui dei momenti chiave della stagione, attraverso questi raccontiamo il suo primo anno da under 23. 

«Partirei dal ritiro di gennaio – spiega Borgo – perché era il primo confronto con i miei compagni. Avevo dei dubbi su quello che sarebbe potuto essere e non sapevo bene cosa aspettarmi. Fin da subito ho capito di non essere lontano dal loro livello. In gara mi è servito un periodo di adattamento alla distanza, direi che è la cosa che ho sofferto di più. Ero abituato a fare 130 chilometri e sono passato a farne 170.

«Ricordo che ero al Memorial Polese – prosegue – una gara nazionale che passa vicino a casa mia (Pieve di Soligo, ndr). La pioggia ci aveva accompagnato tutto il giorno, faceva freddo, ma la corsa non era impegnativa a livello altimetrico. Ero riuscito a rimanere con i migliori, ma nella volata finale ero pieno di crampi. Ho subito pensato che fosse tutto troppo, ma la squadra è stata brava a tranquillizzarmi e a farmi capire che faceva parte del processo di adattamento».

Pietre e vento

Da metà marzo la svolta, almeno dal punto di vista dei risultati, con un doppio appuntamento in Belgio che ha mostrato un Alessandro Borgo diverso, più pronto e già competitivo. 

«Tra i due piazzamenti in Belgio, Youngster e Gent U23 – dice – considero più importante il primo. E’ stata l’unica e vera gara corsa con un clima da Classica del Nord. In 180 chilometri avremo fatto 400 metri di dislivello, eppure siamo arrivati tutti divisi. Quel giorno era la prima volta che correvo con tanto vento. Avevo però una buona condizione e quella mi ha salvato, ci ho creduto parecchio e questo mi ha aiutato molto nel crescere e acquisire consapevolezza. Se guardo all’ordine d’arrivo vedo che c’è tutta gente che nel 2025 correrà nel WorldTour, compreso il campione del mondo Behrens (che quel giorno ha vinto, ndr).

«Dopo il quinto posto della Gent – continua Borgo – e il quattordicesimo all’europeo ho capito che correre al Nord può fare per me. Proprio alla prova continentale ne ho avuto conferma. A 80 chilometri dall’arrivo, al primo vero settore di pavé, sono rimasto con un gruppo di quindici. Gli stessi che poi si sono giocati la vittoria. Ricordo che uscito dal settore mi sono guardato intorno e ho visto corridori di grande spessore: Teutenberg, Pedersen, Christen e tanti altri. Ho pensato: «Se ci sono vuol dire che sono le mie strade».

A San Daniele, senza watt

L’ultimo episodio è legato alla Coppa Città di San Daniele, dove Borgo ha conquistato un ottimo terzo posto alle spalle della coppia della Visma Lease a Bike Development composta da Nordhagen e Huising. Nonostante prima avesse ottenuto la sua prima vittoria da under 23 il corridore veneto ha scelto questo come ultimo momento chiave della sua stagione. 

«La corsa era lontana dalle mie caratteristiche – analizza visto che erano previsti 2.400 metri di dislivello e nel finale era prevista la doppia scalata del Monte di Ragogna. Una salita di 2,7 chilometri e 10 per cento di pendenza media, non esattamente il mio terreno. Era l’ultima corsa, e si disputava vicino a casa, quindi ero motivato. Nel finale, prima della doppia salita, ho preso il computerino e l’ho messo in tasca. Mi sono detto: «Ora vado su per quello che riesco, ascoltando il mio corpo». Grazie a quella mossa ho capito tante cose, la prima che ho imparato a conoscermi bene e credo sia fondamentale. La seconda, invece, che su salite da dieci minuti posso provare a rimanere con i migliori. Se avessi dovuto guardare i watt magari mi sarei demoralizzato o avrei mollato prima. Invece con la forza della mente ho tenuto botta».

Roberto Bressan (a sx) e Fabio Baronti (a dx) sono state due figure importanti per Borgo nella stagione 2024
Roberto Bressan (a sx) e Fabio Baronti (a dx) sono state due figure importanti per Borgo nella stagione 2024

Le parole di Bressan

Nel mezzo della sua stagione 2024 Borgo ha preso parte anche al Giro Next Gen. Per un corridore al primo anno tra gli under 23 è sempre un banco di prova importante, in grado di fare da spartiacque. Nel caso del ragazzo del CTF Victorious la forza è arrivata da fuori. 

