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Rebellin, Casartelli e i ricordi di Gualdi: l’ultimo dei tre

03.12.2022
8 min
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Il camionista. Le telecamere. I testimoni. La giustizia. La Germania. I cicloturisti che portano fiori, le telecamere, ma il vuoto resta. Da mercoledì, ogni chiamata o messaggio inizia da Rebellin che non c’è più. Per questo con Gualdi vogliamo provare a sentirlo più vicino. Il suo messaggio di quel giorno continua a risuonare nella testa come un grido di aiuto: «Sono distrutto. I miei 2 amici di Barcellona in cielo…».

Mirko è l’ultimo dei tre: Casartelli, Gualdi e Rebellin. Le maglie celesti chiare per combattere il caldo spagnolo, i vent’anni. E di colpo ti rendi conto che il bergamasco è il custode di quei ricordi e hai quasi paura di dirglielo, temendo come potrebbe reagire.

«Guarda quando penso a questo – le lacrime arrivano e la voce si strozza – quando penso a questo, dico che mi sarebbe piaciuto davvero sedermi ancora una volta con loro due e anche con Fusi e Zenoni. Rifare quella cena con la paella che avevamo mangiato la sera della vittoria alle Olimpiadi, tutti insieme a Barcellona. Ti dici che un giorno lo faremo, invece alla fine non se ne fa mai niente. E quando succedono questi disastri, poi ti chiedi perché non l’hai fatto…».

Mirko compirà 54 anni il prossimo 7 luglio: lo stesso giorno di Zabel, scherza, ma al Tour facevano gli auguri soltanto al tedesco. Fabio ne avrebbe avuti 52, Davide ne aveva compiuti 51 ad agosto (in apertura sul traguardo dei mondiali di Stoccarda 1991, chiusi con l’argento).

Gualdi Caruso 1990
Nel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistra
Gualdi Caruso 1990
Nel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistra
Cosa hai pensato quando hai saputo che Davide era morto?

La prima reazione è stata chiedersi perché. Poi monta la rabbia. Quindi cerchi di metabolizzare e cominci a ragionare. Finché a un certo punto ti dici di essere stato fortunato, perché tutto sommato dopo tanti anni in bici, t’è andata bene. Io ho smesso perché un’auto di fronte ha girato nella strada laterale e mi ha preso in pieno. Io però posso raccontarlo e ringrazio il cielo.

Come l’hai saputo?

Avevo appena finito l’influenza ed ero a casa in smart working. A un certo punto mia moglie arriva e mi dice: «Hai visto? E’ morto Rebellin!». Cosa dici? Ho aperto subito internet e ho visto tutto, saranno state le tre del pomeriggio. E da quel momento, non ho fatto più nulla fino alle sei di sera. Ero in una sorta di trance. La cosa assurda è che ero sullo stesso divano di quando morì Fabio. Ero arrivato dall’allenamento. Mia moglie era davanti alla tele in lacrime. «Si è fatto male Fabio – mi dice – è caduto al Tour». Mi ricordo che deve essere tornata la sera alle 20 per dirmi che bisognava cenare e di andare prima a farmi la doccia, perché ero ancora vestito da bici. Penso che dopo tante cose e tante fatiche, nessuno dei due ha potuto godersi la propria storia. Nessuno di loro ha avuto la fortuna di godersi la paternità… 

Da quanto non parlavi con Davide?

Ci scambiavamo messaggi su Instagram. La settimana scorsa mi chiama Mauro Consonni e mi dice: «Mirko, guarda, qua a Como nessuno ha ricordato i trent’anni dalle Olimpiadi. Voglio organizzare una serata al Panathlon, una cena con te, Rebellin e Giosuè Zenoni, per parlare di quel mese». Gli ho risposto subito: «Guarda, è bellissimo. Giosuè vado a prenderlo io, così non guida di notte. E Davide, se vuoi cerco il numero da qualche parte, lo contattiamo». Ero felicissimo di poterlo vedere.

Olimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè Zenoni
Olimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè Zenoni
Cosa ricordi della preparazione alle Olimpiadi?

