E’ un’eredità difficile quella che Serge Pauwels (nella foto di apertura Instagram/Photonewsbelgium) ha accettato. Dopo una lunga carriera da corridore, chiusa nel 2021 dopo essere stato per anni una colonna del Team Sky, a poco più di 40 anni Pauwels sale sull’ammiraglia della nazionale belga raccogliendo l’eredità di Sven Vanthourenhout reduce da un quadriennio culminato con il risultato più grande possibile, la doppietta di ori ai Giochi Olimpici.
Un fardello pesante per Pauwels, da molti visto come ancora giovane e forse troppo inesperto per guidare una macchina complessa come quella della nazionale belga, ma l’uomo di Lier non è tipo da spaventarsi, ancor meno da tirarsi indietro di fronte alle responsabilità.
Quanto è difficile gestire una nazionale come quella belga?
Beh, è una bella sfida. Gli standard nelle squadre su strada sono molto alti e come federazione vuoi davvero essere all’altezza di quegli standard. Non essere da meno di un team del WT. Quindi essere all’avanguardia nel campo della nutrizione, della meccanica, la logistica. Ma soprattutto lavorare sul gruppo, pur avendolo a disposizione per pochissimo tempo e con gente abituata a corrersi contro giorno dopo giorno. Devi mettere corridori che sono leader nelle loro squadre a confronto, in coabitazione. Far loro accettare anche un ruolo di supporto. E’ un grande puzzle, ma è molto impegnativo da realizzare.
Sei all’inizio della tua avventura, che situazione trovi?
Molto buona, abbiamo una generazione molto forte. Non è un caso, dietro i campioni abbiamo ora una filiera di talenti, ci sono molti giovani che sono davvero promettenti, ma sono al loro inizio, vanno seguiti. E’ bello poter lavorare con questi campioni e provare a lottare per la vittoria nei grandi eventi. Ma per farlo questi corridori andranno seguiti e accompagnati, anch’io nel mio ruolo conto di farlo, non solo nei campionati ma anche nelle occasioni che la stagione presenta.
A tuo giudizio, quanto i risultati di Van Aert prima ed Evenepoel poi stanno influendo sulle giovani generazioni?
Oh, non possiamo sottovalutare il loro ruolo di modelli per i più giovani. Io credo che molti dei giovani emergenti siano ispirati da Remco, dalla sua affermazione repentina. Sta influendo anche sul tipo di corridori: 10 anni fa non avevamo specialisti di corse a tappe, puntavamo solo sulle classiche, ora i suoi successi stanno cambiando tutto, vediamo uno spostamento verso i grandi giri, le classifiche generali. E i corridori in grado di emergere si moltiplicano sempre di più.
Tu hai avuto una lunga carriera con molti risultati importanti. Quando hai iniziato fra i professionisti, era un ciclismo diverso da quello che i giovani trovano oggi?
Certo, Oggi c’è molta più trasparenza e cura nel modo in cui i professionisti si allenano e mangiano perché tutto è messo in mostra, su Strava o sui social media. Ciò significa che quelle informazioni sono in un certo senso disponibili per i giovani ciclisti che cercano di copiare già in giovane età. Questo porta a una maggiore professionalità, forse anche precoce. Noi tutto ciò non l’avevamo, ci affidavamo ai direttori sportivi. Infatti oggi la categoria degli juniores sta già diventando anche più importante degli under 23, a 20 anni sei già un corridore formato.
I mondiali in Rwanda quali difficoltà comporterebbero, sei favorevole al loro spostamento?
La situazione politica lì è molto complicata, ma io di base non sono favorevole. Perché penso che sia un’ottima occasione per allargare gli orizzonti. Ho in programma di andare in Rwanda il mese prossimo per un sopralluogo se la situazione lo consentirà. Io posso parlare dal punto di vista ciclistico e penso che sarà una corsa super dura per tre fattori di stress. Il primo è l’altitudine, perché si pedala sempre sopra i 1.400 metri. Poi il caldo, siamo sempre tra i 25-30 gradi, infine l’umidità che è piuttosto alta. Tutto ciò unito alla distanza, si farà sentire. Vedremo quel che succederà.
Molte nazionali però, se i mondiali restano in Africa, pensano di rinunciare alle categorie giovanili, come successe nel 2020 per il covid. Sarebbe un danno, per l’evoluzione dei giovani?
In un certo senso sì, sarebbe un po’ triste. E’ chiaro che la trasferta è molto costosa e per molti non è possibile sostenerla. Non c’è niente che la federazione possa fare da sola. Noi facciamo affidamento anche sul supporto del governo, degli sponsor e non è così facile sostenere una spedizione che può costare dai 150 mila euro in su. E’ un fattore sul quale ragionare.
Perché c’è così grande disparità fra uomini e donne in Belgio, con poche atlete d’elite dietro la Kopecky?
Lei sta facendo tantissimo con il suo esempio, è un po’ l’effetto di Evenepoel al femminile. Bisogna aspettare che il movimento cresca e dietro di lei ne emergano altre. Ci sono alcune giovani promettenti, come Lore de Schepper. Poi è chiaro che Lotte è la numero 1 in assoluto, un talento così non nasce spesso. Ma lei è anche un’ispirazione per tante ragazze, per provare a seguire le sue orme, i suoi effetti si vedranno negli anni a venire.
Quando hai chiuso la tua carriera, ti saresti mai aspettato di arrivare alla guida della nazionale?
Beh, forse non subito, ma quando ho potuto entrare in federazione, curare prima la fascia di sviluppo e poi l’anno scorso come responsabile degli juniores, avevo l’ambizione di arrivare a questo incarico. E naturalmente, i giovani corridori con cui ho lavorato nel mio primo anno ora sono tutti professionisti, come Segaert. Forse è arrivato un po’ prima di quanto pensassi, ma è sempre stata la mia ambizione. Ora sono lì, in quella posizione e sono, ovviamente, super felice e orgoglioso di potermi mettere alla prova.
Se torni indietro nel tempo, qual è stato il tuo momento più bello da corridore?
Difficile a dirsi, ma se dovessi scegliere propenderei per la tappa al Giro d’Italia del 2009. Mi stavo scoprendo come corridore, mi sentivo molto forte allora. Poi nel 2015, il Tour de France corso con la MTN Qhubeka, oppure la partecipazione alle Olimpiadi di Rio nel 2016. Porto con me tanti bei ricordi, difficile sceglierne uno, ognuno è un pezzetto di quel che sono.