«Al Giro Next Gen – conclude nell’analisi della sua stagione – sono andato perché Stockwell era caduto alla Corsa della Pace fratturandosi la clavicola. E’ stato difficile perché pochi giorni dopo la fine della corsa avrei avuto l’esame di maturità. Mentalmente ero provato, stanco, anche affaticato. Nella seconda tappa, quella più adatta a me, ho preso più di 10 minuti. Volevo tornare a casa e lì è intervenuto Roberto Bressan, il team manager del CTF. Mi ha fatto capire quanto fosse importante tenere duro, finire la corsa e portare a termine quella esperienza. Pochi giorni dopo il nostro colloquio, a Zocca, ho ottenuto un quarto posto. Lo devo ringraziare, perché mi ha fatto capire quanto sia importante non arrendersi mai».

Vanthourenhout, 4 anni alla guida della nazionale più difficile

10.11.2024
5 min
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Se in Italia Bennati è tenuto a bagnomaria in attesa delle elezioni presidenziali, in Belgio è già deciso che ci sarà un cambio alla guida della nazionale. Sven Vanthourenhout ha deciso di chiudere la sua quadriennale esperienza per tuffarsi nel mondo del WorldTour.

Molti media lo danno vicinissimo alla Red Bull Bora Hansgrohe, ma l’ex campione di ciclocross non ha ancora ufficialmente deciso dove andrà. Intanto però mette alle spalle un quadriennio che di soddisfazioni ne ha portate tante, ma si sa che nella patria del ciclismo i palati sono fini e non ci si sente mai appagati, anzi…

Remco a Glasgow 2023 con Vanthourenhot, dopo la vittoria nella crono: antipasto per il doppio oro olimpico
Remco a Glasgow 2023 con Vanthourenhot, dopo la vittoria nella crono: antipasto per il doppio oro olimpico

E’ proprio dall’analisi di questi quattro anni, così intensi e per molti versi difficili, che parte l’intervista al tecnico belga: «Posso dire che sono stati abbastanza eccitanti. Perché sono arrivato un po’ a sorpresa, avendo un passato da ciclocrossista e non da professionista di spicco su strada. Oltretutto a capo di una nazionale piena di grandi corridori e con una federazione importante alle spalle. È stato un grande passo nella mia carriera. Posso dire di aver avuto successo, favorito naturalmente dai nomi a mia disposizione per ogni grande evento. Le medaglie sono importanti, ma per me conta anche il modo in cui ho lavorato».

Quanto cambia tra il guidare una nazionale ed essere direttore sportivo in un team?

È un po’ diverso. Con la tua squadra puoi lavorare ogni settimana, ogni giorno con gli stessi corridori che hai, condividi gli obiettivi. Nella squadra nazionale devi sempre unire corridori di team differenti. Oltretutto in un Paese come il Belgio dove hai molti leader. Non è sempre facile farli diventare una squadra, quando ognuno è in grado di vincere o prendere medaglie. Ogni anno rendere la squadra vincente è un lavoraccio…

Vanthourenhout insieme a Van Aert. Un legame profondo che va al di là dei rispettivi ruoli
Vanthourenhout insieme a Van Aert. Un legame profondo che va al di là dei rispettivi ruoli
E’ stato difficile mettere insieme due campioni come Evenepoel e Van Aert?

Oh sì, all’inizio posso dire che non è stato così facile perché Van Aert era tutto. Aveva vinto classiche, tappe al Tour, ma intanto arrivava Remco, giovane e ambizioso. Per il quale tutto era nuovo. Quindi all’inizio non è stato così facile. Avevamo bisogno di molto tempo, di parlare apertamente e con calma. Alla fine posso dire che avevamo un ottimo rapporto, sapevamo che se volevamo vincere avevamo ognuno bisogno l’uno dell’altro e mi ci metto anch’io con le mie responsabilità. Non c’era posto per una persona singola, ma per un gruppo. Alla fine posso dire che ce l’abbiamo fatta alla grande con il nostro lavoro.

Van Aert lo conosci bene: soffre il fatto di vincere meno di Evenepoel, Van der Poel, Pogacar?