Ho in testa l’immagine di loro due sul letto e io in fondo, perché dormivo in un’altra stanza. Eravamo in altura al Maloja, c’erano i letti matrimoniali alla tedesca coi sacchi sopra. Io ero in singola, quindi andavo da loro a rompere le balle. Fabio era simpaticissimo, una macchietta. Si rideva, si scherzava e si sparavano le solite cavolate da ventenni. Davide rideva sempre e stava al gioco. Eravamo dei ragazzi che in quel momento condividevano lo stesso sogno. Ognuno sapeva di avere le proprie carte. E sapevamo anche che unendo le forze, uno dei tre avrebbe potuto riuscirci.

Ci riuscì Casartelli…

Fu festa grande, per tutti e anche per me, anche se non vinsi. Anzi, vi dirò di più. Dopo la premiazione, accompagnai Fabio e Annalisa alle televisioni e feci un po’ da tutore. Gli dicevo che cosa gli avrebbero chiesto, cosa avrebbe dovuto fare, perché avendo vinto il mondiale due anni prima, ricordavo le cose. Li mettevo anche un po’ in guardia. 

Davide forse era il più controllato…

Inizialmente c’era un grande divario. Invece col passare dei giorni, lui forse aveva più fondo, ma per un percorso come quello di Barcellona, la condizione di Fabio e la mia iniziarono a diventare più affidabili. Pensavamo che il caldo avrebbe fatto più differenza, invece no. Quando attaccavo sulla salita e arrivava il momento di dare la botta decisiva, la salita era già finita. Perciò, quando nella fuga in cui ero io rientrò Fabio e poi attaccò, feci di tutto per stoppare gli inseguitori. Erano in fuga in tre, pedalavano verso una medaglia. Nessuno si voltò. La foto dei tre a braccia alzate sull’arrivo è l’essenza delle Olimpiadi.

Barcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfetta
Barcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfetta
Quanto eravate professionisti nel vostro essere dilettanti?

Ai tempi, c’era un dilettantismo bello. Però a suo modo era già un professionismo, nel senso che comunque eravamo tutti in ritiro con le nostre squadre, facevamo tutti uno o due allenamenti settimanali con i compagni. C’era chi, come Fabio, era costretto da Locatelli. Chi come me che era costretto a stare in ritiro dalla distanza. E poi Davide che tutto sommato aveva un gruppo di corridori vicino a casa, che si aggregavano a lui quando dovevano fare chilometri.

Era forte?

Era nato per essere un atleta e poi un ciclista. Io penso che la sua colazione da atleta l’avrebbe fatta sempre e comunque in ogni momento della sua vita. La colazione, la ginnastica per la schiena, lo stretching… Non era un sacrificio per lui e io per questo lo ammiravo tantissimo. Era veramente forte e lo vedevi che si stava già preparando per il professionismo. La regola era che finivi le superiori, poi facevi il militare e dal secondo/terzo anno cominciavi a stringere i tempi. Dovevi menare, passare entro il quarto anno al massimo, sennò dopo eri vecchio. Poi successe che nel 1990 fermarono me e tutti quelli di interesse azzurro con il blocco olimpico, altrimenti saremmo passati prima.

C’era fiducia che poteste vincere una medaglia?

Corremmo in tre il Giro dell’Umbria del 1992, facendo battaglia. C’era Pantani che aveva appena vinto il Giro d’Italia, ma cadde prima della crono di apertura e nemmeno partì. Era la corsa a tappe dopo il ritorno dall’altura e quindi dovevamo metterci in crisi. Voleva dire soprattutto non guardare al risultato e cercare di far fatica. Quindi attaccare, andare in fuga, correre di squadra. Non si andava fortissimo e noi percepivamo di aver fatto tanto carico. Così erano già cominciate le voci su cosa avremmo potuto combinare alle Olimpiadi, ma noi sapevamo che il lavoro sarebbe venuto fuori. Vedevamo la tranquillità di Zenoni e di Fusi. E avendo vissuto negli anni precedenti quello che succedeva a livello di condizione atletica, ero tranquillo anche io. Sapevamo che la gamba sarebbe arrivata.

L’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscente
L’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscente
Aver condiviso questa avventura ha creato un rapporto prezioso?