Lo conosco da quando aveva 16-17 anni come giovane crossista, ho visto molto presto di che cosa era capace. Pochi sottolineano che ha avuto molta sfortuna, vedendo affermarsi tanti giovani mentre lui era alle prese con brutti infortuni. D’altra parte, sapeva anche di essere un ottimo corridore, ha anche capacità non comuni, che magari gli altri non hanno. Io penso che alla fine si accorgerà di avere un palmarés invidiabile, una carriera da grande campione. Ma non è il momento di pensarci, perché può ancora vincere tanto.

L’abbraccio di Evenepoel e Van Aert, oro e bronzo nella crono olimpica, intervallati da Ganna
L’abbraccio di Evenepoel e Van Aert, oro e bronzo nella crono olimpica, intervallati da Ganna
Qual è stata la tua più grande gioia in questi 4 anni?

Sicuramente le Olimpiadi. Posso dire di aver chiuso alla grande. Quello è stato il più grande obiettivo nella mia carriera e posso dire che a Parigi abbiamo fatto il massimo, prima con la cronometro con l’oro di Remco e il bronzo di Wout. Era il massimo che potevamo fare e l’abbiamo fatto. Quella è stata una giornata davvero bella per noi. Abbiamo lavorato molto perché si realizzasse. Siamo entrati nella storia. Poi con Evenepoel abbiamo vinto anche la corsa su strada con una squadra eccezionale. Una squadra che lavorava insieme. Quindi sì, per me è stata una settimana incredibile.

E quale il momento più difficile?

Penso che siano stati i campionati del mondo in Belgio nel 2021. È stato anche il mio primo anno come allenatore della nazionale, il mio primo grande evento. C’era molta pressione su di noi, correvamo in casa, Abbiamo fatto un buon lavoro di squadra e e abbiamo provato a vincere, ma quel giorno trovammo un Alaphilippe davvero in stato di grazia. Mancando anche il podio e in un Paese come il nostro e con le responsabilità che avevamo è stato un duro colpo da mandar giù. Ma penso che alla fine, abbiamo imparato molto da quella giornata e che sia stata anche propedeutica per gli eventi successivi.

Lo sprint di Stuyven a Leuven nel 2021, con il bronzo che sfugge a Vanthourenhout come a tutto il Belgio
Lo sprint di Stuyven a Leuven nel 2021, con il bronzo che sfugge a Vanthourenhout come a tutto il Belgio
Tra i tanti nuovi talenti belgi chi vedi più capace di diventare protagonista fra i professionisti?

Abbiamo un sacco di buoni corridori che sono in grado di fare una bella carriera. In questo momento posso dire che con Jarno Widar abbiamo anche un elemento molto promettente per i Grandi Giri. Ma anche nella categoria junior abbiamo gente abituata a vincere. Io credo che il nostro vivaio sia ricchissimo e soprattutto produca corridori molto diversi, in grado di vincere nelle corse in linea come in quelle a tappe, in salita come allo sprint. In Belgio possono fidarsi del futuro. Ce l’abbiamo.

De Vylder, è tutto vero: l’oro scaccia il fantasma di Parigi

27.10.2024
5 min
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Lindsay De Vylder non ha mai vinto una corsa su strada. Ha 29 anni e dopo le categorie giovanili nella Quick Step continental, ha indossato e non ha più dismesso la maglia del Team Flanders-Baloise. Eppure per lui la strada non è mai stato un obiettivo e tantomeno un cruccio. Questo perché il corridore belga di Wetteren, comune belga subito fuori Gand, ha sempre ribadito il fatto di essere un pistard. E forse per questo, quando ai mondiali di Ballerup ha conquistato la maglia iridata dell’omnium davanti a Consonni, è parso prima incredulo e poi è scoppiato in lacrime.

Gli ultimi mesi non erano stati facili per lui. Era andato alle Olimpiadi per una medaglia e ne era uscito con un malinconico undicesimo posto. Non si sa se per il carico mediatico crescente o altro, le ultime Olimpiadi sono state un boccone più faticoso del solito da masticare, mandare giù e poi digerire. Tutti, ma proprio tutti, hanno avuto un complicato periodo di decompressione. Per De Vylder è stato ancora più difficile perché vissuto con il senso di aver fallito.