C’era come un filo che ci teneva uniti, anche se poi si stava a lungo senza vedersi. Davide lo vissi quando venne alla Polti e facemmo anche un Giro d’Italia insieme. Fabio a quel punto non c’era già più, ma ero sempre rimasto in contatto con Annalisa. In realtà più Maria, mia moglie. Scherzando diciamo che Annalisa vuole più bene a lei che a me. Quando morì Fabio, pochi giorni dopo Maria andò a casa da lei che era là da sola col bambino. E lei si lasciò andare, parlavano di tantissime cose, senza che mia moglie mi abbia mai raccontato niente. E probabilmente in quei momenti si creò anche questo doppio legame. Che poi, diciamocelo chiaramente, eravamo tre esponenti di tre squadre molto rivali fra loro. Io poi ero andato via da Locatelli e avevo vinto il mondiale, quindi quando ci si incontrava alle gare, c’era proprio una guerra aperta. Non potevi essere amico dei corridori di Locatelli.

Chi era Fabio Casartelli?

Fabio era un bravo ragazzo, determinato come noi altri due. Eravamo una squadra e sebbene fossimo stati scelti da un altro tecnico, alla fine in quella camera nacque la complicità per vincere le Olimpiadi.

C’erano punti in comune fra voi?

Anche se sotto diversi punti di vista, eravamo tutti e tre simili. Un po’ della mitezza di Davide me la sento anch’io nel carattere e ce l’aveva sicuramente anche Fabio. Si rideva e si scherzava, eravamo sempre gentili con i meccanici. C’era un bel tasso di bontà d’animo, ma non crediate che fossimo remissivi. Davide era sagace, sottile. Eravamo tutti e tre innamorati di quello che facevamo e intelligentemente sottili nel nostro modo di essere. Avevamo il fuoco che ardeva dentro e la serenità nell’affrontare le cose.

Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991
Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991
Di quei tre sei rimasto soltanto tu…

Ho smesso nel 2000 e Fabio non c’era già più. Davide aveva la sua strada. Ho tifato per lui da lontano. Sapete quante volte ho pensato che sarebbe stato bello lavorare per lui quando era alla Gerolsteiner? Sarebbe stato bellissimo e l’ho pensato tante volte quando ho smesso, ma non l’ho mai detto nessuno. Lui era uno che gratificava i compagni, basta vedere quello che hanno detto tutti in questi giorni. Aveva un bel modo di fare

Era davvero così buono Rebellin?

L’unico difetto che aveva, una caratteristica che rifletteva il suo essere mite, era che in alcuni casi era portato ad attendere per paura di aver sopravvalutato la propria forma, la propria condizione. Non si rendeva conto di essere lui uno dei più forti del gruppo. Una volta ai Paesi Baschi nella riunione pre gara disse che si sarebbe mosso quando anche quelli forti fossero partiti. Lo guardammo e gli dicemmo che era lui il più forte e che gli altri aspettavano lui. Però era la traslitterazione del suo carattere, nel suo atteggiamento in gara. Se avesse avuto il coraggio di perdere, il mondiale 1991 l’avrebbe vinto lui. Quando è partito Ržaksinskij, se gli fosse andato dietro lui, l’altro si sarebbe rialzato e Davide avrebbe potuto anche vincere la volata di quelli dietro.

Hai parlato con Zenoni?

A lui ho detto: «Giosuè, accetta il mio abbraccio, come quello di un figlio che abbraccia un padre». Io non ho più un papà, lui non ha avuto figli, ma so che Davide era particolare. Ho voglia di vederlo e di stare insieme anche a Fusi che non vedo da tantissimo. Credo che andremo insieme al funerale. Il viaggio verso Madonna di Lonigo sarà il momento di stringersi ancora di più.

Vaccaroni: trent’anni dopo Barcellona, la sfida americana

28.07.2022
6 min
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Cinquemila chilometri attraverso 12 Stati e 35.000 metri di dislivello si fa fatica anche a immaginarli. Dodici giorni il tempo massimo, per cui soste ridotte all’osso, microsonni e un mondo di riferimenti tecnici che ti spiazzano. E’ la Race Across America e sono appena 25 gli italiani che negli anni sono volati oltre Oceano per cimentarsi. Non tutti sono riusciti a completarla o completarla in tempo. Fra i quattro che hanno riprovato quest’anno, c’era anche Dorina Vaccaroni, al secondo tentativo. Il primo nel 2021 non è andato bene. Ma quest’anno, forse anche per festeggiare i 30 anni dalla sua soddisfazione sportiva più grande, la veneziana è arrivata sul traguardo di Annapolis.

Chi sia Dorina Vaccaroni a qualcuno potrebbe forse sfuggire. Per rinfrescare la memoria bisogna tornare alle Olimpiadi di Barcellona 1992, quelle che per il ciclismo significarono oro con Fabio Casartelli e Giovanni Lombardi. Per lei furono il culmine di una carriera nella scherma. L’oro nel fioretto a squadre chiuse in modo magistrale una carriera di cinque mondiali, tre coppe del mondo e un europeo. Poi arrivò la bicicletta. Fatta di gare amatoriali, un anno tra le elite nel 2005 e alla fine l’approdo all’ultracycling.

A Barcellona 92, oro nel fioretto a squadre con Bortolozzi, Zalaffi, Gandolfi e Trillini (foto Coni)
A Barcellona 92, oro nel fioretto a squadre con Bortolozzi, Zalaffi, Gandolfi e Trillini (foto Coni)
Cos’hanno in comune scherma e ciclismo?

Parlerei di scherma e ultracycling. A livello mentale sono vicini. Sei da solo. Devi avere attorno un buon team per supportarti. La testa conta più del corpo. Quando sei in pedana, il cervello deve funzionare al decimo di secondo, in una gara di tanti giorni la sola strategia sei tu e come sai gestirti. Il ciclismo classico invece si basa molto sugli altri, dipende dagli altri. 

Come sei arrivata all’ultracycling?

Dopo aver corso su strada e aver fatto un Giro d’Italia. Per sfida e perché mio padre ha sempre detto che ho il fuoco addosso. Nel 2016 ho vinto la Ultracycling Dolomitica, valida appunto per la qualificazione alla Race Across America. Poi avrei dovuto fare la Race Across the West, dalla California al Colorado, ma mi infortunai al ginocchio. Così alla fine sono arrivata alla più grande di tutte.

Il percorso della RAAM misura 3.000 miglia, circa 5.000 chilometri e ha 35.000. metri di dislivello
Il percorso della RAAM misura 3.000 miglia, circa 5.000 chilometri e ha 35.000. metri di dislivello
La Race Across America, appunto.

Prima volta nel 2021, con gli strascichi del Covid. Per cui numeri ridottissimi già dalla partenza. Beccai una bolla di calore e alla fine non arrivai per appena 200 chilometri. Mi diede fastidio, forse anche per questo mi sono ripresentata, facendo le cose in modo diverso.

Cosa è cambiato quest’anno?

Intanto la preparazione. Mi sono fatta allenare da Mauro Farabegoli, che dopo aver lavorato nel ciclismo professionistico, è diventato un riferimento nelle lunghe distanze. Ho seguito i suoi allenamenti e sono arrivata pronta per la sfida. E sarei potuta arrivare in fondo senza fermarmi, ma ho dovuto farlo per dare il tempo alla crew di riposarsi.

L’auto la seguiva o la precedeva di poco durante la traversata dei 12 Stati
L’auto la seguiva o la precedeva di poco durante la traversata dei 12 Stati
L’atleta che dà tempo di riposarsi all’equipaggio in macchina?

Sembra strano ma è così. Serve una grande intesa. E’ pesante anche per loro che guidano per migliaia di chilometri alla velocità di una bicicletta. Trovare le persone giuste è una delle cose più difficili. Di solito dimagriscono anche loro, i miei invece sono ingrassati: segno che qualcosa non ha funzionato. Ma partecipare costa 40-50.000 dollari e nelle spese c’è da conteggiare anche chi ti accompagna.

Come si trovano tanti soldi?

Sponsor, principalmente. Allenandomi 8-10 ore al giorno, tanto tempo per lavorare non c’è. Gli sponsor sono tanto importanti, ma in Italia non si capisce, forse perché eravamo solo in quattro italiani al via, quindi se ne parla poco.