«Quel giorno è andato tutto storto – ha raccontato dopo la vittoria iridata – nonostante mi fossi impegnato tanto per raggiungere l’obiettivo. Avevo persino lavorato con uno psicologo dello sport per gestire meglio lo stress. Ci si è messa anche l’allergia ai pollini di cui soffro sempre ad agosto, per la quale ho cercato per anni tutti i medici possibili. Ma non voglio trovare responsabilità al di fuori di me stesso. Ho fallito e, ancora una volta, la mia autostima ha subito una gigantesca ammaccatura. Ora quella fiducia l’ho recuperata».

La madison di Parigi è stata amara per De Vylder e Van den Bossche: solo l’11° posto
La madison di Parigi è stata amara per De Vylder e Van den Bossche: solo l’11° posto

Le grandi promesse

La pista, si diceva. Quasi tutti i protagonisti dei velodromi hanno una doppia vita: su strada e su pista. Alcuni riescono a brillare in entrambe, come Viviani, Ganna, Milan o Consonni. Come Morkov e anche Oliveira. Altri invece su strada si allenano e allenandosi mettono insieme anche una carriera da stradisti. De Vylder non lo ha mai contemplato ed è anche difficile capire come mai, dato che in Belgio la pista è importante, ma la strada è una religione. Per lui non è mai stato così, forse perché le vittorie da giovane in pista inducevano a sperare in una carriera differente.

Prima il titolo europeo dell’omnium juniores ad Anadia 2013. Poi quello della madison U23 nel 2017, ugualmente in Portogallo. Qualche successo in tappe della Nations’ Cup. L’argento della madison agli europei di Grenchen del 2023, ma tutto sommato il senso del nuovo talento in arrivo si è andato affievolendo con il passare degli anni. Nulla sembrava funzionare per come sembrava scritto. Tanto che dopo un po’ e sommando le varie osservazioni, si è diffusa la convinzione che il problema non siano mai state le sue gambe, quanto la testa. Era scritto che De Vylder avesse i mezzi per un mondiale, non era così scontato che riuscisse a gestire le attese. E questo a Parigi lo ha fatto sprofondare al punto più basso della carriera.

Al via della 4ª tappa del Giro del Belgio, con Waerenskjold, Philipsen e Vacek c’è anche De Vylder
Al via della 4ª tappa del Giro del Belgio, con Waerenskjold, Philipsen e Vacek c’è anche De Vylder

La svolta di Ballerup

A Ballerup qualcosa è cambiato. Nella prima parte dell’omnium, De Vylder è parso ancora esitante. Poi come in una lenta risalita, il belga è arrivato all’ultima corsa a punti con il morale, le gambe e la convinzione di poter riaprire e subito chiudere il discorso.

«Domenica ho corso anche la madison – ha raccontato – che era il mio obiettivo principale ed è arrivato l’argento. Sapevo che mi aspettava in fondo ai mondiali, così per l’omnium sono riuscito a non far salire troppo la tensione. L’obiettivo era un altro, prima si trattava di fare bene, ma senza il peso di troppe attese. E alla fine ha funzionato e con mia grande sorpresa, ce l’ho fatta. Ho iniziato la corsa a punti in una buona posizione di partenza, il quinto posto. Con molti corridori vicino a me e piccole differenze. Sapevo che era impossibile per il leader tenere d’occhio tutti. Quindi ho attaccato: il mio allenatore mi ha detto di provarci e gli ho dato ascolto. Ci credete che non osavo fidarmi del tabellone? Mi sorprendo di aver vinto e ci sono riuscito perché per una volta tanto ho avuto il coraggio di osare. Dopo Parigi, non avevo più fiducia in me stesso. Chiamatela paura di fallire, vergogna, tutto. Mi sentivo quasi in colpa perché avrei dovuto correre io questo omnium e avrei fallito di nuovo. Invece guardate come è andata a finire…».

La ferita guarita

Per questo ha abbracciato a lungo il cittì De Ketele e chissà che ora la sua carriera non abbia trovato la svolta in cui ha sempre sperato. Mentre lo speaker di Ballerup continuava a chiamare il suo nome, De Vylder continuava a guardarsi intorno incredulo, mentre nel box azzurro Consonni probabilmente avrebbe preferito che il suo risveglio non fosse venuto quel giorno. E’ una delle tante storie del ciclismo. Quelle da cui si capisce che le gambe contano, ma la vera differenza si fa con la testa.