Medico e fisioterapista messicani: la scelta dell’equipaggio è decisiva
Medico e fisioterapista messicani: la scelta dell’equipaggio è decisiva
Cosa succede se la crew non funziona bene?

Si perde tempo. Sono stata costretta a tante soste inutili. Per contro, il medico e il fisioterapista, entrambi messicani, sono stati bravi quando si è trattato di abbassarmi la temperatura. Si arriva a pedalare fino a 55°C e se non c’era un medico a raffreddarmi e farmi recuperare con una flebo, forse nemmeno arrivavo in fondo.

Loro sono ingrassati, tu hai perso peso?

Dovevo mangiare una volta al giorno il mio piatto di pasta, ma non sempre è stato possibile proprio a causa di chi mi seguiva. Il calo fisiologico è di 2-3 chili, io ne ho persi 8 e non va bene. Non è salutare. Io poi sono vegetariana, quindi mangio cose che non fanno male. Ma portare il corpo oltre certi limiti è unhealthy, come dicono lì: non è salutare.

Auricolare e microfono per restare in contatto con la crew: Vaccaroni pronta al via
Auricolare e microfono per restare in contatto con la crew: Vaccaroni pronta al via
Quanto è importante avere la giusta posizione in bici per starci sopra tante ore?

E’ fondamentale. Ogni volta che facciamo la posizione, si lavora per 5-6 ore. Parliamo di telaio, ma anche sella, tacchette, manubrio. La mia sella è tutta aperta e aerata. Valerio Zamboni ha dovuto ritirarsi probabilmente per un problema di appoggio. Le bici per le corse su strada sono anche più piccole e non hanno bisogno di essere così comode.

Invece l’abbigliamento? Hai parlato di temperature infernali…

I pantaloncini sono importantissimi. Nalini me ne ha forniti cinque fra cui ho potuto scegliere fino a trovare quello giusto. Serve un fondello che non faccia la minima piega, tanto che l’ideale sarebbe avere dei capi su misura. Mi hanno dato anche delle buone maglie. Una bella collaborazione. La prossima volta spero che cominceremo con più anticipo, per trovare il giusto fitting.

La prossima volta?

Voglio fare la Raam sotto gli 11 giorni: mi conosco e so che posso farlo. Non potrò fare il record dei 9 giorni, ma sotto gli 11 è alla mia portata. Per questo continuerò ad allenarmi, fare gare e cercare sponsor (lo scorso weekend, Dorina è arrivata seconda ai campionati europei Slo24ultra, percorrendo in 24 ore 759 chilometri alla media di 32,090, ndr). Così appena l’ho finita ho cominciato a pensare alla prossima volta.

C’è ancora la scherma nella tua vita?

Col fatto che vivo in California, il mio lavoro è insegnare scherma in un grande club di laggiù. Loro vorrebbero che facessi di più, ma per me va bene così. Tra la felicità e fare soldi, scelgo ancora la felicità. Per questo ho scelto di vivere laggiù. E per me ora la felicità è andare in bicicletta.

Da un Casartelli all’altro, la firma di Marco sui 30 anni olimpici

21.05.2022
5 min
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Non si scrive in prima persona, te lo insegnano subito. Ma questa volta faccio un’eccezione che spero mi perdonerete. Oggi parliamo in qualche modo di Casartelli con suo figlio Marco, ricordando che fu proprio Fabio nel marzo del 1992 la… vittima della mia prima intervista. Aveva vinto la Montecarlo-Alassio e poi il Trofeo Soprazocco e lo Zssdi di Trieste. Era timido, lo eravamo entrambi. Parlò di sé, di Locatelli e di Albese in cui viveva, di suo padre e sua madre. E di lì cominciammo a pedalare insieme in quella carriera che giusto trent’anni fa si tinse dell’oro olimpico e tre anni dopo si arrestò troppo presto al Tour de France. In partenza, in quel 18 luglio del 1995, mi aveva mostrato la piccola foto di suo figlio, nato da neanche tre mesi, che teneva in tasca avvolta nel cellophane.

Il 2 agosto del 1992 sul percorso di Sant Sadurni d’Andoia (Barcellona) Casartelli vince l’oro olimpico su strada
Il 2 agosto del 1992 sul percorso di Sant Sadurni d’Andoia (Barcellona) Casartelli vince l’oro olimpico su strada

Il filo conduttore

Marco l’ho visto crescere, non con la continuità di un parente o di un amico di famiglia e forse proprio per questo incontrarlo di tanto in tanto rende il percorso ancora più prodigioso. Il suo aspetto e i racconti della madre Annalisa sono uno dei fili conduttori della mia vita. Dal battesimo alla laurea. E quando è venuto fuori che ha disegnato lui la maglia commemorativa di quei Giochi, perché venga distribuita agli iscritti della Randonnée dedicata a suo padre, ammetto che nella gola s’è formato un groppo difficile da far scendere. Ci sono vite più difficili di altre, salite che sembrano non finire. Perciò quando capita di tirare il fiato e guardare il mondo dall’alto, lo stupore è commovente.

Marco si è laureato in Graphic Design lo scorso luglio
Marco si è laureato in Graphic Design lo scorso luglio

«Me lo hanno proposto Gianluigi (Marzorati, presidente della Fondazione Casartelli, ndr) e i nonni. Mi hanno chiesto – racconta – se avessi avuto voglia di provare a disegnare la grafica. Ne avevamo già parlato più di un anno fa e metterci finalmente mano è stato emozionante. Il modo per ringraziare gli amici di Albese».

Il logo dei 30 anni

Marco si è laureato lo scorso luglio in Graphic Design, ora ha la sua partita Iva e lotta per farsi un nome. Mi annunciò con orgoglio di essere prossimo al traguardo, bevendo uno spritz subito dopo i campionati italiani della crono a Faenza. Era venuto con Annalisa a salutarmi, dato che non ci si vedeva da un po’.

«Progettare qualcosa che piaccia visivamente – spiega – potrebbe essere fine a se stesso, se non racconti una storia. Per cui ho applicato uno dei processi tipici del mio lavoro. Ho individuato un punto di origine, l’azione, l’evento e un altro luogo. Per cui sono partito da Albese, il ciclismo, le Olimpiadi e Barcellona. Ho preso lo stemma di Albese e ho pensato di farne uno anche io. Ho messo la ruota della bici. La Sagrada Familia, come simbolo di Barcellona, ho rielaborato il logo delle Olimpiadi 1992 e poi il grano di Albese. Dal momento in cui ho individuato questi elementi, la grafica è venuta abbastanza in fretta. Diciamo tre settimane in tutto».

Barcellona in 3 foto

Il bimbo in quella foto nella tasca. Marchino col faccione e la maglia Motorola. Poi con la maglia rossa della Ferrari che gioca al cimitero. Marchino con la maglia gialla al Tour, per fare le foto con Armstrong. Marco e Annalisa. Lui che sorrideva perché troppo piccolo per rendersi conto, lei sempre più stanca. I nonni. Vanda e Pirro a Forlì, Rosa e Sergio ad Albese. Marco e la veste bianca della prima comunione. Poi da adolescente, identico a suo padre. E adesso, capellone, allegro e tosto com’è giusto a 27 anni.

«Vivo molto serenamente – dice – i ricordi di mio padre e il fatto che tutti me ne parlino. I trent’anni di Barcellona sono una bella ricorrenza ed è bello che ci sia gente che lo ricorda. Barcellona per me è nelle fotografie appese in casa. Ci sono quelle 2-3 immagini che ormai sono icone. Mio padre è nei racconti dei nonni e in quelli di mia madre. Lei è orgogliosa di me ed è bello vedere che mi sostiene. Per me è molto importante».

La Randonnée Casartelli si svolgerà domenica prossima, 29 maggio. Non ci sarò, perché nello stesso giorno il Giro d’Italia celebrerà il gran finale a Verona. In altri tempi avrei potuto pensare di sganciarmi, ma il mio ruolo in bici.PRO impone di non mollare per un solo istante. La vivrò nelle foto e nei racconti di altri. Con un pizzico dello stesso orgoglio di Annalisa. Lei e Marco meritano la serenità e ogni gioia possibile.