«Naturalmente ho di nuovo fiducia in me stesso – dice – ma resta un peccato il modo in cui sono finite le Olimpiadi. Questo oro guarirà la mia ferita».

Speedwear: il body all’avanguardia di Bioracer

25.09.2024
3 min
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Nello stand di ‪Bioracer all’Italian Bike Festival era possibile ammirare il body di riferimento del brand, storicamente fornitore della nazionale belga, che a Parigi e ora a Zurigo ha vestito Remco Evenepoel nelle sue imprese più fresche: a Parigi e nella crono di domenica scorsa. In entrambe le occasioni il suo body era firmato da Bioracer. A cronometro ha utilizzato il modello Speedmaster, mentre su strada lo Speedwear Concept.

Al recente Italian Bike Festival abbiamo avuto la possibilità di toccare con mano il body di Bioracer, storico fornitore della nazionale belga, che abbiamo avuto modo di vedere alle Olimpiadi di Parigi e in questi giorni ai mondiali di Zurigo. Il simbolo della nazionale belga è senza ombra di dubbio Remco Evenepoel. Il classe 2000 è stato il primo atleta della storia a vincere l’oro alle Olimpiadi sia a cronometro che su strada. In entrambe le occasioni il suo body era firmato da Bioracer. A cronometro ha utilizzato il modello Speedmaster, mentre su strada lo Speedwear Concept

Alta prestazione

Si chiama Speedwear Concept Road Race ed è stato progettato per essere il meglio della gamma di Bioracer per le vostre uscite su strada. La sua caratteristica principale è la continua ricerca della massima prestazione. Tutto questo è possibile grazie agli studi effettuati direttamente sugli atleti professionisti del Belgio, come Remco Evenepoel e Lotte Kopecky. Ore di progettazione in galleria del vento hanno portato alla nascita del body Speedwear. Rimanere in posizione non sarà un problema grazie alla fascia posta sulla parte anteriore. Questa è dotata di grande grip e risulta comoda anche dopo tante ore. 

Nei momenti di massimo sforzo la zip, autobloccante e anch’essa aerodinamica, si apre facilmente. Le cuciture interne permettono al ciclista di non avere irritazioni o problemi nel gestire i flussi d’aria. Sulle maniche il tessuto cambia forma, con un disegno aerodinamico detto “clean-cut” e l’utilizzo della nuova tecnologia Airstripe. Scelte che si adattano perfettamente alla pelle per una sensazione di comfort e un tocco di eleganza.

Il tessuto scelto nei pantaloncini ha diverse zone di compressione, per facilitare la circolazione del sangue e ridurre l’affaticamento. Le gambe saranno sempre pronte e fresche per rispondere alle sollecitazioni della strada e alla vostra voglia di spingere sempre sui pedali. 

Comodità

Un’altra chicca è il fondello Wave, il quale consente all’atleta di trovare la miglior posizione in sella, donando una grande comodità. E’ progettato per seguire al meglio il profilo del corpo, il vantaggio finale è una distribuzione ottimale del peso e della pressione. Infine, la tecnologia Vapor 3D offre un’ammortizzazione confortevole e una regolazione dell’umidità ottimale.

Il body Speedwear ha una vestibilità più stretta rispetto ad una normale maglietta. Per donare lo stesso spazio di stoccaggio Bioracer ha ideato le doppie tasche. Nella parte posteriore le reti risultano due, alle quali ne vengono sovrapposte altre due per una maggiore capacità di carico. In questo modo il body risulta perfetto anche per le lunghe uscite.

Bioracer

Un punto sui mondiali juniores. Che dicono gli stranieri?

22.09.2024
5 min
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Le quattro tappe del Giro della Lunigiana hanno evidenziato due protagonisti assoluti: Paul Seixas e Lorenzo Finn. Abbiamo scritto tanto dei due giovani che si sono messi in evidenza sulle strade di Liguria e Toscana. Un francese e un italiano che, con grande probabilità, saranno tra le figure principali dei mondiali juniores di Zurigo. In tanti lo hanno detto, dal cittì Salvoldi agli stessi avversari che contro Finn e Seixas hanno lottato, finché le gambe hanno retto. Ora si tratta di prendere la corsia giusta per arrivare all’appuntamento iridato nella migliore condizione. Ma gli ostacoli verso la maglia iridata hanno nomi e cognomi: il più gettonato è Albert Philipsen. 

Sumpik in rampa di lancio

Dino Salvoldi ha definito l’affare di Zurigo una corsa a tre, anche se gli outsider sono diversi a partire da chi ha completato il podio della Corsa dei Futuri Campioni: Pavel Sumpik. Il ragazzo della Repubblica Ceca cresciuto alla Roman Kreuziger Cycling Academy rimanda però le considerazioni al mittente. 

«Il percorso mi si addice abbastanza – analizza Sumpik – ma bisogna stare attenti. L’esperienza dell’anno scorso mi ha insegnato a essere calmo, ci sono tanti ragazzi che vogliono vincere. Albert Philipsen sarà l’uomo da seguire. Potrebbe vincere ancora, in questa stagione ha dimostrato di essere molto forte. Le salite di Zurigo gli si addicono perfettamente». 

Il nuovo piano sloveno

Altri erano gli iscritti alla lista dei pretendenti, ma la sfortuna li ha colpiti in maniera differente. Tra di loro c’era Jacob Ormzel, lo sloveno vincitore della Parigi-Roubaix juniores è stato messo fuori gioco in una caduta nella prima tappa del Lunigiana. I piani della Slovenia cambiano radicalmente, dall’essere una delle favorite passano a dover inventare nuovamente la corsa. 

«L’incidente ha causato un grande spavento – dice il cittì sloveno – ma siamo felici che Omrzel stia bene. Chiaro che era il nostro capitano per il mondiale, abbiamo altri corridori forti ma dovremo cambiare modo di gareggiare. Ci saranno tante occasioni per provare ad anticipare i favoriti, come entrare in una fuga fin da subito. Il percorso è duro, davanti si spende tanto quanto in gruppo. Valjavec è altrettanto forte in salite brevi ed esplosive. Sarà una battaglia tra i migliori scalatori a mio modo di vedere.

Paul Seixas è il nome sulla bocca di tutti dopo il Giro della Lunigiana e la Francia correrà tutta per lui (foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Paul Seixas è il nome sulla bocca di tutti dopo il Giro della Lunigiana e la Francia correrà tutta per lui (foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Francia all-in

I giovani galletti punteranno tutto sulle qualità di Paul Seixas, vincitore del Giro della Lunigiana e autore di una stagione di primo piano. Ha vinto dappertutto, a partire dalla Liegi fino alle corse a tappe più impegnative. 

«Il Lunigiana – racconta il cittì – era un passo in preparazione alla rincorsa verso il mondiale, le risposte direi che sono state positive. Abbiamo lavorato bene in precedenza, con un training camp sulle Alpi nella settimana prima del Lunigiana. Naturalmente per il mondiale il nostro leader unico sarà Paul Seixas, abbiamo visto come su salite brevi sia pienamente a suo agio. Certo non sarà semplice, perché è una corsa di un giorno che si prepara in un mese».

ll cittì belga crede nella forza della sua squadra, nessuna punta ma tante frecce (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
ll cittì belga crede nella forza della sua squadra, nessuna punta ma tante frecce (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Belgio all’arrembaggio

La squadra guidata da Serge Pauwels ha tante frecce nel proprio arco. Una delle più interessanti sarebbe stata quella che porta il nome di Aldo Tailleu, ma anche lui è stato vittima di una caduta e sarà fuori dai giochi. 

«La selezione non è stata semplice – spiega – però avremo tanti corridori validi, nessun capitano designato probabilmente. A Zurigo l’ultima scalata sarà lontana dall’arrivo, una ventina di chilometri. Non è detto che vincerà il miglior scalatore, potrebbe esserci spazio per un passista. Abbiamo delle buone alternative come Jasper Schoofs o Matijs Van Strijthem. Staremo a vedere, perché la squadra conterà abbastanza a mio modo di vedere, quei venti chilometri finali pianeggianti aprono a scenari diversi».